giovedì 2 luglio 2009

Impeachement del premier. Il ganimede inquina anche la Consulta.

"Abbassare i toni, chiede il presidente della Corte Francesco Amirante. Come se la cena fra due giudici costituzionali, il capo del governo e il suo guardasigilli fosse una questione di fair play privato e di bon ton istituzionale, e non invece uno scandalo e una vergogna morale. Cos'altro deve accadere, perché si percepisca l'abisso etico-politico in cui il berlusconismo ha precipitato questo paese, riproducendo per partenogenesi le forme di un conflitto di interessi sempre più endemico, pervasivo, totalizzante?Cos'altro deve accadere, perché si comprenda l'imbarbarimento giuridico-normativo in cui il berlusconismo ha trascinato lo Stato di diritto, trasformandone i "servitori" irreprensibili in co-autori irresponsabili delle sue leggi ad personam?Le parole dei due giudici coinvolti nel caso si commentano da sole. A colpire, nell'eloquio di Luigi Mazzella e di Paolo Maria Napolitano, non è solo la corriva complicità di chi detta per lettera un "caro Silvio, siamo oggetto di barbarie", né la banale volgarità di chi obietta "a casa mia invito chi voglio". Un frasario da "compagni di merende", più che da principi del foro, che nessuna frequentazione presente o passata (per rapporti privati di amicizia o relazioni pubbliche d'ufficio) potrebbe oggi giustificare. Ma quello che inquieta e indigna è la condivisione di un format ideologico caro al presidente del Consiglio, che rovescia sugli avversari la sua visione illiberale e autoritaria del potere. "Un nuovo totalitarismo" che "malauguratamente dovesse privarci delle nostre libertà personali": ne scrive Mazzella, e sembra di sentire l'ennesimo comizio assurdamente resistenziale del Cavaliere. "Siamo vittime di un tentativo di intimidazione": ne sragiona Napolitano, e pare di ascoltare l'ennesima giaculatoria falsamente vittimistica del Caimano.Nessuno riuscirà a far fare un passo indietro a questi due "uomini di legge", che della legge fanno strame, in nome della legge. È un gioco di parole, ma proprio questo è il vero cortocircuito che impedisce e impedirà qualunque intervento su due giudici che hanno ineluttabilmente violato tutti i codici deontologici, anche se nessun codice penale. Ha formalmente ragione il Capo dello Stato, a spiegare attraverso i suoi uffici che un provvedimento del Quirinale, in un caso come questo, "non ha fondamento perché interferirebbe nella sfera di insindacabilità della Corte". Costituzione alla mano, è assolutamente vero. Come, Costituzione alla mano, è assolutamente vero che i giudici della Consulta appartengono a una sfera diversa rispetto a quelli ordinari. Diversi i criteri di nomina e di elezione, differenti le regole di carriera, che li esclude dal cursus dei concorsi e dalla disciplina del Csm. Proprio in quanto rappresentanti di un organo di rilevanza costituzionale che deve decidere spesso su questioni che riguardano altri poteri dello Stato, non subiscono gli stessi limiti cui sono esposti gli altri "contropoteri".Ma si potrebbe dire che proprio lo "status" speciale di questi giudici, per la cruciale importanza delle questioni di principio sulle quali sono chiamati a decidere e sui quali poggia l'intero Stato di diritto, li espone ad un "self restraint" infinitamente maggiore, e non indiscutibilmente minore, rispetto a quello cui devono sentirsi sottoposti un gip, un gup, un pm o un magistrato di corte d'appello. L'inalienabile principio della "terzietà", per loro, dovrebbe valere immensamente di più di quanto non valga per un giudice civile, che per esempio, come prevede l'articolo 51 del codice di procedura, è obbligato all'istituto dell'astensione "se ha un interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto", e soprattutto "se egli stesso o la moglie è parente... o è commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori". Perché un pretore deve astenersi da una causa se ha pranzato più volte con il denunciante nella stessa controversia, e Mazzella e Napolitano potranno allegramente decidere della legittimità costituzionale del lodo Alfano, pur avendo cenato infinite volte con il vero, unico beneficiario di quello scudo processuale che lo mette al sicuro da una probabile condanna penale? Basta il fatto che il primo sia obbligato al passo indietro da un articolo testuale del codice, e i secondi possono sottrarsi all'obbligo solo perché non c'è una norma espressa che glielo imponga? Eppure questo succede, e questo succederà quando il 6 ottobre cominceranno le udienze della Consulta su quella scellerata legge salva-premier. Con buona pace di tutti. A partire dallo stesso Cavaliere. Ha tuonato per anni contro la Corte, "covo di comunisti" e architrave del "pentagono rosso" che domina l'Italia bolscevica, e oggi ne capta la benevolenza attraverso un'intollerabile forma di diplomazia conviviale. Ha insultato il giudice Gandus definendola "toga eversiva" e ha tentato di ricusarla solo perché, avendo partecipato a qualche iniziativa di Magistratura democratica contro qualcuna delle sedicenti "riforme della giustizia" del Polo, sarebbe stata incapace della necessaria obiettività di giudizio nel decidere su di lui al processo Mills. E ora difende a spada tratta due "toghe corrive" perché, pur avendo più volte condiviso con lui la tavola in questi mesi di serena bisboccia, in autunno avranno sicuramente la necessaria obiettività di giudizio nel decidere sulla costituzionalità di una legge che lo riguarda in prima persona.Invocare il ripristino della "sacralità" degli organi di garanzia, come fa Di Pietro, è purtroppo una pia illusione. In questa perpetua eresia italiana i mercanti presidiano il tempio. E non si vede più chi li possa cacciare". (Massimo Giannini)

