domenica 13 novembre 2011

MAI PIU'!!!

Ieri assistevo impotente, perché davanti ad una tv, al solito teatrino di politicanti e finti giornalisti. Un certo Antonio Polito, che sta come il prezzemolo un po' dappertutto anche se non lo legge ed ascolta nessuno, ma prima di lui lo aveva già detto il suo direttore Ferruccio De Bortoli del Corriere della Sera, criticavano le festose manifestazioni di piazza per la liberazione da un premier di cartapesta che ci ha portato allo sfascio morale ed economico. Cioè, secondo questi tromboni, non si può più manifestare pacificamente in piazza, non si può sottolineare che una cappa di squallore si è levata, ma non ancora del tutto, da sopra l'Italia. Poi, come ingenui osservatori, altri giornalisti evidenziavano che oggi c'erano anche dei sostenitori del loro satrapo di Arcore, come se non fosse evidente che quelli c'erano venuti perché ce li avevano mandati per le telecamere. E poi, ancora, un video del solito psiconano quando ormai è uscito di scena, patetico e infarcito di menzogne, che ripeteva il solito ritornello del vecchio statista che si sacrifica per la patria. Peggio di Ceacescu e del suo amico ormai morto Gheddafi, ma che tutti quei pseudo commentatori si apprestavano a discutere solennemente. C'è ormai una scollatura fra l'Italia reale e la politica dell'informazione, insanabile. Solo le urne, dopo una nuova legge elettorale, forse ci libereranno da questi teatrini imbarazzanti. E' l'ora che questi bellimbusti di cartapesta e con la pancia piena si facciano da parte per far passare le giovani generazioni.

"“Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo.Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini?... Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale.La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto.Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tuttalpiù il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po’ ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico.In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano. Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare". (Elsa Morante, 1945, 'Lettera a Mussolini)

"Confessate, perdio, dite la verità: sabato sera avete goduto come ricci? Avete stappato uno spumantino? Siete scesi in strada a fischiare, esultare, cantare l’Alleluja di Händel? Avete suonato il clacson in segno di giubilo? Avete postato sui social network qualche battutaccia liberatoria, tipo “il nano è tratto”, “sic escort gloria bunga”, “Che fai, Ruby o party?”? Avete, Dio non voglia, gridato “ladro in galera” o, peggio ancora, lanciato una monetina verso la Berlusmobile funebre che trasportava la nota salma al Quirinale? Vergognatevi e arrossite.
Dovevate chiedere l’autorizzazione preventiva a Ferruccio de Bortoli, che ve l’avrebbe senz’altro rifiutata visto che, in un videoeditoriale sul pompiere.it  , avverte: “Non c’è nulla da festeggiare nella caduta di Berlusconi. Si chiude un periodo, fine”. Invece mi sa che non vi è venuto in mente, e ora peggio per voi.
Beccatevi le rampogne del vicepompiere Aldo Cazzullo contro la vostra “gazzarra senza coraggio”, il vostro “spettacolo preoccupante”. Cazzullo vi voleva composti, disciplinati, pettinati. British. Perché “nell’ora delicatissima in cui potrebbe nascere un governo di solidarietà nazionale, in un momento in cui il Paese è chiamato al massimo sforzo di unità, nessuno può chiamarsi fuori”.
Ecco: dovevate rintanarvi in casa, meglio se nel freezer, a sorseggiare l’ultima lectio magistralis del prof. Mario Monti alla Bocconi, a recitare a memoria il board di Goldman Sachs, a delibare l’ultimo best-seller cazzulliano Viva l’Italia! con l’inno di Mameli a palla.
Possibile che, mentre il regime tira le cuoia, non abbiate pensato di “rinunciare alle asprezze polemiche e cercare un minimo comune denominatore con l’avversario per percorrere insieme un tratto di strada”?
