giovedì 24 settembre 2009

Impeachement del premier. Ricominciamo.

E' l'ora di lasciare. Il continuo rilancio di una situazione insostenibile non tiene più. C'è bisogno di nuovi rappresentanti politici che esprimano la parte migliore della società. Ora siamo con la parte peggiore del Paese.

venerdì 18 settembre 2009

Impeachement del premier. Ormai fa solo pena.

"Un vecchio, più vecchio dei suoi anni, un uomo che non riesce più a controllare le sue emozioni, che ha perso, o sta perdendo, il contatto con la realtà. Questa è l’impressione diffusa (non proprio un opinione quanto piuttosto una sensazione) di fronte al Berlusconi più recente. Quello dell’aggressione a giornali e giornalisti “incontrollabili”, a ogni opposizione (anche minima), ai meno subalterni dei suoi partners di maggioranza. Colpisce la voce stridula, l’arrancare in cerca di una costruzione sintattica condivisa, di un aggettivo appropriato, di un epiteto efficace. È stupefacente l’infantilismo burbanzoso delle lodi rivolte a se stesso: io sono il miglior Presidente del Consiglio da prima che nascesse il mondo, io sono il più bravo di tutti e il più ricco e il più fico e tutti quelli che dicono il contrario sono invidiosi e a tutte le ragazze piace moltissimo stare alle mie cene con me medesimo e figuriamoci se le pago che fanno la fila per baciarmi le babbucce. È quell’allentarsi dei freni inibitori, quel “me ne frego” che sottende ogni esibizione di protervia tipica dell’estrema vecchiaia e debolezza, quando, in fondo, non te ne importa più niente del giudizio degli altri, vedi soltanto te stesso e la fine che si avvicina. Allora gridi e ridi e rilanci, perché ti senti solo e hai paura. Non per tutti la vecchiaia è così brutta, ma per i narcisisti assoluti sì. Infatti, nonostante tutto, mi fa pena, Silvio Berlusconi: contestato dal cinquantenne Fini, così padrone di sé stesso, dignitoso, quasi solenne, minacciato dal neosessantenne Bossi, così ruspante da essere radicato nel territorio come un tubero vincente, rifiutato dal cinquantenne Casini, così pericoloso da quando la Cei ha rivelato che nel Regno dei Cieli non si possono portare le escort. Mi fa pena come tutte le “Star” quando imboccano il Viale del Tramonto". (Lidia Ravera)

martedì 15 settembre 2009

Videocrazy.

"Essere spettatori di "Videocracy" è un’esperienza profondamente sgradevole. Durante la proiezione del documentario è percepibile un diffuso imbarazzo, che ogni tanto è rotto da qualche risata liberatoria. Ma quelle risate, appena risuonano, più che liberare incatenano maggiormente alla propria vergogna. Poi c’è lo schifo. Uno schifo da tagliare col coltello. E quindi la nausea di nervi, veri e propri crampi. E quando ti alzi e vedi gli altri spettatori come te, e sai già fin d’ora che se ne andranno come se niente fosse, come si esce ogni sera da un cinema, un po’ stralunati e un po’ eccitati, ti piomba di nuovo addosso la vergogna, quasi fossimo tutti quanti testimoni passivi e docili di un crimine detestabile, concluso il quale ognuno se ne va solitario, omertoso e impotente a casa propria. Strano effetto, davvero.Ma come? Non avevo io letto Anders, Debord, Baudrillard, Bauman? Non avevo letto Barbacetto, Travaglio, Perniola, la Benedetti, Luperini? Non conoscevo già tutta questa vicenda a memoria? Non avrei dovuto essere immune dallo shock? Non ho forse letto analisi e ascoltato dibattiti sul genocidio culturale, sulla rivoluzione mediatica degli anni Ottanta? Sul grande smottamento antropologico, cominciato con "Drive in"?Non sono forse un tipico esemplare di quella classe media acculturata che, grazie ad una certa memoria storica e ad una formazione umanistica, si sente sufficientemente critica nei confronti del mondo che lo circonda? Addirittura, non sono forse un esemplare medio di quello che è una volta si sarebbe chiamato intellettuale di sinistra, uno cioè che crede nel valore della ricerca e del dibattito pubblico, nel valore della scienza e della letteratura, per rendere il mondo più giusto? E non sono, infine, un insegnante di liceo, che ha quasi ogni giorno un contatto diretto con le “nuove generazioni”? Io, dunque, non sapevo? Non ne sapevo abbastanza di com’è l’Italia, di come è diventata? Ma non lo sappiamo tutti, da tanto tempo? Ma allora perché quel senso desolante e irrimediabile di umiliazione, che solo un antidolorifico coi fiocchi, un oppiaceo in polvere, avrebbe potuto lenire?La prima risposta che trovo, non so quanto corretta, è questa: il mio sapere è stato a lungo scisso dal mio sentire. Il mio sistema morale deve aver trovato una strategia alquanto vigliacca di sopravvivenza, da un lato mandava avanti la mente libresca, la nutriva di dati e concetti, dall’altro ottundeva il sensorio, lo teneva al riparo dalla “malvagità del banale”, per utilizzare una formula letta da qualche parte e che rovescia assai ragionevolmente il titolo della Arendt. Non è forse stato il mio (il nostro) un ritiro sull’Aventino? Non già un ritiro parlamentare, una rinuncia politica, una protesta sterile e controproducente. No, un ritiro estetico, e non della classe politica, bensì di una certa società civile. Abbiamo fatto di tutto per non percepire, mentre intanto blandivamo la coscienza, nutrendola di letture e tavole rotonde sull’informazione.Da tempo immemorabile la sinistra grida “al lupo al lupo”, parlando di regime, di guasto della democrazia, di monopolio dell’informazione. La sinistra istituzionale, quella che fa riferimento al PD, dovrebbe su questa questione tacere per sempre. Forse per inconsapevole terrore di quella stessa ideologia, di cui è stata prigioniera nel suo remoto passato di PCI filosovietico, forse per consapevole contrabbando politico con Berlusconi, essa ha rinunciato ad ostacolare la frana in corso. Nessuna legge ha intralciato il massivo esperimento antropologico del Grande Intrattenitore. Sanare i conti, è stata la priorità dei governi di centro-sinistra, mentre le menti, quotidianamente, si guastavano. Ma poiché il partito si era finalmente de-ideologizzato, poco si curava di questo versante e di coloro che in esso moltiplicavano cantieri. Quanto a certa sinistra radicale, la sua vocazione al settarismo l’ha completamente immunizzata dal problema. Essendo i compagni autentici una ristretta e gelosa élite, e vivendo essi tra di loro, perfettamente adeguati alla psicologia dell’assedio, e dotati infine della celebre pazienza rivoluzionaria, possono attraversare deserti estetici e antropologici senza battere ciglio. La dura necessità della lotta li ha anestetizzati in partenza. Quando dunque si parla di attacco ai diritti civili e si addita con scandalo, da Repubblica al manifesto, la costituzione bistrattata, si spara in parte fuori bersaglio. Non che ognuno di questi allarmi sia fasullo, ma essi ignorano l’isolamento estetico da cui vengono lanciati. Chi pensa alla costituzione ha una mente libresca, chi continua ad amare Berlusconi ha una mente televisiva. Questa banale affermazione ha conseguenze, storicamente, tragiche. Nel senso più tecnico e appropriato del termine. Le condizioni di vita, nel paese, possono peggiorare per un numero sempre più ampio di persone, senza che ciò alzi di un grado la cosiddetta conflittualità sociale. Questa è l’implacabile legge di quello che io chiamerei “fascismo estetico”.Che cos’è il “fascismo estetico”? Le sequenze iniziali e finali di "Videocracy" lo illustrano perfettamente. Il “fascismo estetico” è quella lotta per la salvezza sociale che impegna ogni componente dei ceti popolari, nella più assoluta solitudine, sul terreno della propria immagine. Nell’epoca della fine della mobilità sociale e del lento disfacimento della classe media, il nemico di classe non esiste più, come non esistono più alleati nella lotta per il miglioramento delle condizioni di vita. Vi è un’unica fede, quella della trasformazione individuale. Non una religiosa rivoluzione interiore, ma una laica e materialista metamorfosi della propria immagine. Il giovane operaio bresciano che è intollerante nei confronti del proprio lavoro, che si rifiuta ostinatamente a un destino di tornitore a vita, ha di fronte a sé un’unica via di salvezza che, tragicamente, è in realtà la sua maledizione. Egli vive da anni nella costruzione di un personaggio televisivo attraverso una dura disciplina fisica, che lo rende straordinariamente atletico e prestante. Ha ininterrottamente lavorato sulla propria immagine, ossia sul proprio corpo, sulla gestualità, sugli abiti. Ma per lui, probabilmente, non verrà alcuna salvezza. Ruoterà per sempre, come in un girone infernale, intorno alla ribalta televisiva, senza mai poter abbandonare il suo posto di spettatore ed accedervi. Per lui, il salto sociale non avverrà mai, anzi si cumuleranno, su un terreno nuovo e diverso da quello della fabbrica, delle umiliazioni ulteriori. Passerà di casting in casting, calcherà gli studi televisivi, solo per mettersi tra le sagome indifferenziate di coloro che ridono e applaudono. Non diventerà, nonostante le ore quotidiane di palestra, la dieta, i sacrifici di tempo e denaro, famoso, e quindi neppure ricco, e quindi neppure attraente da un punto di vista sociale. Resterà un qualsiasi operaio non qualificato, di quelli guardati con sufficienza dalle compagnie femminili di paese.Per le giovani e giovanissime donne, il fascismo estetico presenta un quadro, se possibile, più cinico e disperato. In un mondo del lavoro ancora sessista, la via della realizzazione professionale passa per la prostituzione spontanea. Si parla sui giornali della propensione del premier erotomane per le minorenni. Si parla con orrore di violenza sulle donne, di abusi e aggressioni sessuali. Nell’ultima sequenza di "Videocracy", un gruppone di giovanissime aspiranti veline è ripreso mentre ancheggia a suon di musica, nel modo che ognuna immagina il più sensuale e provocante possibile. Quanti di questi corpi sono volontariamente sacrificati ai molteplici intermediari dell’industria dell’immagine? Sotto l’occhio complice della famiglia, del gruppo di amici, della comunità di paese, che preferisce ignorare il prezzo imposto dal raggiungimento di una tanto agognata apparizione televisiva? Anche qui non sfugge la condizione tragica che impone al mondo femminile di raggiungere la propria salvezza sociale – l’autonomia professionale – attraverso la dura prova del baratto sessuale, poiché l’unica merce di scambio che una donna può offrire, in quel mercato gestito dall’uomo, è il corpo. Se poi sia peggio, quanto a prostituzione spontanea, quella dei corpi, riservata alle donne, rispetto a quella delle menti – e quali menti! –, riservata agli uomini, non sarò certo io a dirlo, che non sono avvezzo né all’una né all’altra.Insomma, nonostante tutto ciò che che sapevo (o supponevo sapere), la visione di "Videocracy" mi ha prodotto uno shock cognitivo, che mi ha spinto ad elaborare il nuovo concetto di “fascismo estetico”. Innanzitutto ho pensato che ci è davvero mancato un Pasolini, come cronista di questo terrificante esperimento di massa. Non il Pasolini che viene sempre invocato, quello del genocidio culturale e della fine del mondo contadino. Il Pasolini degli anni Settanta, quello delle Lettere Luterane per intenderci, non scopre niente, da un punto di vista intellettuale. Dice cose che altri studiosi e scrittori, filosofi e sociologi, hanno già detto almeno una decina d’anni prima. La forza e la necessità dell’urlo di Pasolini viene dal fatto che, quello che altri hanno saputo prima, lui lo sente dopo. Altri, più lucidamente di lui, avevano analizzato la rivoluzione antropologica, che stava segnando la scomparsa della cultura popolare e contadina. Ma lui è stato in grado di patire fino in fondo l’esperienza di questa scomparsa, proprio in virtù di quel contatto con i ceti popolari di cui era continuamente alla ricerca. Lui l’ha vissuta su di un piano estetico più che politico e intellettuale. E proprio per questo ne ha misurato più coraggiosamente di altri la portata.Molti di noi, nel trentennio di ascesa della videocrazia, si sono difesi proprio dall’esperienza estetica che il nuovo regime imponeva. Mi prendo come esempio, in quanto so bene di non rappresentare un’eccezione, semmai una minoranza. In un momento imprecisato, all’inizio degli anni Novanta, ho smesso di guardare la televisione. Ho compiuto questo gesto semplice: ho portato in solaio il televisore, e da allora guardo la tele assai raramente, a casa di qualcun altro. È una colpa? Posso andarne fiero? Potevo fare altrimenti? (Una delle frasi che appaiono in coda a "Videocracy" afferma: Oggi l’80% della popolazione italiana ha la televisione come prima fonte di informazione.) Lo ammetto, ad un certo punto mi sono rifiutato di sottopormi compiutamente all’esperimento che Silvio Berlusconi stava realizzando sul pubblico televisivo italiano. Lo avrò fatto per privilegio di classe, per intolleranza personale, per istinto di sopravvivenza… non sono sicuro di conoscerne il vero motivo, ma sicuramente l’ho fatto. Il problema è che, in questo modo, ho finito per ignorare l’entità del disastro. Aggravante ulteriore è stata la latitanza dal suolo patrio per alcuni anni. È pur vero che, ogniqualvolta mi è capitato in questi anni di vedere un programma d’intrattenimento, faticavo a credere ai miei occhi e alle mie orecchie. Mi dicevo: “Ma come è possibile che le donne italiane accettino questo?” (Non parlo qui d’informazione. Delle mezze verità dei telegiornali, della censura spontanea o imposta, della manipolazione e della propaganda. Parlo proprio dei programmi di puro intrattenimento, con la presenza del pubblico: dai quiz ai reality show.)Ma le occasioni di spaesamento si moltiplicavano anche nella vita reale. L’avvento in città di automobili sempre più implausibili: le fuoristrada con la sbarra di metallo antibufalo, o quelle nere con i vetri oscurati da gangster. La moltiplicazione davanti a qualsiasi locale dalla luminaria un po’ esotica d’ingombranti e inutili buttafuori. Ricordo la scoperta di ambienti a tal punto ridicoli, da sembrare irreali. Un conoscente una sera m’introdusse, con un paio di amici, al “Just Cavalli Café”, un locale esclusivo – o che si pretende tale – di Milano, frequentato da gente della moda, del calcio e della televisione. C’erano due ragazze in tailleur all’entrata con le liste degli invitati: una miscela di doganieri, hostess, e maestrine terribili: serie come la morte. Nel ristorante dei Vip – o presunti tali – gli uomini sembravano controfigure più o meno riuscite di Fabrizio Corona, ma generalmente col cranio rasato; le donne, presentatrici più o meno plausibili alla ricerca disperata di contatti importanti. Sociologicamente nulla di speciale: nuovi arricchiti. Atmosfera: Mosca anni Duemila, magari senza pistole automatiche nella giacca. Ma l’arredamento, gli abiti, la gestualità erano ciò che più mi sorprendeva. Tutto si svolgeva come su una ribalta televisiva, ma mi sfuggiva la regola del gioco, dal momento che di spettatori non ce n’erano. Quando si dice “apparire”, non si è detto ancora nulla. Uno, infatti, pensa subito ad una politica dell’apparire, all’apparenza come mezzo. Ma nel “fascismo estetico” – e lo capisco tardi – mezzo e fine finiscono per confondersi. La disciplina dell’apparire, il quotidiano esercizio per diventare belli ed eleganti, non ammette basse strumentalizzazioni. Raggiungere lo splendore di un’immagine si trasforma nel fine in sé.E tutte le volte che a Milano camminavo per certe vie o passavo davanti a certi caffè o discoteche, mi chiedevo: “Ma chi sono questi?” Era snobismo? È stato snobismo smettere di avere la tele in casa? Questa è l’accusa più in voga oggi rivolta a chi rimane estraneo ai grandi compiti imposti dal “fascismo estetico”. Le mie ragioni, però, non sono state sociali, ma estetiche: era una vigliacca necessità di preservarmi da tanta bruttura e banalità, da tanto conformismo, che mi ha reso cieco alle grandi trasformazioni. Non ne ero ignaro, ma non percepivo il disegno unitario e la macchina potente che le governava. Ora vedo l’enorme sforzo di essere belli, il rovello perenne, la disciplina marziale dell’apparire, a cui una gran quantità di giovani italiani è sottoposta. È affascinante constatare fino a che punto, in certi caffè o per certe vie, ci siano solo ragazze accuratamente truccate che indossano abiti vistosi e attraenti, e ragazzi con muscolature e tatuaggi opportuni. Tutte e tutti abbronzati. L’unica nota inquietante in tanta bellezza è lo spettro aleggiante della clonazione. Tutti questi belli e queste belle, disinvolti e ridanciani, si assomigliano maledettamente. Hanno lo stesso taglio di capelli, gli stessi occhiali, le stesse magliette, gli stessi tatuaggi. Non solo, ma il loro sforzo perenne, la loro aspra disciplina, li rende anche tremendamente aggressivi. Questa è una caratteristica del “fascismo estetico”: vi è un sovrano disprezzo per colui che non si piega alla stessa rigida regolamentazione. Costui non è visto semplicemente come un “brutto”, uno “sfigato”, perché privo di opportuna abbronzatura e tatuaggio, ma è considerato in qualche modo una minaccia, anzi uno sberleffo vivente di fronte allo zelo dei belli-a-tutti-i-costi. Vi è un grande risentimento in questi “sacerdoti del corpo scolpito e dell’abito perfetto” per colui che non appartiene alla loro tribù. E mostra di vivere, di divertirsi, di amare, senza intrupparsi nel loro corteo e senza condividere i loro riti impietosi.Non m’interessa più di tanto, in realtà, proporre una fenomenologia dell’italiano dedito all’ossessiva e conformista cura della propria immagine. Ognuno ha di fronte a sé una quantità di esempi sufficientemente eloquenti. Il punto è un altro. E riguarda la mia (e di altri) grande capacità di astrazione e di oblio di fronte a tutto ciò. Accettare fino in fondo quanto è accaduto, guardarlo in faccia senza schermi intellettuali, è un compito arduo. Lo è soprattutto per chi vive ancora tra due mondi, tra quello della lettera e quello dell’immagine, tra la cultura del libro e l’impero della televisione". (Andrea Inglese)

