venerdì 26 giugno 2009

Impeachement del premier. Cada Sansone con tutti i filistei.

"Strani fenomeni paranormali s’intensificano su tutto il territorio nazionale. Al Tg1 scompaiono le notizie su Puttanopoli (tranne quelle diffuse dall’autorevole «Chi»). A Bari l’auto della testimone Barbara Montereale prende fuoco, nel solco di una lunga tradizione che vede chiunque dia noia ad Al Pappone cadere vittima di strani incidenti di autocombustione (celebre l’autoesplosione della villa di Chiara Beria d’Argentine dopo un servizio dell’Espresso sulle toghe sporche).
Da La7 e da Rai2, causa cortocircuito, sparisce la satira di Crozza e Gnocchi. E sul Corriere un misterioso prestigiatore fa scomparire la vignetta di Vauro, già punito dalla Rai per Annozero e poi oscurato dalla Bignardi. Escludendo che la cosa sia opera del direttore galantuomo De Bortoli, defenestrato anni fa per leso Previti, si attende di conoscere il nome del genio che ha censurato la vignetta («Berlusconi non ha scheletri nell’armadio», con uno scheletro che tenta invano di entrare nell’armadio del premier, ma lo trova occupato da donnine). È lo stesso genio che ora spiega la censura con un’arrampicata sui vetri a base di «questione di stile» e di «gusto», con un finalino mortificante: «Il Corriere non è una buca delle lettere». Infatti il Corriere ha riservato una pagina a un articolo (!) della Carfagna e, ieri, mezza pagina a un’imbarazzante intervista con Angelo Rizzoli, quello che consegnò il Corriere alla P2. Tre anni fa il Corriere s’era scagliato contro la fatwa islamica al vignettista danese che irrideva a Maometto. Ma, del resto, chi sarà mai questo Maometto di fronte ad Al Pappone?.
Da quando, poi, in via del tutto ipotetica, il suo on. avv. Niccolò Ghedini l’ha definito “utilizzatore finale” di prostitute a sua insaputa, Silvio Berlusconi si staglia come il politico più ingenuo o più sfortunato della storia dell’umanità. Dal 1974 al 1976 ospita nella villa di Arcore un noto mafioso, Vittorio Mangano, intimo del suo segretario Marcello Dell’Utri e già raggiunto da una dozzina fra denunce e arresti, ma lo scambia per uno stalliere galantuomo: anche quando glielo arrestano due volte in casa. Dal 1978 (almeno) al 1981 è iscritto alla loggia deviata P2, convinto che si tratti di una pia confraternita. Dal 1975 al 1983 le finanziarie Fininvest ricevono l’equivalente di 300 milioni di euro, in parte in contanti, da un misterioso donatore, ignoto anche al proprietario: infatti, dinanzi ai giudici antimafia venuti a Palazzo Chigi per chiedergli chi gli ha dato quei soldi, si avvale della facoltà di non rispondere. Negli anni 80 l’avvocato David Mills crea per il suo gruppo ben 64 società offshore nei paradisi fiscali, ma lui non sospetta nulla, anzi non sa nemmeno cosa sia la capofila All Iberian. Questa accumula all’estero una montagna di fondi neri che finanziano, fra gli altri, Bettino Craxi (23 miliardi di lire) e Cesare Previti (una ventina). Previti, avvocato di Berlusconi, ne gira una parte ai giudici romani Vittorio Metta (nel 1990) e Renato Squillante (nel 1991), ma di nascosto al Cavaliere. Il quale però s’intasca il gruppo Mondadori grazie a una sentenza di Metta, corrotto da Previti con soldi Fininvest. Nei primi anni 90 il capo dei servizi fiscali del gruppo, Salvatore Sciascia, paga almeno tre tangenti alla Guardia di finanza. E nel 1994, quando la cosa viene fuori, il consulente legale Massimo Berruti tenta di depistare le indagini dopo un incontro a Palazzo Chigi col principale. Ma questi non si accorge di nulla (“giuro sui miei figli”). Nemmeno quando Sciascia e Berruti vengono condannati, tant’è che se li porta in Parlamento. Nel 1997-’98 Mills, testimone nei processi Guardia di Finanza e All Iberian, non dice tutto quel che sa e lo “salva da un mare di guai” (lo confesserà al commercialista). Poi riceve 600 mila dollari dal gruppo di “Mr. B”. E Mr. B sempre ignaro di tutto (rigiura sui suoi figli). Di recente si scopre che il Nostro, nell’ottobre scorso, prese a telefonare a Noemi, una minorenne di Portici, proprio mentre il suo governo varava una legge per stroncare la piaga delle molestie telefoniche (“stalking”). Ma lui scoprì che era minorenne solo quando fu invitato al suo diciottesimo compleanno. Ora salta fuori che Patrizia D’Addario, che trascorse con lui una notte a Palazzo Grazioli, è una nota “escort” barese, pagata da un amico del premier (l’”utilizzatore iniziale”?). Ma lui non ne sapeva nulla, tant’è che in quel mentre il suo governo varava una legge per arrestare prostitute e clienti. E’ sempre l’ultimo a sapere. Può un uomo così ingenuo, o sfortunato, o poco perspicace, fare il presidente del Consiglio?" (Marco Travaglio)

