venerdì 27 settembre 2013

La mia Africa. Nel regno degli Ashanti



La prima volta che arrivai in Ghana andai a dormire al King David Hotel, un piccolo albergo ad Accra di proprietà ebrea. Ci arrivai direttamente da Roma, in aereo. Come al solito, viaggiavo solo, ben lontano dalle rotte organizzate. Avevo con me un libricino per un minimo di guida, poi andavo a naso. Ci rimasi una diecina di giorni. Mi affittai una macchina con autista e mi feci un giro a vedere la fortezza degli schiavi, all'università di Capecoast, dal mio amico Fred a Winneba e a visitare qualche villaggio degli Ashanti, l'etnia dell'oro che aveva il suo centro nella nordica Koumasi, quando prima delle colonie occidentali e dello schiavismo qui era tutta Costa d'Avorio. Mangiavo nei chioschi improvvisati e nei ristorantini vuoti, dove si andavano a fare le provviste solo quando arrivava un cliente. Sempre roba cotta o frutta, e bevande imbottigliate. La coca-cola la trovavi dappertutto, anche nei villaggi isolati. E anche della buona birra fresca. A volte per mangiare potevi anche aspettare diverse ore: prima dovevano andare al mercato a fare la spesa, con i soldi che gli anticipavo, poi iniziavano a cucinare insieme a tutta la famiglia e una diecina di ragazzini gioiosi e, quando eri esausto e non avevi nemmeno più fame, finalmente il pranzo e la cena erano pronti. Ma qui non c'era fretta. Tutto era rallentato dalla carenza di cose, dal caldo, dalla mancanza di soldi. Anche se non per tutti. Chi ce li aveva, ne aveva tanti. Il Ghana, almeno quello che vedevo io, era un Paese dignotoso che cercava di trovare da solo una sua strada. C'era poca prostituzione, nessuno ti veniva a cercare per chiederti qualche soldo e si respirava una buona aria.
La seconda volta che ci andai, qualche anno dopo intorno al 2000, ci arrivai via terra, traversando dalla Costa d'Avorio con un pullman e qualche Peugeot-brousse. La frontiera tra i due Paesi, che sembrava più un mercato per la differenza di prezzi, ci fece perdere un'intera giornata in mezzo alla foresta. Non c'era mai la certezza di nulla, a meno di non avere tanti soldi un po' per tutti. Traversai poi Takoradi, importante porto per il trasporto del legno, fino alla capitale ghanese.
Mi ricordo di un italiano che commerciava nel legno e aveva una moglie ashanti bellissima di cui si era innamorato. Della facilità di avere rapporti di ogni tipo. Delle ricche colazioni all'hotel. Della musica ad alto volume e gli odori forti.
L'Africa mi piaceva. Mi sentivo a casa. Ma guai a rimanere senza soldi. Diventavi un falso bianco ed erano guai.

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