martedì 9 settembre 2014

In ricordo di Duccio



Quinta A-Liceo "Camillo Cavour"-Roma-1974/1975). Da sinistra in basso, guardando la foto:
Braguglia, Ronga, ?, Esuperanzi, Beniamino Marchi, Fabio Ughi, Mura, Salvatore Murru, prof. Rizzi (Scienze),?: nella seconda fila, alternati; Gianfranco Serani, Di Giulio, Palombi, Leante, Salvatore Figuccia, Carboni, Mario Agostini detto Benedetto, Maurizio Tomatis, De Vincentis, Marini, Francesco Giannelli, Roberto Bagaglia, Luigi Martelli, Giuliano Milana; terza fila in alto, alternati: Maurizio Tomatis, ?, ?, ?, ?, Maldini, ?, ?, Antonio Brindisi, Domenico La Grotteria, Fabio Zaccaria, MarioTaddei, Duccio Chianese, Alessandro Segala


IN RICORDO DI DUCCIO


La bellezzza...

Di tanto in tanto sparisce qualcuno. Non si sa dove va. Restiamo noi, che scompariremo chissà dove. Che senso ha, a parte la contemplazione della bellezza?!? (Antonio Brindisi)Caro 


Duccio, ci manchi!


Giuliano, cari amici,

non so voi, ma io, che come la maggior parte di voi conoscevo Duccio da 43 anni, e mia moglie Amalia, che lo conosceva da 50!, non riusciamo a pensare ad altro. Stiamo assorti pensando alla nostra amicizia con Duccio e ogni tanto uno dei due esordisce:” Ti ricordi….; Ma povera Daniela…;Ma pensa a quei poveri ragazzi…;per fortuna sono ragazzi forti…..”.

Oggi ero in spiaggia, fissavo il mare e non mi riusciva di non pensare a Duccio e alla imponderabile differenza dei destini che vedevano in quel momento me sdraiato al sole e lui al buio per sempre. E pensare che il pace-maker ce l’ho io…..!

Nonostante i fatti della vita di ognuno, ed in particolare lo spostamento dei miei interessi lavorativi su Terni, abbiano fortemente ridotto le occasioni di incontro, condivido ciò che ha detto Massimo durante la cerimonia, e cioè che anche tre telefonate l’anno lasciavano comunque chiaro il senso di una amicizia che continuava immutata negli anni.
Tutti noi abbiamo tanti amici, ma il novero di quelli veramente cari (gli amici cosiddetti “del cuore”) è in genere molto ridotto. Non ho difficoltà a dire che Duccio per me era uno di questi e che quindi la sua improvvisa scomparsa mi ha colpito come forse non avrei nemmeno immaginato.

Avevo pensato di dire qualche parola durante la cerimonia. Chi mi conosce sa che sono per carattere un tipo che subisce e manifesta relativamente poco le proprie emozioni. Ebbene, in questa occasione non ce l’ho fatta; il groppo in gola non mi ha consentito di essere in grado di dire nulla.
Poi ci ha pensato Giuliano a chiamarci attorno a Duccio: che scherzo che mi hai fatto! Pensavo di scoppiare in un pianto dirotto. Mi sono trattenuto a stento, per poi uscire immediatamente dal tempietto perché non ce la facevo più. Non ritengo infatti bello essere lì sperando di poter confortare i familiari stretti e finire per rivelarsi più debole di loro.

Il pensiero va a tante situazioni e attimi di vita vissuti insieme e anche al rimpianto di non poter più riprendere una frequentazione  più assidua, cosa che sinceramente era sempre stata nei miei pensieri, quando avessimo finalmente raggiunto l’agognata pensione e avremmo avuto tutti più tempo per riprendere i nostri interessi:  forse sembrerà strano, ma questa constatazione di non  poter  più coltivare in futuro il rapporto di amicizia con Duccio è oggi un chiodo fisso che mi provoca indicibile tristezza.

Il mio compleanno sarà tra una settimana. In tutti questi anni Duccio non ha mai mancato (devo dire oggi, con rammarico, poco ricambiato da parte mia) di farmi la telefonata di auguri. Lunedì 8 settembre  prossimo già immagino il senso di vuoto nel pensare alla consueta  telefonata che purtroppo non arriverà mai più….

Penso a tutti i familiari: Iacopo, la cui somiglianza con Duccio è impressionante, la povera piccola Marta, Daniela, che mai avrebbe immaginato di dover riscrivere così  la sua vita, come ha detto durante la funzione, Raffaella, Giuliano, ma anche quei poveretti dei genitori. Vorrei essere vicino a tutti loro, ma purtroppo non sono affatto bravo in queste situazioni! Spero solo, come avete già sottolineato. Che almeno ieri mattina abbiano avuto chiara la dimostrazione dell’amore e dell’affetto che Duccio ha saputo meritarsi da parte di tutti.

Ma non può e non deve finire tutto così!
Sto pensando ripetutamente in questi giorni a vari episodi di vita passato con Duccio e vi faccio una proposta.
Ognuno di voi ricorderà qualcosa, qualche episodio significativo del rapporto con Duccio. Probabilmente qualcuno avrà qualche foto di momenti vissuti insieme. Perché ciascuno che abbia qualche cosa di questo tipo e abbia voglia di condividerla non la ritrova nella sua memoria, scrive qualcosa o ritrova qualche foto nei sui cassetti? Io mi propongo da “collettore” di questi pezzi di vita per arrivare a fare un piccolo ritratto di chi è stato Duccio agli occhi dei suoi compagni di scuola.
Che ne dite? Fatemi avere i vostri commenti e, se siete d’accordo, questo sarà un piccolo contributo a mantenere viva la memoria del nostro amico Duccio. Pensateci, e ne potremo parlare al prossimo incontro!

Vi abbraccio forte tutti! (Alessandro Segala)


Liceo Cavour…V anni dopo.

In questo liceo ci sono tornato cinque anni dopo. Da professore.
Pochi giorni dopo la laurea in matematica, Duccio ed io presentammo domande di supplenza a venti scuole di Roma. Ovviamente la prima scuola cui la presentammo fu il nostro liceo.
Dei nostri professori era rimasta solo la Rizzi mentre il preside era il gentile Gentili ben lungi da quella presenza ingombrante e austera del Cerocchi.

Ricordo ora che c’era anche don Carlo, sempre uguale, ma insegnava in altre classi.

Una mattina di novembre mia madre alle 7.30 rispose ad una telefonata inaspettata mentre io mi beavo ancora di un ozioso riposo.
Era il liceo Cavour, il preside che mi chiamò per una breve supplenza di matematica e fisica. Nulla mi faceva sospettare che sarebbe durata tutto l’anno.

Non sapevo come dovesse vestire un professore, erano passati gli anni 70 per cui andai inopinatamente in giacca e cravatta. Successivamente continuai a portare la giacca abolendo definitivamente la cravatta.
Chiamai Duccio, svegliandolo, chiedendogli se avessero chiamato anche lui ma lui mi disse di no. Pochi giorni dopo lo avrebbe chiamato il liceo classico Tasso, proprio nel suo periodo caldo di contestazioni antisemite.

Insomma andai a scuola, sempre con la mia Mini Minor blu che a breve mi avrebbe abbandonato e mi fu affidato il triennio della sezione B, la sezione dove noi maschi della sezione A andavamo a rapire, con discreti successi, le ragazze !!!
Ritrovai la Rizzi, cambiata nel carattere e nell’atteggiamento. Era cambiata perché forse era cambiata anche la sinistra. Gli studenti ne avevano il terrore, bocciava e rimandava come anni prima faceva la Proietti e anche l’Ayala.
La prima cosa che mi chiese fu : “Come sta Giuliano?”.
L’incubo di Giuliano si protrasse per tutto l’anno per cui fui costretto ad organizzare un paio di suoi interventi sul terremoto nella classe V B che devo dire era una classe piuttosto attenta e piena di presenze gradevoli…

Fu un bel periodo, anzi fantastico quasi paragonabile al tempo del liceo. Ero un professore sui generis però, mi preparavo le lezioni di matematica e fisica a casa con grande impegno ma a scuola sedevo sulla cattedra tanto che spesso i bidelli mi scambiavano per alunno e minacciavano di portarmi dal preside !!!
Ero coccolato da un paio di insegnanti donne più grandi di me ma essendo ancora ingenuo…
Spesso insieme al professore di disegno organizzavamo cene a casa sua insieme agli studenti di quinta e spesso anche partite di tennis il sabato.

