sabato 10 aprile 2010

Aiutiamoci da soli. Le istituzioni hanno fallito

Io non riesco a capire se gli italiani, tutti compresi, sono fessi o ci marciano. Ma come è possibile ancora credere che personaggi come Berlusconi e Bossi possano fare delle riforme giuste per tutti gli italiani, o almeno per la maggior parte di noi. Come sia ancora possibile che un presidente della Repubblica possa firmare delle leggi come quelle proposte dagli avvocati di Berlusconi? Come sia possibile avere un'informazione staliniana nel 2010 pagata con i soldi dei contribuenti? Come sia possibile che una sola persona faccia informazione in Italia e nello stesso tempo sia il premier di tutti gli italiani? Come sia possibile che questo signore continui ad arricchirsi e a comprare ville e terreni in giro per l'Italia? Come sia possibile che non venga processato dopo che ha commesso reati evidenti peggio di un mafioso e chissà quanti altri che non conosciamo? Come sia possibile svendere lo Stato italiano laico ad una potenza straniera come la Chiesa? E' ormai evidente che questo Stato e le sue istituzioni non funzionano più e che ogni cittadino ha ormai diritto a difendersi da solo ed insieme ad altri per affermare quei diritti di giustizia presenti in tutti gli altri Paesi liberali. Insomma, ormai è tempo di abbandonare le chiacchere, le leggi, le regole, ormai in mano a dei ladroni, e di ergere le barricate.

"
Mentre in Italia la Lega è ormai accreditata, in diversi ambienti, come il partito delle riforme, il partito dei nuovi statisti, il partito dei salvatori della patria, il partito che tirerà fuori l’Italia dalla crisi economica, il partito del ministro dell’interno che arresta i latitanti e sequestra i beni alle mafie, il partito etico dei “Roma ladrona”, il partito dei padroni e degli operai allo stesso tempo, all’estero la visione degli accadimenti è più nitida. La Commissione Europea ricorda che il “bel Paese” pratica i respingimenti di massa degli immigrati e viola sistematicamente il diritto d’asilo. E’ come dire, in parole più semplici, che i nostri governanti sono disumani e realizzano politiche razziste. Del resto, l’art. 3 della Costituzione viene violentato non solo con l’eliminazione dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge perseguendosi l’impunità “legale” del Presidente del Consiglio – attraverso provvedimenti sistematicamente approvati dal Parlamento e promulgati dal Presidente della Repubblica –, ma anche per mezzo della discriminazione razziale: gli immigrati possono essere incarcerati per il solo fatto di essere clandestini; così come gli ebrei venivano deportati in quanto ebrei, dimenticando – con la pratica costante del vizio della memoria - che anche Gesù era, in fondo, un immigrato, così come sono stati emigranti in America nel secolo scorso nostri connazionali. Il razzismo di Stato passa anche attraverso gli affari. Razzisti ed affaristi. Berlusconi e Gheddafi, uniti negli harem e nella costruzione – realizzata dai prenditori di soldi pubblici – dei lager per migranti. La discriminazione di Stato passa pure per lo smantellamento dello Stato laico, emblematicamente rappresentata dalle nuove crociate contro la pillola e contro le donne. Questo nell’era dell’utilizzatore finale. Anatemi per ottenere il gradimento delle gerarchie ecclesiastiche e nascondere i vizi dell’imperatore. Arnesi della propaganda di regime per nascondere l’imperante decadenza morale, il crollo etico dei governanti, la corruzione sistemica e la mafia di Stato. Il pensiero unico dominante – intriso di autoritarismo ed incultura - si realizza anche attraverso la criminalizzazione del dissenso e la santa inquisizione. Chi si oppone ai manovratori è un sovversivo, chi pensa in modo libero e critico è un pericoloso comunista mangiapreti, chi manifesta contro corrotti e mafiosi è un eversivo. L’Europa – dove la maggioranza è moderata ed in parte di destra – osserva con preoccupazione la deriva illiberale italiana. E’ annichilita dalla compressione della libertà di stampa. E’ allibita dal processo di controllo di internet. E’ sorpresa da un processo di smantellamento dell’identità del nostro Paese attraverso la privatizzazione di tutto quello che ha un minimo di suscettibilità economica. Non è liberalismo, ma liberismo amorale; non è libera concorrenza, ma il consolidamento di oligopoli affaristici ed, in taluni casi, criminali.