Invece niente: anziché cercare un denominatore comune e percorrere un tratto di strada con chi ha strangolato Costituzione, giustizia, informazione, scuola pubblica, università, ricerca, cultura e lavoro per farsi i cazzi suoi mentre il Corriere lo esortava alla “rivoluzione liberale” con P2, P3, P4, Ciarrapico, Dell’Utri, Verdini, Gasparri, Gelmini, Carfagna, Bondi, Cicchitto, Brunetta, Calderoli, Stracquadanio e Scilipoti, avete “inscenato una gazzarra” che è “il contrario di ciò che il mondo si aspetta dall’Italia”.
Per la verità, a giudicare dal giubilo con cui tutti i governi (tranne Putin e Lukashenko) e i giornali del mondo han salutato la dipartita del Cainano, ma anche dalle contestazioni subìte da Blair appena rimise il naso fuori di casa, si direbbe che il mondo si aspettasse esattamente quel che è accaduto sabato sera. Senza violenze o incidenti.
L’ha riconosciuto anche il ministro uscente Giorgia Meloni: “Anche questa è democrazia”. Ma il pompierino no. Distratto sulla vera violenza dei Ferrara che gridano al “golpe” e delle Santanchè che minacciano “una brutta fine per i traditori”, Cazzullo vorrebbe che i cittadini comuni umiliati da 17 anni di regime si imbalsamassero nel mutismo e nella rassegnazione, come se non fosse accaduto niente: B. “non è stato battuto da un voto elettorale” (prendete nota: voto elettorale, acqua bagnata, ghiaccio freddo), ma solo dalla “crisi internazionale e dalla propria inadeguatezza a farvi fronte”, ergo non sta bene festeggiare. Pare brutto.
E siccome B. “in 17 anni ha sempre avuto un vasto consenso nel Paese”, chi non l’ha mai votato e l’ha sempre subìto deve starsene zitto per “rispetto dei sentimenti e delle opinioni di chi in Berlusconi ha creduto”. Cioè di chi per 17 anni ci ha dato dei comunisti, coglioni, terroristi, mandanti morali.
Il noto cuor di leone, autore di memorabili interviste-scendiletto ai gerarchi del regime, chiude il sermone con una lezione di temerarietà: “Non occorre grande coraggio per andare a urlare sotto casa di B.”. In effetti occorre molto più coraggio per scrivere certe scempiaggini.
Ps. In serata anche Minzolingua e Polito el Drito tuonano contro la festa in piazza. Appunto". (Marco Travaglio-Il Fatto Quotidiano)

"È la normalità, la tanto attesa normalità, che ha reso storica la lunga giornata di ieri anche se ci vorrebbe un governo Monti delle anime e dei sentimenti e dei valori per liberare l'Italia dal berlusconismo. Nessuno dunque si illuda che sia davvero scaduto il tempo. Certo, alla Camera lo hanno giubilato, gli hanno fatto un applauso da sipario: è così che si chiude e si dimentica, con l'applauso più forte e più fragoroso che è sempre il definitivo.Poi Napolitano è riuscito a dare solennità anche all'addio di Berlusconi che sino all'altro ieri si era comportato da genio dell'impunità inventando le dimissioni a rate. Che lui nascondesse una fregatura sotto forma di sorpresa è stato il brivido di ieri, e difatti, inconsapevolmente, nessuno si è lasciato troppo andare e la festa, sino all'annuncio ufficiale delle dimissioni, più che sobria è stata cauta. Di sicuro Berlusconi non ha avuto il lieto fine. Entrato in scena cantando My Way ne è uscito con lo Zarathustra che premia "il folgorante destino di chi tramonta". Dunque non c'è stato il 25 luglio, non la fuga dei Savoia né la fine della Dc, né tanto meno la tragedia craxiana, nessuno ha mangiato mortadella in Parlamento come avvenne quando cadde Prodi, non c'è stato neppure l'addio ai monti di Renzo anche se nessuno sa cosa farà Berlusconi, se rimarrà in Italia o invece andrà in uno dei degli ospedali che dice di avere regalato nei luoghi