Noi siamo.


lunedì 14 settembre 2009

Impeachement del premier. La paura corre sul filo.

"Finché erano temi lontani dai terreni di caccia degli interessi del Cavaliere come la bioetica, la fecondazione assistita, i problemi legati all’immigrazione, la difesa del Parlamento dalla decretomania e dai continui voti di fiducia, la polemica con la Lega Nord sull’Italia unita o più o meno unita era un conto. Quando invece si va a toccare il cuore del caso Berlusconi e Fini lo ha fatto l’altro giorno a Gubbio e cioè quando si dice: noi non dobbiamo dare neanche l’impressione lontanamente di non volere la verità sui mandanti delle stragi del 92 e del 93 e quando aggiungere Fini: non ho mai avuto dimestichezza con grembiulini e con compassi, con la massoneria, a cominciare dalla Pd2 che era addirittura la peggiore massoneria che abbia avuto il nostro paese, allora le cose si fanno serie, è la prima volta da quando Bossi si sganciò da Berlusconi e rimase sganciato per qualche anno, salvo poi tornare all’ovile, è la prima volta che un allenato di Berlusconi, pone il problema dei rapporti tra Berlusconi e la Pd2, anche se in maniera velata, ma comunque chi doveva capire ha capito e si smarca anche a stretto giro di posta sui temi della lotta alla mafia, appena il giorno prima Berlusconi aveva detto: è una follia che pezzi di procure si occupino ancora di indagini su fatti vecchi del 1992/1993/1994 cospirando contro di noi, Fini il giorno dopo ha detto: Santo Dio, che dovrebbero fare i magistrati quando si ritrovano in mano delle novità sulle stragi? Sono le ultime stragi che si sono verificate in Italia quelle del 1992 e 1993, che possono e che debbono fare i magistrati quando hanno novità su quelle stragi, se non riaprire le indagini o proseguire le indagini? Che devono fare, eliminare il testimone o il pentito che gli sta dando nuove informazioni? Cestinare le carte, mangiarsele? Probabilmente è quello che vorrebbe Berlusconi, non è escluso che non ci siano magistrati che fanno così o che hanno fatto così in passato e che poi hanno fatto carriera. Per fortuna ce ne sono ancora a Milano, Firenze, Palermo e Caltanissetta che sono invece interessati alla verità. Il giorno dopo la dichiarazione di Berlusconi sulla follia e la cospirazione interviene Fini e dice: se non abbiamo niente da nascondere, cari amici per quale motivo dovremmo dirci contrari alla riapertura delle indagini. All’indomani ancora, l’altro Presidente, quello che purtroppo adesso è il capo dello Stato reggente, perché Napolitano è in Corea, cioè il grande statista Renato Schifani, già socio nella sicula broker di due persone che oggi sono condannate e in galera per mafia, è intervenuto dicendo che lui non ama i teoremi giudiziari su mafia e politica, te credo, ne ha ben donde avendo avuto dei soci così, ci mancherebbe che amasse, non dico i teoremi, diciamo le indagini sulla mafia! Tra l’altro l’uso della parola “teorema” è una delle parole che andrebbero abolite a proposito della giustizia, perché il teorema è una dimostrazione matematica, qualcosa di scientifico, il teorema di Euclide, di Pitagora, qui si usa la parola “teorema” come se fosse una fumisteria, è esattamente il contrario del significato etimologico del termine, teorema è tac, tac, invece qui dicono “teorema, quindi non è vero niente, non si rendono conto che quando chiamano teorema un’ipotesi investigativa, la stanno nobilitando, sono ignoranti oltre a essere dei mascalzoni! In ogni caso questo è il clima, Fini ha detto ciò che neanche il centro-sinistra ha detto, perché lo sapete, in questi anni il centro-sinistra non ha mai detto nulla di nulla, di nulla, salvo rarissime e poco importanti eccezioni sulla necessità di scoprire i mandanti occulti delle stragi, la ragione è molto semplice, che le trattative che nascondono i mandanti occulti delle stragi, almeno dalla strage di Borsellino a quelle di Roma, Firenze e Milano, si svolgono a cavallo tra la prima e la seconda repubblica, la prima trattativa importante è quella avviata dal Ros dei Carabinieri tramite Vito Ciancimino della quale sta parlando il figlio di Ciancimino e della quale hanno già parlato Brusca e altri e lì Berlusconi non c’era in politica, in politica c’era il Governo Amato con il suo neoministro dell’interno Nicola Mancino e del quale hanno parlato Brusca, il figlio di Ciancimino, Paolo Borsellino nel suo diario, a proposito del famoso incontro etc.. La seconda trattativa è quella che invece avviene dopo l’arresto di Riina e le nuove stragi nel continente, che probabilmente furono fatte per richiamare qualcuno a trattare, dopo l’arresto di Riina e dello stesso Ciancimino, è quella, leggiamo nella sentenza Dell’Utri è una trattativa che ha fatto Dell’Utri con Provenzano e con Mangano che faceva la spola tra Palermo e Milano, mentre a Milano nasceva Forza Italia e a Palermo la mafia decideva di affossare il suo stesso partito che aveva costruito negli ultimi anni, Sicilia Libera per confluire nel partito di Dell'Utri e di Berlusconi, quindi capite che se della prima trattativa, come molti dicono, erano consapevoli e addirittura ispiratori o comunque erano d’accordo personaggi della prima repubblica che oggi stanno nel centro-sinistra, non c’è una grande voglia del centro-sinistra di fare giustizia, infatti avete visto che tutte le contraddizioni che sono emerse questa estate a proposito di Mancino, l’intervista di Ayala, le ritrattazioni, le correzioni di tiro e di rotta, sono passate completamente inosservate anche sulla stampa “libera” ammesso che ne esista una.
Quindi non c’è solo Berlusconi che deve preoccuparsi e che è preoccupato dalla riapertura di quei capitoli, ma c’è anche qualche bello spezzone del vecchio centro-sinistra confluito nella cosiddetta seconda repubblica. Fini per sua fortuna ne ha fatte ovviamente tante anche lui, sta arrivando molto in ritardo a sganciarsi da Berlusconi, questo mio non è un elogio di Fini naturalmente, ma Fini ha la fortuna di non avere vissuto da protagonista quelle vicende, quindi di poter dire guardando a destra e a sinistra, se non abbiamo niente da nascondere per quale motivo non dovremo incoraggiare i magistrati a andare fino in fondo? Speriamo che tenga botta, visto che l’abbiamo già visto sporgersi molto spesso e poi rinculare immediatamente dopo le solite bastonate che televisioni e house organ del Cavaliere gli tirano, speriamo che questa volta metta le palle sul tavolo, uso un’espressione volgare, ma credo che di questo ci sia bisogno per questo personaggio e le tenga lì e nei prossimi mesi cerchi di fare argine contro la bufera che investirà la Magistratura che sta indagando sulle stragi, sui mandanti occulti e sulle trattative perché è evidente che se quelle indagini andranno a buon fine, prima o poi noi scopriremo cosa è stato scoperto e quando scopriremo cosa è stato scoperto, ci sarà chi naturalmente avrà paura di quelle verità e quindi tenterà continuamente di delegittimare testimoni, collaboratori di giustizia e magistrati come già avvenne a metà degli anni 90, quando i primi mafiosi collaboratori cominciarono a parlare di queste cose, furono prima insultati oppure screditati da politici di destra e di sinistra che vanno da Napolitano a Del Turco, allora Presidente dell’antimafia ai soliti trombettieri berlusconiani che poi dovettero fare la legge sui pentiti per tappare loro la bocca. Questa volta si spera che ci sia qualcuno in ambito politico che si occupa di queste vicende e che si mette a difendere non i teoremi, ma semplicemente i magistrati che fanno il loro dovere punto e basta per quanto riguarda Fini. Invece la domanda vera è: perché Berlusconi si è scatenato? Berlusconi si è scatenato e il giorno dopo è arrivato il Procuratore di Palermo e ha dichiarato: non capisco per quale motivo il Cavaliere si sia scatenato così tanto a proposito di Palermo che indagherebbe sulle stragi, Palermo non ha nessuna competenza per indagare sulle stragi, quindi noi non abbiamo nessuna indagine sulle stragi, per quale motivo se la prende con noi? Il Procuratore Messineo ha risposto così, in effetti non si capisce di cosa stia parlando il Cavaliere, a meno che il Cavaliere non abbia delle informazioni che noi non abbiamo, perché? Perché in questo momento la geografia delle indagini sui mandanti occulti e sulle trattative è così disposta: competente sulla strage di Capaci e di Via D’Amelio è la Procura di Caltanissetta, perché? Perché sono morti due magistrati di Palermo e quindi quando accusato di commettere un reato, oppure vittima di un reato è un magistrato, se ne occupano i suoi colleghi ma del distretto confinante, non se ne possono occupare i colleghi del suo stesso ufficio, quindi Caltanissetta indaga su Capaci e Via D’Amelio, su Capaci non ci sono novità, i processi giunti a definitiva conclusione, reggono e quindi non ci sono novità. Invece per quanto riguarda Borsellino, le novità ci sono altroché e riguardano le dichiarazioni sia di Spatuzza, che è l’ex capo della Famiglia di Brancaccio e le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, queste novità porteranno probabilmente, anzi quasi sicuramente, alla revisione del processo Borsellino, laddove ci si occupava di quello che materialmente portò l’automobile, il cui blocco motore fu poi trovato sulla scena della strage, la macchina imbottita di esplosivo che uccise Borsellino e gli uomini della sua scorta. Per questa ricostruzione si era dato credito, non soltanto a Vincenzo Scarantino che si era autoaccusato di avere rubato e portato la macchina, ma anche a altri che convalidavano quella sua tesi e soprattutto si era dato credito a una serie di elementi che sembravano confermarla. Ora c’è un altro che si accusa che è Gaspare Spatuzza e quindi le sue dichiarazioni sono ritenute più credibili di quelle di Scarantino e quindi probabilmente ci sarà da rivedere alcune posizioni, che comunque non cambiano il quadro di insieme, semplicemente cambia “famiglia” la strage di Via D’Amelio, ma sempre mafia è, sempre Cosa Nostra, e sempre va scoperto chi suggerì a Toto Riina l’accelerazione di quella strage, perché Riina com’è noto non aveva in programma di uccidere Paolo Borsellino, aveva in programma tutt’altri obiettivi nell’estate del 1992, quando invece gli arrivò questo ordine esterno che poi sfociò nella strage di Via D’Amelio. Queste novità di Caltanissetta, per il momento non sono note per quanto riguarda invece i mandanti esterni della strage Borsellino e è probabile che non ci siano grosse novità sui mandanti esterni, le novità invece emergono più a Palermo, a questo proposito, per quale motivo? A Palermo si sta indagando non sulle stragi, Palermo non può indagare sulle stragi perché le vittime delle stragi erano i magistrati palermitani Falcone e Borsellino. Palermo sta indagando sulle trattative che si svolsero a Palermo, naturalmente e che sfecero da sfondo alle stragi, quindi è una specie di fondale davanti al quale si muovono la mafia e i suoi obiettivi e che possono aiutare a capire il contesto di quelle stragi, ma che non arriveranno mai a colpire i mandanti occulti delle stragi, perché di quelli, se verranno individuati, si dovranno occupare i magistrati di Caltanissetta per quanto riguarda Capaci e Via D’Amelio e quelli di Firenze per quanto riguarda le stragi del continente. Firenze è competente sulle stragi di Via dei Georgofili, delle Basiliche di San Giorgio Al Velabro e San Giovanni Laterano e di Via Palestro padiglione di arte moderna e contemporanea a Milano, sono stragi che si sono verificate in rapida successione, sapete che il 14 maggio 1993 tentarono di fare la pelle a Maurizio Costanzo in Via Fauro a Roma, il 27 maggio colpirono Via dei Georgofili, la Torre dei Pulci vicino agli Uffizi a Firenze e fecero 5 morti, se non erro, e una dozzina di feriti, il 27 luglio ci furono le due stragi in simultanea a Milano al padiglione di arte moderna di Via Palestro, altri 5 morti e a Roma qualche ferito soltanto alle due basiliche del Velabro e del Laterano. Questa successione di eventi è stata ritenuta ovviamente parte di un’unica strategia e se ne è occupata sempre la Procura di Firenze.
Recentemente si è sentito parlare di un ritorno di fiamma di Ilda Boccassini che è Procuratore aggiunto a Milano e che prossimamente potrebbe diventare il capo della direzione distrettuale antimafia della Procura di Milano. Di cosa si sta occupando la Boccassini? Si sta occupando un po’ come sta facendo quella di Palermo, nei confronti della strage di Via D’Amelio, allo stesso modo quello che sta facendo la Boccassini nei confronti delle stragi del 1993, si sta occupando del contesto politico – imprenditoriale che in quel periodo stava di sfondo alle stragi e che ha prodotto le stragi, stragi che lo sanno anche i bambini, non possono essere state decise in autonomia da Totò Riina prima e da Leoluca Bagarella dopo, con tutta la fiducia che possono avere del loro livello culturale, l’idea che Totò ‘u curto e i suoi uomini e parenti fossero molto ferrati sulla dislocazione del padiglione di arte moderna e contemporanea di Via Palestro a Milano o sulla Torre dei Pulci a Firenze o sul Velabro a Roma, neanche sapevano che esistevano questi monumenti, è ovvio, fossero stati la Torre di Pisa o il Colosseo, uno potrebbe anche attribuirglieli, ma è evidente che questi sono degli obiettivi talmente mirati e talmente particolari che qualche suggeritore c’è per forza e del resto nelle sentenze lo si legge.La Boccassini quindi si sta occupando anche lei, avendo sentito Spatuzza, come ha fatto la Procura di Firenze perché? Perché Spatuzza si occupa anche di un’altra strage, oltre a essersi autoaccusato della strage Borsellino dice, essendo lui stato il capo del mandamento di Brancaccio, mandamento di Brancaccio che era capitanato dalla famiglia Graviano, sono quelli che hanno fatto fuori Don Puglisi e sono quelli che si sono occupati materialmente delle stragi del 93. Che cosa dice Spatuzza dei Graviano? Parla dei rapporti che avevano i Graviano a Milano con personaggi che già risulta - basta avere letto la sentenza Dell’Utri per saperlo - che hanno avuto rapporti con Dell’Utri: l’abbiamo pubblicate un po’ di carte del processo Dell’Utri, c’è un libro che si chiama “ L’Amico degli Amici”, è un libro arancione, sono tutti gli atti, insomma è abbastanza impegnativo, però pubblicato dalla Bur potrebbe essere utile là, soprattutto, dove si raccontano i rapporti tra Dell’Utri e alcuni