Un’Italia senza bussola...anzi, mi correggo, con il timone nelle mani della destra nuova. Una destra muscolare, in parte efficientista, popolare, ma soprattutto populista, sicuritaria, rabbiosa ed al tempo stesso rassicurante. Una destra che si spande come l’olio". (Luigi De Magistrisi)

"Oggi bisognerebbe parlare delle famose riforme. Ne parlano tutti: la Lega che vuole il federalismo compiuto e si acconcia a farlo marciare insieme al presidenzialismo e alla "grande grande" riforma della giustizia per tenere agganciato Berlusconi; l'opposizione che si dichiara disponibile a leggere le carte del centrodestra per giudicarle nel merito ma intanto pone come pregiudiziale provvedimenti economici a sostegno dei consumi e dei redditi più bassi; il ministro dell'Economia che preannuncia entro tre anni la "madre delle riforme", quella del fisco "dalle persone alle cose"; il presidente del Consiglio che, tra tutte, rilancia il presidenzialismo nelle sue varie versioni possibili e in particolare quella francese ma senza modificare la legge elettorale vigente in Italia. Infine ne ha parlato Giorgio Napolitano in varie recenti occasioni, l'ultima delle quali venerdì scorso da Verona. Che cosa ha detto Napolitano? Ha detto che è necessario modernizzare lo Stato, che il federalismo è la prospettiva concreta per iniziare questo percorso, che esso deve essere concepito come uno strumento di autonomia delle istituzioni locali e deve servire a rafforzare l'unità del paese e la perequazione tra le sue aree territoriali. Di fronte a questo compito, di per sé immane, la riforma della "governance" del paese passa in seconda linea (così ha detto Napolitano) nell'ordine delle priorità perché rischia di introdurre nuovi elementi di divisione e di confusione. In questi stessi giorni il presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la legge sui contratti di lavoro da lui considerata inadeguata e per certi aspetti di dubbia costituzionalità; ha invece promulgato quella sul legittimo impedimento nonostante i rilievi di presunte incostituzionalità formulati da tutta l'opposizione, da molti giuristi e dalla magistratura associata. Insomma una miriade di tesi, ipotesi, convergenze, divergenze tra gli opposti schieramenti e all'interno dei medesimi; una crescente confusione di lingue e di interessi che alimenta l'indifferenza ostile dei cittadini e la loro separazione dalla politica e dalle istituzioni.
Emerge comunque la volontà berlusconiana di dare una spallata definitiva alla Costituzione repubblicana sostituendola con un regime autoritario, un Parlamento di "cloni" plebiscitati, un potere giudiziario frantumato e subordinato all'esecutivo. Questo sbocco era inevitabile, è stato covato negli scorsi dieci anni ed ora da quelle uova non usciranno teneri pulcini ma serpenti a sonagli. In uno degli angoli del ring c'è Silvio Berlusconi, nell'altro, almeno per il momento, nessuno, o meglio un capannello di persone niente affatto concordi tra loro dalle quali sembra difficile estrarre un valido "competitor". Giorgio Napolitano dovrebbe arbitrare la partita dalla quale potrebbe uscire una Repubblica ammodernata ma fedele ai principi dello Stato di diritto e della libertà, oppure un autoritarismo plebiscitario. L'arbitro potrà compiere il suo ufficio in assenza di uno dei due "competitors"? Oppure finirà, contro le sue intenzioni, col prender lui il posto nell'altro angolo del ring? E quale sarà in tal caso il finale di partita? Il sipario si apre su tre scenari. Il primo si svolge il 1° aprile al Quirinale. Colloquio Napolitano-Berlusconi, presente Letta. Comincia distesamente ma si conclude nel gelo più assoluto. Il premier mette sotto accusa lo staff giuridico di Napolitano il quale gli risponde che si tratta di "validissimi