del Terzo Mondo. Tutti parlano, probabilmente a vanvera, di una trattativa parallela e coperta sui processi, di un salvacondotto e di un'amnistia che non hanno mai riguardato in Italia reati come la corruzione e lo sfruttamento della prostituzione. In un Paese normale la rimozione di un capo non produce mai sconquassi e siamo sicuri che il pedaggio che paghiamo alla normalità non sarà l'enorme anormalità di un pasticcio giuridico.È comunque certo che, anche se Berlusconi si rifugiasse ad Antigua, per molto tempo rimarrà tra noi come categoria dello spirito. Ecco perché ci vorrebbe una banca centrale della civiltà per commissariare il Paese dove Berlusconi "ha tolto l'aureola a tutte le attività fino a quel momento rispettate e piamente considerate. Ha trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo di scienza in salariati da lui dipendenti". Dunque neppure nello storico giorno in cui è stato accompagnato fuori con il suo grumo di rancore invincibile e lo sguardo per sempre livido, è stato possibile accorarsi e simpatizzare. Non c'è da intonare il requiem di Mozart o di Brahms per l'uomo più ricco d'Italia che ha comprato metà del Parlamento e ha ordinato di approvare almeno 25 leggi ad personam. E ha terremotato lo Stato infilandovi dentro la Lega antistatale e secessionista. E mentre i suoi ministri leghisti attaccavano la bandiera e l'unità dello Stato, Berlusconi organizzava la piazza contro i tribunali di Stato, la Corte costituzionale, il capo dello Stato. Anche il federalismo non ha preso, come negli Usa e in Germania, la forma dello Stato ma dell'attacco al cuore dello Stato. Avevamo avuto di tutto nella storia: mai lo statista che lavorava per demolire lo Stato. Quanto tempo ci vorrà per rilegittimare i servitori dello Stato, dai magistrati ai partiti politici, dagli insegnanti ai bidelli ai poliziotti senza soldi e con le volanti a secco?E quante generazioni ci vorranno per restituire un po' di valore all'università, alla scuola e alla cultura che Berlusconi ha depresso e umiliato: contro i maestri, contro gli insegnanti, contro tutti i dipendenti pubblici considerati la base elettorale del centrosinistra, e contro la scuola pubblica, contro il liceo classico visto come fucina di comunisti. E ha degradato la più grande casa editrice del Paese a strumento di propaganda (escono in questi giorni i saggi di Alfano, Sacconi, Bondi, Lupi....). Ha corrotto una grande quantità di giornalisti come mai era avvenuto. Ha definitivamente distrutto la Rai affidata ad una gang di male intenzionati che hanno manipolato, cacciato via i dissidenti, lavorando in combutta con i concorrenti di Mediaset. E con i suoi giornali e le sue televisioni ha sfigurato il giornalismo di destra che aveva avuto campioni del calibro di Longanesi e Montanelli. Con lui la faziosità militante è diventata macchina del fango. Testate storiche sono state ridotte a rotocalchi agiografici. E ha smoderato i moderati, ha liberato i mascalzoni dando dignità allo spavaldo malandrino, ai Previti e ai Verdini, ai pregiudicati, e c'è un po' di Lavitola, di Lele Mora e di Tarantini in tutti quelli che gli stanno intorno, anche se ora li chiama traditori. Berlusconi, che fu il primo a circondarsi di creativi, di geniacci come Freccero e Gori ha umiliato la modernità dei nuovi mestieri, della sua stessa comitiva, l'idea di squadra che all'esordio schierava a simbolo Lucio Colletti e alla fine ha schierato a capibranco Tarantini, Ponzellini, Anemone, Bisgnani, Papa, Scajola, Bertolaso, Dell'Utri, Verdini, Romani, Cosentino. Eroi dei giornali di destra sono stati Igor Marini e Pio Pompa. I campioni dell'informazione berlusconiana in tv sono Vespa, Fede e Minzolini. Persino il lessico è diventato molto più volgare, il berlusconismo ha introdotto nelle istituzioni lo slang lavitoilese, malavitoso e sbruffone. E'stato il governo del dito medio e del turpiloquio, è aumentato lo 'spread'tra la lingua