La supplenza per una serie di circostanze molto fortunate durò fino a luglio, maturità compresa. Organizzai anche, per tutto il liceo, i corsi di recupero e di preparazione all’esame di maturità al pomeriggio ed il Cavour, anche per quest’anno, divenne la mia seconda casa.

L’esperienza più dura furono i consigli di classe e gli scrutini finali dove la Rizzi voleva convincermi a bocciature inopinate. Tenni duro, anche perché stranamente i ragazzi delle tre classi studiavano tutti, e nessuno venne rimandato per quell’anno né in matematica né in fisica.

I ragazzi erano diversi da come eravamo noi, gli anni ’80 stavano lasciando il segno ed il rock non era più quello nostro, c’era più disco e musica elettronica e palesai l’estinzione dei maglioni corti e dei pantaloni a zampa di elefante.

Dovevo finire in bellezza, quindi l’anno dopo smisi con l’insegnamento, dopo brevi periodi all’Augusto e all’Avogadro.


Ma il Cavour era tutta un’altra cosa. (Maurizio Tomatis, matematico)



Ps: prossime puntate :
·         La volta che Zaccaria venne stirato dalla classe IV A
·         Francia – Inghilterra, la sfida infinita


Grazie Duccio!

Ieri ho accompagnato un mio caro compagno di liceo al suo ultimo viaggio su questo pianeta. Si è spento all'improvviso mentre faceva una corsetta sul Lungotevere. Ho conosciuto i suoi due figli, i parenti, gli amici. Un mondo a me fino allora sconosciuto che mi ha dato un'idea più completa di Duccio. E' stata una cerimonia laica, semplice, con le sue musiche preferite e i ricordi di chi lo conosceva, anche quelli dei suoi vecchi compagni di scuola che ancora incontrava alla birreria 'Kandisky'. Una giornata che mi ha fatto riflettere, come fanno spesso i funerali, sulla vacuità della nostra esistenza.
Si scompare così, in un attimo, dopo pochi anni vissuti. La giovinezza senza memoria, la scuola, il lavoro, la famiglia, i figli, qualche viaggio, l'amore. E poi più niente.
Miliardi di morti ci hanno lasciati per i pochi che sono rimasti. Mi è sembrato in un attimo che questa vita è un sofffio, in cui facciamo poco e niente, nella quale ci viene dato il dono di contemplare la bellezza.
In genere, però, la passiamo a risolvere problematiche inutili e a scannarci tra di noi. (Antonio Brindisi)



Ciao Duccio. 

Con questo post voglio ricordare il mio amico e compagno di scuola Duccio Chianese. C'è il suo humour, semplice, che spesso non capivo. Non scorderò quando entrava in classe e noi tutti della quinta A del liceo scientifico 'Cavour' cantavamo "Duccio Chianese...Duccio Chianese", cantata a squarciagola soprattutto da Benedetto, che l'alternava ad 'Only You" della sua entrata ad effetto in classe. Eppoi le ultime rimpatriate nella sua casa in campagna, vicino Cecchina, la sua gentilezza, la sua calma, il suo avvicinarsi a tutto e tutti in punta di piedi. L'ultima volta che l'ho visto, oltre a leggerlo sino ad oggi su 'facebook', è alla birreria 'Kandisky' di Roberto, dove mi ha detto: "Non so più da che parte andare, se a destra o a sinistra", inteso con le elezioni europee. Poi sembrava preso da una sua trasferta in Calabria. Ciao Duccio, io non ti scorderò, e nemmeno i miei figli che ti hanno conosciuto nella casa di campagna dove facevi il vino con Giuliano, che aveva sposato tua sorella Raffaella, e ci eravamo abbuffati tutti insieme prima dell'esame di maturità... . (Antonio Brindisi)




Al Terminillo qualche anno fa. Da sinistra: Luigi Martelli, Alessandro Segala, Duccio Chianese, Fabio Ughi, Beniamino Marchi, Salvatore Figuccia, Gianfranco Serani, Giorgio Palombi


LA QUINTA A 

Quando arrivai al liceo 'Cavour' la prima cosa che feci fu di andare a vedere quante ragazze c'erano nella mia classe. Purtroppo non ce n'era nessuna. La sezione A era formata solo da maschi. Ancora non sapevo che la terza A, fino alla quinta, non sarebbe stata divisa tra maschi e femmine, ma tra chi studiava francese e chi invece l'inglese, presupposto per infinite partite di calcio e calcetto in ogni spazio possibile...e di diatribe infinite.
Venivo da Pisa, dove avevo ripetuto la seconda liceo pur avendo solo la materia  di matematica da recuperare l'estate, e mi dovevo inserire in terza. Fui accolto bene, soprattutto dal gigante Di Romano, dopo che gli dissi che giocavo a pallavolo come alzatore. Poi lui, con Mayer e Massari, che aveva un alimentari in una traversa di piazza Vittorio, lasciarono la scuola. Abitavo a vicolo dei Chiodaroli, una piazzetta dietro Campo dei Fiori, sopra l'alimentari 'Roscioli' che ci  svegliava tutte le mattine alle cinque a causa del motorino del garzone. Ci abitavo con mia madre, che dopo sei anni era tornata dall'Africa dove faceva l'insegnante nell'ex Zaire, al confine con il Ruanda, e mio fratello maggiore Francesco, che faceva ragioneria alla scuola sottostante il mio nuovo liceo. Tutte le mattine, a piedi, dopo piazza Venezia, mi facevo metà di via dei Fori Imperiali e raggiungevo la scuola appena sopra al Colosseo contento di quella passeggiata. Dopo tre mesi ci trasferimmo in via dei Serpenti, a due passi dalla scuola. In quarta ci venivo invece con la corriera addirittura da Grottaferrata, a causa degli infiniti traslochi della mamma. Allora non capivo quanto fosse esclusivo quel liceo e quanto sarebbe rimasto nel cuore di tutti noi!
Eravamo nel 1972, quattro anni dopo il '68, con le piazze ancora calde della ribellione. I motivi della contestazione giovanili erano diversi. Nella società degli anni Sessanta si erano notevolmente diffusi il benessere e i modelli culturali e sociali dei Paesi industriali. L'insofferenza verso concezioni che si ritenevano superate si andava diffondendo tra i giovani, che protestavano contro le regole troppo rigide della società e soprattutto della scuola, contro il conformismo e l'ipocrisia, contro ogni forma di ingiustizia. I giovani chiedevano più libertà, più giustizia, più democrazia, più autonomia. La battaglia per i nuovi ideali di pace, solidarietà e partecipazione diede luogo anche a rivolte contro qualsiasi forma di autorità e ad azioni violente di gruppi estremisti.

