martedì 15 novembre 2011

Liberia, freedom for eternity

Sono stato in Liberia diverse volte quando infuriava la guerra civile con Charles Taylor. Il Paese, voluto dai ricchi americani che cercavano un ritorno africano in Africa, era una landa desolata stile 'Apocalipse now'. Pensavo che la situazione si fosse normalizzata ma leggo che non è proprio così. Mi auguro che non si torni più indietro.


"I risultati del ballottaggio tenutosi in Liberia martedì 8 novembre hanno assegnato a Ellen Johnson-Sirleaf, il presidente uscente, il 90,6% delle preferenze.

La Sirleaf ha così ottenuto il suo secondo mandato alla guida del paese, ma l’alta percentuale dei voti raccolti è tutt’altro che una prova di forza per la covincitrice del premio Nobel per la pace 2011. La credibilità del processo elettorale, che ha chiamato i liberiani a scegliere il loro presidente per la seconda volta dopo la fine della guerra civile, è stata infatti compromessa dal boicottaggio messo in atto dallo sfidante Winston Tubman, il cui nome, comunque presente sulle schede, ha ricevuto il 9,4% dei voti.

La strategia di Tubman ha portato a duri scontri verificatisi alla vigilia del voto tra le forze di polizia e i suoi sostenitori, durante i quali hanno perso la vita almeno due manifestanti, mentre diversi sono stati i feriti. Il timore di ulteriori violenze, probabilmente più dello stesso boicottaggio invocato da Tubman, ha indotto la maggioranza dei liberiani a non partecipare alle operazioni di voto, il cui svolgimento è stato comunque pacifico. Nonostante gli appelli dell’Onu e di Obama, l’affluenza si è fermata al 38%, poco più della metà del 71,6% raggiunto nella prima tornata elettorale dell’11 ottobre. Un dato che mina profondamente la legittimità della vittoria della “Iron Lady” liberiana.

I risultati del primo turno avevano assegnato a Sirleaf, a capo dello Unity party, il 43,9% dei voti, mentre Tubman, sostenuto dal Congress for democratic change (Cdc) di George Weah, si era piazzato secondo con il 32,7%. Nonostante i giudizi positivi espressi dagli osservatori internazionali, il portabandiera del Cdc ha da subito accusato la National elections commission (Nec) di aver favorito il presidente uscente. Tubman ha poi iniziato a minacciare di boicottare il secondo turno dopo l’errore contenuto nella lettera inviata dalla Nec ai due candidati più votati l’11 ottobre per notificare loro l’accesso al ballottaggio: il Cdc risultava in possesso della maggioranza relativa dei voti, sebbene i risultati ufficiali avessero assegnato un maggior numero di preferenze allo Unity party di Sirleaf. Un errore definito “umano” dal presidente della Nec, James Fromayan, poi costretto a dimettersi.

Le sue dimissioni e le forti pressioni delle Nazioni Unite e della Comunità Economica dell’Africa Occidentale non sono tuttavia state sufficienti a far desistere Tubman dalle sue intenzioni. Il candidato del Cdc, che pretendeva il rinvio delle elezioni di almeno due settimane, ha infatti esortato i suoi sostenitori ad astenersi dal voto. Dietro a questa presa di posizione si nascondeva probabilmente la consapevolezza di non poter vincere, dopo che le ultime manovre prima del ballottaggio avevano assicurato a Sirleaf l’appoggio di Prince Johnson, noto ex signore della guerra, e di Charles Brumskine, leader del Liberty party, giunti rispettivamente terzo e quarto al primo turno.

Il 7 novembre, alla vigilia del voto, una manifestazione a favore del Cdc a Monrovia nei pressi del quartier generale del partito è stata dispersa dal massiccio intervento delle forze di polizia, che hanno fatto uso di armi da fuoco. Gli scontri hanno causato almeno due morti (quattro secondo fonti locali) e diversi feriti tra i manifestanti. Dure le dichiarazioni di Tubman: “Non avevo mai visto le forze di polizia attaccare manifestanti pacifici. Il vero obiettivo della polizia era quello di uccidere me”.

A porre fine alle violenze sono stati i caschi blu della missione Unmil, presenti nel paese dalla fine della guerra civile nel 2003, che si sono interposti tra i sostenitori di Tubman e gli agenti di polizia formando un cordone intorno alla sede del Cdc. L’attuale ministro della Giustizia, Christina Tah, ha giustificato l’operato delle forze dell’ordine dichiarando che la manifestazione non era stata autorizzata. Questo il commento di Leymah Gbowee, l’attivista liberiana insignita del Nobel insieme a Sirleaf, riportato dalla Misna: “È successo un incidente inopportuno, era un test per la nostra democrazia. Il ministero della Giustizia non ha autorizzato la manifestazione ma la gente è scesa per strada, il che era sbagliato, ma anche la polizia ha sbagliato sparando pallottole vere sui manifestanti”. Amnesty International ha chiesto un’indagine indipendente per accertare i fatti.

Gli episodi di violenza hanno di fatto configurato quanto auspicato da Tubman: Sirleaf, la cui vittoria era ormai certa, si è ritrovata infatti in possesso di una maggioranza assoluta del tutto fittizia, poiché espressa dalla minoranza dei liberiani che hanno votato l’8 novembre. Quanto accaduto a ridosso del ballottaggio ha quindi determinato il sostanziale fallimento delle prime elezioni organizzate autonomamente dalla Liberia dopo la lunga guerra civile (nel 2005 il processo elettorale era stato diretto dalle Nazioni Unite), rafforzando così i timori per la stabilità del paese.

Sirleaf, pur rivendicando con fermezza la legittimità della sua vittoria, ha teso la mano verso il Cdc e gli altri partiti di minoranza, auspicando la formazione di un governo di unità nazionale e promettendo un nuovo programma di riconciliazione. Una soluzione tipicamente africana questa, forse ancora una volta necessaria in un contesto estremamente vulnerabile come quello liberiano, dove la povertà colpisce la maggioranza della popolazione e la disoccupazione ha ormai raggiunto il tasso dell’80%.

Tuttavia, dopo aver fatto sapere di considerare possibile un compromesso, i rappresentanti del Cdc sono tornati sui loro passi, rifiutando l’offerta dell’attuale presidente: Tubman ha dichiarato di volere l’annullamento del voto e l’organizzazione di nuove elezioni, definendo l’esito del voto il risultato di un complotto orchestrato dalla comunità internazionale e paventando l’imminente organizzazione di una nuova manifestazione di protesta nelle strade di Monrovia.

Considerando il seguito di cui il Cdc può godere tra la popolazione, questa posizione, se mantenuta, potrebbe facilmente provocare nuove violenze in grado di compromettere il processo di pacificazione del paese, aprendo una nuova fase di instabilità. In un questo contesto, gli ambiziosi obiettivi indicati da Sirleaf per il suo secondo mandato (riduzione fino al 50% della povertà, creazione di posti di lavoro e tassi di crescita a doppia cifra) sembrano irraggiungibili". (Davide Matteucci-Limes)

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