sabato 2 febbraio 2008

La mia Africa/5. Le strade per la Liberia

Siete mai stati in un Paese dove non esiste luce, acqua potabile, combustibile e derrate alimentari? Bastava andare in Liberia qualche anno fa, ai tempi della sanguinosa guerra civile voluta dall'ex presidente Charles Taylor, poi esiliato in Nigeria, prima che Weah rischiasse di divenire lui stesso presidente.
La Liberia è uno Stato artificiale voluto dai ricchi neri americani per tornare in maniera evoluta nella loro terra originaria. Ma è anche un territorio strategico per gli Usa per avere un piede in Africa. Un progetto che si è scontrato spesso con gli abitanti che già vivevano lì e che, in diversi periodi storici, ha portato a sanguinose diatribe all'africana.
Ai tempi del mio soggiorno in Costa d'Avorio, confinante proprio con la Liberia (subito dopo c'è la Sierra Leone e i due Paesi sono ricchi di diamanti), ci sono stato tre volte proprio ai tempi della guerra civile. In quel momento era una terra ormai in preda ai guerriglieri e e ai tristemente famosi soldati bambino.
La prima volta sono partito con un vizioso avventuriero italiano che dimorava a Grand Bassam in un intero albergo da lui affittato, un certo Aldo di Bari, che da 30 anni si spostava in Africa di Paese in Paese, soprattutto quelli in guerra o in procinto di fare la guerra, e si metteva a disposizione del guerrafondaio di turno per vendergli armi, suppellettili, aiuti e disponibilità di ogni tipo. Questa volta si era fatto amico Charles Taylor: lo aiutava a portare i soldi rubati fuori dalla Liberia e poi in Svizzera, arredava le case delle sue innumerevoli mogli e gli forniva quello che tutti gli negavano ufficialmente. Quando partii con questo signore ancora non sapevo con che tipo di personaggio avevo a che fare e lui, sapendo che ero un giornalista, mi propose di fare un filmato su Taylor e la Liberia, per riabilitare la sua figura a livello internazionale.
Il primi incontro con i guerriglieri liberiani fu con alcuni generali che venivano in Costa d'Avorio a godersi le loro ruberie e a vendersi i diamanti sottratti ai cercatori e che le compagnie occidentali e sudafricane ricercavano sottobanco. Per entrare in Liberia, infatti, c'era bisogno di copertura, perchè ormai. nel 1996, era terra di nessuno. Ottenuto una specie di lasciapassare e l'assicurazione che ci avrebbero scortato per attraversare illegalmente il fiume Cavally, al confine tra Costa d'Avorio e Liberia, partimmo con la Jeep di Aldo fino a San Pedro, secondo porto ivoriano famoso soprattutto per il trasporto di legna, dove pernottammo in un alberghetto tipico africano. Un primo viaggio era andato a vuoto ed avevamo dovuto tornare indietro, dopo ben 800 chilometri di viaggio. Questa seconda volta, invece, ci avventuranno su una chiatta sul fiume alle 4 del pomeriggio e attraversammo illegalmente la frontiera, tra coccodrilli e scimmie, scortati dai due pseudo generali di 30 anni e una trentina di ragazzi soldato armati alla bene e meglio. Dovevamo andare a vedere una piantagione di gomma che la Firestone aveva abbandonato per via della guerriglia, perchè il nostro amico avventuriero voleva trovare un compratore per lo stesso Taylor.
Arrivati sull'altra sponda del fiume, ci imbarcammo tutti su tre fuoristrada Toyota con ognuno una trentina di persone a bordo, non prima di aver convinto a suon di dollari americani i guerriglieri sul posto a farci andare. Attraverso delle piste con buche anche di 20 centimetri arrivammo ad un intero paese, con ferrovie e strutture della Firestone, ora completamente abbandonato, che prima produceva, tirandolo dagli alberi fino a farne un copertone, le famose gomme della società americana. Accatastate qua e là giacevano tonnellate di gomma abbandonata e bruciata dal sole africano. Aldo la guardò senza dire niente (se avesse detto che la merce non era buona rischiavamo di essere uccici!?!) e poi ci recammo in un città lì vicino, stile "Apocalypse now", dove non c'era più niente e giravamo solo gueriglieri armati. Donne e bambini si erano nascosti nella giungla. Tornammo in Costa d'Avorio a mezzanotte, stremati, riattraversando il fiume, sani e salvi comunque.
La seconda volta ci andammo con un aereo scassato che atterrò sulla pista di Monrovia, la capitale liberiana, in mezzo ad un vero e proprio mercato di polli. Alloggiammo all'Holiday Inn di un libanese, con la luce 4 ore al giorno gestita con un gruppo elettrogeno. Vedemmo il presidente Taylor non so per quali altri traffici sottobanco e contrattammo per l'acquisto di un grande albergo crivellato di proiettili, in attesa di una futura ricostruzione.
La terza volta andammo in macchina portando in dono a Taylor un camioncino acquisato all'ambasciata americana di Abidjan, da quegli stessi americani che Taylor combatteva a Monrovia, rintanati al Mamba Point, dove risiedavano insieme ad alcuni gruppi delle Nazioni Unite, con le jeep tutte nuove e in alloggi da cinque stelle. Facemmo un viaggio di 2.000 chilometri: io guidava la Jeep e lui il camioncino, insieme ad una ventina di guerriglieri. Le poche macchina che incrociavamo camminavano sul ferro delle ruote e le strade erano tutte piene di solchi. Con noi portammo anche il mio meccanico, che tremava come una foglia perchè pensava che l'avremmo lasciato lì dopo che mi aveva rubato circa 4.000 euro. Alloggiammo in un motel-fast food tenuto da uno svedese ed una liberiana, vicino ad un check point e in tempo di coprifuoco. Il mio amico Aldo oramai aveva capito che non avevamo più niente da dirci. Provò a lasciarmi marcire a Monrovia ma lo convinse a riportarmi indietro in Costa d'Avorio.
Fu l'ultima volta che misi piede in Liberia.

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