servitori dello Stato" che collaborano con lui per valutare la conformità delle leggi con la Costituzione. Il premier rinnova le critiche, Napolitano ritiene concluso l'incontro e lo congeda. Poche ore dopo arriva da Palazzo Chigi una telefonata del premier che si scusa delle parole "sopra le righe" che attribuisce al nervosismo e allo stress della campagna elettorale da poco conclusa. "Non si ripeterà mai più" promette. "Ha la mia parola". La seconda scena viene recitata a Parigi. Accanto ad un Sarkozy alquanto stupito da quel che sente in traduzione nel suo auricolare, il premier italiano annuncia "la riforma delle riforme": proporrà agli italiani il semipresidenzialismo alla francese, ma con una variante non da poco, la legge elettorale resterà quella attuale con i parlamentari indicati dagli apparati dei partiti e voterà il giorno stesso in cui si vota per il capo dello Stato con suffragio popolare diretto. Quello stesso giorno, 9 aprile, prima di partire per Parigi Berlusconi aveva chiamato il Quirinale per ringraziare Napolitano d'aver promulgato la legge sul legittimo impedimento; gli aveva preannunciato che la stagione della riforme era finalmente arrivata. Tra queste ci sarebbe anche stata la proposta del semipresidenzialismo da lui "ripescata soltanto per fare un favore a Fini". Ma parlando poche ore dopo da Parigi si era visto che non si trattava affatto di un ripescaggio (dal quale peraltro Fini si era immediatamente e clamorosamente smarcato) bensì di un obiettivo a lungo coltivato e gettato sul tavolo subito dopo le Regionali per farlo accettare dalla Lega in cambio del federalismo. B. B., Berlusconi e Bossi. Due alleati o due compari? Presidenzialismo e federalismo regionale. Tasse da ridurre nelle aliquote dell'Irpef e nello spostamento "dalle persone alle cose". Che vuol dire? Le cose sono gli immobili, gli oggetti, i beni e i servizi acquistati, cioè i consumi. L'elemento della progressività scompare nelle tasse sui consumi. Comunque per ora non si entra nei dettagli, ci penserà Tremonti tra tre anni sempre che, tra tre anni, la crisi sia terminata o non invece tuttora in pieno svolgimento dal punto di vista dell'occupazione e del reddito, come molti osservatori qualificati prevedono. Quel che è certo, Tremonti dovrà rientrare di almeno mezzo punto di deficit nel 2011 e di tre quarti di punto nel 2012, vale a dire rispettivamente di 8 e di 12 miliardi. Come antipasto all'abbattimento delle imposte non sembra affatto appetitoso. La terza scena va in onda ieri dal convegno confindustriale di Parma. A mezzogiorno e mezza Berlusconi comincia l'arringa, diretta ad una platea di industriali piccoli, medi, grandi. Marcegaglia in prima fila col suo discorso in tasca che sarà pronunciato subito dopo quello del premier. Il quale comincia come al solito: la crisi è finita o quasi, il declino non c'è stato e non ci sarà, l'economia italiana è competitiva più di tutte le altre in Europa, la società è coesa, le esportazioni vanno bene e andranno sempre meglio se sapranno dirigersi verso la Cina, l'India, la Russia. Le tasse ovviamente saranno abbassate e gli ammortizzatori sociali sono operanti e sufficienti. Tremonti è al timone e fa benissimo. Il programma del Pdl e quello della Confindustria sono assolutamente identici "perciò qui sono a casa mia". Segue la consueta illustrazione dei meriti acquisiti dal governo: l'Ici abolita, l'Alitalia salvata, i rifiuti di Napoli risolti, il terremoto dell'Aquila eccetera. Ma...
Ma da un certo momento in poi l'oratore passa bruscamente dal regno dell'amore a quello dell'odio. Chi l'ha visto a Parma ne descrive il volto di nuovo contratto sotto il cerone e i capelli dipinti sulla fronte. Nei telegiornali non ce n'è traccia perché quei passaggi sono stati "silenziati".