In classe c'erano già dei capipopolo, come il Figuccia Salvatore e, l'anno successivo, Franco Iachini, recentemente scomparso, che della Russia aveva fatto il suo paradiso. Più moderato era il Salvatore Murru, ripetente perché non aveva assimilato bene il cambio dalla Sardegna a Roma, che poi divenne il nostro rappresentante di classe. Noi lo avevamo soprannominato 'il selvaggio', perché era scuro di pelle, bassino, con la testa grande e le gambe corte. Forse era questo che lo rendeva timido , soprattutto di fronte alle ragazze. Ma aveva un cuore grande e tanta positività e moderazione, e da subito iniziammo tutti ad apprezzarlo. Veniva da un paesino chiamato Urru e non ho più dimenticato il suo formaggio superconcentrato quando ci invitò a casa sua, a San Giovanni, in vista dell'esame di maturità. Una famiglia stupenda, la sua.Peccato, poi, negli anni, quel suo moraleggiare che da giovane appariva più equilibrato... .
Io, nel 1968, ero nell'ex Zaire, attuale Repubblica democratica del Congo, dove invece di fare la terza media alla scuola nel ghetto ebraico a Roma, avevo iniziato la scuola francese dai gesuiti a Kinshasa, unico bianco insieme ad un pachistanese e i figli dei ricchi notabili dell'allora presidente Mobutu. Questa esperienza deve avermi marcato perché più tardi ho sposato una donna africana da cui ho avuto tre figli, mentra la lingua francese era il mio passpartout per farmi aiutare dagli altri nelle materie in cui non eccellevo, soprattutto la matematica, che copiavamo con un metodo a 'x' che partiva dal bravissimo Segala e finiva ai più somari. Prima, dopo una nascita burrascosa, ero passato dalle diverse balie nelle campagne aretine e ciociare, fino ad approdare dalla prima elementare in arcigni collegi di suore e preti, in genere per orfani anche se io non lo ero, fino alla seconda liceo, che avevo dovuto fare due volte a Pisa, rinunciando ad una classe meravigliosa ed affiatattisma, che io avevo barattato andando in moto con il mio amico Tudini, bocciato anche lui (solo noi) invece di studiare nel collegio.pensione di Santa Caterina, dove il prete ministro mi sequestrava sempre le figurine pornografiche delle prime masturbazioni, alternate ad impossessarsi dei primi 33 giri rock nei supermercati pisani..
Il mio arrivo a Roma coincideva con i miei primi giorni con una mezza famiglia, quella di mia mamma Eliana, che essendo ragazza madre ne aveva vissute di tutti i colori e noi, io e mio fratello, ne avevamo pagatoperò  le conseguenze. Mio padre, che conobbi solo all'età di 18 anni, era napoletano ed aveva un'altra famiglia. Di me, sino ad oggi, non ne ha mai voluto sapere niente.Ma, suo malgrado, dovette accettare la paternità all'età di 80 anni, grazie al tribunale e alla scoperta del Dna.

 Il '68 ci era scivolato sopra, ma già assaporavamo il primo rock e blues di 'Bandiera gialla' di Arbore e Boncompagni.
La nostra classe era formata, per lo più, da ragazzi che provenivano dall'Appio-Tuscolano: Macrì, a cui rubavamo sempre la merenda e che stava al primo banco, basso e tarchiato, che oggi fa il ginecologo insieme a Ronga; Palombi, Tomatis, Marini, Zaccaria con il suo amore per Frank Zappa; Milana oggi ingegnere che sposerà la bella e giunonica Raffaella, sorella di Duccio Chianese, il più giovane della classe e che con il suo nome e cognome ci facevamo l'inno della classe, scomparso improvvisamente alla fine di agosto con il dolore di tutti noi; lo sgusciante Fabio Ughi, poi autore delle future rimpatriate, Mimmo La Grotteria con la sua 'Dear Prudence' e i suoi simpaticissimi genitori. Ma c'erano diversi cani sciolti. Uno ero io. Poi c'era Figuccia, che aveva frequentato il mio stesso collegio, il S.Maria d'Aquiro a piazza Capranica, ma in epoche diverse, ora sede distaccata di Montecitorio; Marco Di Giulio, che ci aveva anche lui lasciato prematuramente; il Murru, Iachini dal Molise (anche lui scomparso troppo presto), Alessandro Segala dal Celio dove il padre era medico militare e ora era dirigente di un'importantissima industria metallurgica, Maldini con il suo 'Motobi' che abbiamo perso di vista ma che cuccava niente male lì a piazza Re di Roma dove abitava (poi aveva sposato una delle tante turiste che aveva rimorchiato), Serani dal reatino Antrodoco e ora avvocato che ci parlava sempre della sua fidanzata che poi sposò, Mario Taddei che interveniva sempre all'ultimo minuto quando suonava la campanella per uscire e che ci lasciò per sempre e per sua scelta più tardi, Sopranzi con il suo negozio di casse da morto e la sua faccia butterata, Radicioni che dormiva sempre perché lavorava la notte e anche lui veniva dal collegio, Luigi Martelli che ci scordavamo sempre talmente era piccolo, Ronga che sembrava un fil di ferro storto, Carbone e le guerre di indipendenza vinte, Beniamino Marchi che veniva dal Testaccio con il tram 19 e faceva testo a parte... . In quarta si aggiunsero anche Mario Agostini, detto Benedetto, con il suo indimenticabile 'Only you' e 'Duccio Chianese' appena entrava in classe in ritardo, Francesco Giannelli calciatore e cantante, Roberto Bagaglia e De Vincentis. C'erano anche 'Le ultime lettere di Jacopo Ortis', quelle di Ugo Foscolo, perché le prime le 'avevamo già studiate...'. Alla quinta A, poi, si era aggiunta anhe una ragazza, Cinzia Tommasini, che era di un'altra classe ma stava sempre con noi e che poi scoprii era un po' innamorata di me, ma io non me ne ero reso conto..., soprattutto un giorno ad Anzio, nella casa dei suoi genitori al mare, e me ne dispiacque.
I professori meritano un capitolo a parte. Alcuni venivano dalla prima dove ne avevano falcidiati un bel po'. La più amata e rispettata, e anche guardata quando accavallava le gambe tra gli intersizi della cattedra stile Sharon Stone, era la Simona Proietti, insegnante di italiano, latino e storia. Una signora matura, bella e statuaria, che incuteva timore, ma sapeva far interessare alla sua materia come non poche. A parte il latino, soprattutto quando in quinta Murru dovette dirle che noi quella materia non interessava farla, di cui Beniamino Marchi spesso ne faceva le spese, come quella volta che la professoressa se ne uscì dicendo: "Bravo Marchi, sei uno dei pochi che non ha copiato la versione di latino. Chi fa da se fa per tre!". E prese tre. Mentre noi, che avevamo copiato e avevamo tutti la stessa versione, sei. E giù risate a più non posso. Altre risate scrosciarono quando a storia qualcuno chiese se avevamo fatto le tre guerre di indipendenza e Mario Carboni rispose: "Sì...e le abbiamo pure vinte!". Poi c'era la Tatti, di filosofia, che non faceva interessare nessuno e ci facevamo dei lunghi sonni. Ma poi filosofeggiavamo fuori dai cinema d'essai, come il 'Farnese', il 'Rialto' e il 'Nuovo Olimpia', dove addirittura presi la decisione di non andare più all'università dopo aver visto 'Nostra Signora dei turchi' di Carmelo Bene. Poi c'era quella di matematica, l'Ayala, ormai prossima alla pensione, che spiegava la materia in un siciliano stretto che la rendeva ancor di più incomprensibile. Per fortuna poi venne Loria, di Fisica, di cui però non ho il minimo ricordo. Ma, a parte la Proietti, che teneva sempre una certa distanza tra noi e lei, quello che poi si rivelò una vera scoperta per una buona parte della classe fu Franco Verroca, il professore di tecnica e arte se ricordo bene, ma anche un vero artista di un certo rilievo come poi scoprimmo in seguito, come scultore e pittore. Dopo il liceo, molti lo frequentarono anche personalmente e divenne per loro una specie di riferimento nella vita. come per Murru e Mura. Mentre la Rizzi, pur venendoci sempre incontro, non ci fece imparare molto di scienze. Liberati, poi, di educazione fisica, ci lasciava un po' fare quello che volevamo purché non esagerassimo: oltre la pallavolo, le memorabili sfide Francia-Inghilterra, a seconda della lingua che studiavamo. Poi c'era Don Carlo, l'insegnante di religione, a cui devo la mia passione per il giornalismo dopo che mi fece scrivere una recensione su 'Trash', un film americano sulla 'spazzatura' newyorkese. Esile e anziano, aveva nella voce ancora una forza positiva e sapeva interessarci mischiando il sacro con il profano.Ma della nostra classe forse l'unico rimasto cattolico era Serani, il resto eravamo per lo più molto realisti, soprattutto Duccio Chianese, come dimostrò il suo funerale laico.  Il preside era Pedrocchi o Petrocchi, signore vecchio stampo con cui il Figuccia spesso si scontrava, sia perchè leader dei giovani comunisti e delle assemblee e manifestazioni della scuola, sia perché faceva troppe assenze per andare a lavorare la notte e mantenersi agli studi.
Erano i tempi di Enrico Berlinguer e Aldo Moro, che poi sfociarono nel terrorismo delle Brigate Rosse, ma che per noi significavano già gli scontri tra destra e sinistra, con gli Alemanno e gli Storace picchiatori, e gli estremismi rossi di via dei Volsci. erano anche i tempi dei film di Bruce Lee. Erano tempi ricchi, pieni di speranze di cambiamento e di svecchiamento della classe borghese del boom del dopoguerra. Chi avrebbe immaginato allora che, dopo quarant'anni, ci saremo ritrovati nel mondo di cartapesta di Berlusconi e degli scout di Renzi? Tuitto quello a cui aspiravamo, nelle discussioni in classe e fuori dalla scuola, era un mondo migliore, con una ricchezza distribuita equamente, fuori dai condizionamenti della chiesa e della politica. Ognuno di noi, in fondo, aspirava a questo. A modo suo. 

