venerdì 8 febbraio 2008

Viaggio in India.


Il viaggio a Nuova Delhi, nel 1992, fu il primo e l'ultimo che feci in India. Ma con questa particolare realtà avevo a che fare già da una ventina d'anni quando m'imbattei, prima a Livorno e poi a Roma, con il satguru, cioè il maestro della verità, ovvero guru maharaji, o meglio prem pal singh rawat, il cosiddetto guru bambino, poi diventato grande, con tanto di villa a Malibu, in California, e una moglie americana ex-hostess e centinaia di migliaia di seguaci in tutto il mondo, soprattutto in India naturalmente. Probabilmente una figura ai più sconosciuta perchè la tendenza del guru bambino è quella di tenire un profilo basso e di farsi conoscere con il passaparola. Un personaggio carismatico che ha condizionato una parte della mia vita. Di sicuro mi ha insegnato a stare con me stesso e mi ha fatto girare il mondo.
Pilota di aereo (ne possiede uno insieme ad un elicottero), maharaji arrivò in Europa da un piccolo paesino dell'India del Nord senza una lira e accompagnato da alcuni discepoli. Aveva ereditato dal padre la qualifica di maestro della verità e, nonostante la madre e i fratelli maggiori non fossero d'accordo, a tredici anni sbarcò in Inghilterra e poi in America, dove ci restò. Parlava, e parla, della conoscenza di se stessi attraverso una meditazione basata su quattro aspetti fondamentali, la dedizione totale al satguru e la propagazione del messaggio del satguru. In Occidente, inzialmente, era seguito per lo più da hippies, ex hippies, figli di papà, drogati, persi all'ultimo stadio ed anche a tanta gente delle più diverse esperienze ed estrazioni. In India, invece, aveva un largo seguito un po' in tutti gli strati sociali. Venerato come un dio, sapeva parlare al cuore della persona e avevo il dono della grazia. Devo ancora riconoscere, a tutt'oggi che non condivido più questo insegnamento, che era ed è una persona molto particolare e che, se non fosse per molti aspetti degenerativi che ruotavano intorno a lui, ascoltarlo e stare con lui sarebbe sempre una magnifica occasione di vita. Ma fare il discepolo e seguire qualcuno non è mai stato il mio forte e lo ho fatto sempre con tante riserve.
L'ho seguito, a fasi alterne e nella massima libertà, anche se con condizionamenti indiretti e piccole e grandi crisi di disorientamento personale, dai 19 anni, appena dopo la fine del liceo scientifico, fino ai 48. Fino ai 40, single e senza troppi legami, ho girato il mondo per poterlo ascoltare e vederlo, fino a quando ho deciso di trasferirmi in Costa d'Avorio, dove ero arrivato proprio seguendo lui.
In India alloggiavamo in un enorme campo pieno di tende ben organizzate. A fronte di poche centinaia di europei, arrivavano a frotte centinaia di bus stracarichi di indiani, anche gente poverissima che aveva viaggiato per settimane per vedere il satguru, magare dopo anni che non lo vedeva, alzando un polverone rosso che oscurava anche la luce del pieno giorno. All'interno del campo Maharaji aveva una splendida residenza e durante la permanenza teneva discorsi e dava la cosiddetta conoscenza in diverse ore della giornata. Ebbi anche l'occasione di partecipare alla festa dei colori, dove il satguru, con un cannoncino tipo quello delle navi, inondava i suoi seguaci di acqua colorata divertendosi un mondo.
In genere, dopo un incontro con lui in qualsiasi parte del mondo fosse, ce ne tornavamo beati e felici alle nostre case. Ma la gioia - una gioia molto intensa e particolare - durava qualche settimana e, se non si alimentava con un'intensa meditazione e un'assidua partecipazione alle attività del maestro perfetto, scemava fino a farti ripiombare nei più cupi pensieri, in una vita quotidiana ormai avulsa dal sociale e disinteressata da quello che ti succedeva intorno. Allora, per non sentirsi vuoti come un guscio di noci, bisognava tornare a vederlo di nuovo per ritornare in quello stato d'estasi e di grazia sconosciuta a noi occidentali, un po' simile alle caratteristiche di un vero innamoramento. Insomma, una scelta particolare per una vita particolare, che per molte persone continua ancora su una strada tracciata solo dal divino maestro vivente, che non si rifaceva a nesuno scritto se non che alle sue meditazioni. Per la maggior parte della gente e per le religioni tradizionali eravamo parte di una vera e propria setta. Anche mia madre, bigotta incallita della religione cattollica, la pensava così, tanto che a vent'anni mi portò addirittura, per fortuna senza successo, da un'esorcista famoso, un certo padre candido, che a me sembrava un matto. Per fortuna non facevano niente di male a nessuno se non ai noi stessi e alle nostre tasche.
Fu questo l'unico mio viaggio in India.

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