Nelle agenzie addirittura omessi. Perciò ricorriamo al testo letterale, talvolta la pura cronaca si commenta da sola. "Il governo italiano non è in grado di governare nel quadro del sistema vigente. Non può paragonarsi a nessun altro governo europeo da questo punto di vista. L'esecutivo non ha alcun potere; i disegni di legge vanno in esame alle Commissioni della Camera, poi in aula, poi al Senato. "Nessuno dei due rami del Parlamento accetta di approvare lo stesso identico testo approvato dall'altro; lo deve dunque modificare a sua volta. Finalmente, una volta approvato dal Parlamento, quel testo, che non corrisponde più a quello inizialmente preparato dal governo, viene comunque rallentato dalle burocrazie nazionali e regionali. Senza dire, come antefatto, che il testo viene preliminarmente sottoposto al presidente della Repubblica e al suo staff che ne controlla addirittura gli aggettivi". Segue un attacco in grande stile - non nuovo e perciò ancor più grave perché ripetuto in ogni occasione e perfino il giorno prima da Parigi per il sollazzo dei francesi - contro la Corte costituzionale, colpevole perché "essendo di sinistra e quindi politicizzata, annulla tutte le leggi e le sentenze che non piacciono ai pubblici ministeri, anch'essi politicizzati". Siamo in pieno Caimano. Gli industriali vorrebbero che si parlasse dei loro problemi, la Marcegaglia lo dirà subito dopo a muso duro. Vorrebbero almeno un fondo di due miliardi e mezzo per tenere il mare agitato del 2010. Ma a sentirlo attaccare la sua burocrazia, la sua Camera e il suo Senato, dove domina con maggioranze bulgare, comunque lo applaudono. Attacca i suoi perché li disprezza. Anche la platea di Parma li disprezza ed è divertita e soddisfatta dallo spettacolo vagamente schizofrenico. La doppia o tripla o quadrupla personalità del premier piace a quella platea. Ho visto venerdì sera in Sky tivù un vecchio film di Dino Risi con Tognazzi e Gassman protagonisti. Uno fa il giudice istruttore e l'altro un imprenditore cialtrone e corruttore. Fu prodotto nel 1980, sembra scritto oggi sulla misura di Berlusconi. Quando le frasi di Parma, nonostante il silenzio delle agenzie e dei telegiornali ufficiali, arrivano naturalmente alle orecchie del Quirinale. Si racconta che il Presidente ne sia rimasto stupefatto e indignato. Si è fatto chiamare al telefono Gianni Letta e gli ha chiesto conto di quanto aveva appena udito. Pare che la risposta di Letta sia stata: "Non sapevo nulla. Ho udito anch'io. Le faccio le mie personali scuse". E pare che la risposta del Presidente sia stata: "Le sue scuse personali non risolvono la questione. Se non si trattasse del presidente del Consiglio ma di una qualunque altra persona dovrei dire che siamo in presenza di un bugiardo che dice una cosa al mattino e fa l'opposto la sera oppure d'una persona dissociata e afflitta da disturbi schizoidi".
Ho scritto "pare" perché trattandosi di un colloquio telefonico tra due soggetti eminenti, le parole sopra riferite non possono che venire da amici intimi dell'uno o dell'altro. Perciò bisogna scrivere "pare" anche se si ha certezza che il colloquio sia stato nella sostanza di questo tenore.
È inutile soggiungere che un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che sente di doversi scusare a titolo personale per quanto detto poco prima dal suo premier, dovrebbe avere un soprassalto morale e dimettersi dall'incarico. Ma è altrettanto inutile aspettarsi da Letta un atto del genere e se gli chiederete perché vi risponderà che resta dove è per cercare di limitare i danni. L'ipocrisia è il vero sentimento che governa il mondo. Io credo - l'avevo già scritto domenica scorsa ma "repetita iuvant" - che i nodi sono arrivati al pettine e il tempo da qui allo "showdown" si sia raccorciato. Prima ci saranno i decreti attuativi della legge sul federalismo e la "grande grande" riforma della giustizia, intercettazioni comprese. La squadra "occhiuta" del Quirinale "che controlla anche gli aggettivi" farà i suoi rilievi ma nei punti che interessano la Costituzione i rilievi non ci sono per definizione: dopo la doppia lettura in Parlamento la legge approvata a maggioranza semplice va al referendum confermativo se è impugnata da un quinto dei parlamentari. Il secondo round ci sarà con la presentazione della legge sul presidenzialismo alla francese ma con la legge elettorale "porcellum" preparata a suo tempo da Calderoli.
Ed anche qui il referendum, se richiesto da un quinto del Parlamento. E tuttavia queste riforme, a differenza di tutte le altre fin qui discusse, non sono semplici modifiche realizzate nei limiti dell'articolo 138 della Costituzione. Queste riforme cambiano il volto della Repubblica perché distruggono lo Stato di diritto, alterano l'equilibrio dei poteri e la loro reciproca autonomia, ne subordinano uno o due al terzo prevalente. Devastano la giurisdizione, la legislazione, i poteri di controllo. Mettono al vertice dello Stato un personaggio eletto da un plebiscito. Per cinque anni rinnovabili fino a dieci. Questo scontro si concluderà nel 2011, ma comincerà tra meno di un mese. L'opposizione è divisa perché c'è ancora chi spera di prendere qualche voto in più tra tre anni attaccando fin d'ora Napolitano. "Deus dementet qui vult pervere".