uomini legati al clan dei Graviano, che gravitavano, in quel 1993, a Milano. Ce ne era uno in particolare che era arrivato a Milano per sistemare suo figlio nei pulcini del Milan e Dell’Utri pare abbia fatto da tramite. Quindi stiamo parlando, anche qui, di rapporti che non sappiamo se costituiscono reato o meno, ma che insomma c’erano. Secondo Attilio Bolzoni, che l’ha scritto su Repubblica ieri, Spatuzza ha detto ai magistrati di Firenze “ Giuseppe Graviano mi disse che, per quell’attentato, avevamo la copertura politica del nostro compaesano”: il compaesano pare di capire, anche se bisogna stare attenti - e infatti qua su Repubblica stanno molto attenti - sembrerebbe essere il siciliano più illustre di Forza Italia, ossia Marcello Dell’Utri, dice sempre Spatuzza. Spatuzza lo dice a Firenze, a Milano la Boccassini sta lavorando su tutti i rapporti imprenditoriali, soprattutto, che la famiglia Graviano aveva avviato a Milano e sui contatti che c’erano tra quegli ambienti e gli ambienti dellutriani, per spiegare che cosa stava dietro, cioè per spiegare se è così folle l’idea che i Graviano e Dell’Utri abbiano qualcosa a che fare, o se invece emergono dei punti di contatto e, come vi ho detto, già emergono nel processo Dell’Utri. Sapete quale è la mia impressione? La mia impressione.. ah, naturalmente qui l’attentato di cui si parla, di cui parla Spatuzza - “ Giuseppe Graviano mi disse che, per quell’attentato, avevamo la copertura politica del nostro compaesano” - Spatuzza sta parlando dell’ultimo attentato, ovvero di una Lancia Thema imbottita con 120 chili di esplosivo che, tra il novembre e il dicembre del 93, doveva esplodere allo Stadio Olimpico e fare una strage di Carabinieri del servizio d’ordine; su quella strage ci sono sempre stati problemi di datazione, anche perché, per fortuna, non si è mai verificata, nel senso che la prima volta si guastò un innesco elettrico e conseguentemente non esplose la bomba e la volta seguente, quando tutto era pronto, invece ci fu un contrordine e di lì la mafia smise di sparare, perché probabilmente aveva trovato colui il quale era in grado di mantenere i patti, dopo averli fatti e, secondo la sentenza Dell’Utri, quel “colui” era Marcello Dell’Utri. E’ proprio questo che volevo dire: si parla molto, sui giornali, di “chissà cosa stanno scoprendo, chissà cosa ha trovato la Boccassini, chissà cosa hanno a Firenze in mano, chissà a Palermo come cospirano, chissà a Caltanissetta” etc. etc.. L’impressione è che, per quanti passi in avanti stiano facendo queste indagini sulle stragi, per quello che interessa noi cittadini, giornalisti, lettori di giornali, le cose più pesanti sono già scritte: sono già scritte nella sentenza di primo grado del Tribunale di Palermo che, nel dicembre del 2004, ha condannato Marcello Dell’Utri a nove anni di reclusione per concorso esterno associazione mafiosa.
Dubito che i magistrati abbiano potuto scoprire qualcosa di più pesante di quello che c’è scritto in quella sentenza: probabilmente se qualcuno, in questi giorni, scrivesse su un giornale - cito a caso - “ ho le prove inoppugnabili che Dell’Utri per trenta anni, prima come ideatore e creatore del movimento politico di Publitalia e poi del movimento politico Forza Italia, è stato l’anello di congiunzione tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi. Abbiamo le prove della posizione assunta da Dell’Utri nei confronti di noti esponenti di Cosa Nostra, dei suoi contatti diretti e personali con alcuni di essi (Stefano Bontate, Mimmo Teresi, Vittorio Mangano, Tanino Cinà), abbiamo le prove del ruolo ricoperto da Dell’Utri nell’attività di costante mediazione tra il sodalizio criminoso, cioè la mafia, il più pericoloso e sanguinario nel panorama delle organizzazioni criminali operanti al mondo e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi, con particolare riguardo alla Fininvest. Abbiamo le prove sulle funzioni di garanzia svolte da Dell’Utri nei confronti di Silvio Berlusconi, il quale temeva che i suoi familiari fossero oggetto di sequestri di persona. Abbiamo le prove che si adoperò affinché Berlusconi assumesse un mafioso nella sua villa, come responsabile o fattore, o soprastante, come si dice in siciliano e non come mero stalliere, pur conoscendo lo spessore delinquenziale dello stesso Mangano fin dai tempi di Palermo: anzi, proprio per tale sua qualità delinquenziale Dell’Utri fece assumere Mangano da Silvio Berlusconi”.E ancora, se ci fosse qualcuno che dice “abbiamo le prove che, quando fece assumere Mangano, perché era un delinquente, da Berlusconi, ottenne l’avallo compiaciuto di Stefano Bontate e Girolamo Teresi che, all’epoca, erano i due uomini d’onore più importanti di Cosa Nostra a Palermo. E poi abbiamo le prove sugli ulteriori rapporti di Dell’Utri con Cosa Nostra, favoriti, in alcuni casi, dalla fattiva opera di mediazione del suo amico Tanino Cinà, protrattisi per un trentennio”. Pensate se ci fosse qualcuno che dice che, per 30 anni, Dell’Utri ha avuto rapporti con Cosa Nostra! Per trenta anni, non per qualche giorno o per qualche mese! “Nel corso di quel trentennio abbiamo le prove che Dell’Utri ha continuato la sua amichevole relazione con il mafioso Cinà e con il mafioso Mangano che, nel frattempo, era diventato il capo del mandamento di Porta Nuova, il mandamento mafioso di Porta Nuova a Palermo e palesava, a Mangano, una disponibilità non solo fittizia: lo incontrava ripetutamente nel corso del tempo, consentendo che Cosa Nostra percepisse lauti guadagni a titolo estorsivo dall’azienda milanese facente capo a Berlusconi”, ossia Dell’Utri consentiva che la mafia prendesse dei soldi dalla Fininvest, intervenendo nei momenti di crisi tra l’organizzazione mafiosa e il gruppo Fininvest, per esempio quando la mafia mette le bombe alla Standa Berlusconi interviene.. scusate, Dell’Utri interviene per fare cessare gli attentati, però l’azienda di Berlusconi paga il pizzo alla mafia, quindi Dell’Utri non si sa mai bene da che parte sta: sta da tutte e due le parti, dell’estorto e dell’estortore, promettendo appoggi in campo politico e giudiziario alla mafia. Abbiamo le prove che queste condotte sono state dimostrate da fatti, episodi, testimonianze, intercettazioni telefoniche e ambientali, conversazioni tra lo stesso Dell’Utri e Silvio Berlusconi, Mangano, Cinà, dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Insomma, abbiamo la prova che la sua attività in quei trenta anni ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo a mantenere, consolidare e rafforzare Cosa Nostra, alla quale è stata, tra l’altro, offerta l’opportunità, sempre con la mediazione di Dell’Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell’economia e della finanza, per esempio la Fininvest, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che, lato sensu, politici. Oltre a essere un reato l’associazione mafiosa in concorso esterno, queste cose sono ancora più gravi in quanto Dell’Utri ha favoreggiato un’associazione armata, un’associazione e un’organizzazione criminale armata e poi un’organizzazione che opera anche nel campo economico, utilizzando e investendo i profitti dei delitti che, tipicamente, pone in essere in esecuzione del suo programma criminoso. E quindi tutto ciò è gravissimo, perché? Perché abbiamo la prova che Dell’Utri ha voluto mantenere vivo per circa 30 anni il suo rapporto con la mafia, anche dopo le stragi del 92 e 93, quando persino i tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla vendetta di Cosa Nostra, quando persino Andreotti tentò di staccarsi, in extremis, dalla mafia: Dell’Utri no, coerente nei secoli e fedele e ciò nonostante il mutare della coscienza sociale, di fronte al fenomeno mafioso nel suo complesso. Dell’Utri continuò a avere rapporti con la mafia anche dopo le stragi, pur avendo a motivo delle sue conclusioni personali, sociali, culturali e economiche tutta la possibilità per distaccarsene e per rifiutare ogni richiesta da parte di soggetti intranei o vicini a Cosa Nostra. Si ricordi, sotto questo profilo, l’indubbio vantaggio di essersi allontanato dalla Sicilia fin dagli anni giovanili e di aver impiantato altrove la sua attività professionale. E ancora tutto ciò è gravissimo, in quanto il suo consapevole contributo a Cosa Nostra, reiteratamente prestato con diverse modalità a seconda delle esigenze del momento, in relazione ai singoli episodi esaminati nel racconto della sua vita, ha creato innumerevoli vantaggi alla mafia: prima, quando la mafia aveva interesse a rapportarsi con una grossa azienda e un grosso gruppo finanziario come la Fininvest e poi quando la mafia aveva necessità di rapportarsi a un nuovo partito, visto che quelli vecchi erano scomparsi Dell’Utri mise addirittura a disposizione un partito e l’idea, nel 93, la ebbe lui. E è grave il tentativo di inquinare le prove nel suo processo e, anche questo, è dimostrato e è grave che, contando sull’amicizia di Mangano, la mafia gli abbia chiesto favori legati alla sua attività imprenditoriale. E infine, è dimostrata la sua disponibilità verso l’organizzazione mafiosa nel campo della politica, in un periodo storico, dopo il 92, in cui Cosa Nostra aveva dimostrato la sua efferatezza criminali attraverso le stragi gravissime, espressioni di un disegno eversivo contro lo Stato e inoltre quando la sua figura di uomo pubblico e le responsabilità connesse ai suoi incarichi istituzionali - Dell’Utri era entrato in Senato, è Senatore, diventa Europarlamentare, membro del Consiglio d’Europa - avrebbero dovuto imporgli una maggiore accortezza e rigore morale, inducendolo a evitare ogni contaminazione con quell’ambiente mafioso le cui dinamiche lui conosceva molto bene, per tutta la sua storia pregressa.
Questo è.. immaginate se oggi qualcuno dicesse queste cose in un’intervista a un giornale: tutti direbbero “ eh, clamorose novità sul caso Dell’Utri /Berlusconi”, in realtà queste cose le hanno scritte i giudici del Tribunale di Palermo nella sentenza che motiva la condanna di Dell’Utri a nove anni, solo che voi non le avete mai lette da nessuna parte, salvo rare eccezioni e quindi oggi ci si immagina chissà cosa dalle novità in materia di mafia e politica, stragi e trattative e non si sa quello che, almeno il Tribunale di Palermo, dopo nove anni di processo, salvo che siano tutti impazziti, ha ritenuto accertato. Adesso, naturalmente, bisognerà vedere come andrà il processo d’appello, ma questo è quello che hanno scritto i giudici di primo grado e, quando leggete che Berlusconi è stato completamente scagionato dalle accuse di mafia, perché non stavano in piedi, non ci crediate perché non è vero niente! Non credeteci - ho detto un congiuntivo che non c’entrava niente, mi scuso - non credeteci, sappiate - qui il congiuntivo ci sta bene - che le sei indagini aperte dalla Procura di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio di denaro sporco sono state archiviate non perché non ci fosse niente, anzi: si è stabilito semplicemente, con l’archiviazione, che quelle indagini dovevano essere chiuse perché erano scaduti i termini massimi per le indagini stesse e, in quei termini, non si erano trovati elementi sufficienti per portare Berlusconi a giudizio, non che non era emerso niente, erano emerse un sacco di cose terribili dal punto di vista morale e politico, non bastavano per arrivare a presumere una condanna in sede penale e conseguentemente si è deciso di archiviarle. Archiviare vuole dire mettiamo in freezer in attesa di novità: se arrivano novità scongeliamo, questa è l’archiviazione. Ecco perché Berlusconi ha paura: ha paura che, se arriva qualche novità, possano tirare fuori dal freezer qualcosa che è stato solo archiviato, ossia è lì congelato. Per quanto riguarda invece le indagini sui mandanti esterni, non è vero niente che Berlusconi e Dell’Utri furono archiviati a Firenze a Caltanissetta perché non era emerso nulla a loro carico: anzi, a Firenze, a proposito delle stragi del 93, c’è scritto - lo scrive il G.I.P. che archivia la posizione di Berlusconi e Dell’Utri - che “ i due hanno intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali a cui è riferibile il programma stragista realizzato”, ovvero che avevano dei rapporti con quelli che avevano fatto le stragi. “ Esiste un’obiettiva convergenza degli interessi politici di Cosa Nostra, rispetto a alcune qualificate linee programmatiche della nuova formazione”, cioè di Forza Italia, “ articolo 41 bis, legge sui collaboratori di giustizia, recupero del garantismo processuale, asseritamente trascurato nelle leggi dei primi anni 90” e poi, sempre il G.I.P., aggiunge che “ l’ipotesi iniziale, quella di un coinvolgimento di Berlusconi e Dell’Utri nelle stragi del 93 a Milano, Firenze e Roma, ha mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità”, ma è scaduto il termine massimo per indagare e quindi archiviazione. Lo stesso ha scritto il G.I.P. di Caltanissetta, Giovanbattista Tona, quando ha archiviato la posizione di Dell’Utri e Berlusconi, che erano stati indagati come possibili mandanti esterni delle stragi di Capaci e Via d’Amelio e Tona ha detto “ gli atti del fascicolo hanno ampiamente dimostrato la sussistenza di varie possibilità di contatto tra uomini appartenenti a Cosa Nostra e esponenti e gruppi societari controllati in vario modo dagli odierni indagati”, ossia dai due indagati Dell’Utri e Berlusconi. “Cioè è di per sé legittima l’ipotesi che, in considerazione del prestigio di Berlusconi e Dell’Utri, essi possano essere stati individuati dagli uomini dell’organizzazione - cioè della mafia - quali eventuali nuovi interlocutori”: anche qui non sono emersi elementi sufficienti per andare a giudizio e quindi congeliamo, archiviamo. Questo c’è scritto, il che non significa che sono stati loro, ma non significa neanche che, se qualcuno intende riprendere in mano quelle vicende e, al momento, non risulta che nessuno abbia chiesto di riaprire le indagini archiviate a carico di Berlusconi e Dell’Utri per strage, commetta una follia: semplicemente si inserirebbe su un supporto che è già stato ampiamente elaborato in quegli anni e, se oggi emergessero delle novità, come dice giustamente Gianfranco Fini, esse andrebbero coltivate, ma ho l’impressione che Berlusconi sia più preoccupato di quello che i fatti finora raccolti lo autorizzino a preoccuparsi; è chiaro che lui è preoccupato, perché probabilmente ne sa più di noi!". (Marco Travaglio)

