martedì 31 marzo 2009

Calma piatta.


Foschia

Li abbiamo sulla coscienza


Ci sono forse 500 persone che sono affogate nel Canale di Sicilia. Sono morte per trovare un avvenire migliore. Respinte dalle nostre ambasciate. Impossibilitati a muoversi liberamente nel mondo. A causa di una legge italiana che impedisce di avere dei visti regolari per venire a lavorare o stare da noi. Queste persone le abbiamo noi sulla coscienza. Questi essere umani stanno morendo per il nostro egoismo, per non avergli permesso di venire regolarmente sul suolo che riteniamo non sia di tutti. E anche una strage di queste proporzioni non trova quello spazio che dovrebbe avere sui media. Ma se muore un solo italiano siamo pronti a dedicargli pagine e immagini senza fine. La nostra è una cultura dell’orrore.
In Africa e nel Sud del mondo un intero villaggio fa la colletta per mandare un lontano parente in Europa, in Italia. Si parte da terre lontane verso le ambasciate delle varie capitali. Si cammina a piedi e si staziona per settimane od anni davanti a consolati che non ti rilasciaranno mai quel visto per una terra che si crede promessa. Le fortune di una vita di un’intera comunità vengono allora investite su una sola persona perché attraversi il deserto, si affidi a loschi figuri che forse ti traghetterano verso un paradiso possibile. Poi, su quelle maledette barche sconnesse si troverà, spesso, solo la morte: giovani, mogli e bambini.Nei nostri notiziari vengno trattati come numeri, come carne da macello. Disperati li chiamiamo. Clandestini. Extracomunitari. Pieni di malattie. Chi ce la farà potrà esssere trattato come uno schiavo. Chi non ce la farà peggio per lui. In fondo sono solo esseri umani di serie B...Ma questi uomini, donne e bambini hanno una storia. Hanno una famiglia, Hanno una comunità a cui fare riferimento. Cercano cibo e un benessere che qui credono facile da ottenere. Non sanno che se non moriranno, qui da noi li ghettizzeremo, li odieremo, li faremo sentire diversi. Saranno degli extracomunitari, dei clandestini, dei non esseri umani.Noi questi esseri, che nella loro terra ci accoglierebbero come dei re, li abbiamo tutti sulla coscienza. Muoiono per la nostra indifferenza, per le nostre leggi xenofobe e razziste, per le nostre depredazioni. Muoiono sperando di trovare un mondo migliore. E trovano solo l’inferno.

Un governo di pazzi.

"La Russa ha dichiarato che verranno spesi 13 miliardi di euro per l’acquisto di 131 caccia bombardieri. In un periodo di crisi, con molti italiani disoccupati, in cassa integrazione o che semplicemente non riescono ad arrivare a fine mese, il governo ha pensato bene di aiutare queste persone, spendendo 13 miliardi di euro per l’acquisto di caccia bombardieri. E’ bello vedere come i signori si preoccupino della nostra incolumità.Infatti entro il 16 aprile le commissioni Difesa di Camera e Senato dovranno esprimersi sul programma di riarmo aeronautico presentato dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che prevede appunto l’acquisto di 131 caccia-bombardieri da attacco F-35. Secondo La Russa la nostra flotta aerea è obsoleta e secondo il capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Vincenzo Camporini, l’acquisizione degli F-35 sono “assolutamente vitali per la difesa” del nostro Paese.Tuttavia ricordiamo che per la ‘difesa’ dello spazio aereo italiano sono già stati spesi oltre 7 miliardi di euro per l’acquisto di 121 caccia Eurofighter in sostituzione dei vecchi F-104.Siccome potrebbe sembrare uno scherzo o una presa in giro, il testo è consultabile a questo link: http://it.peacereporter.net/upload/7/77/776/7760.pdf .Tuttavia un aspetto positivo esiste, sembra strano, ma questo "riarmo" portera 10 mila nuovi posti di lavoro, genererà un forte sviluppo tecnologico dell’industria italiana e determinerà un incremento del Pil. Ovviamente chi ci guadagnerà sarà il governo e la Finmeccanica. Non è la prima volta che un’azione di riarmo viene usata come la possibilità di ripresa economica, anche se dopo abbiamo avuto i conflitti mondiali.E mentre in Italia i tetti delle scuole crollano sugli studenti; le persone si bruciano in piazza del Campidoglio perchè rimaste disoccupate; le famiglie non arrivano a fine mese e nonostante tutti i tagli che sono stati attuati, il governo ha pensato bene di prendere 13 miliardi di euro e di spenderli per degli aerei di guerra. Ottima proposta, come tutte del resto". (www.agoravox.it)

Micragna.

lunedì 30 marzo 2009

Gorgon people.


La giustizia attacca la vera informazione.

"Pino Maniaci è stato rinviato a giudizio per aver fatto il giornalista senza tesserino. Maniaci conduce il telegiornale di Telejato, una emittente di Partinico in provincia di Palermo. Ha denunciato più volte la mafia. In cambio è stato minacciato, ha subito un pestaggio ed è stato querelato 200 volte. E' chiaro che non è un giornalista. Maniaci ha rifiutato di iscriversi all'albo dei giornalisti. Si sarebbe trovato in compagnia di Riotta, Belpietro, Fede, Giordano. E' uno che ci tiene alla sua reputazione. In Italia chi racconta la verità è un giornalista abusivo". (Beppe Grillo)

sabato 28 marzo 2009

Mare mosso.

Mare calmo


L'Italia di cartapesta.