Così il Figuccia militava nella Fgci, con Iachini; io giocavo a fare l'hippy e il figlio dei fiori, con i miei viaggi in autostop in giro per l'Europa durante l'estate, i pink floyd e pochi spinelli; Murru,Taddei e Serani, molto originali e a modo loro, così come tutti gli altri. Le lunghe discussioni in classe erano sempre per un mondo a misura di uomo e di donna, se Dio esisteva o meno, del perché ci trovavamo su questo pianeta, della nostra storia, dove andavamo. Ora, a distanza di quattro decenni, rivedendoci, probabilmente quei sogni e quelle aspirazioni sono stati traditi da una classe dirigente avida ed egoista, che non ha saputo rappresentare nessuno di noi. Ci siamo ritrovati a bere la birra al 'Kandiski' di Bagaglia senza che nessuno di noi abbia potuto influire più di tanto sulla realtà che ci circonda. Altri lo avevano fatto al posto nostro. E male. Il funerale di Duccio e la sua improvvisa ed inaspettata  scomparsa, a fine agosto del 2014 con Milana che ci annunciava una 'triste notizia', ci mise tutti di fronte alla realtà della vita. Anche noi saremmo scomparsi senza un perché, avendo la fortuna di vedere questa bellezza che si era dischiusa davanti a noi, i nostri figli, le nostre disillussioni. La scomparsa di Duccio sembrò ricompattarci, come se gli anni non fossero mai passati. Ognuni di noi aveva trovato allora il coraggio di esprimere le cose più intime di se stesso, senza più paura. Quella scomparsa, almeno a me, aveva rimesso le cose al loro posto rispetto alla vita. Anche se Duccio ci mancava eccome. Proprio lui con la sua mitezza e rispetto per la vita e per tutti. A volte c'eravamo incontrati anche al Terminillo, invitati da Serani, e qualche volta ci avevamo dormito. Duccio c'era sempre.
Il mondo, l'Italia, non erano migliorati. Forse solo per alcuni era andata bene, per i più scaltri, i più furbi, i privilegiati. Bussavano alle porte di un Occidente finto opulento decine di migliaia di 'poveri', che venivano respinti ad ondate successive. Nascevano islamisti fanatici desiderosi di vendicarsi dell'Occidente. Putin e la Russia rasentavano una terza guerra mondiale. Tre quarti della popolazione del pianeta viveva male, le loro terre erano sempre più inquinate. L'ideale comunista aveva fallito, a parte la Cina, ma il capitalismo non se la passava poi così bene. Andava bene per pochi e malissimo per tanti. Il pianeta sembrava in balìa di pochi potenti che detenevano le ricchezze di tutti. Non era il mondo migliore che avevamo sognato e per il quale ci eravamo impegnati con noi stessi.Chi stava bene era solo perché aveva di più. Fuori, non dentro di se.Alcuni di noi, compreso me, si erano avvicinati alla meditazione orientale: Figuccia allo zen, La Grotteria e Cinzia alle pratiche indiane. Io avevo già dato in gioventù. 
Non che non ci avessi provato a sapere del perché della mia esistenza. A modo mio. Alla ricerca spasmodica di me stesso, di 'un centro di gravità permanente', come recitava il brano di Battiato, subito dopo il liceo mi ritrovai a seguire una conoscenza interiore con un guru indiano, che condizionò non poco la mia vita. Figuccia, con il quale condividevo una camera vicino piazza delle Tartarughe, dove giocavamo a scopone, poker e tresette quasi tutte le notti, mi aveva messo in guardia. Ma seguii la mia strada. Tanti anni dopo, anche grazie alla lettura di un libro che gli avevo regalato, anche lui però intraprese la strada della meditazione interiore, quella zen però. E non dopo varie vicessitudini che gli avevano influenzato l'esistenza, portandolo da un forte impegno sociale ad uno più personale. Così come altri di noi, ho poi scoperto.
Il quarto e quinto liceo abitavo a Squarciarelli, a Grottaferrata, nei Castelli Romani. Una ventina di chilometri che mi crearono non pochi problemi nei miei rapporti e nei miei tempi. Mia madre decise l'ennesimo trasloco da via dei Serpenti, sotto il 'Cavour', fino a fuori porta. Per me fu un trauma, ma lei non se ne accorse nemmeno. Ogni mattina mi alzavo alle sei, mi facevo un'ora di pullman perché la metro A non esisteva, fino a S. Giovanni, dove prendevo l'87 fino al Colosseo. Al ritorno, idem al contrario. Arrivavo a casa alle 15.30 e non potevo uscire più con i miei amici, a meno di non rifarmi tutto il tragitto. La casa si trovava all'interno di un complesso locale paesano, carino, nuovo, grande, ma eri praticamente prigioniero e vicino non c'era niente. Solo più tardi feci delle amicizie, diverse da quelle di Roma, e che ancora resistono. In quei due anni di semisolitudine, quando non restavo a Roma ospite di qualche amico, dopo lo studio, mi divoravo libri su libri, da Dostojesky a Baudelaire, da Pirandello a Cechov. Mia madre tornava la sera stanca, dopo aver passato la giornata alla Selenia, sulla Tiburtina, dove faceva la segretaria del direttore perché sapeva le lingue. Partiva alle cinque del mattino, per evitare il traffico sul raccordo, già da allora, con una fiat 850 coupé blu con targa americana che gli aveva lasciato un suo amico ingegnere che, poi, una volta ottenuta la patente, io gli fregavo puntualmente fino a quando non mi fece la mia prima macchina, una Reanult 4 color carta da zucchero.
Per quei due anni di fine liceo mi ricordo ancora  una ragazza carina che saliva a Morena. Non ho mai avuto il coraggio di parlarci eppure ne ero praticamente ammaliato. Me la ricordo ancora. Una o due volte si sedette accanto a me, in quei due anni, ma non aprii mai bocca per dirgli qualcosa. Ero bloccato. Mi rassegnai a considerarlo un amore platonico fino a quando non la vidi insieme al suo ragazzo. Il pullman faceva tutta la Tuscolana, da Cinecittà fino a San Giovanni, dove aveva il capolinea dietro la statua di San Francesco. L'ultima corsa per il ritorno era alle 0,40. L'ho preso tante volte quando restavo a Roma, dopo la scuola, e arrivato all'ultima fermata, verso le una della notte, correvo a perdifiato nel buio, con il cuore in gola dalla paura, prima di arrivare a casa. 
In classe avevo legato subito con Salvatore Figuccia. Ci accomunava l'aver passato l'adolescenza nello stesso collegio, anche se in tempi diversi. Ma avevo legato anche con Salvatore Murru e Domenico La Grotteria. Poi anche con diversi altri, ma non con tutti. In realtà, fuori dalla scuola, frequentavo più assiduamente un altro gruppo di amici, quelli di piazza di Spagna, che studiavano tutti al 'De Merode' dell'esclusiva piazza ed erano per lo più figli di famiglie benestanti. Il motivo era che, quando andavo da mia nonna a Livorno o all'isola di Gorgona, c'era un ragazzo di Roma, Nando Pivano, figlio di Cenci, dell'omonimo negozio dietro al Parlamento, che aveva una zia nella stessa cittadina e la mamma ce lo parcheggiava d'estate. Ci eravamo conosciuti ad una gita sul lago di Garda e c'eravamo rincontrati per caso nella capitale, quando venni a Roma per la terza liceo. Così iniziammo a frequentarci e a diventare inseparabili. Ma ora, pur essendo mio testimone di nozze in Costa d'Avorio ed esserci frequentati fino ai 50 anni, per sua scelta non ci vediamo o sentiamo più. Così io frequenatavo anche i suoi amici e quasi tutti i pomeriggi buttavo i libri dentro casa, in terza liceo prima di andare a Grottaferrata, e me andavo a girovagare in moto con i miei amici danarosi di piazza di Spagna. Uno di loro, Tany, con cui andavo sempre seduto dietro alla sua Yamaha 125, era scomparso poco più che ventenne per una lucemia fulminante. Solo in tempi successivi iniziai una frequentazione più assidua con i ragazzi della sezione A. 
Ma dimenticavo Braguglia. Aveva un ferramenta sulla via Cavour, era grassottello e lo avevamo soprannominato 'amorfo', perché non era né carne nè pesce. Le sue opinioni variavano a seconda della convenienza. Era amico di tutti e di nessuno. La sua famiglia era benestante e lui un po' l'ostentava. Anche a scuola non andava né bene né male. Insomma era inafferrabile e faceva banda a se. Non era nè simpatico né antipatico. Era indefinibile. Ma aveva sempre delle ottime merende, molto ricche, che noi, quelli degli ultimi banchi affamati, puntualmente gli facevamo sparire... .
Dalla quarta in poi, quando la nostra classe fu completata con una parte della sezione 'I', cioè con Giannelli, Bagaglia, De Vincentis, Agostini e Carboni, ogni mattina Mario Agostini, detto Benedetto, oggi grande 'tombeur de femmes', entrava in ritardo in classe. Ma non era questo che ci colpiva, ma il fatto che, mentre eravamo già tutti seduti, lui spalancava l'anta della porta, batteva tre o quattro volte sul banco di Sopranzi ed intonava 'Only You'. Più tardi, durante la ricreazione o le pause tra un'ora e l'altra, si era inventato un altro inno nostrano: 'Duccio Chianese...Duccio Chianese...'. Allora non era così preso dalle ragazze. Lo abbiamo scoperto solo in età adulta, quando rivedendoci qualche anno fa a Frascati, dove abito, in un tinello porchetta e vino, lui venne da Marino, ma solo per qualche minuto in visita. Disse che era ai Castelli Romani e che aveva approfittato della scusa che vedeva i suoi vecchi compagni di scuola per incontrarsi con una delle sue conquiste. Erano quarant'anni che non ci vedevamo, ma ci fece piacere lo stesso. Poi, fino ad oggi, non l'ho più rivisto , fino a rivederci alla birreria di bagaglia . Da grande diceva che voleva fare il commissario, ma credo faccia oggi un altro lavoro, di tipo informatico.
Erano i tempi dei Beatles e dei Rolling Stones, dei Pink Floyd, dei Genesis e dei King Crimson. Di 'Blowing in the wind' di Bob Dylan. Dei Doors, dei Deppe Purple, dei Jethero Tull, dei Cream e di Bob Dyalan, della Premiata Forneria Marconi, di Fabrizio de André e anche dei Pooh, dell'"Avvelenata" e "La locomotiva" di Francesco Guccini. Gianni Boncompagni e Renzo Arbore avevano introdotto in Italia, con 'Bandiera Gialla' alla radio e poi 'L'altra domenica' in tv, la nuova musica che veniva dall'Inghilterra e dagli Usa. Dalla canzone melodica italiana, l'unica esistente fino al 1968, si passava al blues, alla musica rock e psichedelica. In classe io ero uno dei pochi a portare i capelli lunghi, poi ujn orecchino, a viaggiare in Europa in autostop e a sentire la nuova musica. Ma non ero il solo. Un po' tutti ci si stavano avvicinando. Zaccaria, per esempio, era un patito di Frank Zappa e altri gruppi strani di cui non ricordo il nome e, acor oggi, Fabio porta il pizzetto alla Frank, un grandissimo. Mimmo La Grotteria strimpellava sulla sua chitarra, nel sottoscala dove aveva la sua cameretta in via Collazia 27 all'Appio Tuscolano e dove la sua mamma ci preparava delle splendide melanzane alla parmigiana, 'Dear Prudence' ed altre melodie; anche Francesco Giannelli già strimpellava niente male, fino a diventare tenore oggi all'Opera di Roma, ora in seri problemi economici e sindacali per la malagestione, dopo essere passato nei vari localini notturni di Roma mantenendosi facendo l'infermiere. Credo anche Roberto Bagaglia, Beniamino Marchi e Salvatore Figuccia, che più tardi si convertì agli strumenti a fiato con un discreto successo, suonicchiavano niente male. E anche diversi altri della sezione A che frequentavo meno assiduamente. Ai concerti in genere ci andavo con il mio amico Nando, che aveva un motorino '50 Morini e sul quale ancora non si portava il casco. Ma quante buche romane abbiamo preso e, in una vicino piazza Mazzini, ci siamo addirittura incastrati. In genere i concerti  erano al Palasport e il tragitto era lungo e a volte faceva freddo. Poi lui mi accompagnava alla fermata dei bus a San Giovanni, con l'ultima corsa per Grottaferrata alle 0,40, e correva via fino sulla Cassia. Ci vedemmo il 'Charisma Festival', con i travestimenti dei Genesis, i Deep Purple, i Black Sabbath e tanti altri. Il gruppo che amavamo di più era quello dei Pink Floyd, quello prima di 'Dark Side of the moon', come: 'Atom heart mother', Umma Gumma' ed altri. Non erano molti quelli che li ascoltavano e ci sentivamo un po' dei pionieri. Così come lo eravamo nelle letture poi del 'Signore degli Anelli' di Tolkien e di Castaneda. Erano anche i tempi di "io so", di Pasolini.
