mercoledì 24 marzo 2010

Giù le mani dal Continente nero

Il progetto di una diga in Etiopia rischia di mettere a rischio la sopravvivenza di cinquecentomila persone. La drammatica denuncia arriva da Survival International, una ong attiva in Africa che ha deciso di lanciare una vasta campagna mondiale. L'opera, che si chiama "Gibe III", entro il 2012 dovrebbe sorgere nella Valle dell'Omo, proprio lungo il confine con il Sudan. Il progetto ci riguarda da vicino perché è stato affidato alla Salini costruttori, una società italiana di ingegneria artefice di un altro impianto idroelettrico, la Gilgel Gibe II, parzialmente crollato nel febbraio scorso pochi giorni dopo essere stato inaugurato dal ministro degli Esteri Franco Frattini durante la sosta etiope del suo tour nel continente africano. "La realizzazione di questa diga - sostiene Survival international - finirebbe per distruggere un ambiente ecologicamente molto fragile, così come tutte le economie di sussistenza legate al fiume Omo e ai cicli naturali delle sue esondazioni".Lo scopo della diga, alta 240 metri, è fornire energia elettrica a molte regioni dell'area e raccogliere acqua in un bacino lungo 150 chilometri che servirà a irrigare le terre vicine, già destinate a compagnie internazionali per coltivazioni in larga scala, idrocarburi compresi. Ma è indubbio che una diga così imponente finirebbe per alterare il corso del fiume e per squilibrare l'alternanza delle piene che allagano le terre vicine consentendo la semina e i raccolti. "E' molto peggio - osservano alla Survival International - questa enorme diga interrompe le piene del fiume e potrebbe avere conseguenze catastrofiche sulle vite di tutti i popoli della valle, già da tempo messe a dura prova dalla progressiva perdita di controllo e di accesso alle loro terre. La sicurezza alimentare di mezzo milione di persone dipende da una varietà di tecniche di sostentamento che si alternano e si completano a vicenda con il mutare delle condizioni climatiche: dalle coltivazioni di sorgo, mais, fagioli nelle radure alluvionali lungo le rive dell'Omo; dalla pesca, alla pastorizia praticata nelle savane, ai pascoli generati dalle esondazioni". Secondo gli studi effettuati, la diminuzione del pesce potrebbe portare allo stremo una piccola tribù di cacciatori-raccoglitori: i Kwegu. "Sei membri della stessa tribù - ricordano alla ong - tra cui due bambini, sono già morti di fame per il mancato arrivo delle piogge e delle piene". Stando alla denuncia, il progetto sarebbe stato messo a punto dal governo centrale. Le popolazioni locali non sono state neanche consultate, avrebbero appreso dell'opera solo a cose fatte. Il fiume Omo è il principale affluente del lago Turkana del Kenia. Entrambi hanno una importanza archeologica e ambientale e sono stati dichiarati dall'Unesco patrimonio dell'umanità. In una nota, ieri, la Salini annuncia che "si difenderà in ogni sede da ulteriori attacchi immotivati e diffamatori che recano un danno gravissimo non solo all'azienda ed alla dignità dei propri tecnici e lavoratori, ma anche e soprattutto allo sviluppo dell'intero Corno d'Africa". Con i progetti di Gibe, continua l'azienda italiana, "sarà possibile garantire tanta energia rinnovabile e pulita quanta ne potrebbero produrre due centrali nucleari di media grandezza e con questa consentire lo sviluppo sostenibile di una delle aree più depresse del pianeta".Survival International si è appellata al governo etiope chiedendo la sospensione del progetto. Ma ha chiesto anche ai possibili finanziatori - Banca africana allo sviluppo, Banca europea per gli investimenti, Banca Mondiale e Cooperazione italiana allo sviluppo - di non sostenerlo. "Per le tribù della Valle dell'Omo - prospetta Stephen Corry, direttore generale di Survival - la diga Gibe III sarà un cataclisma di proporzioni ciclopiche. Perderanno le loro terre e tutti i loro mezzi di sussistenza. Nonostante questo disastro, pochissimi sanno che cosa sta per accadere".

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