Il truman show de' noantri è iniziato. Seimila delegati di due partiti italiani si fondono per creare il popolo della libertà sotto la guida del suo cesare, il premier italiano Silvio Berlusconi. Già nel nome si respira aria di cartapesta. Non è un partito ma un popolo. Di quale libertà si parli, se non quella di calpestare l'evoluzione italiana, nessuno lo sa. Si parla a vanvera, così perché e bello dirlo e fa tanta audience ascoltarlo, di valori come felicità, famiglia, bellezza, amore e via dicendo. Ma sono solo involucri vuoti di quello che queste parole significano. Un partito di giovani, belli e bravi, che ricalcheranno le orme del loro vate, tutti uguali a lui. Dietro, i vecchi filibustieri dell'aggressione selvaggia di quello che resta dell'Italia, degli ex fascisti riciclati a berluscones. Si tenta il colpo d'occhio, il collegamento con il partito popolare europeo, un impossibile missione salvatrice di un centrodestra che viene dal niente e che ci sta portando al nulla. Un teatrino vuoto che si cerca di far passare per un'epoca nuova di persone nuove e libere. Solo la gestione del potere li tiene insieme, i soldi, la prepotenza e l'ignoranza delle casalinghe li mantiene nel nostro parlamento.
Il truman show però funziona, nessuno dice che il re è nudo, tutto è sotto controllo. Non c'è un bruto ad impedire l'avanzare di un cesare vacuo, millantatore, venditore, corruttore, ma pieno di carisma all'italiana. L'informazione non esiste più, uccisa dai conflitti di interessi imperanti, sigillata con la firma di un nuovo contratto dei giornalisti fasulli che ancora hanno delle garanzie perché asserviti, mentre fuori storme di scribacchini inoccupati e disoccupati guadagnano 3 euro al pezzo.
Un governo di nani e ballerine ci guida. Ci offrono leggi per cementificare il nostro suolo per gratificare i più abbienti, fermo poi ritirarsi indietro al minimo accenno di dichiarata deficienza. Ci obbligano a morire come dice il vaticano, perché i voti e il potere sono il collante di un partito di cartapesta che sarebbe spazzato via dal vento se i numeri degli ignari cittadini non ce lo confermassero in questa democrazia malata.
Accanto a loro la fascista e razzista lega che, in nome della sicurezza e della rozzezza di tempi passati, impone ronde improponibili, emargina altre etnie, ci fa tornare ai tempi dei selvaggi longobardi.
Mentre il resto del mondo progredisce, noi seguiamo un venditore di fumo che sta ipnotizzando l'Italia portandola alla rovina.
Ecco l'analisi di Eugenio Scalfari, che addirittura lascia a Fini la potenzialità di salvarci da tutto questo. Poveri noi. Scalfari non ha capito che Fini è solo una cartina di tornasole a cui si fanno dire le cose che chi non è d'accordo con cesare vuole sentirsi dire, disarmando una possibile opposizione, per poi tirare dritto per la propria strada. Ancora la nostra intellighenzia non ha capito il giochetto: "Era stato concepito come un congresso-show e così si è svolto, ma sarebbe grave errore interpretarlo solo come un evento mediatico. Il Popolo della libertà ha ancora l'apparenza d'un partito di plastilina, malleabile e manipolabile con facilità, ma ha un'armatura di ferro costituita da interessi largamente diffusi nella società italiana: le partite Iva, le piccole imprese, il lavoro autonomo, le clientele del Sud e delle isole, i disoccupati e i giovani in cerca di lavoro. A suo modo è un blocco sociale che crede di aver trovato la sua rappresentanza e la sua tutela nel carisma berlusconiano. Lo show fa parte della rappresentazione, serve a celebrare il Capo che oggi sarà incoronato; ha anche i suoi aspetti impietosi che rivelano lo spirito del luogo. Uno di tali aspetti l'abbiamo colto nell'esibizione dei quattro giovani che hanno parlato in apertura del congresso. Non tanto per i discorsetti che hanno letto quanto per i gesti di commento del Capo seduto in platea. Quando uno di essi l'ha chiamato eroe lui ha alzato il dito pollice in segno di euforica approvazione e di nuovo l'ha alzato quando un altro ha aggiunto che tutto quanto di buono è stato fatto in Italia lo si deve soltanto a lui. Il giorno dopo, durante il discorso di Fini nei suoi passaggi più dissenzienti, la maschera del Capo era del tutto diversa: un sorriso-smorfia gli increspava le labbra e il teleschermo diffondeva quell'immagine di evidente fastidio che le parole del presidente della Camera gli suscitavano. Intanto la colonna sonora dello show passava dall'inno di Mameli all'inno alla gioia beethoveniano per affidare alla canzone "Meno male che Silvio c'è" il finale al karakoe.
Un'altra osservazione, per restare ancora sullo show: nella grande platea predominavano le bionde e nelle primissime file i giovani e le giovani di bell'aspetto perché al Capo piacevano così e così è stato fatto. Alcune (attendibili) malelingue dicono che per esaurire in modo conveniente i 56 posti a sedere di ogni fila, gli organizzatori siano anche ricorsi ad appositi centri di ricerca di figuranti e comparse, ma forse non è vero. Ci sarebbe molto altro materiale per irridere, ma sarebbe inadatto a commentare un congresso serio e importante; perciò cambiamo registro. La prima conclusione da trarre contrasta con quanto dicono alcuni attendibili sondaggi circa la durata del nuovo partito quando il suo leader non sarà più Silvio Berlusconi. Quei sondaggi dicono a forte maggioranza che il partito si dissolverà, non sopravviverà al suo fondatore. Ma a noi sembra sbagliato. La fusione con Alleanza nazionale non gli porta idee diverse con le quali confrontarsi, ma gli porta una prospettiva di durata che va oltre la sua leadership. Questo sì, è il plusvalore che Forza Italia, se fosse rimasta sola, non aveva. An è meno liquida di Forza Italia, perciò ha maggior resistenza al trascorrere del tempo e questo è il valore aggiunto di questa fusione. Perciò, quale che sarà il leader che verrà dopo Berlusconi, il partito nato oggi ci sarà ancora per lunghi anni e non sarà facile smontare il blocco sociale che intorno ad esso si è coagulato. In altri tempi l'abbiamo creduto ma oggi crederlo ancora sarebbe profondamente sbagliato. La sinistra si dovrà confrontare a lungo e seriamente con questa realtà a cominciare da subito se ci riuscirà. La parola popolo è stata quella più pronunciata nei vari interventi congressuali e soprattutto nel discorso di apertura del premier. Il quale ha fatto di quella parola il pilastro della sua concezione politica e istituzionale. Il popolo sovrano esprime il leader. Nel caso nostro è piuttosto il leader che ha costruito politicamente quel popolo, questo merito (o demerito) gli va onestamente riconosciuto. Tra il popolo e il leader non ci sono intermediari e se ci sono vanno spazzati via o conservati come semplici simboli senza funzioni. Il popolo si esprime plebiscitando il leader e votando per il suo partito e instaura in Parlamento, nelle Regioni, nei Comuni, la legittima dittatura della maggioranza che è lo strumento tecnico per trasformare in norme giuridiche e atti di governo le decisioni del Capo. Nel suo discorso di apertura Berlusconi ha fatto un elenco dei valori comuni a tutto il Popolo della libertà. Il primo valore è, ovviamente, la libertà stessa. Il secondo la modernizzazione. Il terzo la meritocrazia. Il quarto l'identità nazionale a formare la quale entrano in gioco il mito della romanità, i Comuni e le Repubbliche marinare del medioevo, il Rinascimento, il Risorgimento, De Gasperi e ovviamente la Chiesa, Craxi e infine lui, il nuovo eroe (scusate se torno ad usare questa parola ma essa fa parte integrante della sostanza della concezione politica berlusconiana). In quel lungo discorso di 90 minuti manca del tutto una menzione. Si parla di libertà, si parla di democrazia, si parla di Costituzione, si parla di giustizia sociale, ma non una menzione e neppure il concetto della divisione dei poteri. Cioè di stato di diritto. Cioè di controllo. I poteri di controllo politico del Parlamento. I poteri di controllo costituzionale del Capo dello Stato e della Corte. I poteri di controllo di legalità della magistratura. Neppure un cenno alla natura indipendente di tali poteri. Si parla invece diffusamente del potere sovraordinato del leader scelto dal popolo di fronte al quale tutti gli altri debbono essere subordinati, rotelle d'un ingranaggio, o debbono scomparire perché inutilmente lenti, frenanti, ostacolanti, incompatibili con la cultura del fare. Il fare non è un obbligo, è inerente alla vita di ciascuno, il fare costituisce il senso stesso della vita. Una vita inerte è una non vita. Non è dunque una cultura, quella del fare, ma un fattore biologico come il respiro, il movimento, il desiderio, la speranza. Insomma il senso. Oppure il fare è una nevrosi, un'egolatria, un'ipertrofia dell'io, che per realizzarsi deve sopra-fare: fare intorno il deserto, sbarazzarsi dei corpi intermedi, di ogni opposizione, di ogni stato di diritto, di ogni organo di controllo. Perciò l'aspirazione e l'evocazione d'un consenso che superi il 50 per cento degli elettori. Le monarchie di diritto divino, quelle dell'"ancien régime", erano collegate al popolo senza intermediari, in lotta perenne contro i Parlamenti e contro i nobili. Lo Stato faceva tutt'uno col patrimonio del Principe, che riuniva in sé il potere di fare le leggi e di eseguirle oppure di ignorarle a suo piacimento. Le monarchie costituzionali (lo dice la parola stessa) furono tali perché soggette alla Costituzione. Perché la magistratura conquistò l'indipendenza. E i Parlamenti divennero i destinatari delle scelte del popolo sovrano. Tutto questo per dire che la concezione politica di Silvio Berlusconi fa a pugni con l'obiettivo della rivoluzione liberale da lui indicato come il fine principale del Popolo della libertà. Ma ci sono altre ragioni per le quali quella rivoluzione non si farà e non s'è mai fatta: gran parte degli interessi agglomerati e rappresentati dal centrodestra sono contrari ad essa così come gli sono contrari gran parte degli interessi rappresentati dalla sinistra. Perciò i tentativi di rivoluzione liberale in questo paese sono sempre falliti. Per il conservatorismo innato nella destra e nella sinistra. Li ha sostenuti soltanto il riformismo nei brevissimi periodi in cui ha governato: nel quindicennio giolittiano del primo Novecento, nella fase riformatrice di De Gasperi-Vanoni, nelle regioni centro-settentrionali guidate dall'egemonia socialdemocratica del Partito comunista e nel triennio prodiano del 1996-'98 abbattuto dalla sinistra. C'è ancora una pepita di riformismo nel Partito democratico che stenta tuttavia a farne un valore condiviso dai suoi aderenti. Sarà una lotta lunga e dura. Quella di Berlusconi è più facile perché fa appello ad una costante psicologica degli italiani: l'antipolitica. In nessun paese dell'Occidente l'antipolitica è un sentimento così diffuso e questa è una delle cause che ha ridotto la politica ad un livello poco meno che abietto; è un corpo separato e quindi aggredito e aggredibile da tutte le disfunzioni e da tutti gli inquinamenti. Nel secondo giorno il congresso del Popolo della libertà ha cambiato faccia con il discorso congressuale di Gianfranco Fini. Non sembri una sviolinatura al "compagno" Fini, premio di consolazione ai disagi della sinistra, ma è invece un'analisi oggettiva d'un intervento degno di un uomo politico che ormai ha acquisito lo spessore d'un uomo di Stato. Gran parte di quel discorso Fini l'aveva già pronunciata al congresso di scioglimento del suo partito pochi giorni fa, ma averlo ripetuto al congresso del nuovo partito in presenza del suo re incoronato e del suo pubblico devoto e osannante è un atto di coraggio che non si può sottovalutare. All'inizio ha dovuto bruciare qualche grano d'incenso alla lungimiranza di Silvio, alla perseveranza e alle capacità di Silvio, alla sua lealtà e qualche altro grano di assenzio nei confronti della sinistra, della sua incapacità riformatrice e del suo sguardo perennemente rivolto al passato. (Ma Fini ha voluto dimenticare che vengono dalla cultura della sinistra alcune regole di mercato come la creazione della Consob e dell'Autorità antitrust, l'obbligo di trasparenza delle società quotate in Borsa, la legge sull'Offerta pubblica di acquisto-Opa e infine la massima delle riforme della storia italiana, l'abbandono della lira e l'adozione dell'euro. Non sono fatti che smentiscono le sue affermazioni, onorevole Fini?). Ma poi è cominciata la parte vera del discorso ed è allora che il volto del Capo si è impietrito nel sorriso-smorfia e la variazione somatica è apparsa anche evidente sui volti dei suoi ex colonnelli di An. Fini ha detto che il nuovo partito dev'essere pluralista. Che su Berlusconi, capo indiscusso, incombe però il compito di garantire quel pluralismo. Che è necessario intraprendere una riforma costituzionale per instaurare una democrazia governante. Ha insistito tre volte su questo binomio e la terza volta l'ha scandito perché entrasse nella memoria degli ascoltatori. E ne ha spiegato il senso: maggior potere al governo e al premier per governare con la rapidità richiesta dai tempi; ma anche maggiori poteri di controllo democratico al Parlamento. Se non è governante la democrazia affonda, se non è democratica si trasforma in autocrazia. Le due parole stanno insieme o affondano insieme. Ha parlato del principio di legalità (che Berlusconi non aveva neppure nominato) come dire dello stato di diritto. Ha auspicato che il Partito democratico si riconsolidi ricordando che esso è portatore di valori necessari ad una democrazia compiuta. Ha descritto come sarà l'Italia tra dieci anni, pluri-etnica, pluri-religiosa, pluri-culturale, e quindi la necessità di prepararsi a questi eventi soprattutto nella scuola, nelle norme di integrazione e nel rispetto dei diritti ai quali debbono corrispondere i doveri sia dei cittadini che degli immigrati. Ha ricordato il diritto di esser curati anche per gli immigrati clandestini. Il finale a sorpresa l'ha introdotto con una citazione latina: "In cauda venenum". E poi: "La legge che avete votato al Senato sul testamento biologico è una cattiva legge, lede i diritti di libertà. So di essere in minoranza su questa questione e sul mio concetto di laicità dello Stato, ma mi auguro che ci ripensiate". Così ha concluso. Se avesse un Apicella, forse gli scriverebbe una canzone e la intitolerebbe "Meno male che Fini c'è" ma forse lui invece di alzare il pollice, gliela strapperebbe in faccia. O almeno così si spera".
Ecco un altro commento, questa volta di Gianni Barbaceto, su http://www.micromega.net/: "Nasce il Pdl. Non da un congresso, ma da una "convenscion" aziendale, siparietti, stacchi musicali, seguito di spot, interminabile telepromozione, evento per lanciare un nuovo prodotto. Senza discussione, senza dibattito, senza confronto. Alla fine, senza politica. L'effetto Madia da eccezione diventato norma. Interventi preordinati, vallette e comparse invece che delegati (tanto che per tenere il pubblico in sala, in segreteria hanno dovuto appendere questo cartello: «La borsa del delegato verrà consegnata a fine lavori»). Se proprio congresso vogliamo chiamarlo, allora è un congresso nordcoreano, per applaudire la grandezza del caro leader e le sue opere. Un congresso all'incontrario, come l'Italia di oggi, un congresso che comincia dalla fine, cioè dall'annuncio trionfale che è nato il partito unico, il nuovo mirabolante prodotto da collocare sugli scaffali del supermarket della politica italiana. An si era già suicidata, i suoi colonnelli si erano già venduti al nuovo padrone.La politica, assente dalla "convenscion", la fanno altrove: al governo, in tv. Un piano casa che è una truffa (piano casa era quello di Fanfani, che metteva soldi per costruire case popolari, questo invece è una sanatoria preventiva, un invito all'abuso urbanistico, un via libera alla cementificazione). E poi: una legge sul testamento biologico che è un'altra truffa, imposizione dell'etica vaticana diventata etica di Stato; un cambiamento della legge sulla sicurezza sul lavoro che rende impunite le cosiddette morti bianche; e le leggi razziali, le schedature dei rom, i medici che devono denunciare gli irregolari, le ronde... E poi arriveranno le intercettazioni a disarmare la legge e a mettere il bavaglio alla stampa. Ecco la destra che è nata alla "convenscion" di Roma: un partito P2 di massa, un populismo mediatico-aziendale costruito attorno al capo, dove il potere legislativo è svuotato (ma sì, possono votare solo i capigruppo, così si risparmia tempo), il potere giudiziario è disarmato, il controllo della stampa sulla politica è bloccato. La Costituzione? Un ferrovecchio da cambiare a piacimento. Un progetto autoritario ed eversivo, raccontato con stacchetti al posto giusto".