Dei miei compagni di classe quello con cui avevo legato di più era Salvatore Figuccia, Ci siamo visti fino ad oggi, ma fino ai 40 anni ci siamo frequentati con assiduità. Abbiamo anche abitato insieme. In classe era probabilmente il più preparato sotto il profilo umano ed intellettuale. Ma già allora doveva pensare anche a lavorare per procurarsi  i soldi per sopravvivere perché già in quarta aveva litigato al collegio e lo avevano messo per strada. Non aveva conosciuto i genitori, due attori di teatro siciliani, che erano deceduti prematuramente. Anche lui, come me, aveva girovogato da collegio a collegio, seguito dagli zii farmacisti in Eritrea, fino ad approdare al S.Maria in Aquiro, oggi sede degli accreditamenti per Montecitorio.  Spesso lavorava la notte ad attaccare manifesti della Cna, quelli dell'artigianato, insieme al Radicioni. E spesso venivano aggrediti dai fascisti di Alemanno e Storace. La mattina rimanevano a dormire o venivano a dormire in classe. Dopo il liceo c'ero andato anch'io. In una notte si guadagnava bene, ma si finiva all'alba pieni di colla. Ma era sempre meglio che andare a fare i manovali nei restauri al Foro Romano... . Il tempo di un cappuccino caldo con due cornetti e via a letto a ripigliarsi. Loro però stavano ancora in collegio e dovevano alzarsi. Così venivano a dormire in classe o da qualche amico. Quando era sveglio, pur studiando poco, interloquiva alla pari con la Proietti, l'Ayala, Don Carlo e il preside Petrocchi. Oppure era alla sezione dei giovani comunisti, con D'Alema  e Veltroni, o con Iachini,  ad erudirsi per crescere nel sociale ed organizzare manifestazioni fouri e dentro la scuola. Eppoi lui c'aveva già la ragazza, Giuliana, che poi sposò, Bella e innamoratissima di Salvatore, come lui lo era di lei. Anche se la loro storia non finì bene e si intrecciò con quella di mio fratello, scomparsi troppo giovani e tragicamente. Per Salvatore fu un trauma che gli ha condizionato tutta la vita. Ha prenotato un posto vicino a lei al cimitero del Verano.
Quando preparavamo la maturità scientifica Salvatore venne per qualche tempo a casa mia a Grottaferrata. Mi ricordo ancora le litigate con mia madre sulla religione e quante risate ci facemmo andando a vedere 'Frankestein junior' di Mel Brooks. Ora si è stabilito a Monterotondo, dopo essere passato per la casa di Bagaglia e quella di via Appia, dove vive di Borsa e di  Zen, e dopo essere passato per un'agenzia forografica e una piccola esperienza alla trattoria 'Dallo Stregone', in via della Maranella alla Casilina, dove avevo lavorato anch'io. Ma si stava preparando a trasferirsi vicino a Perugia, in campagna, accanto alla sua ultima compagna, la spagnola Begona, che si sposava con un altro. Lui faceva francese.
Beniamino Marchi abitava a piazza dell'Emporio, a Testaccio, proprio di fronte al ponte per andare a Porta Portese. Per venire al 'Cavour' prendeva il tram. Anche lui strimpellava la chitarra, ed aveva un difficile rapporto con il padre. In classe faceva test a se, era amico di tutti e di nessuno in particolare. Era molto ironico ed arrivava appena alla sufficienza in tutte le materie. Motivo delle discussioni a casa. Lui faceva inglese. Quando c'era da far casino c'era sempre e spesso si prendeva le sue responsabilità. Come al compito di latino, che per non voler copiare come avevamo fatto tutti noi dal Segalino col solito metodo ad x, si prese un bel tre. "Bravo Marchi - gli disse la professoressa di latino, Proietti - sei l'unico che non ha copiato. Chi fa da se fa per tre". E gli mise tre. Noi ci accontentammo di un sei fotocopiato con metodo ad 'x', ad iniziare dal 'Segalino', cioé Alessandro Segala, con controllo finale con ritorno sempre ad 'x' dal Milana, entrambi superbravi, simpatici ed altruisti verso noi asini. Dopo il liceo si prese la laurea in psicologia, alla facoltà della 'Sapienza' con sede a San Lorenzo, ed iniziò a lavorare ad un Centro di igiene mentale.Quando tornai dalla Costa d'Avorio, nel 2000, con moglie e tre figli e senza una lira, mi cedette gratuitamente la 'golf' del padre, appena deceduto, dove misi l'impianto a gas dal suo meccanico. Aveva comprato casa, a piano terra-primo piano al quartiere vicino via Libia, e qualche volta ci incontravamo. Aveva moglie e due figli. Io avevo trovato un lavoretto ad un'agenzia stampa in Corso Trieste. Prima di partire per l'Africa abitavo a Montesacro, vicino a viale Gottardo, dopo io stavo in affitto al 130 da due anni, in un seminterrato vicino alla Zecca. 
Gianfranco Serani era un altro cane sciolto, con tendenza alla sinistra cattolica come Taddei. I suoi interventi erano sempre originali, come quelli di Mario anche se troppo spesso prolissi e un po' noiosi, e sul filo dell'ora di uscita, quindi per noi interminabili. Famosa era la sua fidanzata di Antrodoco, in provincia di Rieti, che poi ha sposato e da cui ha avuto due figli. Ora fa l'avvocato e vincerà le cause per sfinimento del giudice. Anche lui aveva un bel caratterino e si scontrava spesso con l'ala comunista della classe, tipo Figuccia e Iachini. Era molto legato all'insegnante di religione, Don Carlo, e il suo pensiero era intriso di credenze d'oltretevere. Dopo quarant'anni, una domenica che ci incontrammo alla casa in campagna di Duccio Chianese, vicino Cecchina, Salvatore Figuccia e Gianfranco Serani ripresero le loro infinite discussioni sulla politica italiana e dell'al di là. A volte gli interventi erano così accesi che si arrivava quasi alle mani. Noi ci addormentavamo sui banchi sperando che finisse al più presto. 
Domenico La Grotteria viveva in un piccolo appartamento al pianoterra di via Collazia 27, all'Appio-Tuscolano. Si era ricavato una cameretta nel sottoscala, dove a volte studiavamo insieme e poi lui strimpellava un po' la chitarra, e anche bene. Tanto che ancora oggi rimpiange un po' di non aver continuato in un conservatorio. Dopo il liceo, invece, si iscrisse a geologia, dove incontrò anche il mio ex amico Nando, ma entrambi non continuarono. Mimmo, così lo chiamavamo tutti, trovò presto lavoro alla carta di credito 'Diners', dietro piazza Cavour, e si sposò con Maria. L'aveva conosciuta nella famosa gita dopo la maturità fatta in cinquecento con Marchi e Murru, fino alla più remota Calabria, di cui era originario. Ancor oggi si ricorda il caffé della nonna con il sale. Piaceva alle ragazze, ma ne era anche un po' vittima. Venne qualche volta a casa mia per la maturità ed fece delle lezioni di chitarra ai miei amici di Squarciarelli. Oggi si è avvicinato alle religioni indiane. 
Salvatore Murru lo trovai in terza dopo che era stato bocciato l'anno prima. L'anno precedente, probabilmente, non aveva retto il colpo del cambiamento dalla Sardegna a Roma, dove il padre si era trasferito con tutta la famiglia: 7 persone, con tre fratelli e due sorelle, insediatesi al quartiere San Giovanni. Con lui mi sembra aveva ripetuto anche Mura. Lo nominammo rappresentante di classe per il suo equilibrio e la sua maturità. Un carattere positivo, calmo, saggio, tendente però allo status quo e alla dinamiche tipiche italiane. Comunque, era stimato da tutti, anche dai professori, ed era amico un po' di tutti, soprattutto del Figuccia, di cui era diventato anche parente dopo la convivenza con Enza Biancogino, sorella di Giuliana, la moglie di Figuccia. Poi si erano lasciati e lui non l'aveva presa bene. Anzi, penso ne soffrì molto anche se non lo lasciava trasparire. A tuutt'oggi non si è sposato, dopo aver comprato casa vicino piazza Zama. Conobbe anche alcuni miei amici, come Nando, con i quali giocavamo a carte. Lui li vede ancora, io no. Dopo il liceo si era iscritto ad agraria, a Perugia, e si era laureato facendosi altri amici laggiù. Era un grande ammiratore del professor Verroca, che considerava un po' un suo maestro, insieme a pochi altri della nostra classe e della precedente che aveva frequentato. Fino ad oggi ha lavorato nella Federazione degli allevatori e in altri enti pubblici simili. Qualche anno dopo il liceo mi trovò anche un lavoretto alla Fiera di Roma, dove il suo capo era responsabile, sempre per nomine legate alla politica. Ci lavorai tre mesi l'estate, come consegnatario, ma sembra che il suo capo non ne fu contento, tanto che Salvatore poi mi fece anche una specie di romanzina, come se avessi tradito la sua fiducia o lo avessi messo in cattiva luce, e ogni volta che gli parlavo della necessità di un lavoretto faceva ormai finta di niente. A me non sembrava di aver fatto niente di negativo. Certo non è che per quel lavoretto avessi fatto i salti di gioia e non ero abituato a servire nessuno. Siamo rimasti amici fino ad oggi, ma negli ultimi tempi i nostri rapporti si sono affievoliti ed ho sentito una certa freddezza nei miei confronti, come se mi venisse rimproverato qualcosa che io non capivo. Una sensazione che provavo anche per altre relazioni una volta più aperte e sincere. Si vedeva molto con Figuccia e Marchi e anche di recente avevano trascorso le vacanze insieme al lago di Garda, a Malcesine, dove Mino aveva ereditato dall'arcigno padre una bella casa. Forse un giorno inviterà anche me che in qei posti ci avevo fatto un bellissimo campeggio con i miei amici di Santa Giulia a Livorno.