sabato 12 settembre 2009

Giochi.


Io sono.


Impeachement del premier. Mike, ovvero la tv al centro del mondo...

"Premetto che ho sempre avuto una grande simpatia per Mike Buongiorno, tanto più negli ultimi anni, quando la sua vecchiaia ha conosciuto un’inattesa e incantevole vena di autoironia. Ciò detto, vorrei provare a spiegare i motivi per cui i Funerali di Stato decretati in suo onore vanno considerati una pura e semplice ignominia.Se il 29 maggio 1453 segnò la caduta dell’impero romano d’Oriente, il 12 settembre 2009 rappresenta la capitolazione intellettuale e morale delle istituzioni italiane. Per dirla con un’espressione coniata dai francesi, siamo di fronte a un’autentica Cernobyl culturale.Il perché è presto detto: in un paese che attinge ministri fra modelle di calendari, eurodeputati fra conduttrici tv, conferenzieri accademici fra cantanti di night (e il ricordo indelebile corre a Franco Califano, acclamato ospite di una prestigiosa università romana), c’è da aspettarsi di tutto. Ma attenzione: nessuno mette in dubbio, le capacità professionale di questi onesti lavoratori dell’intrattenimento. Il punto è un altro: come mai le autorità hanno deciso di anteporli a scienziati, artisti, uomini di dottrina?Fino ad oggi, i senatori a vita si chiamavano Eugenio Montale o Rita Levi Montalcini. Adesso, appunto, si è pensato a un presentatore televisivo come Mike Buongiorno. Ecco in che modo si è arrivati al “sabato nero” del 12 settembre. Accuratamente dissodato da una sinistra ansiosa di meticciato, riscoperta dei generi, livellamento fra cultura alta e bassa, il terreno è stato finalmente consegnato al suo legittimo proprietario: il padrone dei media.Non è certo su di lui, però, coerente ideatore di un progetto tanto perverso quanto brillantemente perseguito, che ricadrà la vergogna dell’accaduto. L’onta di aver disertato le esequie di fisici e pittori, astronomi e scrittori, giuristi e matematici, economisti e storici, per accalcarsi intorno al feretro di Mike Buongiorno, ricadrà sulle nostre autorità.Oggi è un giorno di lutto, sì, ma soprattutto per la nostra decenza di cittadini. Preferire ai testimoni del lavoro intellettuale, l’eroe delle trasmissioni commerciali, implica infatti una precisa opzione pedagogica: significa affermare che i valori più profondi della nostra società sono affidati alle soubrettes, piuttosto che agli studiosi. Lo “studio”, anzi, sarà da adesso in poi solo e soltanto quello televisivo, con buona pace di chi si attarda ancora intorno alla ricerca del buono, del vero, del bello". (Valerio Magrelli)

giovedì 10 settembre 2009

Impeachement del premier. Lo squallore.

