martedì 12 luglio 2011

Senegal, où vas-tu?

"“Ho detto a Gheddafi quello che penso: negare l’esistenza di un diffuso malessere nella popolazione significa negare l’evidenza. C’è malessere in tutti i paesi colpiti dalle rivolte, in Egitto, in Algeria e soprattutto in Tunisia e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti”.
Così Abdoulaye Wade, presidente del Senegal, si esprimeva durante l’intervista concessa a Slate Afrique lo scorso 9 marzo, riferendosi a un colloquio telefonico avuto con il leader libico. Quel malessere è emerso prepotentemente anche nel suo Senegal, scatenato maldestramente dallo stesso presidente con il duplice tentativo di cambiare la Costituzione: da una parte infatti una modifica della legge elettorale avrebbe consentito di aggiudicarsi la presidenza ottenendo solo il 25% delle preferenze in luogo della maggioranza assoluta prevista dalla Costituzione vigente; dall’altra, veniva proposta l’automatica assegnazione al vicepresidente della poltrona presidenziale, nel caso quest’ ultima divenisse vacante.
Data la frammentazione delle opposizioni, il dimezzamento del quorum richiesto per vincere le elezioni avrebbe reso scontato il trionfo del partito di governo alle presidenziali previste per febbraio 2012, prefigurando, peraltro, la possibilità di avere un presidente eletto contro il voto del 75% della popolazione. D’altro canto, con il progetto di rendere automatico l’avvicendamento tra il presidente e il suo vice si è insinuato nella popolazione il sospetto di voler avviare una successione tra l’ormai ottantacinquenne Wade e suo figlio Karim, semplicemente assegnando a quest’ultimo la carica di vicepresidente.
Un sospetto fortemente alimentato dall’irresistibile ascesa dello stesso Karim, divenuto in un sol colpo ministro dei Trasporti, della Cooperazione, dello Sviluppo, delle Infrastrutture e dell’Energia, subito dopo, peraltro, che il popolo aveva bocciato la sua candidatura alle elezioni municipali di Dakar del 2009. Considerato il momento storico e il fatto che i senegalesi erano già da tempo esasperati dal progressivo accentramento del potere nelle mani del presidente, in carica ormai da undici anni, la manovra tentata da Wade assume i contorni di un vero e proprio suicidio politico.
L’atmosfera era poi già stata surriscaldata dalla polemica montata di fronte all’intenzione di Wade di ottenere un terzo mandato presidenziale, nonostante la Costituzione da lui stesso introdotta nel 2001 ponga il limite di due mandati - che l’anziano presidente, rieletto nel 2007 dopo la storica vittoria del 2000, concluderebbe proprio nel 2012. Wade sostiene che il suo primo mandato non vale ai fini del conteggio, avendo avuto inizio prima che la costituzione del 2001 introducesse il nuovo limite.
Così il 23 giugno scorso una folla inferocita si è riversata nelle strade di Dakar per dirigersi verso la sede dell’Assemblea Nazionale, dove i deputati erano in procinto di approvare la riforma voluta da Wade e considerata dai manifestanti l’ultima e insopportabile dimostrazione dell’egoismo politico del presidente. Al grido di “Y’en a marre!" (siamo stufi!), esclamazione dalla quale prende il nome il movimento promotore dell’iniziativa, i senegalesi hanno dimostrato la loro collera nei confronti del regime.
L’intervento delle forze di polizia ha causato due morti e un centinaio di feriti, ma ciò non è valso a fermare la protesta, costringendo Wade a ritirare precipitosamente il suo progetto di riforma che agli occhi dei senegalesi aveva assunto le sembianze di un vero e proprio tentativo di colpo di Stato costituzionale. Tuttavia, che il paventato emendamento fosse solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso già stracolmo, lo ha confermato il 27 giugno la nuova rivolta esplosa a Dakar e diffusasi successivamente negli altri centri urbani del paese.
Questa volta a scatenare le ire della popolazione è stata l’ennesima prolungata assenza di corrente elettrica che ha lasciato al buio gran parte del paese. Il problema dei continui blackout, insieme al rincaro dei prezzi dei generi alimentari registratosi negli ultimi anni, ha contribuito ad aumentare il malcontento popolare nei confronti del regime.
I manifestanti si sono scagliati contro i locali della Senelec, la compagnia energetica nazionale, sotto gli occhi della polizia che, a differenza del 23 giugno, ha lasciato ai rivoltosi la possibilità di sfogare la loro rabbia senza intervenire. Nonostante l’ondata di protesta si sia esaurita con il ritorno della corrente nelle prime ore del giorno successivo, il governo ha deciso di ricorrere all’uso dell’esercito per proteggere i principali edifici pubblici e le residenze dei funzionari della società energetica.
A rivelare lo stato di panico che ha colpito l’entourage di Wade è stato Robert Bourgi, il potente consigliere del presidente francese Sarkozy per gli Affari africani. Costui ha rivelato alla stampa di essere stato svegliato nel cuore della notte tra il 27 e il 28 giugno da una telefonata di Karim Wade, il quale gli avrebbe chiesto di premere su Sarkozy affinché inviasse truppe francesi in Senegal.