"Con un passo in più verso il suo personale abisso politico, ieri Silvio Berlusconi si è collocato all'opposizione rispetto all'establishment internazionale di cui dovrebbe far parte come imprenditore e come capo del governo italiano. Sentendosi assediato dall'imbarazzo che lo circonda fuori dal paesaggio protetto del suo mondo televisivo, il premier ha attaccato tutto il sistema libero e autonomo che non accetta di farsi strumento del suo dominio: Banca d'Italia, organismi di analisi e di controllo internazionale, Europa, e naturalmente "giornali eversivi", vale a dire Repubblica. Questa volta la minaccia è esplicita e addirittura sguaiata nella sua prepotenza, se non fosse un segno chiaro di disperazione. Il Cavaliere annuncia infatti che "chiuderà la bocca" a "tutti quei signori che parlano di crisi", alle organizzazioni che "continuano a diffondere dati di calo dell'economia anche di 5 punti", come ha appena fatto nel doveroso esercizio della sua responsabilità il governatore Draghi e come fanno regolarmente istituzioni neutre, libere e autorevoli nel rispetto generale dei leader democratici di tutto l'Occidente. Nello stesso tempo Berlusconi rilancia la sua personale turbativa di mercato, invitando esplicitamente gli investitori a "minacciare" il ritiro della pubblicità ai giornali che a suo giudizio diffondono la paura della crisi. Davanti a un premier imprenditore ed editore che chiede agli industriali di "minacciare" i giornali, con l'eco puntuale e ridicola del ministro Bondi che replica l'accusa di eversione a Repubblica, ci sarebbe poco da aggiungere. Se non notare una cosa: è la prima volta che Berlusconi esplicita la sua vera intenzione verso chi sfugge alla pretesa impossibile di narrazione unica della realtà. Tecnicamente, si chiama pulsione totalitaria: anche se la deriva evidente del Cavaliere consiglia di considerarla soprattutto velleitaria, e a termine". (Ezio Mauro)

"Gli italiani e specie i giovani, chiedono alla politica "comportamenti coerenti" e lontani dal "clamore e dai riflettori", perché l'Italia "è aliena da derive e eccessi di qualunque tipo siano". E' quanto ha detto il presidente dell'episcopato italiano, cardinal Angelo Bagnasco, intervenuto ad un convegno della Cei sulla preparazione al matrimonio.Il suo intervento è stato rilanciato anche dall'Osservatore Romano. Sotto il titolo "I giovani chiedono alla politica comportamenti coerenti", il giornale del papa pubblica ampi stralci dell'intervento pronunciato ieri da Bagnasco in un convegno della Cei in corso a Crotone.Le parole del porporato sembrano, se pur indirettamente, riferirsi all'appello lanciato tre giorni fa dal direttore di Famiglia Cristiana, don Antonio Sciortino, che rispondendo alle lettere dei lettori aveva definito "indifendibile" il comportamento del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. "E' stato superato il limite della decenza", aveva detto don Sciortino, aggiungendo che la Chiesa italiana "non può ignorare l'emergenza morale" di fronte allo scandalo-escort.Bagnasco non cita in alcun passaggio le vicende personali del presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Il cardinale parla del degrado del clima morale in Italia sul significato della famiglia e dell'amore di coppia e chiede alla politica di dare il buon esempio. "Il contesto socioculturale - ha spiegato il presidente della Conferenza episcopale italiana - dovrebbe accompagnare i giovani in generale nei loro progetti di vita. Le responsabilità sono di ciascuno ma conosciamo l'influsso che la cultura diffusa, gli stili di vita, i comportamenti conclamati hanno sul modo di pensare e di agire di tutti, in particolare dei più giovani che hanno diritto di vedersi presentare ideali alti e nobili, come di vedere modelli di comportamento coerenti".Il cardinal Bagnasco domanda dunque alla politica di "onorare quella moltitudine silenziosa che questi ideali umani ed evangelici vive ogni giorno con umiltà e concretezza, senza clamore e riflettori". Moltitudine - ha concluso - che esprime "il vero ethos di fondo del nostro popolo e che è aliena da derive ed eccessi di qualunque tipo siano". (Cardinal Bagnasco)