A quel tempo la mia aspettativa di vita non superava i 40 anni. Se fossi arrivato al 1995 sarebbe già stato un bel traguardo. Magari anche al 2001, sperando che sarebbe stata un'epoca da odissea nello spazio, come nel film di Kubrick, che insieme al 'dottor Stranamore' e ad  'Arancia meccanica', avevano fatto da capisaldo delle nostre pene e speranze. Dopo si iniziava ad invecchiare e la vita poteva essere pesante. Forse per questo ero stato più una cicala che una formica. Invece ero addirittura arrivato a quasi sessant'anni, con moglie e tre figli. Ma tante speranze erano state deluse, la vecchiaia si intravedeva dura, la fine di un'esistenza si avvicinava inesorabile, senza che i nostri discorsi filosofici ci avessero portato una risposta. Ora ci ritrovavamo solo per ricordare quei tempi fiduciosi. Ognuno era diventato qualcosa o era diventato qualcuno, aveva generato, ma in fondo non era successo nulla. Perché quella risposta alla nostra esistenza che avevamo tentato era fallita. Mi apprestavo così, ci apprestavamo così alla discesa nel non conosciuto, forse l'annientamento definitivo, forse un'altra vita, forse una reincarnazione... . Io non vedevo nulla. Ma avremo avuto il coraggio di parlarne tra noi, di confrontarci come allora sulle nostre vite e le nostre morti? Questi anni, quelli tra la fine del liceo e l'oggi, erano passati. Non era successo nulla di speciale, in fondo. Fu la prematura ed improvvisa morte di Duccio a riaprire questi scenari da discorsi adolescienziali. Avevo provato ad iscrivermi all'università, senza successo, dopo aver scoperto che il libro di diritto era troppo difficile da digerire. Avevo temporreggiato fino ai 25 anni, tra l'anno della leva forzata ad Albenga e Milano, più sei mesi imbucato a Livorno grazie alla raccomandazione che mia nonna labronica era riuscita a strappare al democristiano Lucchesi, prima di un ultimo gesto sul treno che da Milano mi portava a Roma che per fortuna non feci. Una notte di guardia a Seveso mi aveva distrutto. Poi, un anno a Fiumicino come impiegato in una agenzia di trasporti aerea, la Jet Air Service, dalla quale mi ero licenziato per disperazione; un un anno a Morena, a sud di Roma, in una specie di comune nell'ambito della mia ricerca spirituale indiana; poi la morte voluta di mio fratello, il ritorno a casa ai Castelli Romani, le care e semplici amicizie grottaferratesi a cui ero tornato di recente; tanti piccole lavoretti, dai mercatini ai manifesti; il lavoro all'agenzia immobiliare frascatana ed, infine, dopo un fallito concorso al ministero degli esteri come cancelliere, la scelta: fare il giornalista. Un tuttologo, un po' di tutto e un po' di niente, con la speranza in futuro di fare l'inviato all'estero in un giornale importante. Quindi, il primo approccio con un giornale di grido come il romano 'Il Messaggero', l'esame come giornalista professionista. Poi, nel 1994, la scelta di trasferirmi in Costa d'Avorio, il ritorno nel 2000 e ora l'oblio nella quasi miseria. In fondo, avevo fallito, ma non avevo rimpianti. Anche l'isola di Gorgona, dove avevo i miei affetti più cari, mi era stata addirittura preclusa da un Stato kafkiano di incapaci. Quali sarebbero stati  miei futuri anni nel continuo bisogno di denaro, senza certezze, con il corpo che rallentava. Mi svegliavo nel panico, ma il pensiero del sostentamento della famiglia mi spingeva comunque ad andare avanti.
Quello che mi dispiaceva era di non aver potuto mettere a frutto le mie conoscenze linguistiche, le mie esperienze all'estero, la mia capacità relazionale, il sentirmi cittadino del mondo. Guardavo perplesso e disgustato i miei rappresentanti nello Stato e nelle istituzioni: vedevo gente impreparata ed incolta, che doveva parlare anche per me, avere poco o niente delle mie conoscenze. Un'informazione di pessima qualità, asservita e lottizzata. Vedevo inviati e politici trattare questioni importanti quando apparivano ai miei occhi delle mezze calzette. Un sistema, quello italiano, che privilegiava l'appartenenza e non il merito. Una religione che che da millenni influenzava la nostra vita su credenze a dir poco folli. Guardavo stupito l'ignoranza dominante ed ero inerme perché privo di un'indipendenza economica che mi limitava, fino a ridurmi alla fame... .
Alessandro Segala era, insieme al Milana e forse qualche altro, il più bravo della classe. Non lo era solo nello studio e nell'apprendimento, ma lo era un po' in tutto. Era quel tipo di ragazzo, e oggi uomo con moglie e una figlia, che si vorrebbe come figlio, fratello ed amico. Il suo tratto caratteristico che lo rendeva unico era la disponibilità, verso tutti e tutto indistintamente. Era stimato dai vari insegnanti per il suo studio e la sua comprensione, ma era anche stimato dai suoi compagni perché aiutava quelli in difficoltà. E voleva anche lui far parte dei giochi della classe, fuori e dentro la scuola. Probabilmente non avrei superato la maturità scientifica se non mi avesse aiutato costantemente nei compiti in classe di matematica e latino. Io lo aiutavo un po' in francese, ma non che ne avesse veramente bisogno. Forse era un modo per bilanciare e condividere con noi la sua intelligenza e la sua bontà. Non si poteva dire che fosse un bel ragazzo, con quel suo naso ad aquila che lo contraddistingueva. Ma il suo aspetto fisico sembrava non avesse una grande importanza. Contava la sua presenza e la sua positività. Lui stava nel banco davanti al mio, ma a sinistra, mentre io a destra contro il muro in fondo, tanto che da dietro potevo facilmente sbirciare i suoi compiti, che lui stesso metteva in bella mostra perché io potessi aiutarmi. Non perché fossimo particolarmente amici: lo avrebbe fatto con chiunque glielo avesse chiesto. Si fece in quattro per aiutare Figuccia nella fase della visita ala leva obbligatoria, coinvolgendo anche il padre, medico militare al Celio, così, senza nessun interesse o particolare amicizia, ma solo perché poteva fare qualcosa per un'altra persona, e fra l'altro di Salvatore aveva una grande considerazione, sia per la sua preparazione che umanità. Si capiva che apprezzava di te quello che eri, anche se diverso da lui, e trasudava dalla sua intelligenza la voglia di riuscire a condividere con te anche cose che a lui erano forse precluse da una famiglia ben inquadrata: magari una maggior libertà, la possibilità di uscire e viaggiare, la trasgressione. Lo chiamavamo 'il segalino'. Oggi è il dirigente di una nota fabbrica metallurgica a Terni ed ogni giorno si fa centinaia di chilometri da Roma per andarci. Lo ascoltavo stupito al funerale di Duccio, quando anche in quella occasione di dolore cercava di consolare il fratello minore di Chianese affranto. Gli diceva di controllarsi anche lui il cuore, perché lui ci aveva un peace-maker e aveva la situazione sotto controllo, altrimenti poteva capitargli la stessa cosa di Duccio. Era una cosa inutile da dire in quel momento, ma la sua voglia di aiutare a tutti i costi gli aveva impedito di non farlo.
Mario Taddei, che ci ha lasciato prematuramente per sua volontà, era già da allora un animo inquieto ed originale. Magro, allampanato, conn le spalle ricurve, vestito trasandato, con gli occhialetti da intellettuale, interveniva ogni volta che poteva, purtroppo quasi sempre quando suonava la campanella dell'uscita all'ultima ora, insieme al solito Serani. E i suoi interventi erano lunghissimi, un po' come quelli di Gianfranco, contorti come lui, ma più che originali. Era un ragazzo che pensava e ragionava con la sua testa, difficilmente inquadrabile in qualcuno o qualcosa, gentile nei modi e con in fondo una malinconia sconosciuta a noi tutti, o almeno a me. In realtà è stato uno di quei compagni che non ho frequentato molto, ma mi è dispiaciuito sapere, in età adulta, della sua precoce e premeditata dipartita. Forse, in fondo, racchiudeva la voglia estrema di non subire una vita senza saperne la vera essenza, la voglia di essere se stessi anche nella morte... .
Franco Iachini me lo ritrovai compagno di banco in quarta, nell'ultima fila. Veniva dal Molise, era molto impegnato in politica con la sinistra e studiava molto. Non le materie di scuola, ma tutti gli argomenti legati alla politica e al sociale, soprattutto se di origine sovietica. Fece subito amicizia con il Figuccia, con il quale abitò anche insieme in un appartamento a piazza Dante, dietro piazza Vittorio, dove credo transitasse anche D'Alema da giovane, tutti legati alla fgci, la federazione della gioventù comunista italiana. Intellettuale impegnato nella sinistra aveva un'adorazione per l'Unione Sovietica e il suo mondo. Lo abbiamo rivisto a casa di Duccio Chianese in campagna pochi anni fa con sua figlia, identica e preparata come lui, prima che ci lasciasse vinto da una cattiva malattia. Per lui tutti nutrivano rispetto, stima ed ammirazione. Un piccolo Berlinguer sconosciuto, amante di giustizia e amore. Modesto, anche nel vestire. Ricco, molto ricco dentro. 
Solo in questi giorni ho saputo della gita in autostop di alcuni di noi dopo l'esame di maturità scientifica. Un'esperienza verso la Francia, probabilmente ispirata dall'intraprendente Figuccia, forse suggerita involontariamente dai miei precedenti viaggi solitari in Europa. A ricordarmela è stato Roberto Bagaglia qualche sera fa, che aveva ceduto una parte del suo appartamento a Figuccia, che nel passaggio dal collegio all'esterno non aveva un tetto. Me l'ha raccontato ad una recente serata al teatro 'Golden' in via Taranto, a vedere ed ascoltare Francesco Giannelli, insieme ai protagonisti del 'Ruggito del coniglio', un programma radiofonico sulla Radio 2 della Rai di un certo Ratti. Quelli che partirono per il viaggio in autostop credo furono in sei: Figuccia, Bagaglia, Agostini, Mario Taddei e altri due di cui non so i nomi. Roberto ci ha raccontato le litigate con Benedetto (Mario) a Lione, le notti all'addiaccio e con coltello al Bois de Boulogne a Parigi, e la traversata a piedi da Nizza a Ventimiglia. Vorrei che fossero loro a raccontare quel viaggio.
Un altro viaggio memorabile estivo di alcuni di noi fu quello nel Sud Italia di Domenico La Grotteria, Beniamino Marchi e Salvatore Murru, se non erro con la 'Cinquecento' del padre di Mimmo. Ne so qualcosa vagamente da quello che mi raccontarono allora i tre protagonisti che arrivarono fino in Calabria, al paesino originario di La Grotteria, dove la nonna, per sbaglio, servì loro il caffé con il sale. Per Mimmo quel viaggio fu fatale perché fu lì, credo in un campeggio, che conobbe Maria, quella che poi divenne sua moglie e dalla quale ha avuto due figlie. Anche questo i protagonisti potrebbero raccontarlo meglio e nei dettagli
Scrivendo queste poche righe e parlando con qualche vecchio compagno di scuola mi sono accorto di alcuni aspetti che mi erano sfuggiti, anche se sembraranno ovvii.Credo che questo verrà fuori da altri racconti dei miei compagni, che si intrecceranno rivelando scenari, amicizie ed esperienze inedite. Sto scoprendo, infatti, che la mia vita scolastica è solo una minima parte di quello che veramente avveniva mettendo a confronto tutte le varie esperienze di ognuno di  noi. Non so e non sapevo nulla dei viaggio di Bagaglia &company, per esempio, e di quello della Grotteria e compagni, della vita di quartiere di Palombi, delle amicizie e dell'università di Duccio e compagni. Insomma, sto scoprendo un mondo che non sognavo nemmeno esistesse, perché limitavo la mia esperienza al mio vissuto, quando di vissuti invece ce n'erano di innumerevoli grazie agli intreccii delle nostre esperienze. Io ne sarei stato solo una piccola particella, probabilmente rivelatrice ad altri di vissuti insospettabili,
La squadra di calcio della sezione A del liceo scientifico 'Camillo Cavour' di Roma (1975). Da sinistra, nella foto, in alto: il mister Beniamino Marchi, ?, Salvatore Murru, ?, Leante, Antonio Brindisi, Mario Agostini, ?; in basso, da sinistra, seduti: Domenico La Grotteria, Luigi Martelli, ?, Francesco Giannelli, Roberto Bagaglia, ?, ?.

