martedì 24 maggio 2011

Luigi De Magistris e Giuliano Pisapia sindaci di Napoli e Milano




"Sostiene Berlusconi: "Con la sinistra Milano diverrebbe una città islamica". O "diverrebbe Zingaropoli". O cadrebbe nelle mani violente dei centri sociali. O peggio ancora, senza più condizionale: "Sarà Stalingrado". La campagna del premier non potrebbe essere più tossica, menzognera. Ancora una volta, tenta la seduzione degli elettori immettendoli in una bolla d'inganni: non idilliaca stavolta ma cupa, sinistra. Nella sua retorica, idillio e fiele combaciano, l'insulto si fa incontinente. La bolla è chimerica anche quando non offre una vita al riparo da crisi e mutamenti (una sorta di Milano-2 allargata, tranquillizzata dal recinto che la protegge da incursioni straniere), perché il miraggio della vita in nero non è meno scollato dall'oggi.Non ha rapporto con la crisi economica cominciata nel 2007, e dal premier sempre negata, né col disastro che colpisce ormai più generazioni - di ventenni, trentenni, perfino quarantenni - condannate a un precariato senza futuro in cui sperare. Non ha rapporto con quello che sta accadendo in tanti paesi, da Spagna a Islanda: l'onda di collera verso politici incapaci di dominare, spiegare, intuire quel che la stasi della crescita rende necessario nei paesi sviluppati: più competizione ma trasparente, più bisogno di veder riconosciuto il merito, più giustizia e dunque legalità. Gli indignados delle amministrative italiane, lo vedremo, hanno ritenuto che il Nuovo stesse in luoghi inesplorati della politica.La chimera unita all'insulto ha come scopo quello di produrre allucinazioni, immagini distorte delle realtà vissute. È ancora peggio dell'illusione, perché l'allucinazione è una droga che ti mangia da dentro. I dizionari spiegano che è una percezione di sensazioni senza alcun oggetto esteriore che la faccia nascere. Chi è in preda all'allucinazione non vede il tempo scorrere o lo vede correre caoticamente, non è in grado di smascherare l'inganno che l'ha cattivato, e incattivito. Vive come il popolo imprigionato nei sotterranei del film di Kusturica: sulla superficie la terra è cambiata, il Muro è caduto. Underground, sottoterra, è sempre Stalin contro Hitler, e guerra fredda infinita. Il cattivato voterebbe perfino Jack lo Squartatore, se gli dicessero che in cambio non ci saranno Zingaropoli, centri sociali, Stalingrado.Così nella propaganda di Berlusconi: nulla sulla superficie della terra conferma l'esistenza di orde di zingari che premono alle porte delle città con il coltello fra i denti, nulla fa pensare a Stalingrado (icona della seconda guerra mondiale e della guerra fredda), con le bandiere rosse sventolanti ovunque. Ma l'allucinato non se ne cura: sullo schermo vede proiettato non l'oggetto delle vere paure quotidiane ma una paura cosmica, così potente che oltrepassando la realtà cerca nemici fittizi per placarsi. Hai paura dell'inferno? chiede Berlusconi: non ci siamo che noi per tenerlo a bada, riscattarti, redimerti. Continua a spaventarti, perché lo spavento è la tua e quindi la mia forza. Solo noi, Uomini Nuovi, abbiamo la tenacia e la faccia di bronzo per sventare il caos. Hayek chiama tutto questo fatal conceit. È l'idea che "l'uomo sia capace di forgiare il mondo che gli sta intorno secondo i propri desideri". Accusava il comunismo, ma ogni ideologia monocratica si nutre della paura del diverso, è concezione fatale insidiata dall'errore.Il fatto è che quelli che si presentano come Uomini Nuovi o non lo sono più, o non lo sono mai stati. Non lo è Berlusconi: affermando che Mani Pulite fu un atto sovversivo inteso a liquidare i partiti che avevano dato all'Italia benessere e progresso, si è dichiarato l'erede, se non la reincarnazione, del vecchio regime eroso da corruzione e patti mafiosi. La Lega è un caso diverso: quando nacquero le leghe, negli Anni 80, la novità c'era anche se colorata di populismo e razzismo d'altri tempi: vituperare Roma ladrona indicava desiderio di disfarsi delle partitocrazie rivelandone corruttele e doppi Stati. Secondo