""Gli ultimi giorni della corte di re Silvio" s'intitola il paginone dell'Independent di oggi. E il Times ricostruisce su due pagine la vicenda con un grafico della "ragnatela di connessioni nel mondo di Silvio", ipotizzando che le pressioni per costringere il premier a dimettersi continueranno e indicando nel governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, un possibile primo ministro ad interim che ne prenda il posto. Il caso Berlusconi continua dunque a rimanere al centro dell'attenzione dei media e dell'opinione pubblica mondiale, in particolare in Gran Bretagna, dove la stampa nazionale sembra particolarmente colpita da una vicenda a base di "sesso, bugie e videotape", per parafrasare un noto film di alcuni anni or sono. "Berlusconi sembrava immune dagli scandali, ma le sensazionali notizie di caroselli sessuali a base di feste, modelle e denaro stanno facendo sentire il loro peso sul premier", scrive l'Independent. L'inchiesta dell'ex-corrispondente da Roma Peter Popham ricostruisce gli ultimi sviluppi della faccenda, notando in particolare le crescenti critiche della Chiesa cattolica, "che sta cominciando quietamente a tenere Berlusconi a distanza" e "l'accumularsi di segnali di pericolo" per il suo futuro politico. L'articolo sottolinea che perfino uno dei suoi più fidati consiglieri, Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio, ha recentemente tracciato "un'analogia tra l'attuale situazione di Berlusconi e quella di Mussolini il 24 luglio 1943", il giorno prima che il duce fu destituito dal re. "La defezione di Ferrara", nel fronte dei critici di Berlusconi, scrive Popham, "fa parte degli effetti collaterali del divorzio chiesto da Veronica Lario", poiché Il Foglio è parzialmente di proprietà della (ancora per poco, a quanto pare) moglie del leader del Pdl.
Anche il Times pubblica un paginone sul caso. Un articolo di Lucy Bannerman, inviata a Bari, ricostruisce la rete di amicizie dichiarate e sotterranee che portano dal capoluogo pugliese fino alla residenza romana di Berlusconi e alla sua villa di Porto Rotondo in Sardegna. L'articolo contiene tra l'altro una nuova intervista a una delle giovani donne che hanno fatto visita al premier in più occasioni, Barbara Montereale, la cui automobile è bruciata nei giorni scorsi per un misterioso incendio doloso, la quale dice al Times che quando fu invitata in Sardegna a metà gennaio "c'erano un sacco di ragazze che non si conoscevano tra loro" e parla di un'atmosfera "quasi competitiva". La Montereale conferma quando affermato in precedenti occasioni, cioè che per la sua presenza in Sardegna ricevette 11 mila euro, mille dall'uomo d'affari pugliese Giampaolo Tarantini, che l'aveva accompagnata, e 10 mila come "regalo" da Berlusconi. Un secondo articolo, un commento del corrispondente da Roma Richard Owen, nota che, due mesi dopo l'inizio dello scandalo con la partecipazione al compleanno per i 18 anni di Noemi Letizia, Berlusconi cerca di mettere insieme una strategia, "mantenere la calma e andare avanti come niente fosse". Ma è "troppo tardi", la mancanza di una reazione convincente fino a questo momento hanno lasciato "la sua squadra in uno stato d'assedio". Per di più, scrive Owen, l'economia continua a declinare, con Mario Draghi, il governatore della Banca d'Italia, "indicato da alcuni come possibile premier a interim" se Berlusconi dovesse dimettersi, che questa settimana ha accusato il governo di "non avere una credibile via d'uscita" dalla recessione. L'articolo sottolinea che Berlusconi ha dovuto posticipare la discussione di una legge che dovrebbe multare severamente i clienti delle prostitute a causa dell'imbarazzo che provocherebbe un dibattito sul tema in parlamento alla luce degli