"Un giudice costituzionale invita a casa sua l'imputato che vuole farla franca. Sono vecchi amici. Il giudice si chiama Mazzella. L'imputato, il corruttore di David Mills, si chiama Berlusconi. Il giudice ha una lunga frequentazione con lo psiconano. E' stato ministro della Funzione Pubblica in un suo governo. Mazzella e Berlusconi sono serviti a tavola da "una domestica fidata". Alla tavolata del ristorante Mazzella sono presenti Berlusconi, che trae vantaggio dal Lodo Alfano, i giudici Mazzella e Napolitano, che devono giudicare la costituzionalità del Lodo Alfano, Angelino Alfano, il ministro della Giustizia che ha scritto il lodo Alfano, Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e Vizzini, presidente della Commissione Affari Costituzionali. Hanno trascorso la serata "conversando tutti assieme in tranquilla amicizia". Hanno parlato di tutto, ma non del Lodo Alfano. Elio Vito, ministro per i Rapporti con il Parlamento, è stato esplicito: "Non si è parlato di Lodo Alfano". Lui non era presente, ma è stato di certo informato dalla "domestica fidata". Il ristorante Mazzella è sempre aperto per l'imputato Berlusconi. Mazzella è un giudice liberale, gli imputati vuole vederli in privato, in un contesto conviviale. Infatti ha scritto a Silvio "ti inviterò ancora a cena... non era quella la prima volta che venivi a casa mia e che non sarà certo l'ultima".Alla cena non era presente Morfeo Napolitano. Non l'hanno invitato e non l'ha presa molto bene. Si è rifugiato in uno sdegnoso silenzio, preferisce non commentare le parole di Mazzella che tira in ballo l'intera Consulta: "Molti miei attuali ed emeriti colleghi della Corte Costituzionale hanno sempre ricevuto nelle loro case, come è giusto che sia, alte personalità dello Stato e potrei farne un elenco chilometrico". Mazzella, lo faccia questo elenco. Vorrei sapere quanti sono i ristoranti privati dei giudici costituzionali e di cosa si discute tra le alte cariche dello Stato, magari prima di una sentenza. Al ristorante Mazzella si è consumata l'ultima cena della democrazia. Se i cittadini perdono fiducia anche nella Corte Costituzionale, dopo c'è solo l'abisso". (Beppe Grillo)