Credo di sapere che Napolitano deve e vuole restare al di sopra delle parti perché quel capitale sarà il solo a poter far inclinare il piatto della bilancia dalla parte giusta e non da quella terribilmente sbagliata. Credo di sapere, anzi di prevedere, che contro le sue intenzioni, sul ring a contrastare un vero e proprio "golpe bianco" ci sarà lui. Non in veste di giocatore ma in veste di arbitro di fronte a chi contesta gli arbitri, i soli che possano richiamarlo a rispettare le regole del gioco. Credo di sapere e di prevedere che sarà una durissima battaglia per la democrazia italiana". (Eugenio Scalfari)

"E ora,riforme condivise”. Appena chiuse le urne delle regionali, la parola d'ordine ha ripreso a riecheggiare come un mantra dal Quirinale a Palazzo Grazioli, dal Carroccio al carretto del Pd. Chi ha perso invoca riforme condivise. Chi ha vinto invoca riforme condivise. Chi ha pareggiato invoca riforme condivise. Un po' come nel vecchio spot della domenica: “Se la tua squadra ha vinto, festeggia con Stock 84. Se la tua squadra ha perso, consòlati con Stock 84”. Le riforme condivise sono una gag sempreverde,meglio del Sarchiapone. Ma lasciano inevasi alcuni dettagli: riforme condivise quali? da chi? per fare che? A questo proposito, per un supplemento di chiarezza, si sente farfugliare di “bozza Violante”. Poi per fortuna parla Berlusconi: intercettazioni, legittimo impedimento, impunità per le alte cariche e/o per tutti. Riforme condivise soprattutto da lui. Per il resto le più gettonate sono tre: premierato o presidenzialismo per rafforzare i poteri del capo del governo; federalismo fiscale; superamento del bicameralismo perfetto per sveltire l'iter delle leggi. Il mantra, per non perdere i suoi effetti magici, non prevede discussioni sul merito, anzi le esclude a priori: vietato domandarsi se davvero l'Italia soffra di un premier impotente, di regioni poco autonome e di leggi troppo rare e lente. Anche perchè, se qualcuno se lo domandasse, scoprirebbe che occorre esattamente l'opposto: levare qualche potere a un premier già abbastanza onnipotente (gli manca soltanto lo jus primae noctis, e talora nemmeno quello); riprendere il controllo delle regioni che spendono e spandono accumulando voragini di bilancio; limitare la bulimia legislativa che giustamente Calderoli ha evidenziato con il maccheronico falò delle norme inutili. In altre parole: il premier ha troppi poteri, dunque bisognerebbe rafforzare quelli degli organi di controllo, in primis il Parlamento, ormai ridotto a obliteratrice delle fiducie e dei decreti del governo; le regioni sono troppo autonome e andrebbero riportate all'ordine con appositi commissari, possibilmente teutonici; le leggi sono troppe e, vista la loro qualità media, andrebbero frenate istituendo una terza e una quarta camera, altro che abolire il Senato. Alzi la mano chi ricorda una riforma utile ai cittadini approvata negli ultimi 16 anni e chi non riuscirebbe a farne a meno. Quanto alla presunta lentezza dell'iter legislativo, il lodo Alfano fu licenziato dal Consiglio dei ministri il 27 giugno 2008, approvato dalla Camera il 9 luglio, dal Senato il 22 luglio e firmato dal capo dello Stato il 23. Tutto in 25 giorni: troppi o troppo pochi? E ora, dicono, arriva la mitica “riforma della Giustizia”, condivisa ma anche no. Dal 1994 a oggi la Giustizia è stata riformata fra le 180 e le 200 volte. Con i risultati ben noti. Se provassero a non riformarla più, magari cancellando qualcuna delle 180-200 porcate, potrebbe persino riprendere un po' di vita". (Marco Travaglio)

"Il legittimo impedimento è legge. E’ l'ennesima "legge-porcata" del nostro Presidente del Consiglio, creata ad hoc per questa servile maggioranza parlamentare che chiude entrambi gli occhi, pur di assicurarsi la candidatura alle prossime elezioni. Che cos'e' il legittimo impedimento? Una legge che allarga a tutti i ministri, e non solo al Presidente del Consiglio, la possibilità di non essere processati. Basta dichiarare: "faccio il ministro, e in quanto tale, tu magistrato - anche se sono accusato di reati gravi - non mi puoi processare". Oggi si tratta di fatti di corruzione, della falsa testimonianza di Mills. Niente esclude, però, che domani possa riguardare episodi come lo spaccio di droga, l'omicidio, lo stupro. Anche in questi casi basta essere Ministro o Presidente del Consiglio per non essere processati. Cosa fare rispetto