italiana e la buona educazione. E la corruzione è diventata sacco di Stato e basta pensare agli appalti per la ricostruzione dell'Aquila, assegnati tra le risate della cricca. Berlusconi ha dissolto "tutti i tradizionali e irrigiditi rapporti sociali, con il loro corollario di credenze e venerati pregiudizi. E tutto ciò che era solido e stabile è stato scosso, tutto ciò che era sacro è stato profanato". Persino la bestemmia è diventata simonia spicciola, ufficialmente perdonata dalla Chiesa in cambio di privilegi, scuole e mense. Toccò, nientemeno, a monsignor Rino Fisichella spiegare che, sì, la legge di Dio è legge di Dio, ma "in alcuni casi, occorre "contestualizzare" anche la bestemmia". E quanto ci vorrà per far dimenticare la diplomazia del cucù e delle corna, lo slittamento dal tradizionale atlantismo verso i paesi dell'ex Unione Sovietica, la speciale amicizia con i peggiori satrapi del mondo?E mai c'era stata una classe dirigente maschile così in arretrato di femmina verrebbe da dire con il linguaggio dell'ex premier: femmina d'alcova, esibita e valutata come una giumenta, con il Tricolore sostituito con quella grottesca statuetta di Priapo in erezione che circolava - ricordate? - nelle notti di Arcore. Persino il mito maschile della donna perduta e nella quale perdersi, persino la malafemmina italiana è stata guastata da Berlusconi, ridotta a ragazza squillo della politica: l'utilitaria, il mutuo, seimila euro, l'appartamentino, un posto di deputato e forse di ministro per lucrare il compenso - "il regalino" - agli italiani. Lo scandalo del berlusconismo non è stato comprare sesso in un mondo dove tutto è in vendita ma nel pagare con pezzi di Stato, nell'uso della prostituzione per formare il personale politico e selezionare la classe dirigente. E non è finita: se la prostituzione ha cambiato la politica, anche la politica ha cambiato la prostituzione. La Maddalena ha perso la densità morale che fu una forza della nostra civiltà, è diventata la scialba ragazzotta rifatta dal chirurgo ed educata dalla mamma-maitresse a darla via a tariffa.Il berlusconismo è stato l'autobiografia della nazione per dirla con Croce, non un accidente della storia. Non basta certo una giornata solennemente normale per liberarcene. C'è bisogno di anni di giornate normali. E per la prima volta non saranno gli storici a mettere in ordine gli archivi di un'epoca. Ci vorranno gli antropologi per classificare il berlusconismo come involuzione della specie italiana, perché anche noi, che siamo stati contro, l'abbiamo avuto addosso: "Non temo il Berlusconi in sé - cantava Gaber - ma il Berlusconi in me". (Francesco Merlo-La Repubblica)

"Esiste una parola che più di tutte descrive ciò che il governo Berlusconi è stato per l'Italia, ciò che lo ha davvero caratterizzato in senso politico ed economico, questa parola è immobilismo. Negli ultimi venti anni non è successo niente per il Paese. Non una delle riforme promesse nel 1994 e che avrebbero contribuito a scongiurare la crisi che ora l'Italia sta vivendo, è stata fatta. Ed è evidente che dove non sono riusciti gli elettori, dove non sono riuscite le opposizioni, dove non è riuscita la stampa, dove non sono riusciti gli intellettuali, è riuscito il mercato. Ironia della sorte, proprio Silvio Berlusconi, che si è sempre vantato di aver creato un impero dal nulla, di aver incarnato il sogno americano del self-made man, che si è sempre considerato campione di numeri e denaro, è stato sopraffatto dove si sentiva onnipotente, in quello che ha sempre detto essere il suo stesso elemento: dal mercato. È stato commissariato da un'economia che della sua gestione non poteva più fidarsi. Ennio Flaiano diceva: in Italia la linea più breve tra due punti è l'arabesco. I vent'anni di governo Berlusconi sono stati un arabesco: la linea più lunga possibile tra il vecchio e il vecchio che si vestirà di nuovo. Quante bugie in questi venti anni, quante mistificazioni. Dalle false, umili origini, perché in lui l'italiano medio potesse identificarsi, alla menzogna più grande di tutte, passata di bocca in bocca e progressivamente