"Il mio nome è Paolo Farinella, prete della Chiesa cattolica residente nella diocesi di Genova. Come cittadino della Repubblica Italiana, riconosco la legittimità formale del suo governo, pur pensando che lei abbia manipolato l'adesione della maggioranza dei pensionati e delle casalinghe che si formano un'idea di voto solo attraverso le tv, di cui lei ha fatto un uso spregiudicato e illegittimo. Lei in Italia possiede tre tv e comanda quelle pubbliche nelle quali ha piazzato uomini della sua azienda o a lei devoti e proni. Nel mese di agosto 2009 ha inaugurato una nuova tv africana, Nessma, a cui ha fatto pubblicità sfruttando illecitamente la sua posizione di presidente del consiglio e dove ha detto il contrario di quello che opera in politica e con le leggi varate dal suo governo in materi di immigrazione. Se lei è pronto a smentire, come è suo solito, ecco, si guardi il seguente filmato e giudichi da lei perché potrebbe trattarsi di Veronica Lario travestita da lei:
Faccia vedere il video ai suoi amici leghisti e nel frattempo ascolti cosa dice il sindaco di Treviso, lo sceriffo Giancarlo Gentilini del partito di Bossi, ad un raduno del suo partito xenofobo dove ha esposto «Il vangelo secondo Gentilini» con chiarezza diabolica: «Voglio la rivoluzione contro gli extracomunitari ... Voglio la rivoluzione contro i bambini degli immigrati ... Ho distrutto due campi di nomadi e ne vado orgoglioso. Voglio la rivoluzione contro coloro che vogliono le moschee: i musulmani se vogliono pregare devono andare nel deserto, ecc. ecc. Questo è il Vangelo secondo Giancarlo Gentilini (sindaco di Treviso): "Tutto a noi e se avanza qualcosa agli altri, ma non avanzerà niente"». Questo il link con la sua voce in diretta; si prepari ad ascoltare il demonio in persona:
Legittimità elettorale e dignità etica
Riconoscere la legittimità del suo governo, con riserva etico-giuridica, non significa riconoscere anche la sua legittimità morale a governare il Paese perché lei non ha alcuna cultura dello Stato e delle sue Istituzioni, ma solo quella di difendere se stesso dalla Giustizia e i suoi interessi patrimoniali che sotto i suoi governi prosperano alacremente. Il conflitto di interessi pesa come un macigno sulla Nazione e la sua economia, ma lei è bravo ad imbrogliare le carte, facendolo derubricare nella coscienza della maggioranza che ne paga le conseguenze economiche e democratiche. Cornuti e mazziati dicono a Napoli.
Quando la sua maggioranza si sveglierà dall'oppio che lei ha diffuso a piene mani sarà troppo tardi e intanto il Paese paga il conto dei suoi avvocati, nominati da lei senatori, cioè stipendiati con soldi pubblici. Allo stesso modo stiamo pagando i condoni fiscali che lei si è fatto su misura sua e della sua azienda, sottraendo denaro al popolo italiano. In morale questo viene definito come doppio furto.
Da quando lei «è sceso in campo», l'Italia ha iniziato un degrado inesorabile e costante che perdura ancora oggi, codificato nel termine «berlusconismo» che è la sintesi delle maledizioni che hanno colpito l'Italia sia sul piano economico (mai l'economia è stata così disastrata come sotto i suoi governi), su quello sociale (mai si sono avuti tanti poveri, disoccupati e precari come sotto i suoi governi), e su quello civile (mai come sotto i suoi governi è sorta la categoria del «nemico» da odiare e da abbattere). Lei, infatti, usa la menzogna come verità e la calunnia come metodo, presentandosi come modello di furbizia e di utilizzatore finale di leggi immorali e antidemocratiche come tutte quelle «ad personam».
Nei confronti dell'ultima illegalità, che grida giustizia al cospetto di Dio, il decreto 733-B/2009, che segna una pietra miliare nel cammino di inciviltà e di negazione di quelle radici cristiane di cui la sua maggioranza ama fare i gargarismi, sappia che siamo cento, mille, diecimila, milioni che faremo obiezione di coscienza all'ignobile e illegale decreto, pomposamente detto «decreto sicurezza»: diventeremo tutti clandestini e sostenitori dei cittadini di altri Paesi, specialmente africani, in quanto «persone», anche se clandestini, a costo della nostra vita. Dobbiamo ubbidire alla nostra coscienza piuttosto che alle sue leggi razziali e disumane. La legge che definisce l'immigrazione come illegalità è un insulto a tutte le Carte internazioni e nazionali sui «diritti», un vulnus alla dottrina sociale della Chiesa e colloca l'Italia tra le nazioni responsabili delle stragi degli innocenti, perseguitati e titolari del diritto di asilo.
Essere «alto» ed essere »grande»
Lei non è e non sarà mai uno «statista» se sente il bisogno di fare vedere alle sue donnine i filmati che lo ritraggono tra i «grandi». Per essere «grande», non basta rialzare le suole delle scarpe, ma occorre avere una visione oltre se stesso, una visione «politica» che a lei è estranea del tutto, incapace come è di vedere oltre i suoi interessi. Per potere emergere dallo squallore in cui lei è maestro, ha profuso a piene mani il virus dell'antipolitica, il qualunquismo populista, trasformando la «polis» da luogo di convergenza di ideali e di interessi a mercato di convenienza e di sopraffazione. Lei, da esperto di vecchio pelo, ha indotto i cittadini ad evadere il fisco che in uno Stato democratico è prevalentemente un dovere civile di solidarietà e per un cristiano un obbligo di coscienza perché strumento di condivisione per servizi essenziali alla corretta e ordinata convivenza civile e sociale. Durante il suo governo le tasse sono aumentate perché incapace di porre un freno alla spesa pubblica che anzi galoppa come non si è mai visto. Non faccia confusione tra «essere alto» e «essere grande», come insegna Napoleone che lei ben volentieri scimmiotta, senza riuscire ad eguagliare l'ombra del dittatore.
Lei non può negare di essere stato piduista (tessera n. 1816) e forse di esserlo ancora, se come sembra, con il suo governo cerca di realizzare la strategia descritta nei documenti sequestrati al gran maestro Licio Gelli, a Castiglion Fibocchi (Comunicato Ansa del 17 marzo 1981 ore 12:18, da cui emerge il suo numero di tesserato; cf intervista di Licio Gelli su Repubblica.it del 28-09-2003).
La maledizione italiana
A lei nulla importa dei valori religiosi, etici e sociali, che usa come stracci a suo comodo esclusivo, senza esimere di vantarsi di essere ossequioso degli insegnamenti etici e sociali della Chiesa cattolica, di cui si è sempre servito per averne l'appoggio e il sostegno. Partecipa convinto al «Family-Day» in difesa della famiglia tradizionale, monogamica formata da maschio e femmina e poi ce lo ritroviamo con prostitute a pagamento che registrano la sua voce nel letto di Putin; oppure spogliarelliste che lei ha nominato ministre: è lecito chiedersi, in cambio di cosa? Come concilia questo suo comportamento con le sue dichiarazioni di adesione agli insegnamenti della Chiesa cattolica? La «corrispondenza d'amorosi sensi» tra lei, il Vaticano e la gerarchia cattolica è la maledizione piombata sull'Italia ed una delle cause del progressivo e costante allontanamento dalla Chiesa delle persone migliori. I prelati, come sempre nella storia, fanno gli affari loro e lei che di affari se ne intende si è lasciato usare ed ha usato senza scrupoli offrendo la sua collaborazione e cercando quella della cosiddetta «finanza cattolica» legata a doppia mandata con il Vaticano. Se volesse avere la documentazione di legga il molto istruttivo saggio di Ferruccio Pinotti e Udo Gümpel, «L'unto del Signore», BUR, Rizzoli, Milano 2009.
Gli ecclesiastici, da perfetti «uomini di mondo, hanno capito che con lei al governo potevano imporre al parlamento leggi e decreti di loro interesse, utilizzandolo quindi come braccio secolare. Per questo obiettivo, devono però rinunciare alla loro religiosità e adeguarsi alla paganità del potere che esige la contropartita. Lei, infatti, è sostenuto dall'Opus Dei, da Comunione e Liberazione e da tutte le organizzazioni e sètte cattoliche che si lasciano manovrare a piacimento con lo spauracchio dei «comunisti» e con l'odore satanico dei soldi.
Il Vaticano e i vescovi, non essendo profeti, ma esercenti gestori di una ditta pagana, non hanno saputo o voluto cogliere le conseguenze nefaste che sarebbero derivate al Paese da questo connubio incestuoso; di fatto sono caduti nella trappola che essi stessi e lei avevate preparato. L'incidente di Vittorio Feltri, da lei, tramite la famiglia, nominato direttore del suo «Il Giornale» con cui uccide sulla pubblica piazza Dino Boffo, direttore di «Avvenire» portavoce della Cei, va oltre le vostre intenzioni e come un granellino si sabbia inceppa il motore. Oppure, secondo l'altra vulgata, tutto sarebbe stato progettato da lei e Bertone per permettere a questi di mettere le mani sulla Cei e a lei di fare tacere un sussurro appena modulato di critica sui suoi comportamenti disgustosi. Senza volersi arrampicare sugli specchi forse si è verificato un combinato disposto, non nei tempi e nelle forme da voi progettato.
Il giorno 7 agosto 2009, in un colloquio riservato con il cardinale Angelo Bagnasco, lo misi in guardia: «Stia attento - gli dissi - e si prepari alla guerra d'autunno perché con la nomina di Feltri al Giornale di Berlusconi (20-07-2009), la guerra sarà totale e senza esclusione di colpi. Berlusconi non può rispondere alle domande di la Repubblica e non può andare in tv a dare spiegazioni. Può continuare a negare sulle piazze per gli allocchi, ma nemmeno lui, menzognero di professione potrebbe negare davanti a domande precise e contestazioni puntuali. Per questo non lo farà mai, tanto meno in Parlamento. Non ha che un mezzo: sguazzare nel fango facendolo schizzare su tutti e su tutto, in base al principio che se tutto è infangato, nessuno è infangato». Il cardinale mi guardò come stupito e incredulo, reputando impossibile la mia previsione. Credo che ora si morda le labbra.
Eppure credo anche che lei sia finito: per la finanza internazionale e per gli interessi di coloro che lo hanno sostenuto, Vaticano compreso, lei ora è ingombrante e impresentabile e deve essere sostituito, ma lei non cadrà indenne, farà più danni che potrà, un nuovo Sansone in miniatura. Lei sa che deve andarsene, ma sa anche che passerà alla storia non come quel «grande, immenso» presidente che è stato lei, ma come «l'utilizzatore finale di prostitute che altri pagavano per conto suo». Non c'è che dire: lei è un grande in bassezza e amoralità.
Spergiuro
Nella trappola non è caduto il popolo di Dio, formato da «cristiani adulti» che tanto dispiacciano al papa «pro tempore» Benedetto XVI: lei non potrà mai manipolarli come non potrà mai possedere le coscienze dei non credenti austeri, cultori della laicità dello Stato che lei vilipende e svende, sempre e comunque, per suo inverecondo interesse. Lei ha la presunzione ossessiva di definirsi liberale, ma non sa cosa sia il liberismo, mentre è l'ultima caricatura di promettente e decadente comunista sovietico di stampo breshnieviano, capace di usare il popolo per affermare la propria ingordigia patologica di potere. D'altronde il suo amico per la pelle non è l'ex «kgb» Vladimir Vladimirovič Putin, nella cui dacia è ospitato secondo la migliore tradizione comunista italiana?
Dal punto di vista della morale cattolica, lei è uno spergiuro perché ha giurato sulla testa dei suoi figli, senza pudore e alcuni giorni dopo il «ratto di Noemi», ha dato dello stesso fatto diverse versioni differenti, condannando se stesso e la testa dei suoi figli alla pena dello spergiuro che già Cicerone condannava con la «rovina» e l'esposizione all'umana infamia: «Periurii poena divina exitium, humana dedecus - La pena divina dello spergiuro è la rovina e l'infamia/il disprezzo degli uomini» (De legibus, II, 10, 23; cf anche De officis, III, 29, 104;in Cicerone, Opere politiche e filosofiche, a c. di Leonardo Ferrero e Nevio Zorzetti, vol. I, UTET, Torino, 1974, risp. p. 489 e p. 823). Anche il Diritto Canonico, per sua informazione, riserva allo spergiuro «una giusta pena» (CJC, can. 1368), demandata all'Autorità, in questo caso il papa, che avrebbe dovuto comminarle la pena canonica, invece di indirizzarle una lettera diplomatica per il g8 e i suoi «deferenti saluti». Non ci può essere deferenza, tanto meno papale, per un uomo che ha toccato il fondo della dignità politica e morale.
Gli ultimi fatti di Villa Certosa e Palazzo Grazioli hanno sprofondato lei (non era difficile), ma anche l'Istituto Presidenza del Consiglio in un letamaio senza precedenti. Mai l'Italia è stata derisa nel mondo intero (ormai da quattro mesi continui) a causa di un suo presidente del consiglio che, su denuncia della moglie, frequenta le minorenni e sempre per ammissione della moglie che lo frequenta da oltre trent'anni, per cui si presume lo conosca bene, è malato e come un dio d'altri tempi esige per la sua perversione, sacrifici di giovani vergini per nascondere a se stesso i problemi del tempo che inesorabilmente passa, nonostante il trucco abbondante.
Affari privati o deriva di Stato?
Lei dice di volere difendere la sua privacy, ma non c'è privacy per uno che ha portato i suoi fatti «privati» in tv attaccando indecorosamente la sua stessa moglie che ha intrapreso la strada del divorzio. Forse lei ha dimenticato che sull'immagine della sua «felice famiglia italiana» lei ha costruito se stesso e la sua fortuna politica ed economica. Lei si comporta per quello che è: uno spaccone che in piazza si vanta di tutto ciò che non ha mai fatto e poi pretende che nessuno ne parli. Se lei mette il segreto di Stato sulle sue ville, queste diventano ipso facto «affare politico» perché lei le usa anche per incontri istituzionali e quindi fanno parte dell'Istituzione della presidenza del consiglio. Lei non ha diritto alla vita privata, quando si comporta da uomo pubblico e promette carriere tv o posti in parlamento a donnine compiacenti che la sollazzano nel suo «privato». Non è lei che ha detto in una intercettazione, parlando con Saccà che «le donne più son cattoliche più son troie»? Può spiegare, di grazia, il significato di queste parole altamente religiose e rispettose delle donne e indicarci a chi si riferiva? C'entrano le due donne che siedono nel suo governo e che si vantano di essere cattoliche: la Carfagna e la Gelmini?
Lei e suoi paraninfi continuate a dire che si tratta di questioni private senza rilevanza pubblica, sapendo di mentire ancora e senza pudore. Sarebbero affari privati se Silvio Berlusconi non fosse presidente del consiglio che alle donnine che gli accompagnano anche a pagamento, non promettesse incarichi in aziende pubbliche (tv) o posti in parlamento se non addirittura al governo. Vorrei chiederle per curiosità: quali sono i meriti e le benemerenze delle ministre Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini per essere assurte, non ancora quarantenni, a posti di rilievo nel suo governo? Perché Mara Carfagna posava nuda o la Gelmini prendeva l'abilitazione in Calabria?
Le sue ville sono ancora sotto la tutela del segreto di Stato e quindi guardate a vista da polizia, carabinieri, esercito? A spese di chi? Può ancora dire che sono residenze private? Fu lei in persona ad andare dal suo devoto suddito Bruno Vespa a rispondere pubblicamente a suo moglie, Veroni Lario, rendendo pubblici i fatti che la riguardavano e attaccando sua moglie senza alcuna pietà, facendo pubblicare dal suo «killer mediatico» le foto di sua moglie a seno nudo di quando faceva l'attrice. Non credo che lei possa dire che le sue vicende sono private perché ci riguardano tutti, come cittadini e come suoi «sovrani» costituzionali perché una cosa è certa: noi non abdicheremo mai alla nostra dignità di cittadini sovrani figli orgogliosi della nostra insuperabile Costituzione. Noi non permetteremo mai che lei diventi il «padrone» della nostra dignità.
Per lei è cominciato l'inizio della fine perché il suo declino è iniziato nel momento stesso in cui è andato nella tv di Stato compiacente e, senza contraddittorio, alla presenza del solo cerimoniere e maggiordomo fidato, ha cominciato a farfugliare bugie, contraddizioni, falsità che non hanno retto l'urto dei fatti crudi. Se lei fosse onesto, anche solo per una parte infinitesimale, dovrebbe rassegnare le dimissioni, come aveva promesso nel suddetto, compiacente recital.
Strategie convergenti
Lei può fare affari col Vaticano e chiudere nel cassetto morale e dignità, ma sappia che il Vaticano non è la Chiesa, per nostra fortuna e per sua e vostra disgrazia. Noi, uomini e donne semplici, vogliamo onorare e difendere la nostra dignità e la nostra fede, contro ogni tentativo di manipolazione e di incesto tra altare e politica. Purtroppo lei, supportato da parte della gerarchia, ha fatto scadere la «politica» da arte a servizio del bene comune a mercimonio di malaffare e a sentina maleodorante. Le istituzioni cattoliche che lo hanno appoggiato ne portano, con lei, la responsabilità morale, in base al principio giuridico della complicità.
Strana accoppiata: i difensori della moralità ufficiale, costretti a tacere per mesi di fronte a comportamenti indegni e a leggi inique, perché lautamente ricompensati o in vista della mancia promessa. Trattasi solo di un baratto di cui i responsabili dovranno rendere conto. I vescovi hanno ritrovato la parola quando si sono visti attaccare, inaspettatamente, da lei con avvertimenti di stampo mafioso (per interposta persona). La gerarchia, in genere felpata e compassata, in questo frangette è risorta come un sol uomo, arruolando anche il papa alla bisogna, ma cogliendo anche l'occasione per dare corpo alle vendette interne e regolare i conti tra ruiniani e bertoniani. Come insegna l'amabile Andreotti «la vendetta è un piatto che si gusta freddo». Strategie convergenti che hanno sprigionato il disgusto del popolo cattolico e dei cittadini che ancora pensano con la propria testa.
Ripudio
Io, Paolo Farinella, prete mi vergogno della sua presidenza, per me e la mia Nazione e, mi creda, in Italia siamo la maggioranza che non è quella elettorale, ottenuta da una «legge porcata» che ben esprime l'identità della sua maggioranza e del governo e di lei che lo presiede (o lo possiede?). Lei potrà avere il sostegno del Vaticano (uno Stato estero) e della Cei che con il loro silenzio e le loro arti diplomatiche condannano se stessi come complici di ingiustizia e di immoralità.
Per questi motivi, per quanto mi concerne in forza del mio diritto di cittadino sovrano, non voglio più essere rappresentato da lei in Italia e all'Estero, io la ripudio come politico e come presidente del consiglio: lei non può rappresentarmi né in Italia e tanto meno all'estero perché lei è la negazione evidente di tutto quello in cui credo e spero di vedere realizzato per il mio Paese. sia perché non mi rappresenta sia perché è indegno di rappresentare il buon nome dell'Italia seria, laboriosa e civile e legale che amo e per la quale lotto e impegno la mia vita. Non importa che lei abbia la maggioranza parlamentare, a me interessa molto di più che non abbia la mia coscienza
Io, Paolo Farinella, prete ripudio lei, Silvio Berlusconi, presidente pro tempore del consiglio dei ministri e tutto quello che rappresenta insieme a coloro che l'adulano, lo ingannano, lo manipolano e lo sorreggono: li/vi ripudio dal profondo del cuore. in nome della politica, dell'etica e della fede cattolica. La ripudio e prego Dio che liberi l'Italia dal flagello nefasto della sua presenza". (Paolo Farinella-Micromega)

martedì 8 settembre 2009

C'era una volta un molo.


