venerdì 27 novembre 2009

Ma chi lo capisce il Quirinale...

L'esternazione del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con il richiamo alle istituzioni e al rispetto del voto popolare sorprende per la sua inutile ovvietà. L'unica spiegazione possibile è quella di voler calmare a tutti i costi gli animi per evitare lacerazioni ancora peggiori di quelle che stiamo vivendo. Il problema è che ha così in qualche modo legittimato un governicchio di ominicchi che stanno stracciando la democrazia cavalcandone le sfumature delle regole. Il richiamo, caso mai, andava fatto proprio all'esecutivo che, pur se votato (ma con una legge elettorale che ne inficia i risultati e con un'informazione dominata dal conflitto di interessi del nostro nuovo patetico ducetto supermiliardario), sta portando l'Italia in mano alla peggiore società, con l'aggressione sistematica della magistratura, l'occupazione totale dell'informazione, l'accaparramento dei beni dello Stato, l'occupazione delle istituzioni da parte di malavitosi e corrotti. Napolitanto sembra così un po' il re ai tempi di Mussolini che faceva finta di non vedere. Qui, invece, fermo restando il rispetto del voto popolare, vanno anche richiamate il rispetto delle regole democratiche. Altrimenti quel voto popolare che rende il Parlamento sovrano sono solo chiacchere in un gioco dove anche il voto e la democrazia sono ormai oggetto di un'occupazione che necessita interventi proprio da parte del Quirinale e delle altre istituzioni. Perché se questi contrappesi costituzionali non funzionano o vengono messi a tacere, allora sì che c'è il rischio di una guerra civile.

"C'è un marziano a Roma. Si chiama Giorgio Napolitano. Di professione fa il presidente della Repubblica. Quando si sveglia monita. Quando monita lo fa spesso con la magistratura. Chiede moderazione. Rispetto delle regole. Non monita quando i giudici vengono rimossi o attaccati. Per De Magistris, Forleo, Apicella neppure un sospiro. E' vittima invece di amorosi sensi per il presidente del Consiglio. In due fanno 158 anni, una buona panchina al parco con i piccioni. Con Berlusconi ha firmato il lodo Alfano, la Corte Costituzionale lo ha bocciato. Lui è rimasto imperturbabile come deve essere un Grande Notaio della Repubblica.Nel suo curriculum vanta un appello ad abbassare i toni sulle puttane di Palazzo Grazioli durante il G8, ma anche un invito vigoroso a non lavare i panni sporchi italiani al Parlamento Europeo. Indimenticabile un caffè in piazzetta a Capri con Bassolino e la moglie di Mastella. Da non sottacere la sua presenza alla prima della Scala nel giorno del rogo della Thyssen. Un marziano che in gioventù fece parte del GUF, il Gruppo Universitario Fascista, ma che, come comunista, anni dopo, appoggiò i carri armati sovietici in Ungheria con le immortali parole: "L'intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ma alla pace nel mondo".In Parlamento dal 1953 come deputato vive di soldi pubblici da prima dello Sputnik e di Gagarin. Difensore della stabilità del governo di un corruttore (Mills), puttaniere (D'Addario), frequentatore di mafiosi (secondo le testimonianze di un plotone di pentiti), acquisitore con destrezza della Mondadori (per corruzione di giudici), piduista (tessera 1816). La stabilità per lui è un bene supremo. Il governo può essere rovesciato solo dal voto. Ma il voto si basa sull'informazione di cui dispone un cittadino. E l'informazione è in mano a Berlusconi. E allora? "Meglio tirare a campare che tirare le cuoia" come disse Andreotti. In futuro, nei libri di Storia, verrà ricordato come "Il Napolitano del Lodo Alfano", una legge che poneva lui e altri tre italiani al di sopra della legge. L'ultimo monito del marziano è severo, alto, quasi nobile come il suo aspetto da migliorista: "Non si può abbattere un governo che ha i numeri". E che numeri!". (Beppe Grillo)

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