E ancora Pancho Pardi: "Archiviato l’ennesimo exploit della politica degli annunci con il Piano Casa, è arrivato il voto al Senato sulla legge che renderà vano il testamento biologico. Si può prevedere che alla Camera le correzioni, se ci saranno, avranno significato solo cosmetico. Alla fine del cammino parlamentare, chi non avrà fatto in tempo a sottoscrivere la propria dichiarazione sulle condizioni di fine vita prima della pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale sarà costretto a ricevere, anche se non vuole, idratazione e alimentazione forzate. Queste, come tutti ormai sanno, non sono considerate cure mediche ma puro sostegno vitale. Secondo l’articolo 32 della Costituzione il cittadino non può subire cure indesiderate: sarebbe accanimento terapeutico. Dovrà invece subire, anche se non vuole, il sostegno vitale. L’artificio della distinzione è rifiutato dalla quasi totalità della comunità scientifica e dalla legislazione degli altri paesi europei. Ma a noi viene imposto da una legge incostituzionale.Perciò chi non vuole sottostare a questa prepotenza deve affrettarsi a sottoscrivere il proprio testamento biologico. Per informazioni cercare su questo e altri siti come www.liberididecidere.it.Quante più saranno le firme tanto maggiore potrà essere il sostegno all’inevitabile ricorso davanti alla Corte Costituzionale.Nel colloquio personale con una bravissima persona ho avuto la prova di quanto pesi l’indottrinamento mediatico: ha manifestato dubbi sulla concessione al solo medico della decisione finale ma ha ripetuto in piena sincerità lo slogan retorico “Non si può far morire una persona di fame e di sete”: la falsificazione mediatica è passata e si presenta come verità indiscutibile.Ma ora urge la grancassa sul congresso del PdL. Che i suoi componenti e sostenitori indulgano all’autocelebrazione si può capire: un anno fa hanno stravinto le elezioni con un partito che si costituisce solo ora. E’ innegabile: non c’era ancora riuscito nessuno. I fondatori del PD, il cui vantato merito originario era stato d’aver spinto Forza Italia e AN a riunirsi in un solo partito, vedono finalmente il coronamento dei loro sforzi. Sarà dunque perché una parte del merito spetta al PD che anche sulla stampa indipendente prevalgono i riconoscimenti assai più delle critiche. Quasi nessuno ricorda che quel cammino sarebbe stato impossibile senza la dotazione di mezzi di comunicazione che mancano del tutto agli sfortunati competitori, e di cui anche gli alleati fruiscono con sorvegliata misura. Anzi, la constatazione della disparità è annebbiata dall’ammissione spesso ammirata che nessuno come il suo proprietario sa usare bene i suoi mezzi. Si può capire che chi perde provi soggezione verso chi vince. Ma perché sprecare riconoscimenti al carisma? Max Weber, che aveva indagato e definito il potere carismatico, non si sarebbe mai abbassato a riconoscerlo a un venditore di pubblicità televisiva. E con ogni probabilità si sarebbe chiesto se un proprietario di reti televisive possa concorrere nella competizione elettorale.Ma ancora più grave è non voler capire la distorsione che il potere carismatico (dato e non concesso che sussista) infligge agli equilibri istituzionali e ai principi costituzionali: la separazione tra i poteri sostituita dal rapporto diretto, e a senso unico, tra capo e popolo. Sta accadendo ora sotto i nostri occhi ciò che abbiamo temuto negli ultimi anni e proprio nel momento in cui il pericolo di svuotamento della democrazia si fa pressante, proprio ora sembrano mancare le forze per opporsi alla rovina e per dare nuova vita a una democrazia reale. L’ironico articolo di Ricolfi due giorni fa su La Stampa è il ritratto più efficace di come gli intellettuali non vedano il pericolo. Si diffonde sul carattere del tutto conservatore di entrambi i soggetti del bipolarismo italiano, lamenta l’assenza di forze davvero ispirate alla modernizzazione, paventa un declino inerte della società italiana. Neanche una riga sul rischio che corre l’intera società se il rafforzamento del governo ai danni degli altri poteri costituzionali sarà guidato e comandato da un soggetto che ha, da solo, la piena disponibilità di un poderoso strumento extraistituzionale, di cui tutti gli altri, competitori e alleati, sono privi.Dato e non concesso che il popolo veda il carisma dove non c’è e ne accetti il dominio, gli intellettuali non hanno nulla da dire? Saranno pronti ad assumersi, quando sarà troppo tardi, la responsabilità del loro silenzio?".
Infine, Filippo Ceccarelli di Repubblica: "Venite, adoremus: e dopo tre giorni ancora una volta il presidentissimo Berlusconi si conferma all'altezza della sua fama. Il ruggito e lo sberleffo, il maxi-schermo e lo stacchetto musicale, la gloria e il merchandising, le salmodie dei ministri e il più sonante dispendio di quattrini, tre milioni e rotti di euro, in tempi di crisi, per fare bella figura, alberghi a quattro stelle, bianche tovaglie e delizie di catering per i delegati. Programma minimo scandito alla platea: "Non accontentarsi mai". Chissà se è davvero "la fine della lunghissima transizione italiana". Quando ieri mattina il Cavaliere ha annunciato questo passaggio di ordine storico e politico, per sincronica assonanza veniva da pensare a quanto il professor Aldo Schiavone ha scritto in un libro uscito da pochi giorni, L'Italia contesa (Laterza), e che a proposito della pretesa tempestività berlusconiana dice esattamente il contrario: "Il leader della transizione italiana è diventato oggi il solo ostacolo al suo definitivo compimento. La normalizzazione della nostra politica non aspetta che la sua uscita di scena per potersi concludere". Ecco, si vedrà. Ma intanto mai come in questo congresso è apparsa più evidente la fine di una certa idea della destra. Ed è proprio nell'evoluta potenza tecnica del berlusconismo, nelle sue forme e nei suoi linguaggi che si coglie il senso dello stravolgimento terminale di un antico decoro. E attenzione. Una volta Massimo Cacciari ha qualificato Berlusconi: "Una catastrofe estetica prima ancora che politica". Ma qui non si tratta di interpretare la novità secondo i codici del consueto (e vano) anti-berlusconismo di sinistra, filosofico o snob che sia, comunque spocchiosetto nei suoi stilemi di pretesa superiorità morale e di buongusto.
No. Il dubbio è come avrebbero reagito un Indro Montanelli o una Oriana Fallaci di fronte alla scena del Cavaliere che fa mettere "le nostre dame" in primo piano, si mette a cantare Fratelli d'Italia e al momento di "siam pronti alla morte" strizza l'occhio alle telecamere e fa così così con la mano. La curiosità è di indovinare come Spadolini avrebbe giudicato le tante invocazioni auto-messianiche, la rivendicatissima "lucida follia" del Cavaliere o la promozione a ministro di una ex starlette come Mara Carfagna. L'interrogativo è come il grande Giovanni Ansaldo, l'autore de "Il vero signore", avrebbe descritto l'invasione della cosmetica nella vita pubblica o la dislocazione delle giovani e sospette figuranti interinali sotto le volte posticce della Nuova Fiera di Roma. Detta altrimenti: il sospetto è che con il proverbiale colpo di spada Berlusconi abbia definitivamente tagliato i legami che da anni e anni in Italia tenevano assieme il potere con i canoni stilistici e comportamentali cosiddetti "borghesi": misura, riserbo, ipocrisia, rispetto delle regole, pudore dei propri sentimenti, diffidenza per tutto ciò che fa rumore e spettacolo. L'ipotesi è che si tratti di un leader ormai compiutamente extra-borghese o forse addirittura anti-borghese. E dunque: bisognava vederlo, ieri mattina, annunciare alla platea il suo personale e prezioso dono ai delegati, una "carineria", come dice lui, una "speciale edizione in carta pergamena", proclamava radioso, un incredibile codice miniato che riproduceva il discorso audiovisivo della discesa in campo - e che poi il Cavaliere ha puntualmente declamato al congresso auto-ri-citandosi per quattro buoni minuti. Ecco, fa un certo effetto anche solo immaginarsi cosa avrebbe scritto a proposito della finta pergamena il fondatore del Borghese, Leo Longanesi. Nel 1953 questi pubblicò un libro dall'interrogativo titolo: "Ci salveranno le vecchie zie?", intese queste ultime come l'emblema e le custodi di un mondo fatto di compostezza, parsimonia, fedeltà alle cose solide, ben fatte, per nulla appariscenti. E se la faccenda può sembrare estranea al dibattito politico e ai destini del Pdl, beh, non lo è tanto perché le vecchie zie accompagnano la vita del potere, e Andreotti per dire ne aveva una, la celebre zia Mariannina, che da bimba aveva vissuto addirittura la presa di Roma da parte dei piemontesi traendone il seguente e andreottianissimo insegnamento: "Tutto si aggiusta". Bene: neanche a farlo apposta, pure il Berlusconi aveva diverse vecchie zie, alcune anche suore, altre, sembra di ricordare, formidabili pasticcere. Ma soprattutto ce n'era una, di nome Marina, appunto anziana e non molto avvenente, che un giorno imprecisato il futuro presidente sorprese con un abito a fiori davanti a uno specchio che si accarezzava dicendo: "Come sei bella! Come sei bella!". Al che: "Ma, zia, che fai?". E lei, di rimando: "Ora che nessuno me lo dice più, me lo dico da sola". Ebbene, il turbo-narcisismo ottimistico-consolatorio della zia berlusconiana a suo modo dice parecchio sulla rottura con i costumi e gli atteggiamenti tradizionali della destra, ma forse altrettanto sulla fondazione del primo partito carismatico dell'era repubblicana. Un'autocrazia che si riconosce nei "tanti nostri meriti", nell'"altissima qualità della nostra classe dirigente" per cui "io vi nomino tutti missionari di libertà", e adesso venite qui con me a cantare, e mi raccomando, "le nostre dame in primo piano!". Sovrano acclamato con tanto di ratifica notarile visibile in led e pixel sui mega schermi della conclusa transizione italiana. Un re rivoluzionario populista e plebiscitario, l'ennesimo scherzetto della storia, che sempre insegna d'altra parte a diffidare degli slogan risonanti nelle piazze: "Fascisti, borghesi, ancora pochi mesi!". Ecco, ci volevano in realtà diversi anni, ma visto dal congresso del Popolo della libertà l'esito, più o meno, è proprio quello lì".
E, per chi non lo sapesse, ecco come nasce forza italia in una ricostruzione di Marco Travaglio: "Non per guastare la festa a questa bella incoronazione imperiale del leader del popolo delle libertà che, come avete visto, a sorpresa è stato eletto primo, unico, ultimo imperatore del partito che aveva fondato sul predellino di una macchina e che quando l'aveva fondato Gianfranco Fini l'aveva subito fulminato dicendo: “siamo alla comica finale, noi non entreremo mai nel Popolo della Libertà e Berlusconi non tornerà mai più a Palazzo Chigi con i voti di Alleanza Nazionale”.E quando qualcuno gli aveva chiesto “Possibilità che AN rientri all'ovile?”, risposta di Fini: “Noi non dobbiamo tornare all'ovile perché non siamo pecore”. Poi come avete visto sono tornati all'ovile quindi ne dobbiamo concludere che sono pecore o pecoroni.Ecco, non è per guastare il clima idilliaco anche perché avete visto che sono talmente uniti che su 6000 delegati non se n'è trovato uno che votasse per un altro candidato; potevano pagarne uno almeno per votare per un altro candidato almeno facevano finta di averne due, invece no. E' stata proprio una cosa unanime che ha molto commosso il Cavaliere che non se l'aspettava: avete visto l'emozione con cui ha scoperto di essere stato eletto leader in quei congressi che proprio all'ultimo momento ti riservano questo colpo di scena finale. Chi l'avrebbe mai detto.Ma diciamo che questo stava nelle cose. La cosa interessante è che a poco a poco si cominciano, con quindici anni di ritardo, a vedere i nomi e i cognomi dei veri padri fondatori di quest'avventura che adesso si chiama Popolo della Libertà, che prima si chiamava Casa della Libertà , che prima ancora si chiamava Polo della Libertà e che in realtà ha un unico padrone che si chiama sempre Forza Italia.Quante volte abbiamo sentito rievocare la storia di Forza Italia, le origini... adesso c'è anche quel libro scritto in caratteri gotici, molto grosso per i non vedenti, probabilmente è la versione braille quella che Berlusconi ha mostrato in televisione, che invece della fiaba di cappuccetto rosso, di Cenerentola racconta la fiaba di uno dei sette nani: l'ottavo nano, anzi, come l'avevano ribattezzato i fratelli Guzzanti e la Dandini.
L'ottavo nano che nel 1993 cominciò a macinare idee, progetti che poi si tradussero in Forza Italia.All'inizio ci dicevano che fu lui ad avere questa intuizione meravigliosa, anzi quando qualcuno insinuava che ci potessero essere dei rapporti, dei suggerimenti di Bettino Craxi, di alcuni strani personaggi siciliani che poi vedremo, veniva tutto negato: “non sia mai, noi non c'entriamo niente”. Anzi Berlusconi Craxi faceva proprio finta di non conoscerlo. Per la precisione, il 21 febbraio del 1994, ad un mese ed una settimana delle prime elezioni che Berlusconi vinse, tre settimane dopo il famoso discorso televisivo a reti unificate spedito in videocassetta ai telegiornali, quello della discesa in campo, Berlusconi era a Mixer, ospite di Giovanni Minoli che, conoscendo anche lui molto bene Craxi gli chiese quale fosse il suo rapporto con Craxi.All'epoca Craxi era un nome impronunciabile, era il numero uno dei tangentari, stava facendo di gran fretta le valige perché di li a poco con l'insediamento del nuovo Parlamento i vecchi parlamentari avrebbero perso ipso facto l'immunità e sarebbe finito dentro. Allora stava apprestandosi alla fuga, alla latitanza verso Hammamet. Era un nome pericoloso, e Berlusconi, fedele alle amicizie e fedele come sempre, rispose a Minoli: “è una falsità, una cosa senza senso dire che dietro il signor Berlusconi ci sia Craxi. Non devo nulla a Craxi e al cosiddetto CAF”.Un anno dopo, lui aveva già fatto il suo primo governo, era già cascato, c'era il governo tecnico Dini, alla Repubblica gli chiesero notizie di Craxi perché era venuto fuori da un vecchio consulente di Publitalia che aveva partecipato alla progettazione, addirittura pare fin dall'estate del 1992, Ezio Cartotto, alla nascita di Forza Italia, aveva raccontato che in queste riunioni, in quella decisiva di aprile del 1993, mente lui era li ad Arcore con Berlusconi si aprì una porta ed entrò Craxi e diede alcune indicazioni. Per esempio che bisognava mettere insieme le truppe berlusconiane con i leghisti, ma Craxi disse “mai con i fascisti”. Craxi aveva tanti difetti ma essendo un socialista i fascisti non li voleva vedere mentre, come abbiamo visto, Berlusconi si è portato dentro i fascisti e anche qualche nazistello per non disperdere i voti.In ogni caso i giornali pubblicarono le dichiarazioni di Cartotto, che chi di voi vuole vedere nel completo trova nel libro “L'odore dei soldi”, lì c'è proprio il racconto di questa riunione nella quale Craxi spalancò una porta.Berlusconi replicò negando. Io mi ricordo che in una conferenza stampa in quei giorni a Torino, al Lingotto, io gli chiesi se era vero che Craxi avesse partecipato a queste riunioni e lui, invece di rispondermi, mi disse “si vergogni di farmi questa domanda”. Era una conferenza stampa: in un altro paese immagino che tutti i giornalisti avrebbero rifatto la stessa domanda fino a ottenere la risposta, invece i colleghi, che sono quelli che fanno parte del codazzo, che sono ormai quasi di famiglia per lui, mi guardarono come dire: “ce lo disturbi, così ci rimane male, ci rimane storto per tutta la giornata”. Io mi ritirai in buon ordine, non conoscendo queste usanze altamente democratiche.Berlusconi disse di nuovo: “Forza Italia e Craxi sono politicamente lontani anni luce. Posso assicurare che politicamente non abbiamo a che fare con Craxi e siamo stati molto attenti anche alla formazione delle liste elettorali”. Come dire, quello è un pregiudicato e noi i pregiudicati non li vogliamo. Non vogliamo neanche gli indagati, infatti Forza Italia nel 1994 faceva firmare una dichiarazione ai suoi candidati nella quale dichiaravano non solo di avere condanne ma nemmeno di avere mai ricevuto un avviso di garanzia, che è addirittura eccessivo come dicevamo la settimana scorsa. Per essere indagati basta essere denunciati da qualcuno, che magari si inventa le accuse.