Uno degli episodi indimenticabili di quel periodo fu la partita di campionato interno di calcio. Essendo una sezione di soli maschi eravamo avvantaggiati. In più con l'arrivo di Agostini, Bagaglia e Giannelli, che giocavano in squadre di calcio giovanili, avevamo buone possibilitò di farcela. Il mister era Beniamino Marchi. La finale la giocammo sul campo della Magliana e la perdemmo all'ultimo secondo, con un goal fatto sbagliato proprio da me, solo davanti alla porta. Ero soprannominato Vananegen, preso dalll'allora famoso giocatore olandese. Non so cosa mi prese, ma mi bloccai, il piede non partì e perdemmo. Salvatore Figuccia, che non poté giocare, me lo ricorda ogni volta che ci vediamo.  (Antonio Brindisi, giornalista)

Sezione  A !!! Noooooo, a Robe' ....!!! So' tutti omini !!!!
La notizia fu così drammatica e  sconcertante che non ricordo chi fu il primo che si rese conto di questa sventura che ci era toccata.
Arrivederci a Stefania, Valeria,Teresa , Anna Maria ....., Anna , Giovanna.....e tutte le altre compagne degli ultimi tre anni, i primi tre anni di liceo nella sezione I.
Una dimensione molto precaria, che appunto era riuscita ad arrivare fino al terzo anno, ma che non aveva avuto più futuro.
Venivamo divisi e distribuiti in altre sezioni , in altre classi con altri compagni e compagne ... Arrivederci anche ad Andre , Giorgio, Angelo , Sandro e Fabio.
Ma Io,Roberto, Mario ( che da ora in poi chiamerò con il soprannome con il quale era più conosciuto e cioè Benedetto ), Dario (lo sporco juventino ), Claudio Pallotti e Mario Carboni eravamo destinati alla Prima importante sezione del liceo , la sezione A !!!
Quella dei professori Julia , Tatti, Ayala e Simona Proietti, che sarebbe diventata a breve  la nostra Musa !!!
Ricordo ancora il primo giorno della professoressa di matematica, la professoressa Ayala, che vistasi arrivare questi nuovi alunni nella sua classe , volle testare la loro preparazione e chiamo' .......sentiamo.....Giannelli !!!!
Porca miseria ....niente di niente, il vuoto , non sapevo nulla e lei candida , erano i primi giorni di scuola , mi disse che per me sarebbe stato un anno difficile, quasi impossibile!
Fortunatamente si ammalo'.....niente di grave per fortuna,  e arrivo' il mitico Loria, il professore del gabinetto di Fisica, e così per miracolo grazie alla sua capacità comunicativa e alla trigonometria iniziai e recuperare in modo esaltante.
Ma la cosa più importante non erano i professori , lo studio , le materie . No !!
La cosa più bella era conoscere questi nuovi 25 compagni di classe, tutti uomin , ma tutti , e questo l'ho scoperto quasi subito , ragazzi impagabili !
La fortuna non ci aveva abbandonati , avevamo trovato una nuova realtà e una nuova bellissima dimensione.
Farei torto a qualcuno se iniziassi a parlare di una o più persone in modo esclusivo, perché loro, i nostrI nuovi 25 amici ci hanno accolto con affetto, simpatia , curiosità, ed è iniziata ,nel settembre del 1973, una storia che ancora oggi è vera e viva. (Francesco Giannelli, tenore)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie.