incontri tra il premier e le escort e per la definizione che di lui ha dato il suo avvocato come "utilizzatore finale" di tali servigi. Il Times rileva che Berlusconi affida sempre più spesso il compito di apparire in pubblico in sua vece al "fidato luogotenente Gianni Letta", dando la colpa all'artrite che lo affligge, per cui riceve iniezioni di cortisone. L'articolo si conclude ipotizzando che la salute "potrebbe essere una scusa" per rassegnare le dimissioni e prevede che le pressioni per dimettersi continueranno anche in autunno. Il paginone del Times è illustrato da un ampio grafico che ricostruisce "la ragnatela" dei rapporti fra tutti i personaggi che ruotano attorno a Berlusconi e che sono coinvolti in qualche modo nello scandalo, da Veronica Lario alla cosiddetta "ape regina" Sabine Began, da Noemi Letizia alla escort Patrizia D'Addario; e un riquadro a parte cerca di spiegare ai lettori inglesi il significato di termini come "velina", "meteorina" e "valletta", il nuovo vocabolario della politica italiana al tempo di re Silvio". (la stampa straniera)

"Le auto con le scorte erano arrivate una dopo l'altra poco prima di cena. Silenziose, con i motori al minimo, avevano imboccato una tortuosa traversa di via Cortina d'Ampezzo a Roma dove, dopo aver percorso qualche tornante, si erano infilate nella ripida discesa che portava alla piazzola di sosta di un'elegante palazzina immersa nel verde. Era stato così che in una tiepida sera di maggio i vicini di casa del giudice della Corte costituzionale Luigi Mazzella, avevano potuto assistere al preludio di una delle più sconcertanti e politicamente imbarazzanti riunioni, organizzate dal governo Berlusconi. Un incontro privato tra il premier e due alti magistrati della Consulta, ovvero l'organismo che tra poche settimane dovrà finalmente decidere se bocciare o meno il Lodo Alfano: la legge che rende Silvio Berlusconi improcessabile fino alla fine del suo mandato.Del resto che quello fosse un appuntamento particolare, gli inquilini della palazzina lo avevano capito da qualche giorno. Ilva, la moglie di Mazzella, aveva chiesto loro con anticipo di non posteggiare autovetture davanti ai garage. "Non stupitevi se vedrete delle body-guard e se ci sarà un po' di traffico, abbiamo ospiti importanti...", aveva detto la signora Mazzella alle amiche. Così, stando a quanto 'L'espresso' è in grado ricostruire, a casa del giudice si presentano Berlusconi, il ministro della Giustizia, Angiolino Alfano, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, e il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini. Con loro arriva anche un altro collega di Mazzella, la toga Paolo Maria Napolitano, eletto alla Consulta nel 2006, dopo essere stato capo dell'ufficio del personale del Senato, capo gabinetto di Gianfranco Fini nel secondo governo Berlusconi e consigliere di Stato.Più fonti concordano nel riferire che uno degli argomenti al centro della riunione è quello delle riforme costituzionali in materia di giustizia. Sul punto infatti Berlusconi e Mazzella la vedono allo stesso modo. Non per niente il giudice padrone di casa è stato, per scelta del Cavaliere, prima avvocato generale dello Stato e poi, nel 2003, ministro della Funzione pubblica, in sostituzione di Franco Frattini, volato a Bruxelles come commissario europeo. Infine l'elezione alla Consulta a coronamento di una carriera di successo, iniziata negli anni Ottanta, quando il giurista campano militava in un partito non certo tenero con i magistrati, come il Psi di Bettino Craxi (ma lui ricorda di aver mosso i primi passi al fianco dell'avversario di Craxi, Francesco De Martino), diventando quindi collaboratore e capo di gabinetto di vari ministri, tra cui il suo amico liberale Francesco De Lorenzo (all'epoca all'Ambiente), poi condannato e incarcerato per le mazzette incassate quando reggeva il dicastero della Sanità.La cena dura a lungo. E a tenere banco è il presidente del Consiglio. Berlusconi sembra un fiume in piena e ripropone, tra l'altro, ai presenti una sua vecchia ossessione: quella di riuscire finalmente a riformare la giustizia abolendo di fatto i pubblici ministeri e trasformandoli in "avvocati dell'accusa".L'idea, con