“Non rinnego l'amicizia con Craxi ma è assolutamente escluso che Forza Italia possa aver avuto o avere alcun rapporto con Craxi”. 2 ottobre 1995.Craxi è rimasto latitante dal 1994 al 2000 ad Hammamet. Nel gennaio del 2000 è morto. Stefania Craxi ha aspettato per sei anni che l'amico Silvio, che doveva molto se non tutto a Craxi, andasse a trovare suo padre e Berlusconi non c'è mai andato, è andato a trovarlo da morto al funerale.Infatti, parlando al Corriere della Sera nell'agosto del 2004, Stefania Craxi dichiarava: “A Berlusconi non perdono di non essere mai stato a trovare mio padre neppure una volta.”.L'avete vista, l'altro giorno piangeva felice durante la standing ovation riservata a Craxi su invito di Berlusconi dall'assemblea dei congressisti; evidentemente si è dimenticata o forse ha perdonato, o forse il fatto che l'abbiano portata in Parlamento l'ha aiutata a perdonare.Sta di fatto che Craxi era un appestato, non si poteva dire che Craxi era uno dei padri fondatori di Forza Italia e poi dei suggeritori, visto che da Hammamet non faceva mai mancare i suoi amorevoli consigli, come emerse dalle famose intercettazioni depositate nel processo sulle tangenti della metropolitana di Milano, quelle che il giovane PM Paolo Ielo tirò fuori in aula per dimostrare la personalità criminale di Craxi che anche dalla latitanza continuava a raccogliere dossier a distribuire suggerimenti, ed era in contatto con il gruppo parlamentare di Forza Italia. Tant'è che il portavoce del gruppo parlamentare si dovette dimettere perché era solito sottoporre a Craxi le interrogazioni e le interpellanze parlamentari, e Craxi dava ordini su come orchestrare le campane contro i magistrati... anche questo lo trovate mi pare in “Mani Pulite” se non ricordo male.
Ma, andando avanti, l'altro giorno finalmente c'è stato lo sdoganamento postumo di Craxi: quindici anni esatti dopo la prima vittoria elettorale di Forza Italia Berlusconi ci ha fatto sapere pubblicamente, durante la standing ovation, che uno dei padri fondatori era Bettino. Non è male un partito che ha fra i suoi padri fondatori un latitante, no?Ecco, per chi pensasse che non è bello un partito co-fondato da un latitante, fermi la propria indignazione o la propria riprovazione perché tra i padri fondatori Craxi probabilmente è il più pulito. Nel senso che, magari ci arriviamo al prossimo congresso, prima o poi sentiremo il Cavaliere ammettere anche il nome di altri padri fondatori di Forza Italia, che per il momento restano ancora abbastanza nell'ombra.Quando voi vedrete a un prossimo congresso, non so... quando gli metteranno la corona o gli poseranno la spada sulla spalla o si metterà lo scolapasta in testa e il mestolo in mano e comincerà a declamare in lingue strane, se solleciterà una standing ovation per Vittorio Mangano sappiate che quello è il momento: finalmente un altro padre, o padrino, fondatore di Forza Italia verrà allo scoperto. Per il momento ci dobbiamo accontentare di quello che siamo riusciti a scrivere nei nostri libri, perché noi scriviamo nei nostri libri delle cose e poi dieci anni dopo Berlusconi arriva e le dice, e tutti i giornali le annotano dicendo “Berlusconi rivela...”. No, Berlusconi non rivela niente: confessa tardivamente, di solito quando le cose sono andate in prescrizione.Allora, per essere precisi perché molto spesso si fa letteratura, Mangano, non Mangano, sarà vero o non sarà vero.Io vi cito semplicemente quello che noi sappiamo per certo sul ruolo che ebbe Vittorio Mangano in tandem con Marcello Dell'Utri nella nascita di Forza Italia.Un po' di date: il 25 maggio del 1994, strage di Capaci. Qualche giorno dopo Ezio Cartotto, che è un vecchio democristiano della sinistra DC milanese che teneva delle lezioni e delle consulenze ai manager e ai venditori di Publitalia e che quindi lavorava per Dell'Utri, viene chiamato da Dell'Utri. Siamo nell'estate del 1992, tangentopoli è appena esplosa, non c'è ancora nessun nessun politico nazionale indagato dal pool di Mani Pulite: hanno preso Mario Chiesa, hanno preso i due ex sindaci di Milano Tognoli e Pillitteri, hanno preso un po' di amministratori locali democristiani, comunisti, socialisti. Eppure Dell'Utri, evidentemente con le buone fonti che ha a Palermo, ha già deciso che la classe politica della prima Repubblica è già alla frutta e non si salverà e quindi a scanso di equivoci chiama Cartotto e, in segreto, senza nemmeno parlarne con Berlusconi, gli commissiona – dice Cartotto - “di studiare un'iniziativa politica legata alla Fininvest”.Poi c'è la strage di Via D'Amelio, preceduta dalla famosa intervista dove Paolo Borsellino ha detto che a Palermo ci sono ancora indagini in corso sui rapporti fra Berlusconi, Dell'Utri, Mangano e il riciclaggio del denaro sporco.Dopo avere dato quell'intervista, passano nemmeno due mesi e Borsellino viene eliminato a sua volta. Intanto Cartotto lavora come una talpa: lo sa solo Dell'Utri. Berlusconi, questo lo trovate negli atti del processo Dell'Utri e noi in Onorevoli Wanted e anche nel libro arancione “L'amico degli amici” abbiamo raccontato dilungandoci questa vicenda che ha semplicemente dell'incredibile. O almeno, avrebbe dell'incredibile se qualcuno la conoscesse, se qualcuno l'avesse raccontata in questi giorni in cui tutti facevano i retroscena della nascita di Forza Italia. Si sono dimenticati questi popò' di retroscena.Nell'autunno del 1992 Berlusconi viene informato del fatto che farà un partito, perché i primi a saperlo sono Dell'Utri e Cartotto. Da' il suo via libera al progetto, che prosegue tramite le strutture di Publitalia all'ottavo piano di Palazzo Cellini a Milano 2, dove ha gli uffici Dell'Utri.Il progetto viene chiamato “Progetto Botticelli”, viene camuffato da progetto aziendale, in realtà è un progetto politico che sfocerà in Forza Italia, e poi ci sono tutte le riunioni di quando Berlusconi comincia a consultarsi con i suoi uomini.Ovviamente, non solo i manager del gruppo ma anche i direttori dei giornali e dei telegiornali, che sono sempre i vari Costanzo, Mentana, Fede, Liguori e ovviamente Confalonieri, Dell'Utri, Previti, Ferrara. Montanelli non ci andava, ma ci andava Federico Orlando che poi ha scritto un libro, anche quello molto interessante: “Il sabato andavamo ad Arcore” pubblicato dalla Larus di Bergamo.Poi ha scritto un altro libro “Fucilate Montanelli”, nel quale si raccontano, per gli Editori Riuniti, questi fatti.
In queste riunioni ci sono discussioni, perché Berlusconi è preoccupatissimo. C'è il referendum elettorale che ha portato l'Italia alla preferenza unica e si va verso l'uninominale, c'è la scomparsa nella primavera del 1993 dei vecchi partiti che gli avevano garantito protezione per vent'anni, c'è la necessità di sostituirli con qualcosa che sia talmente forte da sconfiggere la sinistra che sembra approfittare del degrado morale che sta emergendo soprattutto, ma non solo, per i partiti del centrodestra – poi il PCI era coinvolto anche nella sua ala milanese ma non a livello nazionale nello scandalo di tangentopoli. E soprattutto c'è tutto il problema delle concessioni televisive e di chi andrà a governare il Paese e quindi a regolare la materia delle concessioni televisive che Berlusconi aveva appena sistemato con la famosa legge Mammì e quei famosi 23 miliardi finiti sui conti esteri della All Iberian di Craxi subito dopo la legge Mammì.Allora c'è grande allarme, c'è grande preoccupazione: sarà meglio entrare o sarà meglio non entrare? C'è tutta la manfrina “facciamo un partito di centrodestra e poi lo consegniamo chiavi in mano a Segni e Martinazzoli perché vadano avanti loro, oppure lo facciamo noi?”. Questo era il dibattito, che nell'aprile del 1993 segna la benedizione ufficiale di Craxi con quella riunione che vi dicevo prima ad Arcore con Ezio Cartotto.
Poi ci sono altre discussioni, ci sono ancora i frenatori come Confalonieri, Gianni Letta, Maurizio Costanzo che sono piuttosto ostili al progetto, o meglio temono che per Berlusconi sia un autogol.Sarà un caso, ma proprio il 14 maggio del 1993 la mafia fa un attentato a Roma, il primo attentato a Roma nella storia della mafia, il primo attentato fuori dalla Sicilia nella storia della mafia viene fatto a Roma nel quartiere dei Parioli. Contro chi? Ma guarda un po': Maurizio Costanzo che sfugge poi, fortunatamente, per un centesimo di secondo.Quel Costanzo che stava nella P2: evidentemente qualche ambientino non si aspettava che fosse ostile alla discesa in campo. Perché lo dico? Perché in quello stesso periodo in Sicilia e in tutto il sud ovest, anche Calabria, si muovevano delle strane leghe meridionali che, in sintonia con la Lega Nord – c'era stato addirittura a Lamezia Terme con un rappresentante della Lega Nord – si proponevano di secedere, di staccare Sicilia, Calabra... infatti si chiamavano “Sicilia libera”, “Calabria libera”. Era tutto un fronte di leghe molto strano: invece di esserci i padani inferociti lì c'erano strani personaggi legati un po' alla mafia, un po' alla 'ndragheta e un po' alla P2 e uno di questi, il principe Orsini che aveva legami con questi personaggi, aveva legami anche con Marcello Dell'Utri.Quindi noi sappiamo che Dell'Utri – lo ha dimostrato Gioacchino Genchi, ma guarda un po', andando a incrociare i telefoni e i tabulati di questi personaggi – aveva contatti diretti con questo Principe Orsini. Dell'Utri inizialmente tiene d'occhio questi ambienti, perché sono le organizzazioni mafiose, legate a personaggi della P2 e dell'eversione nera, che si stanno mettendo insieme perché sentono odore di colpo di Stato, sentono odore di nuova Repubblica e vogliono far pesare, ancora una volta, la loro ipoteca con un partito o una serie di partiti nuovi.Come Sicilia Libera, della quale si interessano direttamente boss come Tullio Cannella, Leoluca Bagarella, i fratelli Graviano e Giovanni Brusca.Dopodiché succede qualcosa, succede che dopo l'attentato a Costanzo e dopo gli attentati che seguono – alla fine di maggio c'è l'attentato a Firenze, ci sono addirittura cinque morti e diversi feriti; poi alla fine di luglio ci sono gli attentati di Milano e Roma con altri cinque morti e diversi feriti – questa strategia terroristica ad ampio raggio, della mafia, sortisce i risultati sperati: Riina non stava sparando all'impazzata, stava facendo la guerra per fare la pace con lo Stato, così disse ai suoi uomini.Una nuova pace con nuovi soggetti e referenti politici che però, a differenza di quelli vecchi che ormai erano agonizzanti, fossero vivi, vegeti, reattivi e in grado, fatto un accordo, di rispettarlo.E' l'estate del 1993 quando Forza Italia è ormai decisa: Berlusconi nell'aprile-maggio ha comunicato a Montanelli che entrerà in politica e che quindi il Giornale dovrà seguirlo nella battaglia politica. Montanelli gli ha detto che se lo può scordare: tra l'estate e l'autunno sono mesi in cui si consuma la rottura tra Montanelli e Berlusconi perché Montanelli continua a scrivere che Berlusconi non deve entrare in politica perché c'è un conflitto di interessi, perché non si può fare due mestieri insieme.Dall'altra parte, ci sono le reti Fininvest che bombardano Montanelli per indurlo alle dimissioni, perché era diventato un inciampo: il giornalista più famoso dell'ambito conservatore che si scatenava contro quello che doveva diventare, secondo i desideri di Berlusconi, un partito moderato, liberale, insomma il partito che avrebbe dovuto incarnare gli ideali di cui Montanelli era sempre stato l'alfiere e che invece Montanelli sapeva benissimo non avrebbe potuto incarnare perché Berlusconi è tutto fuorché un moderato e un liberale: è un estremista autoritario.In quei mesi la mafia decide di abbandonare il progetto di Sicilia Libera che essa stessa aveva patrocinato e fondato e tutto ciò avviene in seguito a una serie di riunioni, nell'ultima delle quali Bernardo Provenzano – ce lo racconta il suo braccio destro, Nino Giuffré che ora collabora con la giustizia e che è stato ritenuto attendibile in decine e decine di processi compreso quello Dell'Utri – convoca le famiglie mafiose, la cupola, per sapere che cosa scelgono: se preferiscono andare avanti col progetto del partitino regionale Sicilia Libera o se invece non preferiscano una soluzione più tradizionale come quella che sta affacciandosi a Milano grazie all'opera di un loro vecchio amico: Marcello Dell'Utri che conoscevano fin dai primi anni Settanta come minimo, cioè da quando Dell'Utri, in rapporto con un mafioso come Cinà e un mafioso come Mangano, aveva portato quest'ultimo dentro la casa di Berlusconi.Si potrà discutere se l'ha fatto consapevolmente o inconsapevolmente, ma il fatto c'è: ha dato a Cosa Nostra la possibilità di entrare dentro la casa privata e di stazionare con un proprio rappresentante dentro la casa privata di uno dei più importanti e promettenti finanzieri e imprenditori dell'epoca. Berlusconi era costruttore, in quel periodo, poi sarebbe diventato editore e poi politico.
E' strano che non si trovi più nessuno, ma nemmeno all'estrema sinistra, che ricordi questi fatti documentati. Ancora nel novembre del 1993 quando ormai per Forza Italia si tratta proprio di stabilire i colori delle coccarde e delle bandierine, c'erano i kit del candidato, stavano facendo i provini nel parco della villa di Arcore per vedere i candidati più telegenici; in quel periodo, a tre mesi dalle elezioni del marzo del 1994, Mangano incontra due volte Dell'Utri a Milano. E questa non è una diceria, c'è nelle agende della segretaria di Dell'Utri: Palazzo Cellini, sede di Publitalia, Milano 2, i magistrati arrivano e prendono le agende e nell'agenda del mese di novembre del 1993 si trovano due appuntamenti fra Dell'Utri e Mangano, il 2 novembre e il 30 novembre.E Mangano chi era, in quel periodo? Non era più il giovane disinvolto del '73-'74 quando fu ingaggiato e portato ad Arcore come stalliere: qui siamo vent'anni dopo.Mangano era stato in galera undici anni a scontare una parte della pena complessiva di 13 anni che aveva subito al processo Spatola per mafia e al maxiprocesso per droga, due processi istruiti da Falcone e Borsellino insieme.E' stato definitivamente condannato per mafia e droga a 13 anni, ne aveva scontati 11, uscito dal carcere nel 1991 era diventato il capo reggente della famiglia mafiosa di Portanuova e grazie al suo silenzio in quella lunga carcerazione aveva fatto carriera e partecipato alle decisioni del vertice della mafia di fare le stragi.E poche settimane dopo le ultime stragi di Milano e Roma, Dell'Utri incontra un soggetto del genere a Milano negli uffici dove sta lavorando alla nascita di Forza Italia.Io non so se tutto questo sia penalmente rilevante, lo decideranno i magistrati: penso che sia politicamente e storicamente fondamentale saperlo, mentre si vede Gianfranco Fini che cita Paolo Borsellino al congresso che sta incoronando il responsabile di tutto questo, cioè Berlusconi.Verrebbe da dire “pulisciti la bocca”.Possibile che invece di abboccare a tutti i suoi doppi giochi, quelli del centrosinistra non – ma dico uno, non dico tutti, li conosciamo, fanno inciuci dalla mattina alla sera e sono pronti a ricominciare con la Costituente come se non gli fosse bastata la bicamerale – uno, di quelli anche più informati, che dica “ma come ti permetti di parlare di Borsellino? Leggiti quello che diceva, Borsellino, di questi signori in quella famosa intervista prima di morire”.Leggiti quello che c'è scritto nella sentenza Dell'Utri e poi vergognati, perché quel partito lì non l'ha fondato lo spirito santo, l'hanno fondato Berlusconi, Dell'Utri, Craxi con l'aiuto di Mangano che faceva la spola fra Palermo e Milano, infatti le famiglie mafiose decidono di votare per Forza Italia e di abbandonare Sicilia Libera – che viene sciolta nell'acido probabilmente – quando Mangano arriva giù a portare le garanzie.