è bello sapere quanto amato fosse.
Parlo per me ma anche per i suoi figli che so' aver letto e apprezzato tutto l'affetto dimostrato in questi ricordi.
Grazie veramente,

Irene Milana

ilgorgon ha detto...

Salve,
ho letto il pezzo in rete sulla 5A del 1974/75
e volevo segnalare che il mitico Preside
del Cavour (che ando' in pensione proprio in
quell'anno scolastico) era il Prof. Giuseppe Cerocchi
(e non "Pedrocchi o Petrocchi")
e che il Prof. Loria non era un insegnante
ma era un bravissimo e competentissimo assistente
tecnico del Laboratorio di Fisica.
E Don Carlo di cognome faceva Cingolani:
alle Messe di Natale o di Pasqua invitava semprea
mettersi nei banchi davanti dicendo "Venite avanti"
e siccome non era sempre ascoltato, spesso diceva
che anche sulla sua tomba avrebbero dovuto scrivere
"Venite avanti" per ricordare quante volte nella
sua vita l'aveva dovuto dire.
Degli altri professori della sezione A non so molto
perche' io ero nella sezione G (nel 1974/75 facevo
la seconda). Ed ho ricordi bellissimi di tutto
il periodo del liceo (dall'a.s. 1973/74 al 1977/78)
sia dei miei compagni che dei miei professori che
dei bidelli (ricordo il profumo di pane che c'era la mattina,
appena entrati, perche' i bidelli compravano il pane
dal fornaio per fare i panini da vendere a ricreazione).
Cordiali saluti
Silvia Sclavi