Mazzella e Napolitano, sembra trovare un terreno particolarmente fertile. Il giudice padrone di casa non ha mai nascosto il suo pensiero su come dovrebbero funzionare i tribunali. Più volte Mazzella, come hanno in passato scritto i giornali, ha ipotizzato che la funzione di pm fosse svolta dall'avvocatura dello Stato. Solo che durante l'incontro carbonaro l'alto magistrato si trova a confrontarsi con uno che, in materia, è ancora più estremista di lui: il plurimputato e pluriprescritto presidente del Consiglio. E il risultato della discussione, a cui Vizzini, Alfano e Letta assistono in sostanziale silenzio, sta lì a dimostrarlo.'L'espresso' ha infatti potuto leggere una bozza di riforma costituzionale consegnata a Palazzo Chigi un paio di giorni dopo il vertice. Una bozza che adesso circola nei palazzi del potere ed è anche arrivata negli uffici del Senato in attesa di essere trasformata in un articolato e discussa. Si tratta di quattro cartelle, preparate da uno dei due giudici, in cui viene anche rivisto il titolo quarto della carta fondamentale, quello che riguarda l'ordinamento della magistratura. Nove articoli che spazzano via una volta per tutte gli 'odiati' pubblici ministeri che dovrebbero essere sostituiti da funzionari reclutati anche tra gli avvocati e i professori universitari.Per questo è previsto che nasca un nuovo Consiglio superiore della magistratura (Csm) aperto solo ai giudici, presieduto sempre dal presidente della Repubblica, ma nel quale entrerà di diritto il primo presidente della Corte di cassazione, escludendo invece il procuratore generale degli ermellini.L'obiettivo è evidente. Impedire indagini sui potenti e sulla classe politica senza il placet, almeno indiretto, dell'esecutivo. Del resto il progetto di Berlusconi di incrementare l'influenza della politica in tutti i campi riguardanti direttamente o indirettamente la giustizia trova conferma anche in altri particolari. Per il premier va rivisto infatti pure il modo con cui vengono scelti i giudici della Corte costituzionale aumentando il peso del voto del parlamento. Anche la riforma della Consulta è un vecchio pallino di Mazzella.Nei primissimi anni '90 il giurista, quando era capogabinetto del ministro delle Aree urbane Carmelo Conte, aveva tentato di sponsorizzare con un articolo pubblicato da 'L'Avanti' l'elezione a presidente della Corte dell'ex ministro della Giustizia Giuliano Vassalli e aveva lanciato l'idea di modificare la Carta per affidare direttamente al capo dello Stato il compito di sceglierne in futuro il presidente.Allora i giudici non l'avevano presa bene. Da una parte, il pur stimatissimo Vassali, era appena entrato a far parte della Consulta e se ne fosse diventato il numero uno per legge avrebbe ricoperto quell'incarico per nove anni. Dall'altra una modifica dell'articolo 135 della Costituzione avrebbe finito per far aumentare di troppo il peso del presidente della Repubblica che già nomina cinque giudici. Per questo era stato ricordato polemicamente proprio dagli alti magistrati che stabilire una continuità tra Quirinale e Consulta era pericoloso. Perché la Corte costituzionale è l'unico giudice sia dei reati commessi dal capo dello Stato (alto tradimento e attentato alla Costituzione), sia dei conflitti che possono sorgere tra i poteri dello Stato, presidenza della Repubblica compresa. Altri tempi. Un'altra Repubblica. E un'altra Corte costituzionale.Oggi, negli anni dell'impero Berlusconi, un imputato che fonda buona parte del proprio futuro politico sulle decisioni della Corte, che dovrà pronunciarsi sul Lodo Alfano, può persino trovare due dei suoi componenti disposti a discutere segretamente a cena con lui delle fondamenta dello Stato. E lo fa sapendo che non gli può accadere nulla. Al contrario di quelli dei tribunali, le toghe della Consulta, non possono ovviamente essere ricusate. E dalla loro decisione passerà la possibilità o meno di giudicare il premier nei processi presenti e futuri. A partire dal caso Mills e dal procedimento per i fondi neri Mediaset". (da L'Espresso)

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Il cerchio si stringe intorno al nostro premier.
Chissà se ha un bunker sotto palazzo Grazioli!