svuotata di ogni significato, secondo cui un uomo che ha creato un impero, che è ricco e a capo di aziende floride - o che floride apparivano - non ha bisogno di rubare, di sottrarre denaro pubblico al Paese, come avevano fatto i partiti nella prima Repubblica. Un sogno fondato su menzogne ed equivoci perché, fatti fuori i padrini politici, occorreva che Berlusconi prendesse in mano la situazione. Del resto lui stesso ripeteva che il suo ingresso in politica avveniva per tutelare i suoi interessi. Suoi personali e delle sue aziende. Ed è esattamente quello a cui abbiamo assistito nei venti anni in cui è stato protagonista indiscusso della scena politica italiana. Gli incarichi istituzionali sono divenuti strumento di realizzazione di affari privati. Gli stessi capi di Stato stranieri, che negli ultimi anni gli sono stati più vicini, non sono altro che soci. Dal gas di Putin: gli affari energetici russi rappresentano il 70% delle esportazioni verso l'Italia e la stessa Hillary Clinton ha avanzato dubbi sulla natura affaristica delle convergenze politiche tra Berlusconi e Putin, all'imbarazzante amicizia con Gheddafi: dal giugno 2009 la Lafitrade della famiglia Gheddafi e la Fininvest, tramite la controllata lussemburghese Trefinance, sono i veri proprietari della Quinta Communications di Tarak Ben Ammar. L'affare con la società tunisina, in cui Lafitrade ha il 10% e Fininvest il 22%, ha aperto la strada al riciclo occidentale, a partire dall'Italia, di una massa voluminosissima di petroldollari di Gheddafi, valutata 65 miliardi di euro.Nessuna legge per l'Italia, solo leggi per lui. E non che gli mancassero i numeri in Parlamento. Ha avuto, e per molto tempo, una maggioranza incredibilmente forte che gli avrebbe consentito di attuare le riforme promesse, che lo avevano consacrato - all'indomani della sbornia seguita al terremoto giudiziario che ha distrutto i vecchi partiti italiani all'inizio degli anni '90 - l'uomo nuovo, il vento nuovo, il campione di quel riformismo liberale che lui contrapponeva alla stagnazione delle sinistre incapaci di trasformarsi. Non la riforma della giustizia, non quella delle pensioni, nessuna prospettiva per le nuove generazioni vittime, viceversa, di una nefasta deregolamentazione del mercato del lavoro che ha portato con sé una precarizzazione finalizzata solo a favorire le aziende, legittimate ad adottare un sistema di sfruttamento dei lavoratori, che non prevede alcuno spazio per la formazione. In Italia il settore pubblico è allo sfascio, la sanità non ha standard degni dell'Europa, la scuola e l'università arrancano. Le spese per la nomenclatura militare deliberate dal ministero della Difesa - presieduto in questi anni da un ex (ma non tanto, come ama ripetere) fascista, Ignazio La Russa - hanno umiliato, deriso, lo stato di abbandono nel quale versa la ricerca scientifica nel nostro Paese. Il Parlamento è stato per anni impegnato a discutere, emendare e votare leggi ad personam e leggi, come le abbiamo definite, ad aziendam. E il mondo nuovo che Berlusconi aveva promesso è diventato un mondo vecchio, più vecchio di quello che lo ha preceduto. Il sogno liberale è divenuto un incubo di "lacci e lacciuoli", quelli dai quali prometteva di liberare gli italiani e che invece ha solo contribuito a stringere più forte, come in una morsa. Il governo che verrà avrà l'arduo compito di attuare le riforme economiche che potevano essere pensate e discusse con le parti sociali