"Pubblico il mio intervento alla Camera su quella che ho definito "cena carbonara" a cui hanno partecipato due giudici della Consulta, Mazzella e Napolitano, un corruttore ma improcessabile per il lodo, Silvio Berlusconi, il firmatario del lodo, Angelino Alfano, un sottosegretario, Gianni Letta, ed il presidente della commissione Affari Costituzionali al Senato, Carlo Vizzini. Commensali ben assortiti che il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, vuol venderci come grandi amici che han parlato di tutto fuorchè del lodo.
Gli italiani si stanno svegliando, signori del governo, e vi chiederanno il conto di quanto avete "mangiato".
Alfano, Mazzella e Napolitano abbiano la decenza di dimettersi.
Quesito. Antonio Di Pietro: Signor Presidente, signor Ministro della giustizia - anche se non c'è -, vogliamo sapere da lei perché ha partecipato ad un incontro riservato e carbonaro tra lei, il Presidente del Consiglio e due giudici della Corte costituzionale Luigi Mazzella, promotore della cena galeotta, e Paolo Maria Napolitano.Lei sa bene che il Presidente del Consiglio è un plurinquisito, nei cui confronti i giudici italiani non possono procedere proprio perché lei, Ministro Alfano, ha promosso e ottenuto una legge che permette a Berlusconi l'impunità durante tutto il suo mandato. Lei dovrebbe capire che così facendo ha compromesso la credibilità della Corte, perché la Corte stessa dovrà decidere il 6 ottobre sul lodo Alfano. Per questo vogliamo sapere: se si rende conto della gravità e della scorrettezza istituzionale da lei promossa; per quale ragione avete organizzato e realizzato quella cena; se non ritenga doveroso a questo punto ed ora che la tresca è stata scoperta dimettersi dal suo incarico per restituire dignità al suo ufficio e a quello della Corte costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Risposta. Elio Vito: Signor Presidente, per la correttezza e il rispetto profondo che il Governo nutre nei confronti del Parlamento, naturalmente farò riferimento al testo scritto e presentato dall'onorevole Di Pietro e dagli altri deputati del gruppo dell'Italia dei Valori e non risponderò alle affermazioni che sono state rese poco fa in Aula.Gli onorevoli interroganti, riprendendo un articolo del settimanale L'Espresso, chiedono di sapere di un incontro presso l'abitazione privata del giudice della Corte costituzionale Luigi Mazzella dove, nello scorso mese di maggio - a dire degli interroganti e dell'articolo citato - si sarebbe svolta, testualmente, «una delle più sconcertanti e politicamente imbarazzati riunioni organizzate dal Governo Berlusconi».L'articolo citato, secondo quanto ripreso ed evidenziato dagli interroganti, nella parte relativa a quello che sarebbe stato il contenuto della riunione organizzata dal Governo Berlusconi, fa poi frequenti e generici riferimenti ad espressioni del tipo «più fonti concordano», «sembra» e a interlocuzioni che, nello stesso testo in esame, riportano mere congetture ed ipotesi disparate.In ordine a quello che nel testo viene indicato - come ho detto - come un fatto certo, «una delle più sconcertanti e politicamente imbarazzanti riunioni organizzate dal Governo Berlusconi» va subito chiarito, onorevole Di Pietro, che il Governo Berlusconi, che mi onoro in questa sede di rappresentare, non ha organizzato presso l'abitazione del giudice Mazzella alcuna riunione. Molte settimane prima del mese di maggio di quest'anno, il Presidente Silvio Berlusconi, unitamente al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dottor Gianni Letta, al Ministro della giustizia onorevole Angelino Alfano, al senatore Carlo Vizzini e al giudice costituzionale Paolo Maria Napolitano e alle loro rispettive consorti (molto prima, quindi, delle date da lei indicate, molte settimane prima del mese di maggio) riceveva un invito ad una cena organizzata presso la propria abitazione dal giudice costituzionale professor Luigi Mazzella. Tale incontro conviviale, che è naturale conseguenza di un rapporto di conoscenza e stima risalente nel tempo (peraltro riconosciuto nello stesso articolo citato dagli