Impeachement del premier. Il torero forsennato.

Primo giorno di scuola, in una scuola americana, la maestra presenta alla classe un nuovo compagno arrivato in USA da pochi giorni: Sakiro Suzuki (figlio di un alto dirigente della Sony). Inizia la lezione e la maestra dice alla classe:"Adesso facciamo una prova di cultura. Vediamo se conoscete bene la storia americana. Chi disse:"Datemi la liberta o datemi la morte"? La classe tace, ma Suzuki alza la mano."Davvero lo sai, Suzuki? Allora dillo tu ai tuoi compagni!""Fu Patrick Henry nel 1775 a Philadelphia!""Molto bene, bravo Suzuki!""E chi disse: Il governo è il popolo, il popolo non deve scomparire nel nulla ?"Di nuovo Suzuki in piedi:"Abraham Lincoln nel 1863 a Washington!" La maestra stupita allora si rivolge alla classe: "Ragazzi, vergognatevi, Suzuki è giapponese, è appena arrivato nel nostro paese e conosce meglio la nostra storia di voi che ci siete nati!"Si sente una voce bassa bassa: "Vaffanculo a 'sti bastardi giapponesi!!!""Chi l'ha detto?" chiede indispettita la maestra. Suzuki alza la mano e, senza attendere, risponde: "Il generale Mac Arthur nel 1942 presso il Canale di Panama e Lee Iacocca nel 1982 alla riunione del Consiglio di Amministrazione della General Motors a Detroit."La classe ammutolisce, ma si sente una voce dal fondo dire: "Mi viene da vomitare!""Voglio sapere chi è stato a dire questo!!" urla la maestra. Suzuki risponde al volo: "George Bush Senior rivolgendosi al Primo ministro giapponese Tanaka durante il pranzo in suo onore nella residenza imperiale a Tokyo nel 1991. Uno dei ragazzi allora si alza ed esclama scazzato: "Succhiamelo!""Adesso basta! Chi è stato a dire questo?" urla inviperita la maestra. Suzuki risponde impeterrito: "Bill Clinton a Monica Lewinsky nel 1997, a Washington, nello studio ovale della Casa Bianca."Un altro ragazzo si alza e urla: "Suzuki del cazzo!""Valentino Rossi rivolgendosi a Ryo al Gran Premio del Sudafrica nel Febbraio 2005."La classe esplode in urla di isteria, la maestra sviene. Si spalanca la porta ed entra il preside: "Cazzo, non ho mai visto un casino simile!" "Silvio Berlusconi, luglio 2008, nella sua villa Certosa in Sardegna".

domenica 6 settembre 2009

Luce.


Impeachement del premier. Il diavolo e l'acquasanta.

"L'attenzione pubblica si è spostata dopo le dimissioni del direttore dell'Avvenire. Ora è tutta sulla Chiesa. Che cosa farà la Chiesa? Ci sono correnti all'interno della Chiesa? Quale Chiesa? Chi comanda veramente nella Chiesa? Perfino la grande stampa internazionale, a cominciare dal Wall Street Journal, si pone queste domande sia pure con la sufficienza e il distacco che si ha quando si affrontano questioni che non riguardano casa propria, questioni esotiche il cui soffio di vento non riesce neppure a increspare l'erba che cresce nel proprio paese. Ma qui in Italia non è certo così; perciò quelle domande scuotono l'intero establishment nazionale, dato ma non concesso che ci sia un establishment e sia degno del nome in questo paese. Riflettevo oggi sulle dimissioni di Boffo e sulla lettera da lui indirizzata al cardinal Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale che ha la proprietà dell'Avvenire. Riflettevo e sfogliavo L'Osservatore Romano, il quotidiano del Vaticano il cui direttore pochi giorni fa ha lanciato un siluro contro il collega dell'Avvenire proprio mentre si trovava sotto il tiro di Vittorio Feltri e di Belpietro. L'Osservatore Romano è il solo quotidiano che si stampa nello Stato vaticano ed ha naturalmente "l'imprimatur" della Segreteria di Stato. Sotto la testata ci sono due motti: "Unicuique Suum", "Non Praevalebunt". Il primo è di facile comprensione, ma il secondo è oscuro. "Non Praevalebunt": di chi si parla? Chi sono i nemici contro i quali il Vaticano, la Chiesa, i cattolici debbono mobilitarsi?
I cattivi, ovviamente; i seguaci del diavolo. Dunque i peccatori? No, i peccati. Quali peccati? Prioritariamente quelli scritti nelle tavole mosaiche. Chi sono i responsabili dei peccati? Il diavolo naturalmente. E chi li commette? Se si confessa e si pente sarà perdonato. E se non li confessa e non si pente? Sarà giudicato alla fine dei tempi. Ma intanto? La Chiesa può sciogliere o legare secondo il mandato di Cristo all'apostolo Pietro e ai suoi successori. E qui, oggi, in Italia? Vedete, ho anch'io qualche domanda da proporre, ma arrivati al dunque, a quest'ultima domanda non c'è risposta, oppure ce ne sono molte ma contrastanti. Quanto al successore dell'apostolo Pietro attualmente in cattedra, una prassi millenaria gli ha insegnato come destreggiarsi in casi difficili: dica parole ispirate di speranza e di verità rampognando chi non le ascolta, ma poiché tutti le accolgono con compunzione e le condividono, quelle rampogne restano senza destinatario. Qualcuno nel frattempo cade a terra colpito da fuoco amico? Dispiace. Recitiamo in suo suffragio il "requiescat in pace" e andiamo avanti. Questo del resto l'ha detto perfino Vittorio Feltri: "Umanamente mi dispiace per Boffo". E l'ha detto, più o meno con le stesse parole, Francesco Cossiga in una lettera pubblicata dal Corriere della Sera e diretta al cardinal Bagnasco. E l'aveva già detto con largo anticipo il presidente di Mediaset, Confalonieri, in quanto persona "informata dei fatti" in un'intervista a quello stesso giornale pubblicata, vedi caso, insieme all'intervista di Vian, direttore dell'Osservatore Romano. Mi viene in mente quella canzone che dice: "Son contento di morire ma mi dispiace / mi dispiace di morire ma son contento". Di queste ipocrisie, per chi ci crede, sono lastricate le vie dell'Inferno. * * * In mancanza di altri lumi dobbiamo dunque orientarci da soli. Proviamoci. La Chiesa cattolica ha una sua gerarchia: il Papa, vescovo di Roma, e i vescovi che con lui condividono il ministero pastorale. Così fu per secoli, ma ben presto il quadro cambiò quando i fedeli si moltiplicarono, gli interessi temporali si affiancarono alla missione pastorale, la gerarchia iniziale si rivelò insufficiente. Il Papa ebbe bisogno di collaboratori esperti, i vescovi di esser coadiuvati. A quel punto la gerarchia si specializzò in due diverse direzioni, per altro strettamente intrecciate: la Santa Sede e la Curia per il governo della Chiesa e per i necessari contatti con i governi delle nazioni da un lato, i vescovi e il clero con cura d'anime dall'altro. E poi, altro elemento fondamentale della Chiesa, il popolo di Dio, cioè i fedeli. La Santa Sede mantiene i rapporti politici. Il clero con cura d'anime predica la salvezza, amministra i sacramenti, scioglie e lega secondo il mandato del Signore. Il Papa, al di sopra di tutti, incoraggia, rampogna e benedice. * * * Oggi in Italia. Il cardinal Bertone, segretario di Stato, gestisce gli interessi della Chiesa nel mondo e in particolare in Italia. Per farlo deve colloquiare con i governi in carica. I giudizi morali se li tiene nell'intimo suo perché i suoi interlocutori sono spesso il fior fiore dei peccatori. Berlusconi è sicuramente un peccatore, l'ha detto lui stesso. Se la veda con il suo confessore se avrà voglia di confessarsi, o con i tribunali quando i peccati siano diventati reati. Non è compito della Santa Sede. Ma è compito del clero combattere i peccati. Denunciarli. Avvertire i fedeli affinché a loro volta non cadano in tentazione. Lo fanno. Lo ha fatto la stampa diocesana. L'ha fatto l'Avvenire. Con prudenza ma con chiarezza. Sfortuna volle che Berlusconi perdesse, come si dice, la tramontana e non volesse più sentirsi criticato. Il direttore dell'Osservatore Romano si è pubblicamente dato il merito di non aver mai sollevato il tema d'un peccato privato ed ha criticato il collega Boffo per averlo fatto. Strano vanto in verità. E quel "Non Praevalebunt" perché non sopprimerlo dalla testata del giornale? Può essere d'imbarazzo, collega Vian. Ma Bertone non è il solo a gestire interessi. C'è Bagnasco alla testa dei vescovi. E c'è anche Ruini, vecchio ma non domo. Ci sono i cardinali arcivescovi che governano diocesi a volte grandi e popolose come piccoli Stati. Grandi elettori nei conclavi. Ci sono Università, Ospedali, Scuole cattoliche. Congregazioni. Ci sono gli Ordini religiosi, le Comunità. Un immenso universo sparso su cinque continenti ma il cuore sta a Roma e in Italia. Questo cuore non prevedeva che il capo del governo italiano perdesse la tramontana. Non prevedeva che avesse imprevisti accessi di rabbia e li manifestasse in continuazione e pubblicamente. Non prevedeva che stesse sbagliando contro i propri interessi. E non prevedeva che armasse la mano del killer di turno. Perciò la Chiesa nel suo complesso è stata presa alla sprovvista. Il Papa, Bertone, Bagnasco. Alla sprovvista. Forse Ruini, più esperto, aveva capito che uno "tsunami" era in arrivo e forse sperava che tornasse utile ad un progetto in via di prender forma. * * * Il progetto ha un nome. Si chiama Grande Centro. Il partito di Casini e Buttiglione più Montezemolo. Oppure di Montezemolo più Casini e Buttiglione. E il Forum delle famiglie, e l'associazione per la vita, e Formigoni sullo sfondo e Vittadini e le Coop bianche, eccetera eccetera. Questo Grande Centro non sarà mai grandissimo e non potrà mai governare da solo, ma può diventare il pesce pilota e l'esecutore testamentario quando Berlusconi deciderà di farsi da parte (con tutti gli onori e senza alcun onere, beninteso). L'assetto finale è il grande partito dei moderati con forti venature cattoliche. A Ruini piace. A Bertone piace. Bagnasco? Piacerà anche a lui e poi Bagnasco semmai è un incidente di percorso. Però la ferita Boffo brucia ancora. Perciò Berlusconi dovrà pagare un prezzo (che a lui non costa nulla): testamento biologico, soldi alle scuole cattoliche, limiti alla pillola-aborto, revisione delle leggi sulla fecondazione assistita, eccetera. Grandi piccoli e piccolissimi giornali sono d'accordo. Finalmente si tornerà a parlare di problemi seri, alla moda di Tremonti. La libertà di stampa e il controllo dei poteri di garanzia sull'operato del governo non sono un problema serio, non sono una questione preliminare, sono bazzecole. Casini è cauto. Su Boffo non ha sparso molte lacrime, però non si fida. Alle regionali marcerà in ordine sparso secondo le convenienze ma alcune scelte saranno comunque decisive, per esempio nel Lazio, in Puglia, in Piemonte. Poi si vedrà. Anche Confalonieri è contento. La colpa è sola di Repubblica, perciò sia castigata. Sembra un uomo di pace, Confalonieri, ma invece è la bocca dentata del Caimano. Secondo lui Repubblica è rea d'aver trasformato un fatto privato in una questione pubblica. Dimentica che l'origine sta in una pubblica dichiarazione di Veronica Lario, portata in tivù da Berlusconi. E dimentica anche che Libero allora diretto da Vittorio Feltri quarantotto ore dopo pubblicò la foto di Veronica a seno nudo e le attribuì il suo autista come amante. Ricordate "L'opera da tre soldi"? "Mackie Messer ha il coltello / ma vedere non lo fa". La memoria di Confalonieri non funziona? Colpa della vecchiaia? O di un innato servilismo? * * * Un'ultima domanda: la Lega è cattolica? Ma certo che lo è. Lo è nelle intime fibre. Vuole la famiglia compatta. Di colore bianca. Vuole che si muoia quando arriva la morte e non prima. Non le piacciono gli immigrati, che c'è di male? Neanche "i terroni" e pazienza. Ma qualche soldo, purché restino a casa loro, diamoglielo. E poi Alberto da Giussano non stava dalla parte del Papa?Il resto sono bubbole. I dialetti stanno stretti a Umberto Eco? E chi se ne frega. Fini? Fini chi? Vogliamo almeno tre Regioni nel Nord e viva Berlusconi. Piacerebbe sapere che impressione ne ha avuto il cardinal Bagnasco che li ha incontrati. Bagnasco chi?". (Eugenio Scalfari)

sabato 5 settembre 2009

La società malata.