nei passati venti anni e che invece strozzeranno l'Italia nei prossimi mesi, come un boccone troppo grande, da ingoiare comunque, poiché la necessità poco spazio lascia al contraddittorio politico. L'Europa si fida di Mario Monti e ciò potrà dare ossigeno all'economia italiana. Ma se davvero toccherà a lui raccogliere il testimone, dovrà fare scelte difficili che, la storia italiana lo dimostra, non saranno premiate. Formare il nuovo governo sarà infinitamente più facile che farlo resistere, nelle insidie dei prossimi giorni, settimane, forse mesi. La lenta e ingiustificabile agonia inflitta nell'ultimo anno del berlusconismo, in uno con la pratica dell'"acquisto" di parlamentari dell'opposizione, nel tentativo disperato di puntellare una maggioranza politicamente inesistente, ha prodotto la paralisi del Parlamento e ha favorito la formazione di numerosi centri di potere all'interno del partito del padrone, il Pdl. Nella prima Repubblica si sarebbero chiamate correnti e, forse, non è un caso che uno degli uomini chiave del tracollo berlusconiano sia stato un esponente simbolo della corrente andreottiana, Paolo Cirino Pomicino, ministro delle Finanze in epoche scellerate, di vacche grasse e irresponsabilità diffusa. Tutti questi piccoli potentati non rispondono più al vecchio capo e il Pdl non è più un partito coeso, dato che lo stesso suo fondatore Berlusconi è pronto a disfarsene; uno scenario grottesco, nel quale ognuno pare essere pronto a sabotare il percorso del governo Monti, per guadagnare un posto al sole, una visibilità perversa. Il governo che dovrebbe nascere nelle prossime ore potrà morire da un momento all'altro. E ciò accadrà nonostante lo sforzo del presidente della Repubblica, che nel pieno rispetto delle sue prerogative costituzionali, ha condotto il Paese con spirito saldo. Del resto, anche se l'uomo Berlusconi sembra finito, il berlusconismo non è ancora morto. Sta lì, paziente, aspettando di risorgere, pronto a dire "senza di me è stato peggio". I suoi protagonisti aspettano di speculare sui momenti difficili che l'Italia vivrà, fingendo di non esser stati anche loro a generarli. Già adesso, alcuni surreali ex neo-con e ora neo-keynesiani (alla bisogna) maître a' penser mistificano la realtà, difendendo l'indifendibile e reclamando libere elezioni, ovviamente senza spendere una sola parola sulla legge elettorale in vigore, dalla stessa uscente maggioranza introdotta e significativamente definita, dal suo medesimo estensore, porcellum. L'impressione è che, ancora una volta, ci sia spazio per tutto tranne che per il talento e per la volontà di ricostruire davvero un Paese che più ancora che economicamente è piegato nel morale, nella fiducia e nella speranza che si possa tornare a essere felici e realizzati senza dover andar via. In Italia ancora una volta il rischio è che si faccia piazza pulita perché si possa più agevolmente tornare indietro". (Roberto Saviano-La Repubblica)

"Se si lasciasse avvicinare, lo abbraccerei proprio. E non per strangolarlo: per ringraziarlo.
Mentre i giornaloni “indipendenti” divenuti all’istante house organ del governissimo Montissimo che fa benissimo, lui occupa come sempre i tg col solito messaggio a reti unificate. E, sempre teso al bene comune, fa sapere che si contenta di poco: il ministero della Giustizia.
È la migliore risposta a chi, sul Corriere e dintorni, vorrebbe voltare pagina come se questi 17 anni fossero una parentesi da chiudere in quattro e quattr’otto. Ma sì, archiviamo tutto con una bella “tregua” senza colpe né esami di coscienza, senza vincitori né vinti. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, scurdammoce ‘o passato. Berlusconiani e antiberlusconiani, chi aveva ragione e chi aveva torto, finiscono sullo stesso piano. Pari e patta.