Io concludo questo mio intervento, che racconta l'altra faccia della nascita e delle origini di Forza Italia e quindi della Seconda Repubblica, semplicemente leggendovi quello che hanno scritto e detto prima Ezio Cartotto, piccolo brano, e i giudici di Palermo.Cartotto dice: “Craxi ci disse – in quella famosa riunione in cui si aprì la porta – che bisogna trovare un'etichetta, un nome nuovo, un simbolo, qualcosa che possa unire gli elettori moderati che un tempo votavano per il pentapartito. Con l'arma che hai tu, Silvio, in mano delle televisioni, attraverso le quali puoi fare una propaganda martellante”. Mh... “Ti basterà organizzare un'etichetta, un contenitore – una volta è Forza Italia, una volta la CdL, una volta il PdL -, hai uomini sul territorio in tutta Italia, puoi riuscire a recuperare quella parte di elettorato che è sconvolto, confuso ma anche deciso a non farsi governare dai comunisti e salvare il salvabile”.Vedete che Berlusconi continua a ripetere le stesse cose che gli aveva detto Craxi, quindici anni dopo non ha ancora avuto un'idea originale.Berlusconi invece era ancora disorientato, in quel momento, tant'è che dice: “mi ricordo che mi diceva: 'sono esausto, mi avete fatto venire il mal di testa. Confalonieri e Letta mi dicono che è una pazzia entrare in politica e mi distruggeranno, che faranno di tutto, andranno a frugare tutte le carte e diranno che sono un mafioso”.Questo diceva Berlusconi nella primavera del 1993. Domanda: ma come può venire in mente a un imprenditore della Brianza di pensare che se entra in politica gli diranno che è un mafioso? E' mai venuto in mente a qualche imprenditore della Brianza che qualcuno potrà insinuare che è un mafioso? Ma uno potrà insinuare che è uno svizzero, piuttosto, ma che è un mafioso no! Cosa c'entra? Strano che lui avesse questa ossessione, no?“Andranno a frugare le carte e diranno che sono un mafioso” già, perché evidentemente in certe carte si potrebbe anche trarre quella conclusione lì.“Che cosa devo fare? A volte mi capita perfino di mettermi a piangere sotto la doccia”. Queste erano le condizioni psicologiche, umane del personaggio, disperato perché sapeva che Mani Pulite sarebbe arrivata a lui ben presto, e non solo mani pulite visto che temeva addirittura di finire dentro per mafia.I giudici di Palermo, nella sentenza Dell'Utri, nove anni di reclusione e interdizione dai pubblici uffici in primo grado, scrivono: i rapporti tra Dell'Utri e Cosa Nostra “sopravvivono alle stragi del 1992 e 1993, quando i tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla vendetta di Cosa Nostra – i vecchi politici: Lima, Salvo... - e ciononostante il mutare della coscienza sociale di fronte al fenomeno mafioso nel suo complesso”.Cioè Dell'Utri nonostante la gente cominci veramente ad appassionarsi all'antimafia dopo la morte di Falcone e Borsellino, rimane sempre lo stesso.Esistono “prove certe della compromissione mafiosa dell'imputato Dell'Utri anche relativamente alla sua stagione politica – quella di cui abbiamo parlato -. Forza Italia nasce nel 1993 da un'idea di Dell'Utri il quale non ha potuto negare che ancora nel novembre del 1993 incontrava Mangano a Milano mentre era in corso l'organizzazione del partito Forza Italia e Cosa Nostra preparava il cambio di rotta verso la nascente forza politica”.Dell'Utri incontrava Mangano nel 1993 e poi anche nel 1994 “promettendo alla mafia precisi vantaggi politici e la mafia si era vieppiù orientata a votare Forza Italia”.Tutto questo è scritto in una sentenza di primo grado, che naturalmente aspetta conferme o smentite in appello e in Cassazione.Però è strano che non si sia trovato nessuno che la citasse in questi giorni tra un retroscena e l'altro.Io penso che sia fatta giustizia, spero che prima o poi, invece di usarlo soltanto per raccattare qualche voto sporco in campagna elettorale, tributino finalmente nel prossimo congresso i giusti onori anche al padre fondatore, anzi al padrino co-fondatore, Vittorio Mangano".
E come ci vede invece la stampa estera, in questo caso olandese, ma vale per tutte le altre: "Sorprendente come i cittadini e i media accettino in massa le sue bugie. Da corrispondente in Italia mi sento spesso come Keanu Reeves nel film The Matrix, o Jim Carrey nel Truman Show. È una sensazione spaventosa: vivere e lavorare in una democrazia dell’Europa Occidentale che fu tra i fondatori dell’Unione Europea e fa parte di prominenti forum internazionali come il G8, e ciò nonostante sentirsi come i personaggi che lottano in angosciosi film su illusione e realtà. Ma l’Italia di Silvio Berlusconi ne dà tutto il motivo. Quindici anni dopo l’ingresso di Berlusconi nella politica italiana, il paese si allontana sempre piú dai valori democratici essenziali. Neo (Reeves) e Truman Burbank (Carrey) in The Matrix e The Truman Show si rendono conto che il loro intero ambiente vive secondo la sceneggiatura di un regista onnipotente. Però non vedono la loro sorpresa e preoccupazione al riguardo riflessa in alcun modo nella reazione delle persone che li circondano; tutti si comportano esattamente come se non succedesse niente di strano, o semplicemente non se ne rendono conto. Chi cerca di seguire e di capire la politica e la società in Italia inevitabilmente avrà la stessa esperienza. Il raffronto si è imposto all’attenzione molto chiaramente il mese scorso. Nel pomeriggio di martedì 17 febbraio è apparsa sui siti dei principali giornali italiani una notizia dal titolo: ‘David Mills è stato corrotto’: condannato a 4 anni e sei mesi. Riguardava una notizia esplosiva: il tribunale di Milano aveva riconosciuto l’avvocato britannico David Mills colpevole di corruzione per aver accettato 600 mila dollari da Silvio Berlusconi negli anni novanta, in cambio di rendere falsa testimonianza in due processi per corruzione istituiti contro l’imprenditore-politico. La sentenza contro Mills era altamente incriminante anche per il premier italiano dell’Italia, perchè se c’è un corrotto ci deve essere anche un corruttore. Ma in Italia sono successe un paio di cose strane con questa notizia. Per iniziare diversi giornali hanno scritto la sentenza tra virgolette, come se si trattasse non di un fatto giuridico ma semplicemente di un’opinione personale da poter contestare con facilità. Ciò infatti è immediatamente successo.
Nel sito web del Corriere della Sera, un giornale di riguardo in Italia, vari lettori hanno messo in dubbio la sentenza del tribunale milanese. “Perchè questa sentenza arriva giusto 24 ore dopo le elezioni in Sardegna?” si chiede uno di loro. Il partito di Berlusconi, Popolo delle della Libertà (PdL), aveva vinto quelle elezioni regionali con una schiacciante maggioranza; l’isola italiana è tornata dopo lungo tempo in mano della destra, cosa che ha provocato una grande euforia negli ambienti del Pdl. I giudici hanno deliberatamente cercato di rovinare la festa con la loro sentenza, riteneva il lettore sopracitato. Un altro ha fatto un ulteriore passo in avanti. Quella “ennesima sentenza fatta per rovinare la festa”, avverte i giudici, “servirà solo a rafforzare il nostro premier e la sua coalizione, quindi soprattutto continuate così e sparirete automaticamente, ciao ciao”. Di per se queste reazioni si potevano archiviare come rigurgiti emotivi di accaniti sostenitori di Berlusconi. Ma stranamente i media italiani gli hanno dato del tutto ragione. Mentre la notizia veniva esaminata a fondo su emittenti straniere come la CNN e la BBC, l’interessante notizia é stata data di striscio dai telegiornali italiani. Su RaiUno e RaiDue l’argomento è stato incastrato a stento in un minuto verso la fine dell’edizione serale. Su due delle tre reti commerciali di Berlusconi la sentenza è stata completamente ignorata.
E sul canale che ha sì riferito la sentenza, il cronista ha ancora definito l’accertato episodio di corruzione un “supposto pagamento” fatto dalla ditta Fininvest di Berlusconi, e ha chiuso il suo mini servizio con una lunga citazione di un parlamentare del partito di Berlusconi, il quale diceva che il presidente del tribunale di Milano “è chiaramente antagonista della persona di Silvio Berlusconi dal punto di vista politico”. Come può succedere tutto ciò? Come si può negare e deformare così facilmente e massivamente la realtà? Da anni la stampa internazionale addita il gigantesco conflitto di interessi del premier. Tutti conoscono Silvio Berlusconi come il grande uomo dietro più di settanta aziende, raggruppate in mega holdings come la Mondadori (la principale casa editrice di giornali, libri e riviste in Italia), Mediaset (la più grande holding televisiva del paese), Mediolanum (servizi finanziari) e la squadra di calcio AC Milan.
Le sue emittenti commerciali (ndr.: Berlusconi), il suo settimanale d’opinione “Panorama”, il quotidiano “Il Giornale” (del fratello Paolo) e una lunga lista di giornali di famiglia, si schierano quotidianamente con il loro padrone senza vergogna. Questo servilismo raggiunge forme così elevate che il giornalista televisivo nonchè capo-redattore dell’emittente Rete4 può emozionarsi in diretta leggendo la notizia della vittoria elettorale di Berlusconi. Per la maggioranza degli italiani la televisione è la principale fonte di informazione, ed è quasi completamente sotto il controllo di fedelissimi di Berlusconi. Allo stesso tempo i membri dell’opposizione vengono buttati a terra in modo insolitamente sgarbato. Il più combattivo oppositore di Berlusconi, Antonio Di Pietro, da tempo viene chiamato ‘il boia’, o ‘il trebbiatore’ nel corso delle varie rubriche di attualità, che continuano a far vedere le sue foto meno lusinghiere, che immortalano il corpulento Di Pietro sul trattore, in pantaloncini corti. Questo bizzarro approccio ‘giornalistico’ non scaturisce da una specie di naturale lealta’ dei dipendenti, ma da precisi ordini di servizio. Il giornalista italo-americano Alexander Stille cita nella sua biografia di Berlusconi “Il sacco di Roma” (tradotta in olandese come “Silvio Berlusconi/De inname van Rome), un ex vice-caporedattore de “Il Giornale”, che spaziava su come Berlusconi dava ordini alla redazione negli anni novanta: “Dobbiamo cantare in armonia sui temi importanti per noi. Voi, caporedattori, dovete capire che dobbiamo iniziare un’offensiva mirata con tutti i nostri mezzi contro chiunque ci spari addosso. Se quelli che ci attaccano ingiustamente vengono puniti usando tutti i diversi media del nostro gruppo, l’aggressione finisce”. Nel ruolo di premier, Silvio Berlusconi esige più o meno la stessa apatia dagli impiegati statali, soprattutto all’interno dell’emittente statale RAI. Durante il conflitto in Irak, che aveva l’appoggio del precedente governo Berlusconi, i giornalisti della RAI non potevano definire gli oppositori della guerra “dimostranti per la pace” o “pacifisti”, ma dovevano chiamarli “insubordinati”. Durante una conferenza stampa in Bulgaria Berlusconi accusò Santoro e due altri giornalisti di aver fatto un ‘uso criminoso della televisione pubblica’. I tre avevano osato fare una trasmissione critica sul premier. In quello che da allora è diventato famoso come ‘l’editto bulgaro’, il premier esigeva che la direzione dell’emittente ‘non permettesse più che accadessero certe cose’. Qualche mese dopo i tre erano spariti dallo schermo. L’Italia come paese democratico sta molto peggio di quanto molti credano. Ciò dimostrano le misure per la limitazione della libertà che questo governo sta prendendo o preparando (come la prigione per i giornalisti che pubblicano le intercettazioni telefoniche degli indiziati; pressione politica su medici e insegnanti per denunciare gli immigranti illegali alla polizia; limitazione dell’indipendenaza del potere giudiziario). Ma lo stato preoccupante delle cose si rivela soprattutto nel modo apatico in cui stampa e pubblico ultimamente reagiscono a questo genere di piani. L’Italia si abbandona sempre di più alla realtà altamente colorata con cui viene abbindolata dall’apparato di potere di Berlusconi. Certo, giornali e riviste di opinione come La Repubblica, l’Unità e l’Espresso continuano ad andare duramente contro il premier quando è necessario. Ma sono predicatori nel deserto: i due principali giornali italiani hanno insieme una tiratura di solo 1,3 milioni, su una popolazione di quasi 60 milioni. La televisione è per la stragrande maggioranza degli italiani la fonte di informazione principale, e ora è quasi tutta sotto monitoraggio di gente fidata di Berlusconi.
Inoltre, anche i giornali al di fuori dell’impero di Berlusconi sentono il suo braccio forte. Come il giornale torinese La Stampa, proprietà della Fiat. ‘Vista la situazione in cui versa la Fiat, La Stampa non si trova nella posizione di esprimere critiche nei confronti di Berlusconi, e ciò è altrettanto valido per numerosi altri giornali’, cosí il caporedattore Giulio Anselmi a Stille nel Sacco di Roma. ‘Oltre ai giornali che possiede, c’é tutto un cerchio concentrico di giornali che dipendono direttamente o indirettamente da lui’. Il leader dell’opposizione Antonio Di Pietro racconta nel suo libro "Il guastafeste", come sia stato apostrofato “assassino’ da due ragazzi, mentre passeggiava in Piazza Duomo a Milano. Un tempo Di Pietro era l’eroe del paese per milioni di italiani, nella sua funzione di pubblico ministero dell’ampia operazione anti-corruzione Mani Pulite, che spazzò via un’intera generazione di politici e imprenditori imbroglioni all’inizio degli anni novanta. ‘Questo incidente’, dice Di Pietro a proposito dell’accaduto a Piazza Duomo a Milano, ‘dimostra che quei ragazzi a casa sono bombardati con falsa informazione dalla televisione’. Dopo un decennio e mezzo, questo moderno indottrinamento sta dando così tanti frutti che Berlusconi osa negare persino le più incontestabili verità. Per esempio, l’anno scorso durante la massale protesta studentesca contro i tagli pianificati nell’istruzione. Gli studenti avevano occupato facoltà di diverse università, con grande irritazione di Berlusconi. ‘Oggi darò al Ministro degli Interni istruzioni dettagliate su come intervenire usando le unità mobili’, disse il premier nel corso di una conferenza stampa. Quando l’opposizione gridò allo scandalo, Berlusconi il giorno dopo disse bellamente di non aver mai minacciato con le unità mobili. Ancora una volta era stato erroneamente citato dai giornalisti. Però tutti avevano potuto vedere e sentire che il premier l’aveva veramente detto; i suoi commenti erano stati trasmessi da radio e tv.
Nonostante quella prova schiacciante Berlusconi si ostinò sulla sua posizione. E con successo. Giacchè cosa dissero la sera i telegiornali? ‘Il premier dice di essere stato citato erroneamente’. In una democrazia sana i giornalisti in servizio avrebbero come minimo fatto velocemente rivedere le immagini della conferenza stampa in questione, così da permettere ai telespettatori di concludere da sè se il premier fosse rimbecillito o no. Ma no. ‘Eventualmente, potrete rivedere la nostra trasmissione di ieri su internet’, ha sussurrato il redattore politico di RaiUno alla fine del servizio. Considerando la situazione alla Matrix in cui versa l’Italia, il suo commento suonava quasi come un eroico atto di resistenza".

Stupratore per sempre.

"Non impasterà il pane per Filippo La Mantia, non imparerà a fare cannoli e cassate per i clienti dello chef palermitano. Il sogno di Karol Racz sfuma nel giro di 48 ore: una protesta in odore di razzismo costringe il cuoco ad abbandonare il progetto di assumere il romeno. L'annuncio della possibilità di un contratto per l'ex «faccia da pugile» è di mercoledì, ieri La Mantia ha dovuto fare retromarcia di fronte ai reclami: tre cameriere si sono «licenziate» prima ancora di firmare, una ditta di facchinaggio ha sostenuto che i colleghi italiani senza lavoro hanno più diritti di Racz a un contratto e un'agenzia turistica (non italiana, ma il cuoco non vuole dire di quale Paese) ha minacciato via fax di non mandare più clienti. Fra le cameriere una, in particolare, non ha digerito la presenza del romeno: «Ha telefonato — racconta lo chef — e ha spiegato che non le va di lavorare con Racz perché è stato accusato di stupro. Era brava, ma non la assumerò più: non mi piace questa mentalità». L'«incidente» ha turbato La Mantia. «Sono avvilito — ammette —, depresso. Racz è stato già giudicato, per la gente è e resterà "faccia da pugile". Non importa a nessuno che non abbia un letto. Il mostro non è lui, siamo noi». Lo chef, che ha vissuto sulla sua pelle una carcerazione ingiusta molti anni fa, racconta di aver ricevuto in due giorni «centinaia» di mail a sostegno della sua iniziativa e una decina di protesta, per lo più da parte di disoccupati: «Perché assume il romeno? Perché è andato in tv?». «Ho risposto a tutti — dice il cuoco — e ho spiegato che è stato un gesto istintivo. Qualcuno mi ha anche accusato di volermi fare pubblicità». Ora per Racz inizia un periodo difficile. Sembra che anche l'azienda agricola abruzzese abbia ritirato l'offerta di lavoro: resta solo la cooperativa romana che si occupa di manutenzione del verde. «Maledetta la sera in cui ho mandato a Porta a Porta il messaggio con cui dicevo di essere disponibile. Doveva avvenire tutto in sordina»: La Mantia, però, non è sicuro che il progetto si sia arenato per razzismo. «Forse ho scoperto un mondo. Ma per me questa parola è fantascienza: a Palermo — sottolinea — abbiamo sempre convissuto con altre nazionalità»". (Corriere della Sera)

giovedì 26 marzo 2009

Biotestamento. Non voglio macchine al mio funerale.

Quando sarà la mia ora lasciatemi morire in pace. Lo ho già detto ai miei figli. Non voglio macchine al mio funerale. Delle leggi di uno Stato stupido non ne voglio sapere. Lasciatemi morire in pace. Sono io e i miei familiari che decidiamo se e quanto vivere. Voglio essere seppelito al cimitero dell'isola di Gorgona, dove sono quasi tutti i miei cari. Laddove sferza il libeccio e il silenzio la fa da padrone. Se non dovesse esserci posto, non fa niente, fate del mio corpo cenere e disperdetelo nel mare circostante. Sarò contento lo stesso. Non voglio rimanere come una larva in un letto d'ospedale a fare da capro espiatorio a lanzichenecchi cristiani che lasciano morire centinaia di migliaia di persone per poi accanirsi contro chi non sa difendersi. Magari per una manciata di voti. Lasciatemi morire in pace. Non voglio macchine al mio funerale.

Risacca.


mercoledì 25 marzo 2009

Yao.


Colonia.

I nuovi fascisti.


Pubblichiamo il testo della dichiarazione di voto odierna di Furio Colombo alla Camera dei deputati.
"Signor Presidente, mi congratulo con il governo e in particolare con i ministri secessionisti della Lega Nord per il loro successo: fanno votare questa Camera per un federalismo fiscale che non è federalismo perché sconnette l'Italia e riconnette parti disuguali. Non ha niente di fiscale perché non comprende e non indica numeri, una cifra o un riferimento alla realtà e alla verità economica. Mi congratulo perché, mentre in ogni democrazia del mondo i vostri colleghi di governo e i nostri colleghi di Parlamento stanno lavorando giorno e notte per rendere meno aspra la crisi, meno fatale la recessione, meno duro il destino di chi sta perdendo il lavoro o sta perdendo l'impresa, voi ci avete tenuto qui inchiodati a preparare la vostra campagna elettorale che ha a che fare solo con le vostre ossessioni.Per cominciare avete invitato gli immigrati legali islamici ad "andare a pisciare nelle loro moschee". Poi abbiamo discusso le impronte digitali ai bambini Rom, le classi separate in regime di apartheid. Ci avete imposto un'emergenza che richiedeva forza armate nelle strade. Avete, da statisti, studiato e proposto il reato di clandestinità, i medici spioni e il permesso di soggiorno a punti.Quando questo magnamino giro di revisione della civiltà italiana è stato compiuto attraendo sul nostro Paese sarcasmo, diffidenza, satira, condanna, siete arrivati forti e determinati con la legge sul federalismo fiscale.E' affidata al vostro buon cuore, che ho appena illustrato, perché è una legge delega. Come in quel gioco televisivo, ci avete mostrato e fatto discutere solo delle scatole. Ma, a differenza del gioco televisivo, non le avete aperte.Personalmente sento il dovere morale di dire NO. Non riesco a liberarmi dal sapere ciò che la Lega ha fatto da Gentillini a Borghezio, da Calderoli a Bossi. E ciò che sta per fare frantumando questo Paese, sentimenti, leggi, paura, malanimo e ronde.No, io voglio dichiarare che la mia Italia è quella della Costituzione intatta da cui traggo un pensiero di speranza in questo momento".

Perché da noi non succede?

"Lunedì mattina la polizia è stata mandata a presidiare le sedi del gigante assicurativo Aig. Lunedì sera nove dei dieci manager più pagati dalla compagnia hanno deciso di restituire gli assegni con i bonus milionari che avevano appena ricevuto. A convincerli è bastato un fine settimana in cui si sono ripetuti picchetti di manifestanti davanti alle loro case. Manager che pensavano di essere al sicuro nelle loro ville con piscina del Connecticut, hanno gettato la spugna raccontando di aver ricevuto lettere minatorie, minacce di morte, proteste di vicini di casa inferociti e aver scoperto fotografi dei giornali popolari appostati ad ogni angolo del loro giardino.La notizia è stata data dal Procuratore di New York Andrew Cuomo, il nuovo sceriffo moralizzatore di Wall Street, che si è vantato di aver già recuperato ben 50 dei 165 milioni di dollari dello scandalo. Un terzo di quei bonus milionari distribuiti da una compagnia che sta ancora in piedi solo grazie a 170 miliardi di fondi pubblici. La verità è che Cuomo - che grazie a questa campagna si sta costruendo le basi per diventare governatore di New York - aveva promesso di rendere pubblica la lista con i nomi e le cifre di chi ha ricevuto i bonus, per dare in pasto alla rabbia populista delle facce e degli indirizzi. Poi però, per rendere il suo messaggio ancora più chiaro e minaccioso, aveva aggiunto: "Certo se una persona restituisce i soldi non penso sia nell'interesse pubblico renderne noto il nome. Chi rimanda indietro il bonus vedrà il suo nome scomparire della lista". La minaccia dello sceriffo è funzionata alla perfezione.A dire la verità il bus degli attivisti che nel fine settimana ha fatto il giro delle ville dei manager aveva solo quaranta manifestanti a bordo, mentre i giornalisti al seguito erano almeno il doppio, ma era il sintomo di qualcosa che su internet, nei blog, sui tabloid e nelle radio locali ha preso il sopravvento: la "Rabbia Populista". La definizione è stata coniata dal settimanale Newsweek che gli ha dedicato la sua ultima copertina e la paragona al movimento di fine '800 che prendeva di mira gli avidi finanzieri che non avevano a cuore gli interessi pubblici.La rabbia populista covava da mesi, è cresciuta giorno per giorno alimentata dall'emorragia di posti di lavoro, dal dimezzarsi dei risparmi investiti in borsa, dal crollo del valore delle case e dei fondi pensione, dal fallimento e dalla chiusura di fabbriche, negozi, attività artigianali, dall'incredulità per la fine di un mondo che sembrava essere destinato ad una crescita continua. I suoi toni vendicativi e disperati per tutto l'autunno hanno trovato sfogo nella campagna elettorale, quest'inverno sono stati tenuti a bada dalla speranza di una catarsi rappresentata dall'insediamento del nuovo presidente. Ma la situazione economica ha continuato a peggiorare, i pignoramenti delle case non si sono fermati, tanto che in molti cominciavano a ragionare su come l'America sia immune da moti di protesta e rivolte popolari.Il fatto è che la rabbia non trovava un simbolo su cui scaricare tutta la sua furia. Poi, nel giro di due settimane, ecco presentarsi le prede ideali: il più grande distruttore di ricchezza privata della storia americana e un gruppo di manager avidi e senza scrupoli, colpevoli di aver fatto crollare il sistema finanziario, ma premiati con i soldi dei contribuenti. Nemmeno uno sceneggiatore di Hollywood avrebbe potuto fare meglio, immaginare due capri espiatori più perfetti e adeguati alla situazione di Bernie Madoff e dei manager del colosso assicurativo AIG. Secondo un sondaggio di Usa Today di ieri mattina il 69% degli americani pretende che tutti i soldi vengano restituiti subito e la quasi totalità dei cittadini si augura che Madoff resti in cella fino all'ultimo dei suoi giorni.Per capire il clima è utile recuperare il memorandum mandato a tutti i dipendenti di Aig la settimana scorsa dall'ufficio della sicurezza interna: si raccomandava ad impiegati e manager di prendere ogni misura precauzionale per la loro incolumità personale. "Quando uscite dal palazzo - si legge - siate vigili e prudenti e se notate comportamenti sospetti o qualcosa di minaccioso chiamate immediatamente soccorso e seguite queste regole:
1) Non portate mai con voi cappellini, borse o ombrelli con il logo della compagnia;
2) Assicuratevi di non indossare il tesserino di riconoscimento fuori dall'ufficio;
3) La sera uscite in gruppo e parcheggiate sempre in zone ben illuminate;
4) Evitate conversazioni pubbliche su Aig e non parlate con i giornalisti;
5) Assicuratevi che ogni visitatore sia sempre accompagnato quando entra nel palazzo;
6) Date l'allarme se vedete una faccia sconosciuta nei corridoi o negli uffici;
7) Non lasciate mai nessuna porta aperta e non fate entrare nessuno insieme a voi".
E per concludere, nel fine settimana sono state tolte le insegne dalla facciata del quartier generale a Wall Street.La portata della rabbia è stata tale da spingere il Congresso a votare una legge punitiva, che promette di tassare al 90% i bonus, assolutamente impensabile per gli Stati Uniti, che contraddice anni di pensiero liberale e capitalista. Una legge che Obama è andato in televisione a bollare come anticostituzionale. Ma la rabbia è stata così visibile da spingere il presidente a fare conferenze stampa, comunicati e interviste tv e da mettere in discussione la poltrona del ministro del Tesoro Tim Geithner, salvata solo da un rialzo record di Wall Street lunedì pomeriggio. E' una rabbia su cui hanno soffiato tv, giornali e radio, è la rabbia dell'americano medio che si vede impoverito e sommerso dai debiti, è la rabbia di quelle pianure che i repubblicani sanno benissimo come incendiare.Obama, per correre ai ripari, dice che con la rabbia non si può governare ma nello stesso tempo avvisa i banchieri: "Vi consiglio di andare a fare un giro fuori da New York, in North Dakota, in Iowa o in Arkansas, dove la gente sarebbe eccitata di guadagnare 75mila dollari all'anno senza bonus, solo così capirete quanto è frustrata". I soldi tornano indietro, Madoff è in una cella di 5 metri quadrati, ma la rabbia populista non sembra ancora soddisfatta. Per fermarla Obama ha bisogno di una sola cosa: la ripresa". (Mario Calabresi-La Repubblica)
Da noi dovrebbe succedere davanti alle Poste, all'Alitalia, a Trenitalia, la Rai, ai giornali, alla Consob, a Confindustria, alla imprese stile Parmalat, a tutte le srl che fanno finti fallimenti per fregare i creditori, a tutte le banche, ai ministeri, alle sedi dei calciatori e chi più ce ne ha ce ne metta. Invece continuiamo a votare Berlusconi!

martedì 24 marzo 2009

La vendetta del razzismo.

"Mi dite cosa faranno quando i figli degli immigrati si accorgeranno in che modo abbiamo trattato i loro genitori? Cosa faranno quando scopriranno che noi italiani li abbiamo considerati fannulloni, delinquenti, portatori di malattie e puzzolenti? Cosa faranno quando sapranno che li abbiamo trattati come dei carcerati richiedendo loro un’impronta digitale? Mi dite cosa faranno quando scopriranno che tanti schifosi italiani si sono arricchiti grazie a loro, perché hanno fatto caporalato? E quando scopriranno che questi caporali da quattro soldi volevano avere rapporti sessuali con le sorelle dei loro padri? E tutto questo per dargli un lavoro al limite della schiavitù? Che cosa faranno quando scopriranno che i loro genitori sono considerati schiavi usa e getta grazie alla legge Bossi-Fini? Quando si accorgeranno che i loro genitori dovevano avere un lavoro prima di mettere piede in Italia, per avere il permesso di soggiorno? E che cosa faranno quando scopriranno che i loro genitori, quando erano clandestini, sono stati rinchiusi nei Cpt? E quando sapranno che quei posti sono una specie di lager? E che i loro padri sono stati maltrattati, ridicolizzati, denutriti? E che le loro madri sono state violentate? Si perche noi, giustamente ,ci scandalizziamo delle torture fatte ad Abu Ghraib, ma dovremmo vedere anche cosa facciamo a casa nostra qualche volta! Cosa faranno quando sapranno che i loro padri sono morti nei cantieri perché gli italiani non hanno badato alla sicurezza? Perché tanto sono stranieri e farebbero di tutto per campare la famiglia!Cosa faranno quando si sapranno che il governo italiano ha fatto un accordo con Gheddafi per poter deportare gli stranieri in Libia? Un paese che ha le carceri piu dure del mondo? Cosa faranno i figli degli immigrati quando si accorgeranno che in realtà, anche essendo nati in Italia, sono considerati sempre stranieri dalla nostra squallida società? E cosa faranno quando si accorgeranno che sono visti in malo modo se sono musulmani? Perché dovrete pur ammettere che la discriminazione religiosa qui in Italia c’è!Mi dite cosa faranno quando anche loro subiranno gli attacchi dai ragazzetti di estrema destra, che non capiscono che se la stanno prendendo con la gente sbagliata? E quando si accorgeranno che assisteranno ad una guerra tra poveri? Se ci sarà un cambiamento, un nuovo 78, saranno proprio loro i protagonisti. Ecco cosa faranno". (www.agoravox.it)

Berlusconi? Vanna Marchi al quadrato.