"Avere e non avere. Lavoriamo più degli schiavi ai tempi dei Faraoni. Per trent'anni. Quarant'anni, cinquant'anni. L'età della pensione si allontana fino a coincidere con quella della morte. Il lavoro ha, sempre più spesso, come unico obiettivo uno stipendio. Non è importante che il lavoro sia utile, necessario per la società o per l'individuo che lo svolge. Lo scopo di un'attività è, di solito, il denaro che se ne può ricavare. Denaro che serve per comprare beni inutili, prodotti da altre persone che fanno altrettanti lavori inutili. Per rendere utili beni inutili, aumentare la salivazione dei consumatori, abbiamo inventato l'industria della pubblicità. Un inganno colossale, un'autoipnosi a fini di lucro.C'è una perdita di senso, di scopo complessivo. Siamo panni lavati e rilavati in una lavatrice con il programma impazzito. L'informazione e la pubblicità, una volta separate, si sono unite, compenetrate in una forma oscena che è ovunque, che giustifica tutto. La distruzione del pianeta, la cancellazione del tempo (nessuno ha più tempo..), la perdita di significato, la mancanza di valori al di fuori di quelli economici. Abbiamo allungato la vita per non poterla vivere, siamo troppo occupati a produrre. Avere, siamo drogati dall'avere, lavoriamo per avere. Abbiamo trasformato il mondo e noi stessi in un PIL, in prodotti a scadenza. Abbiamo tutto, ma non abbiamo più nulla.In una società basata sulla produzione in quanto tale, a qualunque prezzo, chi perde il lavoro è una zavorra. E' fuori dai giochi. Per sopravvivere è necessario lavorare, fare qualunque lavoro. Il progresso è lavoro, il futuro è lavoro. Il progresso, invece, dovrebbe essere la diminuzione del lavoro. L'eliminazione del lavoro inutile. Lavoro per tutti, solo se utile e in modica quantità.La dannazione del lavoro ha il suo "altro", il suo specchio, nei parassiti sociali. Quelli che, grazie al lavoro inutile degli altri, non lavorano. Sono dei divoratori di risorse umane e ambientali. Non hanno un lavoro vero e proprio, ma manipolano e posseggono il denaro, quantità spesso enormi di denaro. Sono gli addetti alla leva della ruota in cui girano, inconsapevoli, i lavoratori. La diseguaglianza sociale rende obbligatorio il lavoro inutile. La solidarietà sociale e una equa distribuzione dei beni cancellerebbe ogni produzione fine a sé stessa e i parassiti economici.. Che senso ha avere, nello stesso Paese, l'Italia ad esempio, milioni di persone sotto la soglia di povertà, milioni di disoccupati e centinaia di migliaia di persone ricche a dismisura? Cosa vuol dire "vivere" nello stesso Paese per gli evasori e per i precari? La povertà è la materia prima del consenso dei regimi. Vanno stabilite una soglia di ricchezza e una soglia di povertà, entrambe da non superare. Avere e non avere". (Beppe Grillo)

venerdì 4 settembre 2009

Fontana.


Impeachement del premier. Contro questo pericolo pubblico forse ci darà una mano un vaticano malato ed invadente... .

"E adesso niente sarà più come prima...". Non è un anatema. Piuttosto è una presa d'atto, dura ma netta, quella che si raccoglie Oltre Tevere in queste ore difficili e amare. Se è vero che Dino Boffo è "l'ultima vittima di Berlusconi", come scrive persino il New York Times, è chiaro che questa vicenda apre una doppia, profonda ferita. Sul corpo della Chiesa, già attraversato da divisioni latenti. E nel rapporto tra Santa Sede e governo, già destabilizzato da incomprensioni crescenti. Per la Chiesa, il doloroso sacrificio di Boffo nasconde la frattura che si è aperta tra Segreteria di Stato e Conferenza Episcopale. Per rendersene conto basta ricostruire le tappe che hanno portato alla drammatica uscita di scena del direttore di Avvenire. Venerdì scorso si consuma il primo atto, con l'operazione di killeraggio del Giornale e il conseguente annullamento della Cena della Perdonanza tra Bertone e Berlusconi. Un colpo a freddo, che nelle alte gerarchie nessuno si aspettava, ma che innesca reazioni differenti. Nel fine settimana Boffo comincia a meditare sull'ipotesi delle dimissioni. L'idea prende materialmente corpo lunedì mattina, quando sul Corriere della Sera esce un'intervista al direttore dell'Osservatore Romano. Una sortita altrettanto inaspettata, quella di Gian Maria Vian, che giudica "imprudente ed esagerato" un certo modo di fare giornalismo dell'Avvenire e conclude con un sibillino "noi non ci occupiamo di polemiche politiche contingenti". Per l'intera mattinata Boffo aspetta una correzione di tiro della Segreteria di Stato. Ma non arriva nulla. Oltre Tevere si racconta di una telefonata di Bagnasco: "Scusate, ma quell'intervista è cosa vostra?", avrebbe chiesto a Bertone. "Non lo è - sarebbe stata la risposta - e ci siamo anche lamentati con Vian, che ha impropriamente parlato in prima persona plurale". Ma questo è tutto. Dalla Segreteria di Stato non esce nulla di pubblico. Così, lunedì pomeriggio Boffo va personalmente da Bagnasco, e gli consegna la sua lettera di dimissioni. Mentre il direttore parla con il cardinale, arriva la telefonata di Ratzinger, che chiede: "Il dottor Boffo come sta? Mi raccomando, deve andare avanti...". Il presidente della Cei riferisce a Boffo, che di fronte al Papa non può certo tirarsi indietro.
Martedì mattina lo scenario in parte cambia. Repubblica dà la notizia: solidarietà del Pontefice a Boffo. Solo a quel punto, molte ore dopo, il direttore della Sala Stampa Vaticana padre Lombardi annuncia che Bertone ha effettivamente telefonato al direttore di Avvenire, per offrirgli il suo sostegno. Ma sono passati ben cinque giorni dal siluro di Feltri, prima che la Segreteria di Stato muovesse un passo ufficiale. Intanto Boffo è rimasto sulla graticola. E nel frattempo persino monsignor Fisichella, nel silenzio della Curia, contesta apertamente il quotidiano per le critiche al governo sull'immigrazione. Mercoledì Feltri torna all'attacco, e sostiene che la "nota informativa" che getta fango sulla vita privata di Boffo è una velina uscita dal Vaticano. Padre Lombardi smentisce. E aggiunge l'ultima novità: papa Ratzinger ha chiamato il cardinal Bagnasco, per avere notizie "sulla situazione in atto". Ma dalla Segreteria di Stato ancora silenzio. Così si arriva al colpo di scena di ieri: dopo una settimana di fuoco incrociato, il direttore di Avvenire getta la spugna e se ne va. Ma perché all'offensiva volgare e violenta del Giornale la Santa Sede ha fatto scudo in modo così discontinuo e frammentato? "Qui - secondo la ricostruzione che si raccoglie negli ambienti della Cei - si apre la frattura con l'episcopato". Il cardinal Bertone, due anni fa, aveva lanciato la candidatura di Bagnasco alla Conferenza episcopale con una convinzione, che la realtà dei fatti ha presto svilito in pia illusione: trasformare la conferenza dei vescovi in una "cinghia di trasmissione" della Santa Sede, dopo la stagione troppo lunga dell'autoreferenzialità ruiniana. Il tentativo è fallito, ben prima che scoppiasse il caso Avvenire e che scattasse l'imboscata mediatica ordita dal Cavaliere e dai suoi giornali ai danni del direttore. "Lo stesso Bertone lo ha riconosciuto - raccontano Oltre Tevere - quando qualche settimana fa si è lasciato scappare che la nomina di Bagnasco è stato il suo errore più grave. E certe cose, in questi palazzi, si vengono a sapere molto presto...". Secondo questa stessa ricostruzione, il caso Boffo precipita proprio in questa faglia, che divide Bertone da Bagnasco. E in questa faglia si inserisce anche l'ultima, clamorosa indiscrezione di queste ore: cioè quello che Oltre Tevere qualcuno definisce "il Piano Esterno". Contrariamente a quello che si pensa - raccontano - "il Segretario di Stato non vuole una Cei schierata con Berlusconi, che considera ormai già fuori dai giochi. Il vero progetto che sta a cuore alla Santa Sede riguarda la nuova aggregazione di centro, che ora avrebbe Pierferdinando Casini come perno politico, e che in futuro vedrebbe Luca di Montezemolo come punto di riferimento finale". A questo "Piano Esterno" si starebbe lavorando da tempo, tra Segreteria di Stato e una piccola, ristretta cerchia di intellettuali esterni, laici e cattolici, che orbitano intorno al Vaticano e allo stesso direttore dell'Osservatore Vian. Vera o falsa che sia, questa ipotesi spiega molto di quello che è accaduto e può ancora accadere. Bertone - sostengono ambienti vicini alla Cei - potrebbe aver gestito il caso Boffo proprio in questa logica: usare l'aggressione al direttore di Avvenire prima per rimettere in riga l'episcopato, e poi per assestare il colpo finale contro il presidente del Consiglio, aprendo le porte del paradiso alla Cosa Bianca di Casini e Montezemolo. Di qui, fino a ieri, la difesa intermittente e quasi forzata a Boffo. Di qui, da domani in poi, la rottura definitiva e irrimediabile con Berlusconi. "Niente sarà più come prima", appunto. Vale per la Chiesa di Roma, ma vale anche per il Cavaliere di Arcore". (Massimo Giannini)

"Dino Boffo, direttore dell'Avvenire, si è dimesso e non tiene conto discutere del sicario. È stato pagato per fare il suo sporco lavoro, se l'è sbrigata in fretta. Ora se ne vanta e si stropiccia le mani, lo sciagurato. Appare oggi più rilevante ricordare come è stato compiuto il delitto; chi lo ha commissionato e perché; quali sono le conseguenze per noi tutti: per noi che viviamo in questa democrazia; per voi che leggete i giornali; per noi che li facciamo. Dino Boffo è stato ucciso sulla pubblica piazza con una menzogna che non ha nulla a che fare - né di diritto né di rovescio - con il giornalismo, ma con una tecnica sovietica di disinformazione che altera il giornalismo in calunnia. Il mondo anglosassone ha un'espressione per definire quel che è accaduto al direttore dell'Avvenire, character assassination, assassinio mediatico. Il potere che ci governa ha messo in mano a chi dirige il Giornale del capo del governo - una sorta di autoalimentazione dell'alambicco venefico a uso politico - un foglio anonimo, redatto nel retrobottega di qualche burocrazia della sicurezza da un infedele servitore dello Stato. C'era scritto di Boffo come di "un noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato". L'assassino presenta quella diceria poliziesca come un fatto, addirittura come un documento giudiziario. È un imbroglio, è un inganno. Non c'è alcuna "nota informativa". È soltanto una ciancia utile al rito di degradazione. L'assassino la usa come un bastone chiodato e, nel silenzio degli osservatori, spacca la testa all'errante. L'errore di Boffo? Ha criticato, con i toni prudentissimi che gli sono propri e propri della Chiesa, lo stile di vita di Silvio Berlusconi. Ha lasciato che comparissero sulle pagine del quotidiano della Conferenza episcopale l'amarezza delle parrocchie e dei parroci, il disagio dei credenti e del mondo cattolico più popolare dinanzi all'esempio di vita di Quello-Che-Comanda-Tutto.
Ora che c'è un morto, viene il freddo alle ossa pensare che anche una prudente critica, una sorvegliata disapprovazione può valere, nell'infelice Paese di Berlusconi, il prezzo più alto: la distruzione morale e professionale. Ma soltanto le prefiche e gli ipocriti se ne possono meravigliare. Da mesi, il presidente del Consiglio ha rinunciato ad affermare la legittimità del suo governo per mostrare, senza alcuna finzione ideologica, come la natura più nascosta del suo potere sia la violenza pura. Con l'assassinio di Dino Boffo, prima vittima della "campagna d'autunno" pianificata con lucidità da Berlusconi (ha lavorato a questo programma in agosto dimenticando la promessa di andare all'Aquila a controllare i cantieri della ricostruzione), questa tecnica di dominio politico si libera di ogni impaccio, di ogni decenza o scrupolo democratico. Berlusconi decide di muovere contro i suoi avversari, autentici e presunti, tutte intere le articolazioni del multiforme potere che si è assicurato con un maestoso conflitto d'interesse. Stila una lista di nemici. Vuole demolirli. Licenzia quelli tra i suoi che gli appaiono pirla, fessi, cacaminuzzoli. Vuole sicari pronti a sporcarsi le mani. È il padrone di quell'industria di notizie di carta e di immagini. Muove come vuole. È anche il presidente del Consiglio e governa le burocrazie della sicurezza (già abbiamo visto in un'altra stagione i suoi servizi segreti pianificare la demolizione dei "nemici in toga"). Il potere che ci governa chiede e raccoglie nelle sue mani le informazioni - vere, false, mezze vere, mezze false, sudicie, fresche o ammuffite - che possano tornare utili per il programma di vendetta e punizione che ha preparato. Quelle informazioni, opportunamente manipolate, sono rilanciate dai giornali del premier nel silenzio dei telegiornali del servizio pubblico che controlla, nell'acquiescenza di gruppi editoriali docili o intimiditi. È questo il palcoscenico che ha visto il sacrificio di Dino Boffo ordinato da Quello-Che-Comanda-Tutto. È la scena dove ora salmodiano il coro soi-disant neutrale, le anime fioche e prudenti in cerca di un alibi per la loro arrendevolezza, gli ipocriti in malafede che, riscoprendo fuori tempo e oltre ogni logica la teoria degli "opposti estremismi" mediatici, accomunano senza pudore le domande di Repubblica alle calunnie del Giornale; un'inchiesta giornalistica a un rito di degradazione sovietico; la vita privata di un libero cittadino alla vita di un capo di governo che liberamente ha deciso di rendere pubblica la sua; la ricerca della verità all'uso deliberato della menzogna. È questa la scena che dentro le istituzioni e nel Paese dovrebbe preoccupare chiunque. Per punirlo delle sue opinioni, un uomo è stato disseccato, nella sua stessa identità, da una mano micidiale che ha raccolto contro di lui il potere della politica, dello Stato, dell'informazione, dei giornali di proprietà del premier usati come arma politica impropria. Nei cromosomi della democrazia c'è la libertà di stampa e, come si legge nell'articolo 21 della Costituzione, "il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero". È questa libertà che è stata umiliata e schiacciata con l'assassinio di Dino Boffo. Lo si vede a occhio nudo, anche da lontano. "Un giornalista è l'ultima vittima di Berlusconi", scrive il New York Times. Chi, in Italia, non lo vuole vedere e preferisce chiudere gli occhi è un complice degli uccisori e di chi ha commissionato quel character assassination". (Giuseppe D'Avanzo)

