domenica 30 gennaio 2011

Napolitano, sciogli questo indecente Parlamento prima che sia troppo tardi

Non riesco a capire perché il nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, continui a dire di abbassare i toni a tutti indistintamente, facendo un gran calderone senza distinzioni tra chi ci affligge e chi cerca una strada per il cambiamento, invece di sciogliere il Parlamento ed andare ad elezioni anticipate. Che cosa deve ancora fare questo premier e la sua coalizione per dimostrare che è inadatto come uomo pubblico e come uomo privato?

"La democrazia senza regole è come un vicolo buio dove ci si trova alla mercé dei delinquenti. Se però le regole, quindi le leggi, le fanno i delinquenti, tutto può avvenire alla luce del sole."...Tanti anni fa, in un'intervista, lo stravagante e folcloristico Muhammad Alì, (ineguagliabile campione di pugilato) dichiarò: "Se mi dovesse mai capitare d'incontrare, per caso, in un vicolo oscuro di New York, uno solo, a caso, dei fratelli Spinks (Leon o Michael), credo che, forti come sono, potrebbero anche uccidermi a pugni. Ma sul Ring,dove esistono "REGOLE" da rispettare è un'altra cosa, sul Ring il più forte sono io, sono io il campione, sono io il Re !". Nella stravagante ipotesi di Alì c'è una grande verità, la democrazia senza regole non è più tale, oppure potremmo dire che le regole (o le leggi) sono i pilastri della democrazia. Invece,purtroppo, mi viene alla mente un'altra finale considerazione: "Ecco,considerando l'attuale e precaria situazione italiana, possiamo affermare "tranquillamente" che il "cittadino italiano" si trova già in quel vicolo oscuro (e senza sbocco),ed ha difronte ormai tutti e due i fratelli Spinks......e senza regole!". (Maurizio Tesei-dal blog di Beppe Grillo)

"Braccato dai pubblici ministeri che lo inseguono in tre processi ed ora lo inchiodano a un imminente "rito immediato". Ricattato dalle veline-meteorine-coloradine che hanno animato le sue serate e ora battono cassa. Logorato da una maggioranza forzaleghista che non ha più numeri per galleggiare né idee per governare. Tenuto artificialmente in vita da un disperato drappello di "disponibili" che con poco senso del ridicolo si sono ribattezzati "responsabili". In queste condizioni precarie, che c'è di meglio dell'ennesimo, improbabile diversivo? È quello che ha appena inventato il presidente del Consiglio, con la proposta di un nuovo "piano bipartisan per la crescita" lanciato attraverso le colonne del Corriere della Sera. Qui non c'entra il pregiudizio ideologico: cioè l'irriducibilità dell'antiberlusconismo militante, o l'indisponibilità a riconoscere che il Cavaliere è l'uomo che tanta parte dell'opposizione parlamentare, sociale o mediatica "ama odiare" (come ripete ossessivamente Giuliano Ferrara). Qui c'entra il giudizio politico: cioè l'assoluta vacuità della proposta, e la sua oggettiva inidoneità ad affrontare e risolvere i problemi strutturali del Paese. Lasciamo da parte il tema dell'imposta patrimoniale, troppo complesso per essere liquidato con le solite fumisterie propagandistiche da padroncino brianzolo, "nobilitate" dalle lezioni della scuola di Chicago. Quello che il premier offre all'Italia e al centrosinistra, fuori contesto e fuori tempo massimo, è l'ennesimo simulacro di un patto scellerato. Dice Berlusconi: noi liberalizziamo l'economia, modificando l'articolo 41 della Costituzione e rendendo finalmente "consentito tutto ciò che non è vietato". In cambio, i ceti produttivi fanno emergere "la ricchezza privata nascosta". Lo chiama "scambio virtuoso": da una parte "maggiore libertà e incentivo fiscale all'investimento", dall'altra parte "aumento della base impositiva" oggi occultata. Dov'è la scelleratezza? In tutti e due i fattori dello scambio. Dal lato delle "libertà". Intanto questo governo di liberisti un tanto al chilo, da due anni e mezzo, ha fatto solo passi indietro sul tema delle liberalizzazioni, riducendo in brandelli la lenzuolata di Bersani della passata legislatura. E poi la riforma dell'articolo 41, ammesso che serva a qualcosa, è una riscrittura del dettato costituzionale. Esige un disegno di legge di revisione della Carta del '48, dunque una quadrupla lettura parlamentare e, in caso di approvazione senza il voto dei due terzi del Parlamento, un referendum confermativo. Tempi realistici di approvazione: non meno di un anno e mezzo. "Lungo periodo": di qui ad allora, come diceva Keynes, "saremo tutti morti". E ad ogni modo: da almeno sedici mesi il ministro Tremonti ha annunciato la riforma una decina di volte, un paio delle quali in consessi internazionali (come il G20 di Busan, in Corea del Sud). Se ci crede tanto, cosa aspetta a presentare il disegno di legge? Non è difficile: sono due righe di testo, forse anche meno. Perché non passa dalle parole ai fatti? Dal lato della fiscalità. Che senso ha proporre a chi evade l'ennesimno scambio? Proprio oggi la Guardia di Finanza fa sapere che nel 2010 sono stati scoperti 8.850 evasori totali, e che il lavoro d'indagine ha fatto emergere la cifra record di 50 miliardi di redditi non dichiarati. Di fronte a questo oceano di illegalità non c'è proprio nulla da "scambiare". Visto che le Fiamme Gialle lo hanno scoperto, c'è solo da prosciugarlo, facendo pagare caro chi finora non ha pagato. Ma questo, con tutta evidenza, è un bel problema per Berlusconi e per la sua sfibrata maggioranza. Si tratterebbe di prendere di petto la constituency politico-elettorale del Pdl, invece di continuare a lisciargli il pelo. Il Cavaliere non l'ha mai fatto. Meno che mai può farlo oggi, mentre imbocca il suo viale del Tramonto. Il suo modello non è Milton Friedman. È Cetto La Qualunque". (Massimo Giannini)