La dichiarazione di Bourgi ha messo in grave imbarazzo Wade e ha mostrato chiaramente la posizione di Parigi di fronte agli avvenimenti nell'ex possedimento coloniale. Un duro colpo per il presidente senegalese, visto che la sua recente politica estera sembrava aver cementato i rapporti con l’Eliseo. Dopo la netta presa di posizione in favore di Ouattara durante la crisi ivoriana, il Senegal è infatti l’unico paese africano insieme al Gambia ad aver riconosciuto il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, con tanto di visita ufficiale nella capitale dei ribelli.
Non è quindi azzardato pensare che Wade si aspettasse di poter replicare quanto successo in Togo e Gabon (successione tra padre e figlio al vertice dello Stato) con il benestare del suo collega d’oltremare. Un’operazione che sembrava riuscita lo scorso maggio, quando durante il vertice del G8 a Deauville Sarkozy ha voluto presentare al presidente americano Obama l’aitante Karim. Un gesto che in Senegal è stato unanimemente interpretato come un’investitura per quello che viene ironicamente definito dalla stampa locale il “super-ministro”.
Sembra tuttavia che la diplomazia statunitense abbia fatto poi intendere che la successione auspicata da Wade non sarebbe stata vista di buon occhio a Washington. L’immagine del Senegal quale simbolo di democrazia e stabilità riveste infatti un valore strategico fondamentale a livello regionale.
Il Senegal è uno dei rari casi tra i paesi africani la cui storia è priva di colpi di Stato e di regimi militari. La sua democrazia vanta la presenza di personaggi del calibro di Léopold Sédar Senghor, primo capo di Stato africano a cedere spontaneamente il potere - dopo una lunga presidenza caratterizzata comunque da elezioni regolari e, a partire da metà anni Settanta, da un sistema multipartitico.
La stessa ascesa al potere di Wade è considerata una prova dei valori democratici presenti nel paese: dopo 25 anni di opposizione alla guida del Partito democratico senegalese, Wade ha infatti sconfitto nel 2000 l’allora presidente e successore di Senghor, Abdou Diouf, ponendo fine al lungo dominio del Partito socialista e realizzando in questo modo, altra rarità nel continente, quel principio dell’alternanza proprio di ogni sistema democratico maturo.
È quindi nella necessità di difendere questi stessi valori democratici che affonda le radici il Movimento “Y’en a marre!”, nato all’inizio del 2011 grazie all’ opera di un gruppo di giovani rapper locali. Colpisce che la prima pacifica manifestazione organizzata dal movimento sia stata realizzata il 19 marzo, proprio nell’undicesimo anniversario della prima vittoria elettorale di Wade.
Una scelta simbolica, a significare come l’attuale presidente abbia tradito le speranza riposte dalla maggioranza dei senegalesi in quel sopi (“cambiamento” in lingua locale) che aveva costituito lo slogan in grado di interpretare le aspirazioni popolari e che aveva consegnato a Wade la guida del paese. Intorno al Movimento “Y’en a marre!”, la protesta del 23 e del 27 giugno ha visto la mobilitazione di tutte le componenti della popolazione.
Giovani e meno giovani, rappresentanti di Ong e di associazioni dei lavoratori, finanche i capi religiosi, che da tempo avevano dichiarato la loro opposizione al regime. Questa ampia e diversificata partecipazione, insieme alle dichiarazioni dei promotori del movimento, indica che si è trattato di una reazione spontanea, difficilmente riconducibile a una specifica parte politica e che ha dimostrato la presenza di una vigile società civile.
Di fronte a una mobilitazione tanto compatta, Wade sembra intenzionato a tornare sui suoi passi: dopo aver rinunciato a modificare la Costituzione, ha ricevuto un gruppo di sei rappresentanti della protesta, mostrandosi disponibile ad aprire un dialogo con le opposizioni e arrivando anche a ipotizzare la formazione di un governo di unità nazionale per guidare il paese fino alle elezioni.
Il presidente non ha però ancora accettato di ritirare la propria candidatura alle presidenziali, annunciando che la questione sarà sottoposta al giudizio del Consiglio costituzionale. Fa discutere inoltre l’improvvisa decisione di estradare nel suo paese d’origine l’ex dittatore ciadiano Hissene Habre, accusato di aver commesso crimini contro l’umanità e rifugiatosi in Senegal sin dal 1990.
L’8 luglio il governo senegalese, che si era sempre rifiutato di concedere l’estradizione o di processare l’ex dittatore sul proprio territorio, ha annunciato di essere in procinto di consegnare Habre al Ciad. La decisione è stata sospesa due giorni più tardi su espressa richiesta delle Nazioni Unite: il Ciad non viene infatti considerato un paese in grado di garantire un giusto processo, e si preferirebbe che Habre fosse giudicato in Belgio, che ne chiede l’estradizione dal 2005.
Analizzando la mossa a sorpresa di Wade si potrebbe pensare all’intenzione di distogliere l’attenzione dalle questioni interne, o a un disperato, quanto ancora una volta maldestro, tentativo di riguadagnare consenso internazionale esaudendo una richiesta da anni sul tavolo della diplomazia senegalese. Ma perché allora non consegnare Habre direttamente al Belgio?.
In ogni caso l’ atteggiamento schizofrenico di Wade dimostra il nervosismo di un presidente che negli ultimi mesi sembra aver sbagliato i modi e i tempi, oltre che i contenuti, di tutte le sue ardite scelte politiche. Resta solo da capire chi prenderà in mano le redini dello Stato saheliano a partire dal 2012, in un panorama politico frammentato che sembra mancare di personalità adeguate a guidare il paese". (Davide Matteucci-Limes)

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