Dopo De Bortoli, Cazzullo e Polito el Drito, ieri il testimone, anzi l’estintore è passato a Pigi Battista. Che non s’è mai capito che mestiere faccia: il giornalista pare di no (mai avuto una notizia in vita sua), lo scrittore nemmeno (pubblica libri all’insaputa dei lettori), lo storico gli piacerebbe (è ancora convinto, per dire, che Andreotti sia stato assolto). Ma si crede un tutore dell’ordine e si autoincarica di disperdere la folla festante con gli idranti.
Questi pompieri sono affetti da agorafobia: hanno il terrore della piazza. E temono che la gente, ora che ci è andata una volta, ci prenda gusto e ci torni. Magari quando il governissimo che fa benissimo ci manderà in pensione a 95 anni per salvare le banche che ci han regalato la crisi.
Il luogo natale della democrazia diventa un postaccio da non frequentare perché, spiega Battista, ci vuole “una vera tregua senza rese dei conti” per non “mortificare i responsabili di un regime che non c’è stato”. O, se c’è stato, lui non se n’è accorto (quando Biagi fu cacciato dalla Rai, Battista che aveva vicediretto Panorama di Giuliano Ferrara si affrettò a prenderne il posto).
“Nessuno può essere messo sul banco degli imputati della Storia”, dunque guai a “mettere sotto processo politico una parte ancora politicamente importante e decisiva”.
Per esempio “porre il veto a Gianni Letta... regala una soddisfazione simbolica, ma non è una scelta saggia”. E certo: l’amico di Bertolaso e Bisignani, l’uomo dei fondi neri Iri e delle tangenti Fininvest, da trent’anni braccio destro di B. prima alla Fininvest e poi nei tre governi B. che ci han portati alla bancarotta, è il vicepremier ideale per salvarci dalla bancarotta.
Questa è la politica per i nostri pompieri: cosa loro. Un gioco di (alta) società, un Risiko da consumare nelle segrete stanze fra pochi intimi, gli stessi che trent’anni fa ridevano a crepapelle alle presunte “battute” di Andreotti, poi per vent’anni si sono sbellicati alle battute di B., e ora basta che Monti dica “bella giornata” per scompisciarsi alla “battuta di Monti sulla bella giornata”.
I cittadini, da questo gioco per soli adulti, devono tenersi a debita distanza. La politica è un prodotto findus da montare, smontare e rimontare nella camera iperbarica, appaltata ai soliti noti e ai loro ciambellani incaricati di surgelarla e sterilizzarla. Quando un prodotto scade, se ne estrae dal freezer un altro. Ma guai se gli elettori vogliono dire la loro, partecipare: ogni volta che glielo si permette, c’è il rischio che vada a finire come a Napoli o a Milano. Cioè che vinca chi doveva perdere e viceversa. Se manifestano in centinaia di migliaia e fanno casino in 50, sono tutti black bloc. Se, come sabato sera, tutti ma proprio tutti festeggiano pacificamente, non va bene lo stesso. “Spettacolo preoccupante” (Cazzullo), immonda “gazzarra” (Polito), “imitazione farsesca di una piccola Piazzale Loreto da teatro” (Battista). Per giunta con “slogan sbagliati”, come denuncia Uòlter Veltroni.