"Siate buoni! Lo dice un uomo anziano che fabbrica ciambelle col buco e ne diffonde il consumo e poi - non so perché - chiude con questa esortazione il suo messaggio pubblicitario. Ma le sue ciambelle sono fatte con ottima farina. Qui, nella ciambella Italia, è l'ottima farina che manca, la nostra è una farina piena di vermi e di impurità ed è la materia prima che fa difetto. Perciò l'esortazione ad esser buoni, che la più alta autorità dello Stato non cessa di lanciare alle forze politiche e alle istituzioni imbarbarite, cade in un vuoto dove s'incrociano grida, insulti, delegittimazioni e malcostume diffuso in tutti i livelli.Si accumulano indizi e prove di gravi reati, ma non è neppure questo l'aspetto che desta maggiore sgomento: i reati, veri o presunti, hanno i loro luoghi per essere accertati ed eventualmente puniti; ma è l'indecente spettacolo dei comportamenti viziosi e della paralisi istituzionale che ne consegue a gettare il Paese nello sgomento. L'articolo 54 della nostra Costituzione esorta ed anzi impone al titolare di quella istituzione di comportarsi con decoro, ma non era mai accaduto nella nostra storia di centocinquanta anni che l'onore e il decoro istituzionale fossero violati fino a tal punto. C'è un solo luogo pubblico, un solo Palazzo, che non è stato lambito da quest'ondata di disistima ed è il Quirinale, la presidenza della Repubblica.Si dice che il Capo dello Stato, al di là delle esortazioni, dell'esempio e dei pressanti consigli,
non abbia altri strumenti per intervenire e ci si domanda sconfortati: di quante divisioni dispone Giorgio Napolitano? E' un potere armato o disarmato? E' soltanto una voce che grida nel deserto e altro non può fare?In realtà il Presidente non è soltanto una voce e una presenza vigilante ma non operativa. A parte il potere di promulgare le leggi o di rinviarle al Parlamento, che non può essere reiterato, il Presidente dispone di altri due strumenti previsti dalla Costituzione. Il primo riguarda la formazione del governo, il secondo lo scioglimento anticipato delle Camere. Si tratta di strumenti estremamente incisivi, che vanno dunque usati con la massima ponderazione, ma che costituiscono una riserva preziosa quando le strutture istituzionali rischiano di decomporsi in un generale marasma. Questo rischio sta incombendo sulla nostra democrazia, sicché i due strumenti che abbiamo sopra indicati vanno esaminati con attenzione e se del caso utilizzati dal Capo dello Stato che ne ha la titolarità.* * *La formazione del governo. La Costituzione stabilisce che "il presidente della Repubblica, sentiti i presidenti delle Camere e i rappresentanti dei gruppi parlamentari, nomina il presidente del Consiglio e, su sua proposta, i ministri". L'articolo successivo prescrive che "il governo entro quindici giorni dal suo insediamento si presenta in Parlamento per ottenere la fiducia".Questa procedura è chiarissima né si presta ad equivoci. Il Capo dello Stato "nomina" il presidente del Consiglio e le opinioni espresse dai presidenti delle Camere e dei gruppi parlamentari non vincolano il Capo dello Stato ma contribuiscono a renderlo compiutamente informato sugli orientamenti del Parlamento.Su questa procedura costituzionale si è sovrapposta la prassi dell'incarico esplorativo. Sulla base di questa prassi il Capo dello Stato anziché nominare, incarica una personalità da lui scelta per accertare preliminarmente l'esistenza di una maggioranza parlamentare disposta a dare la fiducia all'incaricato. Se l'accertamento dà esito positivo, l'incaricato scioglie la riserva e il Capo dello Stato lo nomina; se l'accertamento è negativo al Capo dello Stato non resta altra soluzione che lo scioglimento delle Camere.Questa prassi tuttavia non è affatto vincolante poiché non prevista in Costituzione. Il governo Pella per esempio fu "nominato" da Luigi Einaudi senza l'accordo della Dc di cui Pella era peraltro autorevole membro. Quando si presentò alle Camere la fiducia comunque la ottenne senza averne avuto la certezza preliminare. Le cose andarono in modo non identico ma analogo quando Gronchi nominò Tambroni a capo del governo.Ci sono situazioni nelle quali la maggioranza esistente è soltanto formale e posticcia e può modificarsi di fronte all'iniziativa del Capo dello Stato il quale, se si rende conto di questa possibilità, può tenerne conto operando di conseguenza. Non si tratta di una forzatura interpretativa ma dello scrupoloso rispetto di quanto stabilisce la Costituzione.Noi pensiamo che la situazione attuale potrebbe esser risolta, nel caso in cui l'attuale governo fosse sfiduciato o decidesse di dimettersi, direttamente con la nomina d'un nuovo presidente del Consiglio e senza bisogno d'un incarico preliminare.* * *Il secondo strumento riguarda lo scioglimento delle Camere in anticipo con la loro naturale scadenza. Esso può essere deciso dal Capo dello Stato senza bisogno che il governo in carica glielo chieda. La Costituzione infatti non prevede questa richiesta.Naturalmente il Capo dello Stato deve avere una valida ragione per metter fine anticipatamente alla legislatura. Quando per esempio una Camera sia guidata da una maggioranza diversa da quella esistente nell'altra Camera, oppure quando il governo in carica non sia più in grado di governare; oppure per altre ragioni ancora, come accadde quando il Senato fu sciolto anticipatamente per due volte con l'obiettivo di far coincidere nella stessa data la scadenza delle due Camere, che all'epoca avevano una durata diversa.Il marasma attuale e le reciproche delegittimazioni che si lanciano le più alte cariche istituzionali potrebbe ampiamente giustificare uno scioglimento delle Camere ancorché in presenza di un governo non sfiduciato. Siamo arrivati al punto che il partito di maggioranza chiede le dimissioni del presidente della Camera, il quale a sua volta chiede le dimissioni del presidente del Consiglio; quest'ultimo insulta quasi quotidianamente la Corte costituzionale e - da quando ha ricevuto mandato di comparizione per essere interrogato per gravi reati - estende l'insulto alla Procura di Milano definendola (anche qui quotidianamente e pubblicamente) sovversiva ed eversiva e rifiutando di presentarsi al suo cospetto per essere interrogato. Come tutto ciò non bastasse, il partito finiano denuncia al Tribunale dei ministri il ministro degli Esteri per abuso d'ufficio, il Pd e l'Udc deplorano il presidente del Senato, i rappresentanti della Lega e del Pdl disertano le riunioni del Copasir (Comitato di controllo parlamentare dei servizi di sicurezza) che ha chiamato a deporre il presidente del Consiglio o in sua vece il sottosegretario Gianni Letta.Infine si fa strada una singolarissima prassi da parte di Berlusconi d'intervenire telefonicamente nelle trasmissioni televisive per insultare i conduttori e gli ospiti delle medesime, imitato dal direttore generale della Rai, Masi, che interrompe in diretta Annozero dando vita ad una rissa verbale con Santoro davanti a sette milioni di telespettatori.Se in queste condizioni Giorgio Napolitano decidesse di sciogliere il Parlamento e rimettere il giudizio su quanto avviene al popolo sovrano, credo che nessuno potrebbe formulare nei suoi confronti la menoma critica: farebbe il suo dovere rispettando in pieno la lettera e lo spirito della Carta costituzionale". (Eugenio Scalfari)

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