la ricostruzione di Roberto Biorcio, professore di sociologia a Milano, la Lega contribuì in maniera decisiva non solo a Mani Pulite, ma al successo popolare delle inchieste giudiziarie (La rivincita del Nord, Laterza 2010). Accettare che si parli di quei magistrati e di quelli che oggi indagano su corruzione e mafia come di brigatisti, di un cancro, di gente antropologicamente diversa, è per la Lega un rinnegare se stessa. (Rinnegamento assente, invece, nella destra di Fini).Progressivamente i leghisti si son trasformati in tutori di interessi particolari, bigotti, ostili al cambiamento, sia quando il nuovo si presenta come società non più omogenee, già multiculturali, sia quando si presenta come società della crisi, di giovani tagliati ormai fuori non solo dal lavoro ma anche dagli studi (2,1 milioni, secondo l'Istat). È quello che si fatica a capire, alla vigilia del ballottaggio di domenica prossima. Il Nuovo che berlusconiani e leghisti promettevano non ha dato risultati. Delle promesse non resta che una smorfia: altro non è la pernacchia di Bossi teletrasmessa lunedì. I votanti magari premieranno tale degenerazione ma credo che pochi lo faranno sperando alcunché.Il primo turno ha mostrato quali possono essere i volti nuovi, dopo falsi inizi e tracolli della seconda Repubblica. Nuovi non solo rispetto a berlusconiani e leghisti, ma anche a una sinistra che per 17 anni ha sottovalutato l'anomalia di Berlusconi, legittimandone l'ascesa, il successo, l'intreccio (mai percepito davvero come conflitto) fra l'utile personale-aziendale e l'utile politico. Non è un caso che le novità appaiano nelle due città più inferme d'Italia: Milano e Napoli. Milano secolarmente allettata dall'estraneità al bene pubblico e allo Stato unitario. Napoli infiltrata dalla camorra, guastata da giunte di destra e di sinistra. L'appoggio dato per anni a Bassolino ha fatto un male incalcolabile al Pd, ed è grave che questi se ne sia accorto solo fra il primo e il secondo turno di queste elezioni.Certo non sono ancora chiari, i programmi di Pisapia o De Magistris. Ancor meno lo erano quelli della Lega, nei primi Anni 90. Ma la rottura di continuità c'è, e assai meno equivoca di allora. Così come c'è rottura di continuità in Fini, che ha scelto di ricostruire una destra fondata sull'unità nazionale e la legalità. Quando Beppe Grillo dice che Pisapia e Moratti sono la stessa cosa è anch'egli parte del vecchio, pur respinto da tanti suoi elettori. Di un vecchio che trascura le mutazioni economiche nel loro insieme e non cerca la soluzioni adatte. Che tuona contro Marchionne senza provare a udirne gli argomenti, con la stessa foga con cui i sindacati difesero la vecchia Alitalia nel governo Prodi.Il vecchio è un Paese malato non solo a causa di Berlusconi, ma di una classe dirigente che non affronta le cose come stanno, lavorando sull'armonizzazione tra necessità economiche, tutela dei diritti della persona, equità e legalità da resuscitare. Che non dice quel che andrebbe detto: una società che vuol guarire dovrà nascere dall'insieme di culture e religioni che ormai la compongono, e sentirsi responsabile di una gioventù minacciata, che la generazione del '68 ha sacrificato pur di attribuirsi buone pensioni. Se c'è una cosa che in Italia è mancata non è la concordia, ma un vero conflitto di generazioni. Ne aveva e ne ha bisogno, per non patire degli odierni ingiusti squilibri. Invece di un sano conflitto generazionale abbiamo avuto per quasi un ventennio il malsano, osceno conflitto d'interessi. E abbiamo, in fine corsa, la pernacchia di Bossi. L'appello del card. Bagnasco a destra e sinistra, perché smettano "risse inguardabili e noiose" e approvino il testamento biologico, è fuorviante. Un appello morale alla responsabilità non può sorvolare, oggi, sull'essenziale: la riscoperta del bene comune e della legalità, a Milano e Napoli. Tre marce su Roma sono partite da Milano (Mussolini, Craxi, Berlusconi) e hanno portato o alla guerra o alla stasi. Forse è venuta l'ora di rompere la bolla, di capire che ripetere il passato è solo distruttivo. Non ha senso ripetere il '68, incurante della legalità e non ancora messo alla prova dall'immigrazione. Né ripetere il voto del '48, gridando al lupo comunista. Stalingrado è spettro del mondo di ieri, non di oggi. Del mondo che vive underground, convinto che nessun muro è ancora caduto". (Barbara Spinelli)