"Per il quotidiano spagnolo El Pais è "un pericolo pubblico". Il New York Times scrive che, per attaccare chi lo critica, sta "ignorando il proprio paese, messo duramente alle corde dalla crisi finanziaria". Il Wall Street Journal parla di "tensioni sempre più profonde" con il Vaticano. E le dimissioni del direttore dell'Avvenire occupano ampio spazio sulle principali testate della stampa internazionale, in particolare nei paesi cattolici o in regioni, come a New York e Boston negli Stati Uniti, dove la presenza cattolica è particolarmente forte. In Spagna, per esempio, El Pais, uno dei giornali contro cui il premier ha minacciato azione legale (per la pubblicazione delle foto dei party con donne in topless nelle sua villa in Sardegna), dedica un articolo agli ultimi sviluppi del caso, intitolato "Berlusconi costringe alle dimissioni il direttore del giornale dei vescovi italiani", facendo la sua "prima vittima", e in un editoriale parte, ricostruendo i punti essenziali della vicenda, il giornale afferma senza mezzi termini: "Quest'uomo, è, come ha detto sua moglie Veronica, 'ridicolo', però è anche un pericolo pubblico". La medesima tesi, cioè che Dino Boffo, dimettendosi dall'Avvenire per le polemiche scatenate dalle accuse di omosessualità contenute in un articolo del Giornale di Vittorio Feltri, di proprietà del fratello di Berlusconi, sia diventato "una vittima" del primo ministro, ossia che l'operazione abbia come mandante ultimo il presidente del Consiglio, è condivisa da altri organi di stampa stranieri, come il New York Times, che mette oggi in prima pagina le dimissioni di Boffo e anche nell'edizione internazionale (l'International Herald Tribune) fa un titolo a quattro colonne: "Giornale cattolico perde un round nelle guerre del sesso in Italia". L'autorevole quotidiano newyorchese sottolinea che il Giornale, "considerato il portavoce della coalizione di centro destra", ha pubblicato un "audace" editoriale che ha preso in giro l'accento "mitteleuropeo" di papa Benedetto XVI, "che è tedesco", e ha esortato la Chiesa cattolica a confrontare la sua "ipocrisia" sulla sessualità di preti dalla "debole carne" così come la sua storia di "sodomia e pedofilia con chierichetti", per poi passare agli attacchi personali contro Boffo.
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Il messaggio degli attacchi al direttore dell'Avvenire, prosegue l'articolo, "è chiaro: che un giornale cattolico dovrebbe stare attento a non criticare la vita personale del primo ministro". La corrispondente Rachel Donadio sente anche il parere di Feltri, che afferma di avere pubblicato le notizie sui problemi giudiziari di Boffo "per interessare l'opinione pubblica e per vendere copie", dichiarando di non avere discusso la cosa con Berlusconi: "E' una domanda che trovo irrilevante se non ingiuriosa", dice il direttore del Giornale. Conclude il quotidiano di New York: "Critici e alleati di Berlusconi dicono che egli sta avventurandosi in acque pericolose con la Chiesa e fomentando un ambiente in cui tutte le critiche sono viste come atti di slealtà". Il titolo del Wall Street Journal è "un direttore dà le dimissioni dopo un conflitto con Berlusconi", e l'articolo afferma che Boffo, "influente direttore di un quotidiano cattolico che aveva criticato la vita privata del primo ministro" italiano, è diventato "vittima di una guerra di giornali che ha aperto una crepa tra il Vaticano e il premier". Le dimissioni, prevede il quotidiano finanziario americano, "aumenteranno probabilmente le tensioni tra il Vaticano e Berlusconi". Parole analoghe usa il quotidiano spagnolo La Vanguardia: "Costretto a dimettersi dopo aver criticato lo stile di vita di Berlusconi, il direttore del giornale dei vescovi è vittima di una campagna di discredito". La notizia ha fatto il giro del mondo: ne parlano l'Irish Examiner in Irlanda, il Toronto Star in Canada, il Clarin in Argentina, il Guardian in Gran Bretagna, la Suddeutsche Zeitung e altri giornali in Germania. Altri due quotidiani britannici, il Telegraph e l'Independent, rivolgono invece l'attenzione alla proiezione del documentario "Videocracy" alla Mostra del Cinema di Venezia: il Telegraph riporta le accuse a Berlusconi di "censura" della pellicola, l'Independent la descrive come un ritratto "del volto comico ma sinistro dell'Italia" berlusconiana. Sempre l'Independent, in un secondo articolo, riferisce le dimissioni di Boffo, affermando che sono la prova che a questo punto "sono stati tolti i guantoni" nel confronto tra il Vaticano e il primo ministro italiano. Sulla vicenda, lo spagnolo Periodico de Catalunya interviene con un'intervista a Concita De Gregorio, direttrice dell'Unità, che dice: "Boffo è il primo della lista". L'intervistatore le chiede se ha paura, e lei replica: "No, non ho paura. Ma Berlusconi ha scelto Feltri per dirigere il giornale della sua famiglia per attaccare tutta la stampa indipendente". Il francese Le Monde pubblica oggi un pezzo dal titolo "Le scappatelle di Berlusconi imbarazzano la Chiesa e il Vaticano". Le dimissioni di Boffo vengono considerate una "prima vittoria del clan di Berlusconi nel conflitto in corso", scrive il quotidiano francese che ha intervistato anche il vaticanista di Repubblica Marco Politi. "Una parte della Chiesa non nasconde più il suo imbarazzo", continua il giornale che nota come la "moralità" del Cavaliere non sia l'unico punto di scontro. Anche la politica del governo sull'immigrazione, con la creazione del reato di clandestinità, ha provocato l'ira delle gerarchie ecclesiastiche". (La Repubblica)

"Il nostro governo costituisce un serio problema per le libertà civili e l'ordine democratico del nostro paese. E come si è avuto modo di toccare con mano in questi giorni, esso costituisce un serio problema per l'Europa e i fondamenti di libertà sui quali è nata e si fonda l'Unione Europea.L'hubrys dominandi sembra rendere il nostro premier incapace perfino di comprendere il senso del limite e della limitazione. Il fatto preoccupante è che nessun contenimento tradizionale del potere sembra efficace abbastanza. La ragione di questa inefficacia non sta nelle strategie costituzionali, che sono chiare e ottime, ma in un fattore che è culturale e per questo difficile da modificare o contenere. Per dirla in parole povere, i contrappesi costituzionali e ogni azione di contenimento di carattere giuridico e istituzionale funzionano soltanto e fino a quando c'è da parte di chi governa la volontà di rispettarli, fino a quando cioè la costituzione formale e quella materiale coincidono. È proprio questa coincidenza che oggi si è spezzata cosicché alla costituzione scritta, come ha messo in evidenza più volte Gustavo Zagrebelsky, se ne è come sovrapposta un'altra, quella che si riflette nelle leggi, nelle politiche e nei comportamenti del governo e del suo leader. La regola che governa il nostro paese è funzionale a uno scopo molto semplice nella sua brutalità: conservare il potere ed esercitarlo per il bene e l'interesse di chi lo esercita. Qui sta il vulnus dispotico del quale soffre la democrazia italiana oggi.Certo, si tratta di un vulnus che gode della maggioranza dei voti degli italiani; ma è bene essere consapevoli che quello che la maggioranza esercita non è un potere innocente, perché è stato costruito affidandosi in larga parte all'uso spregiudicato e poi al dominio diretto e incontrastato dei media. Ieri Berlusconi ha attaccato l'informazione nel suo complesso: ma quante sono le reti televisive e le testate libere in Italia?Per questa ragione è fuorviante parlare di tirannia della maggioranza, perché, come ben compresero i liberali ottocenteschi, in un governo rappresentativo è sempre e comunque una minoranza a tenere le fila del potere della parola. Questo vale in maniera spropositata nella nostra democrazia, dove il rischio alle libertà civili primarie - in primis quella della libera formazione e manifestazione delle idee - - viene dai pochi, i molti essendo uno strumento di sostegno passivo. I cittadini sono ridotti a semplici spettatori con l'aggravante che lo spettacolo al quale assistono è scientemente manipolato e decurtato. Gli italiani - quell'80% che si affida alla televisione per informarsi - vivono come in uno stato di autarchia mediatica, chiusi al mondo del loro paese e a quello che del loro paese il mondo pensa e scrive. Questa è la situazione gravissima nella quale ci troviamo.Il premier considera e tratta l'Italia come il suo cortile di casa: con collaboratori domestici o addomesticati che si preoccupano di allontanare da lui ogni sospetto di dissenso, che confezionano notizie con lo scopo di nascondere la verità ai cittadini e passano leggi per accomodare il diritto alle necessità del premier; con intrattenitori e intrattenitrici che rallegrano la sua vita; con ministri che come visir sfornano politiche che falcidiano la cosa pubblica, dalla scuola alla sanità, e dirottano risorse non si sa bene dove e per fare cosa.Perché tutto questo si tenga il dissenso deve essere azzerato con tutti i mezzi: dal mercato alle strategie intimidatorie. L'obiettivo è terrorizzare e ridurre al silenzio chi pensa liberamente per infine circondarsi di yes-men e yes-women. Che sia un segno di impotenza invece che di forza è evidente, tuttavia per chi tiene ai diritti e alla libertà gli effetti di questo potere di dominio sono disastrosi. Ora, non c'è da dubitare che il Pdl ospiti molti liberali, persone convinte che i diritti di libertà siano un bene prezioso che non può essere sacrificato a nessuna maggioranza - come possono questi liberali restare in silenzio? Come possono non comprendere che nella nostra Costituzione scritta è anche la loro sicurezza? Si usa dire che le costituzioni sono scritte quando il popolo è sobrio e pensando all'eventualità che potrebbe non esserlo sempre. I liberali hanno voluto legare la volontà della maggioranza con le costituzioni perché sono pessimisti abbastanza da non escludere che si possano formare maggioranze non sobrie che traghettino il paese verso acque pericolose. I liberali tutti non possono non vedere che l'Italia si trova oggi a navigare in un mare in tempesta, battuta da un lato da pericolose ondate di razzismo e intolleranza e dall'altro da un leader che ha in disprezzo i diritti fondamentali. L'attacco frontale a Repubblica, quello subdolo all'Avvenire, la critica durissima alla stampa estera - e l'ultima accusa al sistema informativo tout court - costituiscono un pericolo che nessun liberale serio può sottovalutare.Le strategie di difesa contro questo esorbitante potere sono molteplici.
In primo luogo è urgente che l'opposizione di scrolli dal torpore delle sue solipsistiche diatribe che ne paralizzano l'azione politica e si faccia promotrice di un coerente discorso politico alternativo che rimetta in moto un movimento civile di opinione che chieda a voce alta verità e giustizia, che sappia riportare i cittadini nell'agorà pubblica;
in secondo luogo vanno usati tutti gli strumenti giuridici di cui il nostro Stato e l'Ue dispongono: portare il caso italiano davanti al parlamento europeo propone Gianni Vattimo, ma si dovrebbe anche aggiungere, rivolgersi direttamente alla Corte Europea dei Diritti;
in fine, mettere in moto tutti gli strumenti dei quali l'opinione politica libera può disporre, e visto che non pare facile strappare il bavaglio imposto dalle televisioni nazionali, occorrerebbe attivare una rete di controinformazione tramite il web, i giornali, le associazioni della società civile, i movimenti. Ci troviamo in una condizione di emergenza e di eccezionale rischio. E' la nostra dignità di cittadini che deve essere riscattata da questo clima di docilità e servizievole sudditanza. Ed è la nostra Costituzione scritta che ci legittima a fare quello che dobbiamo per difenderla". (Nadia Urbinati)