Per lui lo slogan giusto era: “Il principale esponente dello schieramento avverso ha rassegnato le dimissioni. Esultiamo in silenzio ma anche congiungiamo le mani per un minuto di raccoglimento”. (Il Fatto Quotidiano)

"Finalmente! Finalmente, con le dimissioni presentate ieri mattina a Scalfaro, Berlusconi ha chiuso – almeno per ora – il proprio ciclo. E finalmente si potrà ricominciare a parlare di tutto, anche di politica. Sono quasi otto mesi che non lo si fa. Quasi otto mesi che si parla soltanto di Berlusconi. Se sia un uomo veramente nuovo, o un lascito di quelli vecchi. Se sia stato un grande imprenditore, o soltanto un grande profittatore dello Stato. Se le sue imprese fossero proprio dei modelli di efficienza, o dei contenitori di aria fritta e di debiti. Se fosse un grande finanziere o soltanto un grande avventuriero della finanza, la riedizione di uno Stavisky. Più che a ciò che diceva, si badava a come lo diceva, non c’erano occhi né orecchi che per sapere se e chi gli aveva fatto il lifting, chi era il suo sarto, chi provvedeva alla sua pettinatura, se davanti al video recitava la parte mandata a memoria o la leggeva sul «gobbo» nascosto dietro la macchina da ripresa, e quale cerone usava per lisciare le guance e quale cipria per nascondere l’incipiente calvizie, suo incubo e croce (oh, quella chioma dell’Avvocato Agnelli!). Se sul volto s’infilava la calza antirughe. E di quante ville fosse proprietario, e di quali meraviglie queste ville traboccassero. E se recitasse bene o male la parte di anfitrione quando riceveva i Grandi della Terra (e quali barzellette da fureria raccontasse al loro orecchio, come purtroppo è accaduto).
Berlusconi. Sempre Berlusconi. Solo Berlusconi. Per otto mesi l’Italia è stata (anche per gli stranieri, ahimè) Berlusconi. Per otto mesi non si è potuto intavolare, nemmeno in famiglia, una conversazione che non avesse per argomento Berlusconi o non ci finisse. In suo nome si sono rotte amicizie ancestrali. Per otto mesi direttori e capiredattori di giornali e periodici hanno cestinato notizie che in altri tempi avrebbero occupato le prime pagine, se non riguardavano Berlusconi, e le case editrici hanno rifiutato qualsiasi manoscritto che non fosse una biografia di Berlusconi (ne ha avute più lui in otto mesi che Bismarck in ottant’anni). Altro che «Duce sei tutti noi!». Per otto mesi Berlusconi è stato tutti noi più di quanto il Duce lo sia stato in vent’anni. Finalmente! Finalmente ci siamo liberati di questa ossessione. Finalmente potremo ricominciare a discutere della pubblica amministrazione e della pubblica finanza senza il timore che qualsiasi proposta venga propugnata o combattuta secondo gl’interessi di Berlusconi. Finalmente potremo occuparci di problemi che non siano soltanto la Fininvest di Berlusconi. Finalmente la Corte di Cassazione potrà avallare o bocciare sentenze che non siano in odore di favoreggiamento o di danneggiamento di Berlusconi. Finalmente potremo rialzare la testa ed appuntare lo sguardo su ciò che avviene nei Paesi che ci circondano senza l’angoscia di vedervi accorrere Berlusconi a farvi le sue solite sceneggiate (…). Finalmente potremo fare la corte (parlo per gli altri, si capisce, non per me) a qualche bella donna senza prima dover appurare se è amica o nemica di Berlusconi. Finalmente potremo persino parlare bene di Berlusconi senza correre il rischio di essere scambiati per un Fede o uno Sgarbi, e dire per esempio, senza tema di venire fraintesi, che di tutti i berlusconi e berluschini d’Italia, Silvio era (e resta) il migliore. Non sappiamo cosa ci aspetta domani, magari una confusione ancora più grossa di quella in cui Berlusconi ci ha precipitato ed ora ci lascia. Per il momento ci si consenta di assaporare, delibare, esalare, urlare a pieni polmoni questo sospirato liberatorio «finalmente»! (e al diavolo il diavolo che, rimpiattato sotto il nostro tavolo, ci mormora ghignando: «Ma sei proprio sicuro che si tratti di un “finalmente”?»). (Indro Montanelli-1994)

Nessun commento: