lunedì 13 settembre 2010

11 settembre: stesso Dio, stesso Totti

"La mattina dell’11 settembre 2001 passavo a piedi il confine tra la Turchia e la Siria, nella zona dove un tempo sorgeva la città di Nisibi. Dell’antica città sul Limes tra Oriente e Occidente dell’Impero, che è stata uno dei centri più importanti del primo cristianesimo, non restava che un luogo generico nel deserto bollente: un nugolo di case basse di cemento, sovrastate dalle antenne paraboliche e circondate da pollai. A Nisibi c’era stata la scuola dei cristiani nestoriani, che estenderanno la loro influenza verso l’Iraq; vi avevano lavorato i traduttori di Aristotele; era la città dei dotti che hanno (ri)trasmesso la filosofia greca all’Oriente e quindi indirettamente all’Occidente.Tornavo in Siria dopo un lungo viaggio in Iran, fino ai confini dell’Afganistan. Più che discontinuità culturali, avevo trovato la continuità dei mondi, perché ogni viaggio avvicina di più a casa nostra. Poco lontano da Nisibi, nel monastero di Mar Gabriel, William Dalrymple aveva assistito alla preghiera dei monaci, e li aveva visti prostrarsi abbassando la testa fino al suolo, esattamente come avviene oggi nelle moschee. In quel monastero separato dal mondo si era conservato attraverso i secoli il modo di pregare dei primi cristiani, successivamente adottato dai musulmani. La stessa preghiera viene descritta anche nel Prato Spirituale, il diario del viaggio che il monaco Giovanni Mosco intraprese nel VI secolo attraverso il mondo bizantino mediorientale. Come nel viaggio di Charles Darwin, chi percorre queste regioni può scoprire, a partire da differenti tessere, un unico mosaico evolutivo culturale e religioso. A Deir el-Zaferan, che in arabo significa “monastero dello zafferano”, avevo trovato un altro esempio di questa continuità. Ciò che uno storico dell’arte distinguerebbe con attenzione, suddividendo per capitoli e per epoche, ciò che mai a uno studente si permetterebbe di confondere, qui si trovava sfacciatamente mescolato. Un mihrab aveva al centro una croce greca, contornata di scritte in siriaco e in arabo; il tutto dentro a una struttura romana, che era insieme imperiale e tardo antica, con immensi pietroni squadrati e colonne sormontate da capitelli corinzieggianti. In fondo c’era la cripta, che i monaci datavano a 1000 anni prima della nascita di Cristo, e che apparteneva al precedente tempio del dio Sole, sul quale, come si capisce, si erano succeduti e via via pietrificati tutti gli altri culti. A saperlo leggere, quell’insieme architettonico contraddittorio era, in realtà, un tributo al tempo, senz’altro il solo dio che può causare ed apprezzare quell’insieme disordinato di sovrapposizioni.A Yazd, la città degli zoroastriani, in mezzo al deserto dell’altopiano iranico, c’erano altre tracce di questa continuità. La città è ancora oggi uno dei centri del culto zoroastriano, che ha largamente influenzato Giudaismo, Mitraismo, Mazdeismo e Cristianesimo. Un sommo Dio onnisciente e buono si contrappone al malvagio spirito delle tenebre; l’anima abbandona il corpo dopo la morte, e viene messa su una bilancia: va all’inferno o in paradiso a seconda della prevalenza delle sue azioni, tra le buone e le cattive. Nel giorno del giudizio universale, comunque, anche i peccatori verranno riscattati dall’inferno. Mi ero chiesto come potesse apparire un tempio del fuoco dei zoroastriani. Mi immaginavo Giuliano l’Apostata alla testa delle sue legioni, in marcia per raggiungere il luogo del Sol Invictus. Diversi chilometri fuori della città, nel deserto, ce n’era uno su un’altura arida. Arrivato in cima, trovai effettivamente il tempio, ma era un deludente edificio piastrellato come una casa al mare degli anni ’60. E con un barbecue e tavolini in pietra per i pic-nic, perché gli iraniani - musulmani, ebrei, cristiani, zoroastriani che siano -, amano il pic-nic.Un oriente postmoderno era infondo facile da prevedere. Un ragazzo si è materializzato tra la polvere dalla città a cavallo della sua moto; mi dice di essere uno zoroastriano, e parla meglio di me il tedesco. Also sprach Zarathustra. Induce al sorriso un altro giovane sassanide fan del calcio italiano: il moderno nipote degli antichi Parti, gli eterni nemici dei Romani, aveva addosso la maglietta della squadra della Roma, con su scritto “Totti”. Giuliano l’Apostata non poteva prevederlo; ma altri avrebbero potuto.La stessa continuità (perché l’umanità è una, uno è l’intelletto, come scriveva l’arabo Averroé, riprendendo il greco Aristotele) la trovai in un discorso, in inglese, tra un iraniano e due siriani sul traghetto che attraversava il grande lago Van. I siriani chiedevano se veramente in Iran le donne dovessero andarsene in giro velate e non si potesse bere alcool. L’iraniano confermava desolato, niente eccezioni; ma trasse fuori dal suo bagaglio una lattina di birra: “La devo bere prima di arrivare al confine, altrimenti me la sequestrano”. Non c’è da dire molto di più sul tema fasullo dello scontro di civiltà.Aveva forse la sua parte di ragione il cinese di Honk Kong, anche lui sul treno per Teheran, che aveva studiato legge a Londra. Secondo lui, in Occidente, ovvero, dal suo punto di vista, in tutti i paesi che dall’Europa arrivano fino all’Iran, c’è un interesse ossessivo per la religione. “In Cina siamo pragmatici. Non come voi occidentali”.Quella mattina, attraversando l’antico e polveroso Limes tra Oriente e Occidente, dove un tempo sorgeva la città di Nisibi, mi tornò in mente anche l’autista dell’autobus di linea iraniano che aveva sul cruscotto una bandiera americana. E ripensai alle invettive contro il regime che tutti gli iraniani che ho incontrato confidavano ai turisti con troppa facilità. Anche le ragazze iraniane, benché velate a forza, erano aperte. Due sorelle dall’inglese corretto, se non fluente, mi raccontarono della loro vitaccia con il regime, davanti a un the in uno dei locali che si trovano sotto il ponte di Esfahan. La voglia degli iraniani di comunicare con il mondo da cui si sentono separati è fortissima. Dai tetti delle loro case una rete di parabole satellitari li collega disperatamente agli altri. Pare che molti non sappiano chi sono i Beatles, non parliamo poi dei Rolling Stones. O fingono di non saperlo. Ammetterne una tale conoscenza sarebbe troppo pericoloso (dove si capisce che il regime conosce meglio dei generali raccomandati, quali sono le vere armi letali dell’Occidente). Ma c’è poco da fare. Nonostante i divieti, Mitra ascoltava il rock a volume piuttosto alto, mentre mi parlava di suo fratello in Germania. Consideravo allora, che lei parlava in inglese di suo fratello, dunque del suo brother, che i tedeschi avrebbero detto Bruder, che il Farsi avrebbe detto Barader; che in italiano avrei tradotto detto fratello, dal latino Frater, ovvero, di nuovo, la stessa parola. Oltre il confine tra la Turchia e la Siria un autobus di linea aspettava i passeggeri del medio oriente, con i loro abiti lisi, seri e scuri, pieni di polvere. Un ragazzino salì a bordo per vendere dell’acqua. Gli regalai tre caramelle che avevo in tasca. Lui fu sorpreso del fatto che gliele dessi tutte. “È curdo”, disse affettuosamente una donna siriana. Poi il ragazzino scese e scomparve nell’immensa fornace del deserto, tra la polvere e le case basse, composte di una sola stanza. Sarà tornato dalla madre, forse avrà nascosto il suo tesoro ai fratelli o alle sorelle o al contrario l’avrà diviso con loro. Ripenso a lui quando vedo, per pochi secondi in televisione, i padri portare in braccio i loro figli morti per una bomba, nelle frequenti immagini di moderne pietà michelangiolesche in versione mediorientale, quando sono i padri che portano le spoglie dei loro figli.Quella mattina era appunto l’11 settembre del 2001. L’autobus si inoltrò nel deserto, e per 10 ore non seppi nulla del mondo. Unica sosta tra i resti di Palmira. Fu da qui che l’imperatore Aureliano, dopo aver occupato la città, prese la grande statua del dio Sole per portarla a Roma. Poi gli dedicò un giorno per il culto, il 25 dicembre - supposto giorno del solstizio d’inverno - con grandi feste e cerimonie. Tre secoli dopo, i cristiani trasformarono quella festa nel giorno della nascita di Cristo. Nacque il natale.All’arrivo a Damasco, scopro dell’attacco alle torri gemelle. Il mondo sarebbe rimasto lo stesso. Trovai molte e-mail di amici, anche dei più “informati”, che mi consigliavano l’immediato rientro in Italia, perché altrimenti, non c’è dubbio, mi avrebbero ucciso. Ma la gente era partecipe del dolore di tutti, nessuno festeggiava per strada. In tutto il mondo si era capito, di colpo, che aveva inizio un periodo d’oro per i fanatici religiosi di ogni latitudine, che a lungo si erano sentiti repressi nella loro “identità”. Ora potevano tornare ad esibirla, goffa, agitata e sudaticcia, orgogliosamente ottusa. La televisione siriana disse una prudente bugia, ma una verità simbolica: che si pensava ad un attacco di una setta di folli giapponesi. (Giovanni Perazzoli-Micromega))

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