interroganti), che lega il padrone di casa e i suoi ospiti, si è svolto nella prima metà del mese di maggio.L'incontro dunque ha avuto luogo, onorevole Di Pietro, in ogni caso rispetto alle congetture e alle ipotesi disparate citate, in un'epoca antecedente al 26 giugno scorso, giorno nel quale il presidente della Corte costituzionale ha fissato per il prossimo 6 ottobre la data di inizio della discussione sul lodo Alfano ed ha indicato nel giudice Gallo il relatore della medesima discussione. Se permette, signor Presidente, vista anche la delicatezza del tema, la trattengo per pochi secondi ancora.Per quanto concerne quello che tra i «sembra» e i «si dice» sarebbe stato il contenuto della discussione della serata, è appena il caso di osservare che l'incontro non ha avuto in alcun modo ad oggetto temi che riguardassero l'agenda della Corte costituzionale, né ipotesi di riforma del Titolo IV della Costituzione, la cui iniziativa - come si spera gli onorevoli interroganti sappiano bene - appartiene esclusivamente al Parlamento, su impulso anche del Governo, organo al quale è conferito dalla legge costituzionale e al popolo, essendo invece competenza della Corte giudicare delle eventuali controversie. Concludo tranquillizzando gli onorevoli interroganti, dicendo che le iniziative del Governo sul piano legislativo in materia di giustizia saranno rispondenti al programma presentato di fronte al corpo elettorale e che da esso hanno ricevuto il pubblico consenso.
Replica. Antonio Di Pietro: Signor Presidente, la risposta è insoddisfacente e inaccettabile, e lei consentirà anche a me qualche secondo in più, come ha consentito al rappresentante del Governo.La Corte costituzionale - ricordo a me stesso - è un organo costituzionale talmente indipendente che non dovrebbe in alcun modo essere oggetto di interferenze, né da parte del Governo, né da parte di altri organi costituzionali. A maggio dell'anno scorso già c'era il lodo Alfano e già c'erano le richieste dei giudici di Milano e di Roma di valutare la costituzionalità della legge.Un Ministro della giustizia che si fa promotore, insieme al Presidente del Consiglio - lui inquisito nei processi che riguardano proprio i fatti per cui deve giudicare il giudice della Corte costituzionale -, di un incontro, mina la credibilità della Corte stessa. Con il vostro concorso e con il concorso di quei due giudici spregiudicati, voi avete infangato la sacralità della Corte ed oggi, noi che abbiamo a cuore la sua imparzialità e la sua indipendenza, la vediamo totalmente minata. Ora non sapremo mai se qualsiasi decisione sarà presa il 6 ottobre sarà frutto di una valutazione assunta in totale indipendenza o se invece sarà il frutto di una cena carbonara e piduista realizzata quella sera (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).A noi non resta perciò che ribadire: primo, la sfiducia totale a questo Governo; secondo, la deplorazione di questi comportamenti; terzo, la richiesta formale di dimissioni, oltre che dei due giudici della Corte costituzionale che si sono prestati al gioco, o quantomeno la loro astensione, le dimissioni sue, Ministro della giustizia, perché lei per il ruolo e la funzione che svolge non doveva permettere, non dover accettare, non doveva farsi promotore di una riunione in cui si discute di quella legge da parte di quei giudici che mettono in discussione la legge di cui lei si è fatto promotore. A noi non rimane altro, pertanto, che ribadire l'impegno, come Italia dei Valori, del referendum e della validità di quel referendum affinché le firme già raccolte, quel milione di firme, si trasformino poi in un referendum che cancelli quella legge truffa di cui lei, Ministro Alfano, e lei, Presidente del Consiglio, vi siete fatti promotori. Oggi avete anche infangato la Corte costituzionale e le valutazioni che dovrà svolgere". (Antonio Di Pietro)

2 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Ganimede??? Non ti sembra riduttivo?

ilgorgon ha detto...

Ha usato tutte le parole possibili per descrivere questo strano individuo che sta rovinando l'Italia. Ne cerco delle nuove...