venerdì 22 febbraio 2008

No, caro Veltroni, quella che descrivi non è l'Africa. E il Dio malato vive solo nell'ipocrisia dell'Occidente


Questo articolo che segue è ispirato ad un libro di Walter Veltroni sull'Africa, "I mille volti dell'Africa" diventato al cinema "Forse Dio è malato", che è esattamente la rappresentazione di quello che l'Africa non è. Come se l'Italia fosse stata decritta con i cumuli di immondizia a Napoli, la violenza negli stadi, le uccisioni di mafia e camorra, i malati dei tumori e il cerume televisivo. Quanto descritto nel libro di Veltroni, dopo brevi viaggi touch and go e poi messo nel film, è disinformazione pura piena di stereotipi che danneggia l'Africa. Ecco qui di seguito il testo dei soliti ridicoli africanisti di passaggio. Quanto descritto non è l'Africa ma la nostra rappresentazione di quello che crediamo sia questo splendido Continente.

"I mille volti dell'Africa. Il bambino che passa le giornate a cercare ferro in una discarica, e il cui unico gioco sono un paio di barattoli usati come trampoli. Le donne sieropositive o malate di aids che scrivono i Memory book per i loro figli, nel caso la morte le strappasse agli affetti. I ragazzini angolani seviziati e spesso uccisi dai loro stessi familiari, perché accusati di essere posseduti dal demonio. Le lacrime che riempiono gli occhi di un piccolo orfano, mentre racconta come la madre lo abbia abbandonato. Se Forse Dio è malato fosse solo un film (o, meglio, un docufilm) basterebbero queste immagini, queste voci, questi volti a descriverlo. Ma la pellicola, diretta da Franco Brogi Taviani, è diventata anche qualcos'altro. Qualcosa che riguarda molto da vicino la politica italiana. Visto che l'opera, in uscita nelle nostre sale, è liberamente ispirata all'omonimo libro (edizioni Bur-Rizzoli) che Walter Veltroni ha dedicato alle tragedie e ai desideri degli africani. E allora, nel pieno di una campagna elettorale ancora tutta da giocare, la faccenda si complica. Condannando il prodotto cinematografico a una doppia anomalia: eccesso di visibilità, vista l'associazione col candidato premier del Pd; e assoluta clandestinità televisiva, viste le rigide regole della par condicio. E così, alla presentazione ufficiale di questa mattina, il regista (specialista in documentari, nonché fratello di Paolo e Vittorio Taviani) e la produttrice, Grazia Volpi, non nascondono il loro fastidio: "Abbiamo girato Forse è dio è malato quando Veltroni era solo il sindaco di Roma - racconta Brogi Taviani - e non ci aspettavamo tutto il putiferio che ne è seguito... Sembra che lo abbiamo fatto apposta a uscire adesso, ma non è così. Anzi, la cosa ci dannaggia, dobbiamo rinunciare alle ospitate in tv a causa della par condicio... Ma io mi chiedo: l'Africa ha bisogno di par condicio? Forse avrei dovuto realizzare un film anche da un qualche libro di Berlusconi, così eravamo pari e potevamo presentarli tutti e due dappertutto!.
Interpellati sul perché non si sia deciso magari di posticipare l'uscita, vista la coincidenza con la campagna elettorale, la produttrice e i distributori dell'Istituto Luce spiegano che è stato già talmente difficile piazzare un documentario sull'Africa nelle sale, che pensare di annullare tutto sarebbe stata una follia. "E poi non dimentichiamo - sottolinea Grazia Volpi - che il governo è caduto solo poche settimane fa... la situazione è precipitata all'improvviso". E allora, comunque la pensiate (elettoralmente parlando), ecco a voi Forse dio è malato: docufilm di 90 minuti, punteggiato da una colonna sonora originale e molto bella (calzoni scritte da Giuliano Taviani e Carmelo Travia, e interpretati dalla giovane cantante africana Siya Makuzeni), con racconti in presa diretta - alternati ad alcune ricostruzioni fiction, ma su storie rigorosamente vere - di Angola, Mozambico, Uganda, Senegal, Camerun e Sudafrica. Priva della voce narrante fuori campo, e delle interviste di rito a personale delle ong e altri occidentali esperti della questione, la pellicola preferisce far parlare gli africani. Che di storie da raccontare, ovviamente, ne hanno tante. Alcune sono tratte direttamente dal libro di Veltroni, come quella del senegalese morto al quarto tentativo di raggiungere clandestinamente la Francia, e che dai suoi giovani connazionali e considerato un eroe; altre invece sono diverse. Alcuni temi trattati sono tristemente noti: i bambini soldato, la piaga dell'Aids. Altri sono meno conosciuti, come la piaga dei maltrattamenti ai bambini considerati stregati dal demonio. Il tutto raccontato senza ostentazione né pietismo. E senza ricerca dell'effetto facile: "Avrei potuto inserire scene ben più forti - racconta Brogi Taviani - ma al montaggio finale le ho tolte: non volevo fare alcuna concessione al trash. Del resto anche il libro mi aveva colpito per la sua mancanza di indulgenza". Toni sobri, insomma, sul grande schermo. Anche se in alcuni momenti è impossibile non commuoversi: come quando si vedono le donne sieropositive riunite in un'associazione di sostegno reciproco, che preparano i memory book - con foto, ricordi scritti, consigli - da lasciare ai figli in caso di morte. O quando si vedono i bimbi di uno sperduto villaggio che guardano rapiti Miracolo a Milano di De Sica, grazie alla tenacia di un gruppo di artisti itineranti, che portano il cinema all'aperto nei luoghi davvero dimenticati da Dio. Ma non così lontani come si potrebbe credere, come sottolinea il regista: "Guardando la scena della discarica, come non pensare ai rifiuti di Napoli?".

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