giovedì 7 aprile 2011

Quei morti ce li abbiamo sulla coscienza

Quei morti in mezzo al mare ce li abbiamo sulla coscienza. Siamo noi che gli impediamo di circolare liberamente, di sognare una vita migliore, che non gli concediamo i visti regolari nelle nostre ambasciate, che li trattiamo alla stregua di animali. La notte dobbiamo svegliarci di sopprassalto sapendo che stiamo sostenendo un governo che lascia morire, che permette di uccidere in nome di una proprietà territoriale che non appartiene a nessuno. "I numeri a volte non restituiscono la gravità del problema ma in questo caso sono veramente impressionanti. Nelle prime due settimane dall’inizio del flusso di richiedenti asilo dalla Libia – il 26 marzo – oltre 800 persone mancano all’appello, sono partite ma sembrerebbe che non siano mai arrivate sull’altra sponda del Mediterraneo. Una persona su cinque non ce l’ha fatta, una vera roulette russa giocata dai trafficanti sulla pelle di chi fugge dalla violenza e dalla guerra. Circa 250 rifugiati sono morti nel naufragio avvenuto il 6 aprile a 39 miglia da Lampedusa, mentre altre tre imbarcazioni con a bordo rispettivamente 330, 68 e 160 persone hanno segnalato la loro presenza attraverso telefonate ai parenti ma non risulta che siano arrivati. Inoltre decine di corpi sono stati ritrovati sulle spiagge di Tripoli, restituiti dalle correnti e è difficile stabilire se questi morti vanno ad aggiungersi o debbano essere sottratti ai numeri sopra menzionati. E intanto negli ultimi giorni ci sono i parenti dei dispersi che risiedono in diversi paesi europei – Italia, Finlandia, Norvegia, UK – che continuando ad ignorare la sorte dei loro cari e, in preda all’angoscia, vogliono andare a Lampedusa a cercarli, portando dietro le foto da mostrare per l’identificazione. Ma neanche questo servirà a molto. Infatti le autorità a cui si sono rivolti li hanno dissuasi poiché i cadaveri avvistati dagli elicotteri non sono stati recuperati e dunque non sarà possibile né identificare queste persone né tanto meno dare loro una degna sepoltura. Morti senza esequie e senza giustizia". (Laura Boldrini, portavoce Onu pr i rifugiati)

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