"Ora, pure Barack Obama è preoccupato per il futuro di Napoli. La diplomazia a stelle e strisce si è attivata per conoscere chi governerà la città che ospita il Comando della VI Flotta della US Navy. E per capire che ruolo avrà Nicola Cosentino nelle scelte di Gianni Lettieri, in caso di una sua elezione a Palazzo San Giacomo. Lo hanno chiesto direttamente al candidato del centrodestra gli emissari del Governo statunitense che la scorsa settimana hanno incontrato pure Luigi De Magistris.Da Washington è stata mobilitata l’Ambasciata a Roma: all’ombra del Vesuvio è stato spedito di corsa il responsabile politico di David Thorne, Peter Brownfeld. Gianni Lettieri ha varcato per primo la soglia del Consolato americano con affaccio sul Golfo di Napoli, giovedì di buon mattino. Era l’incontro più atteso dai diplomatici americani. A lui, come a De Magistris, le domande di rito: sul programma, sulle proposte, sulle idee per risolvere, tanto per cominciare, l’emergenza ambientale. Un tema caro al Governo statunitense, che da tre anni ha avviato un costoso monitoraggio di acqua, aria e terra nelle zone di Napoli e Caserta.Perché l’emergenza rifiuti è diventata allarme nella comunità statunitense di stanza a Napoli, circa 10 mila tra militari e civili, tanto da dover rifornire tutti di acqua minerale anche per lavare i denti. Angosce puntualmente riportate nei cablogrammi destinazione Washington DC partiti da Roma e Napoli, recentemente svelati da Wikileaks. Documenti in cui traspare tutta la preoccupazione anche per i temi legati alla sicurezza e alla criminalità organizzata. Per questo, gli emissari della Casa Bianca hanno chiesto conto a Lettieri dei suoi rapporti con Nicola Cosentino, l’ex sottosegretario del governo Berlusconi rinviato a giudizio per camorra: perché il timore di una marcia su Napoli di Nick ‘O Mericano pare essere molto temuta aldilà dell’oceano. Ancor più, dopo l’uscita del Presidente della Camera, Gianfranco Fini: «È difficile dire a un napoletano di votare per uno dietro il quale c’è l’ombra di Cosentino» ha detto il leader di Futuro e Libertà.Un rapporto ambiguo, quello tra il candidato del Pdl e il suo leader regionale, una piaga su cui il suo avversario continua a spargere sale. Lo ha fatto sempre durante i “faccia a faccia” televisivi degli ultimi giorni: «Le mie liste sono pulite – ha ripetuto De Magistris – La mattina non devo fare la conta per vedere se tutti sono a piede libero. Lettieri si è fatto accompagnare per tutta la campagna elettorale da Cosentino». La replica, in tre dibattiti senza esclusioni di colpi, è un attacco insistito sulle sue inchieste giudiziarie: «Da pm hai fatto solo danni», accusa Lettieri. Curioso che, proprio nelle ultime ore, sia arrivato un involontario endorsement da Lorenzo Cesa, uno dei principali indagati nell’inchiesta “Poseidone” dell’ex pm di Catanzaro: «Chi sostiene Lettieri è fuori dal partito», ha detto il segretario dell’Udc dopo che due consiglieri provinciali hanno pubblicamente garantito l’appoggio al candidato Pdl. Un principio, precisano i centristi, che «vale anche per De Magistris». Una formula di rito, più che una vera e propria dichiarazione di non voto: alcuni “grandi elettori” del Terzo Polo napoletano, infatti, stanno già lavorando per spostare migliaia di voti sull’europarlamentare. Che ha già incassato il sostegno incondizionato del Pd, anche senza un apparentamento formale: meglio evitare segnali equivoci e inciuci col partito di D’Alema e Bersani. L’accordo c’è ma non si vede: l’elettore che ha scelto De Magistris, convinto che rappresenti il cambiamento, non approverebbe la scelta di correre al secondo turno con il partito delle primarie fasulle. Per questo, per il Pd non ci sarà premio