venerdì 4 luglio 2008

Onu. La debacle.

Vitaly Churkin è l’inflessibile ambasciatore russo all’Onu che più di una volta ha tenuto in scacco il Consiglio di sicurezza su Iran e Kosovo, ma è anche un accanito tifoso di calcio e quando la sua nazionale ha guadagnato le semifinali degli Europei non ha esitato a chiedere - e ottenere - il rinvio di un’importante seduta sul Medio Oriente, per potersi vedere in tranquillità il match con la Spagna. In altri tempi la diplomazia del Cremlino avrebbe fatto scelte differenti per difendere i propri interessi sullo scacchiere arabo-israeliano ma il passo di Churkin, come il fatto che nessuno si sia opposto, è la cartina di tornasole di un fenomeno che un crescente numero di veterani del Palazzo di vetro descrive parlando, con amarezza, di «irrilevanza dell’Onu». Il riferimento non è tanto al fallimento del negoziato sul Kosovo o alle trattative multilaterali sul nucleare di Iran e Corea del Nord gestite fuori dal Palazzo di Vetro quanto a una miriade di episodi che si sono succeduti a ritmo incalzante negli ultimi mesi mettendo in evidenza una lampante carenza di credibilità dell’Onu. Per accorgersene basta guardare a quanto sta avvenendo in Birmania dove l’inviato Onu, Ibrahim Gambari, nominato dopo la repressione dello scorso settembre, è da quattro mesi in attesa di un visto di entrata che la giunta di Rangoon continua a rinviare. «Non abbiamo idea di quando Gambari tornerà in Birmania», ammette il portavoce Brandon Varma. Ma ai berretti blu del contingente Onu in Darfur è andata anche peggio: senza indossarli le forze del contingente di pace africano non possono rappresentare a pieno titolo le Nazioni Unite e il governo del Sudan, che non vede di buon occhio la missione, non ha fatto altro che tenerli sequestrati per oltre tre mesi dentro un container nello scalo di Karthum. Il braccio di ferro fra Onu e governo sudanese per sbloccare circa quattromila berretti ha trasformato quasi in «farsa» - questa è l’espressione che alcune feluche adoperano - una missione umanitaria che a parole l’intero mondo afferma di volere per bloccare il genocidio di civili in Darfur. Il presidente sudanese Omar al-Bashir aveva già saggiato la vulnerabilità dell’Onu in primavera, riuscendo a bloccare con un semplice veto l’arrivo in Darfur di ingegneri scandinavi incaricati di costruire strade nel deserto, facendo invece entrare quelli cinesi dei quali si fida di più. Ma sul Darfur la vicenda più imbarazzante riguarda gli elicotteri del contingente. Il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, non riesce a trovare i 12 velivoli da pattuglia e trasporto senza i quali nessuna operazione nel deserto potrà svolgersi. Li va cercando dal luglio 2007, quando li chiese anche all’allora premier Romano Prodi durante una visita a Roma, ma tanto l’Italia quanto altri Paesi come Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania si sono tirati indietro, facendo presente che le rispettive forze impegnate in Libano, Afghanistan o altrove sono tante e tali che al Darfur dovrà pensarci qualcun altro. Se il Sudan tiene facilmente nell’angolo l’Onu pur essendo soggetto a una risoluzione redatta sotto il capitolo VII della Carta - che prevede l’uso della forza militare se il Paese in questione si oppone - l’Eritrea è addirittura riuscita a metterla in fuga. Risale a febbraio la decisione del governo di Asmara di tagliare i rifornimenti di carburante ai 1700 uomini del contingente «Unmee», schierati dal 2000 lungo i confini con l’Etiopia dopo un conflitto che fece circa 70 mila morti. Asmara rimproverava ai caschi blu di non riuscire a far rispettare il confine internazionale all’Etiopia e il taglio del carburante ha obbligato i soldati a levare le tende. Il Consiglio di sicurezza non è stato in grado di trovare altre fonti di approvvigionamento e così a fine giugno ha iniziato a discutere lo scioglimento dell’«Unmee» che sarà rimpiazzato da un «avamposto di osservatori in territorio etiope», ovvero un pugno di uomini per sorvegliare una frontiera che si estende per circa mille chilometri. A Shola Omoregie, inviato di Ban in Guinea Bissau, va anche peggio. La sua missione è combattere il traffico della droga che arriva dal Sud America e viene da lì inviata verso l’Europa o il Sud Africa. I narcotrafficanti gestiscono operazioni imponenti grazie a una flotta di barchini veloci nelle acque del Golfo e a pesanti complicità locali ma Omoregie per fronteggiarli non ha né gommoni né veicoli a motore, al punto da essere obbligato a far muovere in taxi i suoi pochi collaboratori. Pur spostandosi in quest’anomala maniera gli investigatori Onu sono comunque riusciti a intercettare un carico di droga. E c’è chi giura che se la sarebbero venduta, per comprare finalmente una macchina. «Ma ora l’auto è ferma perché non hanno i soldi per la benzina», racconta un diplomatico al corrente della vicenda, aggiungendo un ulteriore dettaglio: «Hanno i telefonini con le batterie rotte, per farli funzionare devono attaccarli alla corrente in un negozio locale». (Maurizio Molinari)

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