“Una Vanna Marchi al quadrato”. Lo ha detto Margherita Hack a Verona, sabato sera, durante il convegno “La questione settentrionale si fa nera” nel quale Oliviero Diliberto, segretario nazionale dei Comunisti italiani, ha rivelato ufficialmente la candidatura dell’astrofisica alle prossime elezioni europee nella lista congiunta PdCi-Prc. “Vi posso annunciare – ha reso noto Diliberto – che la compagna Margherita Hack guiderà la lista unita dei comunisti alle elezioni europee”. “Ha accettato la nostra proposta, ne siamo molto felici e molto grati”, ha dichiarato Diliberto. La Hack, 86 anni, è arrivata al meeting sorreggendosi con una stampella, acciaccata, come la compagine politica che la sostiene in questa avventura elettorale dopo la batosta alle scorse politiche, ma è apparsa battagliera, grintosa e schietta come sempre.“In Italia – ha affermato Margherita Hack – si sta assistendo ad un imbarbarimento della nostra democrazia. Questo imbarbarimento si deve combattere con l’unione di tutta la sinistra”. Riferendosi all’attuale premier, la scienziata si è dimostrata angosciata: “Ciò che mi preoccupa di più è il fatto che, dopo tutto quello che è successo, più del 50 per cento della popolazione ancora lo applaude, ancora si fa imbambolare da questa Vanna Marchi al quadrato”. Poi l’attacco frontale al berlusconismo, dalle leggi ad personam al caso dell’avvocato David Mills, condannato per corruzione in atti giudiziari. “Se non cominciamo a reagire a questa continua violazione della Costituzione e della giustizia, come potremo liberarci da questa dittatura strisciante, forse più pericolosa delle vere dittature?”, si è chiesta.
Hack ha criticato anche chi è “succube del Vaticano”, non risparmiando nemmeno la sinistra: “Non c’è stata una ribellione contro la continua ingerenza del Vaticano”, ha sostenuto. “In Italia – ha continuato l’astrofisica – è stato impossibile fare una legge sulle unioni di fatto, sia etero che omosessuali. La faremo mai? La cattolicissima Spagna ci è riuscita”. Ha inoltre giudicato “vergognoso” l’attacco al padre di Eluana Englaro e “aberrante” questa legge sul testamento biologico. “Sarebbe meglio non ci fosse nessuna legge perché se dovesse passare si toglierebbe al cittadino anche la libertà di morire in pace come vuole”. Per Margherita Hack si tratta di “cose gravissime” che vanno a toccare “le nostre libertà più intime”. “Tutta la popolazione – ha detto – si dovrebbe ribellare, dovrebbe sentire l’assurdo di queste imposizioni”.
Per uscire da questa situazione “l’unico modo è l’unione di tutta la sinistra”, ha affermato la scienziata. Secondo la Hack, sinistra e centrosinistra devono essere compatti e combattere “per la nostra democrazia contro il rischio di vederla sbriciolarsi così, senza che nessuno se ne accorga, sotto questo assopimento dovuto alla televisione”. Comunisti italiani e Rifondazione ora dovranno però convincere gli elettori che l’accordo di correre assieme non si tratta solo di un cartello elettorale. Affidandosi ad un’astrofisica, saranno in grado di uscire dal tunnel "a riveder le stelle"?". (http://www.agoravox.it/)

Sea.


Il caso Genchi. Sospeso per non aver fatto niente!

L'ingiustizia del caso 'Gioacchino Genchi' grida vendetta. Questo signore, che io non conosco ma ho apprezzato nelle sue esternazioni, è stato sospeso dal suo lavoro per motivi che non stanno né in cielo, né in terra. Da mesi, insieme, al magistrato Luigi De Magistris e altri, c'è un accanimento ingiusto da parte dei poteri forti, che condizionano negativamente il nostro Paese, contro questo inerme signore, consulente giudiziario e poliziotto in aspettativa. Si rimane esterefatti dalla prepotenza, le insinuazioni, la persecuzione per episodi che sfuggono alla nostra semplice comprensione. Oggi, in questo Stato, chiunque può perdere il lavoro, essere denigrato, calunniato e sbattuto in galera, in maniera assolutamente legale, solo per compiacere persone che rimangono nell'ombra. Istituzioni, classe politica e forze dell'ordine sembrano al servizio di qualche gruppo di potere che cerca di far man bassa dell'Italia e dei suoi cittadini.
Ecco come Genchi ha annunciato la sua sospensione sul suo blog, con una rassegnazione che suscita tenerezza ed indignazione allo stesso tempo: "Cari amici, poco fa mi è stata notificata la sospensione dal servizio dlla Polizia di Stato. Col provvedimento di sospensione dal servizio mi sono stati ritirati il tesserino, la pistola e le manette.Il provvedimento è fondato sulla mia replica al giornalista Gianluigi Nuzzi di Panorama, che mi aveva dato del bugiardo su facebook. Il mio amico Marco Bertelli ha ripreso la chat, pubblicandola sul mio blog “Legittima difesa”. Il senso dello Stato ed il rispetto che ho per le Istituzioni mi impongono di tacere e subire in silenzio. Sono vicino e solidale con chi in questo momento, probabilmente, è sottoposto a pressioni politiche assai maggiori delle violenze e delle mistificazioni che sto subendo io. Confermo da cittadino e da poliziotto la mia assoluta stima e subordinazione al Capo della Polizia – Prefetto Antonio Manganelli – che ha adottato il provvedimento di sospensione. Mi difenderò nelle sedi istituzionali senza mai perdere la mia fiducia nella Giustizia e nelle Istituzioni. Vi ringrazio di tutto e spero che le mie sofferenze servano al trionfo della Verità ed alla vittoria dei giusti. Un forte abbraccio per tutti quanti mi siete stati e mi sarete vicini!".
"Lo avevamo detto. Anzi lo avevamo predetto.Questa sospensione dalle funzioni di poliziotto del vicequestore Gioacchino Genchi - per aver risposto su Facebook a un cronista di Panorama che gli dava del bugiardo, e quindi per essersi difeso con la parola da un'accusa infamante - non sorprende, anche se rattrista.L'ultimo in ordine di tempo era stato Luigi de Magistris. Il giorno dopo l'annuncio della sua candidatura come indipendente nell'IdV, sono arrivate in contemporanea: la notizia dell'apertura di un'inchiesta a suo carico da parte della procura di Roma per concorso in abuso d'ufficio e interruzione di pubblico servizio, la "richiesta" del vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, di dimissioni dalla magistratura (cosa che Mancino non ha mai osato chiedere, né fatto notare a nessun altro, da Violante in poi), la notizia della richiesta di archiviazione, avanzata dalla stessa procura di Roma, della querela che Luigi de Magistris e Clementina Forleo presentarono contro Letizia Vacca, membro laico del Csm in quota Pdci, che definì i due magistrati "due figure negative, due cattivi magistrati", offendendoli e anticipando il giudizio prima ancora che se ne discutesse in Csm.Oggi, tocca a Gioacchino Genchi. Vogliono fargliela pagare a tutti i costi perché è una persona onesta e ha dimostrato di avere carattere, non lasciandosi intimidire.Lo avevamo detto. Anzi, predetto, che piano piano, uno alla volta, sarebbero venuti a cercarci, casa per casa, magari nottetempo, per portarci via "in nome della legge", o per farci sentire il loro fetido fiato sul collo.Stanno mettendo mano a ogni arma a disposizione. La stampa amica, i giudici disponibili, le forze dell'ordine condiscendenti, i killer politici a orologeria. Per ora, si fermano a questo. In attesa di capire come si metteranno le cose, e in quale direzione spirerà il vento. Per esempio, il vento delle elezioni prossime venture.Non meravigliamoci se faranno altro ancora, e se ne faranno di ancor più sporche.Non sottovalutiamo. Ma non intimidiamoci. Teniamo gli occhi aperti e diciamo fin da ora a tutti - dagli osservatori inviati dall'OSCE in Italia per controllare la regolarità delle elezioni, ai vertici dei corpi armati dello Stato, dalla magistratura fino al Parlamento e ai cittadini - che non osino metterci le mani addosso. Nemmeno metaforicamente. Perché sappiamo chi sono e si saprebbe subito chi è stato.Genchi, purtroppo, è un altro caso da "esperimento". Ancora una volta, si vuol vedere "l'effetto che fa" e misurare il polso all'intero Paese, colpendo con una ingiusta persecuzione una persona che ha fatto solo il proprio dovere, dal giorno in cui scoprì da dove partirono i segnali per uccidere Falcone e Borsellino con le rispettive scorte fino a oggi, quando con le inchieste nate in Calabria e allargatesi in tutta Italia ha "rivisto" quelle stesse facce del piduismo elevato a potenza che stavano insanguinando l'Italia e continuano a spolparla dal di dentro.Non sanno cos'altro inventarsi. Sono in grave difficoltà. Per questo adesso sono più deboli, e quindi più pericolosi.Ma non ce la faranno. Questo forse è il loro ultimo giro.Sospendere dal servizio un poliziotto onesto, o indagare un magistrato integerrimo, o fare qualsiasi altra cosa che assomigli a queste a qualcun altro, non gli servirà a nulla. La gente ha capito chi ha ragione e chi ha torto. Game over". (Carlo Vulpio)
"L'iniziativa di supporto e solidarità a Gioacchino Genchi va fatta subito, e per questo motivo i sit in davanti alle varie questure d'Italia avverranno sabato 28 marzo dalle 10 alle 15. Da quel momento potremo poi fermarci a ragionare su ulteriori azioni e appuntamenti unitari nelle varie città d'Italia. Noi saremo al sit in di Roma ad aprire il nostro presidio. Purtroppo il succedersi degli eventi è così rapido che non si può aspettare o rimandare, si rischia di trovarsi di fronte ad un'altra emergenza e il nostro obiettivo è evitare che accada altro, quando per altro intendiamo peggio. Oggi alcuni ragazzi hanno chiesto alle questure l'autorizzazione per un sit-in ed è stata immediatamente concessa. Potete recarvi entro oggi a comunicare, alle Questure che intendete presidiare, le nostre motivazioni e a chiedere di lasciarci manifestare pacificamente, senza gazebo o palchi, solo con il volantino proposto dagli amici bresciani stampato come cartellone o come striscione. Ben vengano le bandiere italiane, ma attenzione a non scrivere alcuna frase sopra di esse: sarebbe vilipendio. Piuttosto attaccateci sopra dei fogli, quello, almeno quello, è concesso: solo Bossi può usarla per altri scopi igienici. Capiamo le legittime perplessità di alcuni di voi sul pochissimo tempo disponibile ma siamo dell'opinione che agire tra una settimana non servirebbe a nulla. I "poteri forti" devono capire che in Italia, in tutta Italia, ci sono cittadini informati e coscienti che sono disposti a schierarsi fisicamente in difesa di una grande uomo e di un grande professionista come Gioacchino Genchi. Rinnoviamo quindi l'invito ad andare oggi stesso a chiedere l'autorizzazione. Nel caso in cui vi fosse negata, vale la precedente soluzione: gruppetti di 4-5 persone apparentemente indipendenti che con i loro cartelli daranno un segnale di fortissima solidarietà a Gioacchino Genchi". (Sonia Alfano, Benny Calasanzio, Salvatore Borsellino)