a questa preoccupante degenerazione del sistema dello Stato di diritto? Nella nostra Costituzione è previsto, innanzitutto, che il Capo dello Stato possa esprimere il suo dissenso verso un'offesa così grave alla nostra Carta costituzionale e ai principi dell'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Ma stavolta non toccherò il Capo dello Stato, l'arbitro della Costituzione, perché non mi piace finire nella trappola dei giornali e dei cosiddetti alleati non allineati del PD, pronti a difendere Napolitano senza se e senza ma. Mi limiterò a leggere la rassegna stampa di oggi, come un giornalista terzo. Dalla prima pagina de ‘La Repubblica’ di questa mattina leggo un editoriale di Alessandro Pace,, un costituzionalista di primissimo piano, al quale si son rivolti tutti per consulenze e per esprimere le proprie idee di fronte alla Corte Costituzionale. L'articolo inizia cosi: “Non mi sento, sinceramente, di chiamare in causa la responsabilità del presidente della Repubblica. E ciò per un semplice fatto: non diversamente da quando fu sottoposto alla sua firma il c.d. Lodo Alfano, anche questa volta Giorgio Napolitano si è trovato, nei fatti, di fronte a quello che Leopoldo Elia nel luglio 2008 definì un ricatto”. Abbiamo un Presidente della Corte Costituzionale e uno dei principi del Foro del diritto Costituzionale che definiscono questa firma come partorita da un ricatto. Commentare sarebbe superfluo. Ho poi sfogliato un altro giornale:‘Il Fatto Quotidiano’. Con un’intervista a Giorgio Bocca, un intellettuale con la testa sulle spalle che merita tanto rispetto. Bocca dice: “I casi sono due: o fa il coraggioso (riferendosi al Presidente Napolitano) e viene spazzato via, o si adatta. Ecco, mi pare abbia scelto di adattarsi al compromesso”. Mi fermo qui, perché Giorgio Bocca aggiunge un'altra parola, che vi invito a leggere su ‘Il Fatto Quotidiano’. Se la dicessi se la prenderebbero con chi legge il giornale e non con chi lo scrive. A questo punto cosa bisogna fare? Penso che l'unica strada da perseguire sia quella di fare in modo che questa legge possa essere fermata. Per questo, martedì mattina depositiamo in Cassazione il quesito referendario e dal primo maggio partirà la raccolta delle firme nei banchetti dell'Italia dei Valori dislocati in tutta Italia. Invito tutti i cittadini che vogliono ancora bene a questa Nazione a firmare perché è importante dare un segnale di unione e forza su questo tema. Solo un referendum può fermarli. Questa è una legge incostituzionale. Lo dice - ancora una volta - il costituzionalista Pace che individua cinque casi d’incostituzionalità. Ma a prescindere da questi, voglio parlare del piano etico: questa è una legge immorale che prevede due pesi e due misure. Chiederemo a voi l'abrogazione di questa legge-vergogna. E' l'unica arma che ci rimane, anche se gli amici del Pd si ostinano a definirla “spuntata”. Credo che sia meglio avere un’arma spuntata che avere le mani in pasta. Io preferisco affrontare il nemico che usa le bombe atomiche, anche se ho solo il fioretto, piuttosto che stare a guardare lo sfascio della democrazia in questo Paese. C'è bisogno di una nuova resistenza. E c'è bisogno di qualcuno che inizi a farla. Dal primo maggio tre quesiti potranno cambiare la storia di questo Paese: fermare questa legge porcata; evitare che il futuro del Paese sia in mano ad un’energia che porterà più danni che benefici (l'energia nucleare), che non servirà a niente se non a riempire le tasche di pochi imprenditori e a danneggiare i cittadini; evitare la privatizzazione dell'acqua. Vogliamo passare dalle parole ai fatti. Ci auguriamo che molte altre realtà ci siano vicine e che insieme si possa fermare questa deriva antidemocratica. E' l'unico modo per liberarci da Berlusconi e sconfiggerlo politicamente". (Antonio Di Pietro)

2 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

COME?

ilgorgon ha detto...

a saperlo...per ora vedo solo l'impegno di ognuno di noi a non farci travolgere da questa ondata di lerciume travestito da modernità...poi quella di saper esprimere una nostra rappresentanza, purtroppo in regole elettorali falsate...come ultima ratio le barricate in piazza e la rivoluzione (come in thailandia e negli ex Paesi Urss)...a questo è ridotta una democrazia che non ha saputo rinnovarsi e che è scivolata nel baratro di un pazzo pieno di soldi e e di sudditi venduti ed ignoranti...