di maggioranza in caso di vittoria del candidato dell’Idv: nell’assemblea comunale siederanno i soli 4 consiglieri che hanno conquistato un posto al sole 8 giorni fa. Il paradosso è che, in caso di affermazione di Lettieri, per effetto della legge elettorale, il numero raddoppierebbe. Per questo, c’è chi teme che la scelta di chiudere all’ipotesi di accordo formale col Pd possa rivelarsi un boomerang per De Magistris, con quattro papabili consiglieri che, aldilà delle posizioni pubbliche, in gran segreto potrebbero fare il tifo o, addirittura, sostenere il candidato della Destra. Con un pacchetto di quasi 10 mila voti a disposizione. Non sarà un caso se, nelle ultime ore, si siano fatte insistenti le voci di incarichi da assessore per almeno due degli esclusi. Piccole manovre da Ancien Régime e un’aria da vittoria annunciata che possono rappresentare l’ultimo ostacolo per De Magistris nella corsa alla poltrona di Sindaco di Napoli. Tanto più che, dopo essersi affidato fino a oggi alle cure di Claudio Velardi, Lettieri ha consegnato il timone del suo comitato nelle mani di Fulvio Martusciello, fratello dell’ex viceministro del governo Berlusconi, e vera macchina da guerra elettorale. All’insegna del «meno chiacchiere, più voti». (Il Fatto Quotidiano)

""Milano è stata l'Eldorado d'Europa. Come si fa a lasciarla nelle mani del populismo plebeo di Bossi e di quello plutocratico di Berlusconi, interpretati per un grigio quinquennio dalla pochezza culturale di Letizia Moratti?". Con queste parole, dopo vent'anni di ritirata, di ripiegamento neghittoso su se stessa, torna in scena la cosiddetta borghesia illuminata milanese. Lo fa con l'auto-convocazione del plenum del Gruppo 51 (per cento) per sostenere nell'ultimo miglio la candidatura a sindaco di Giuliano Pisapia.Coagulato da Piero Bassetti, classe 1928, olimpionico nella staffetta a Londra nel 1948, master alla London School of Economics, assessore a Milano negli anni Sessanta, primo presidente della Regione Lombardia e deputato dimissionario nel 1974 quando cominciò a vedere le danarose corti dei vari Frigerio assise al Savini, il Gruppo ha scelto un sito evocativo del riformismo ambrosiano: il vecchio circolo socialista De Amicis. E' qui che i 101 professionisti, banchieri, manager, imprenditori, economisti, architetti, sociologi che per primi hanno firmato l'appello, danno stasera il benservito al blocco sociale conservatore che da un ventennio fa da tappo all'unica possibile "Glocal City" a sud delle Alpi, vagheggiando con Pisapia un blocco sociale nuovo e alternativo. Né di sinistra né di destra, composto di lavoratori e professionisti, di borghesia tradizionale e di neo-borghesia dei flussi e delle reti, come la definisce Aldo Bonomi, con quello che si chiamava ceto medio e gli immigrati che ormai controllano e dirigono il 13 per cento delle imprese milanesi.Altro che Zingaropoli.Al De Amicis sfilano stasera in sobrietà, cifra tradizionale della vecchia borghesia meneghina, giuristi come Valerio Onida, ex presidente della Corte Costituzionale, banchieri come Alessandro Profumo e Piero Schlesinger, economisti come Pippo Ranci, Fabrizio Onida, Marco Vitale e Mario Artali. E poi l'ex presidente della Consob Salvatore Bragantini con Rosellina Archinto, l'avvocato Cesare Degli Occhi con il collezionista d'arte Giuseppe Berger, il notaio Giuseppe Fossati con il filosofo Fulvio Papi, il designer Fulvio Ronchi con la pubblicitaria Annamaria Testa. Una folta pattuglia socialista e un pezzo del Nuovo Polo, rappresentato, tra gli altri, da Bruno Tabacci."Non siamo qui per i begli occhi di Pisapia - esordirà lo speaker Piero Bassetti, che ci preannuncia i temi della serata - ma perché abbiamo visto profilarsi il miracolo dell'alternativa, né di destra di sinistra, ma incarnato da una persona che ha creato consenso senza soldi e senza partiti. Di fronte a una città e a un paese male amministrati, alle insulsaggini di Bossi sull'immigrazione, alle fesserie sui ministeri al nord, e alla miopia ringhiante di Berlusconi. Ora si può rimuovere questo blocco sociale conservatore che fa da tappo alla città e al paese. Il cambiamento urge non tanto per lo scandalo Ruby. Si sa, il potere è afrodisiaco, si può anche tollerare un puttaniere al comando, ma non far finta che non sia insidiata la democrazia in un paese che, tra l'altro, ha un parlamento di nominati".Sì, inutile negare che la partita di Milano si salda con quella nazionale, anche perché è qui che si sono sempre prodotte le fasi politiche innovative.Tra il 1960 e il 1967, con la giunta del sindaco socialdemocratico Gino Cassinis, con Bassetti assessore al Bilancio, alle Finanze e all'Organizzazione, fu lanciato il Piano Milano che realizzò 144 mila vani di edilizia popolare, 30 scuole, il parco che costeggia viale Forlanini. Municipalizzò il gas della Edison con una battaglia campale appoggiata da Enrico Mattei, che aveva fondato Il Giorno, allora foglio progressista. Si fece il primo prestito di 2 milioni sulla Borsa di New York con l'aiuto di Raffaele Mattioli. Si creò in stazione Centrale il servizio di assistenza al Treno della Speranza, che arrivava tutte le notti dal sud, carico di immigrati, per i quali si istituirono corsi di alfabetizzazione."Oggi invece - lamenta Bassetti - si vive di paure indotte da una classe politica in gran parte insulsa, così oscurantista da non capire che non basta innalzare qualche grattacielo dell'Expo, che nutrire il pianeta è un tema che trascende le beghe politiche per le quote di potere, che la sfida non è il rifiuto dell'immigrazione, ma la gestione di un fenomeno ineluttabile, che è anche un'opportunità per fare veramente di Milano l'ottava Glocal City d'Europa. Il sindaco di Rotterdam è un immigrato. A Milano il credito al consumo erogato agli immigrati è pari a quello erogato ai milanesi. Banca Intesa ha costituito l'Extra Bank, istituto multietnico. Perché sa, come sanno tutte le altre banche, che se li buttiamo fuori dalle balle come vorrebbe Bossi, tagliamo di netto il 10 per cento della nostra economia e andiamo a fondo. Mi hanno definito un protoleghista perché con la sinistra di Base, sostenemmo l'autonomismo regionale. Ma i nostri riferimenti erano Salvemini, Miglio e Zerbi, non l'incultura leghista".Cosa hanno in mente dunque i redivivi borghesi illuminati, oltre a una decente amministrazione per Milano, ormai rattrappita nel suo bozzolo di neo-populismo fatto di arcaicità, provincialismo gretto, affarismo e potere rivolto all'interesse di pochi, se domenica prossima vincerà Pisapia? Molti di loro non negano nell'attuale situazione assonanze con gli anni Sessanta, quando qui con un nuovo blocco sociale si crearono le condizioni per il primo centrosinistra nazionale. Ma anche dissonanze, perché i partiti non hanno più il peso di allora e il populismo berlusconiano ha cambiato il sistema, nel senso che le leadership nascenti di sinistra contengono adesso elementi populistici, sia pure a "consenso critico" e non "acritico", da tifoseria, come quello di destra. E non è facile coniugare il vecchio partitismo con le nuove forme di leadership.Ci vollero tre anni perché l'esperimento del centrosinistra milanese fosse replicato a Roma, dopo molte resistenze, compresa quella di Aldo Moro. "Perciò attenzione - avverte Bassetti, che ne discute da mesi con gli altri "congiurati" - se vinciamo a Milano, il recepimento nazionale non sarà rapido. Non solo perché Bossi rischia di rimanere abbracciato a Berlusconi nell'agonia, rinviando il 25 luglio del berluscoleghismo, come i naufraghi che affogano. Ma anche perché il Pd dovrà adeguarsi ad alternative del tipo Pisapia. Non più l'Ulivo, ma forme neo-populiste a guida tranquilla e gentile. Il modello inglese che consente al leader di non dover negoziare. "Sì" o "no", come al parlamento britannico. Quindi, meglio non improvvisare, se no la sinistra rischia grosso". Non sarebbe la prima volta, avvertono al De Amicis. Al riformismo milanese seguirono le degenerazioni del craxismo e il berluscoleghismo. Addio Eldorado". (a.statera@repubblica. it)

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