lunedì 5 maggio 2008

Chiesa pigliatutto: le carte truccate dell'otto per mille.

Riporto qui di seguito un articolo di Cinzia Sciuto, apparso sul sito di Micromega, sulla "truffa" dell'otto per mille preso ai cittadini italiani dalla chiesa cattolica.
"L’otto per mille è un subdolo meccanismo inventato per occultare un vero e proprio finanziamento pubblico alla chiesa cattolica. Che – con quasi un miliardo di euro all’anno di introiti – ringrazia. Dalle modalità di ripartizione dei fondi agli impieghi che chiesa e Stato ne fanno, tra le pieghe di questo ‘pasticcio all’italiana’ si celano mille inganni. Per il cittadino, ovviamente. Per quanto riguarda poi le spese del mantenimento della Chiesa, queste non possono essere messe a carico dello Stato, ma bensì a carico di quella parte del popolo che professa questa o quella fede, vale a dire soltanto a carico della comunità religiosa.
Nel corso dell’anno ci sono degli avvenimenti che scandiscono il tempo e accompagnano il ciclico susseguirsi delle stagioni. A settembre inizia la campagna per la vaccinazione contro l’influenza, a dicembre siamo informati sulle nuove tendenze per i regali di Natale, a febbraio è tempo di diventare romantici per San Valentino, a maggio si tirano fuori dal cassetto i soliti, immutabili consigli per una tintarella dorata ma sicura. E puntuali come le diete estive e le nuove tendenze dei bikini arrivano anche, tra aprile e giugno, le campagne per la destinazione dell’otto per mille dell’irpef. Quella della Chiesa cattolica soprattutto.
È abbastanza diffusa l’idea che l’otto per mille sia un modo che i contribuenti hanno per destinare una parte delle loro tasse a interventi di carattere sociale e umanitario, gestititi da vari enti religiosi o dallo Stato. Ma basta soffermarsi un attimo a rifletterci su, per accorgersi che si tratta di una sistema quantomeno bizzarro. In fondo l’assistenza sociale, gli aiuti allo sviluppo dei paesi del Terzo mondo, la tutela dei beni culturali sono compiti ordinari che lo Stato affronta (o almeno dovrebbe affrontare) con la gestione delle sue finanze e utilizzando i fondi che gli derivano dalle varie entrate. E se un cittadino vuole impegnarsi di più finanziando questo o quel progetto, nessuno gli vieta di farlo con una libera offerta ad una qualsiasi associazione o ente religioso o laico.
Dunque perché esiste un istituto che obbliga lo Stato (perché l’Irpef è dello Stato) a sottrarre a se stesso una parte delle proprie entrate per finanziare enti che i singoli cittadini potrebbero finanziare autonomamente? La risposta a questa domanda richiede uno sforzo piccolissimo: basta leggere la legge istitutiva dell’otto per mille e magari contestualizzarla storicamente. L’otto per mille è stato creato dalla legge n. 222 del 20 maggio 1985 e su quale fosse la sua finalità non vi può essere dubbio. La legge ha infatti per titolo: «Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi». Questa legge si è resa necessaria in seguito alla modifica del Concordato tra la Santa Sede e lo Stato italiano, firmata l’anno precedente e ratificata dal parlamento pochi mesi prima dell’approvazione della legge 222/85. Il nuovo Concordato del 1984 ha abolito la cosiddetta «congrua», dei veri e propri «assegni» che lo Stato versava alla Chiesa cattolica per il sostentamento del clero ad integrazione «dei redditi dei benefici ecclesiastici» (così recitava l’articolo 30 del Concordato del 1929). L’accordo di modifica del Concordato rimandava alle decisioni di una commissione paritetica «la revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano» nei confronti della Chiesa. L’otto per mille costituisce esattamente la «trovata» dei nostri politici per supplire al sostegno diretto. E così l’articolo 47, comma 2, della legge 222/85 recita: «A decorrere dall’anno finanziario 1990 una quota pari all’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche […] è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica».
Una norma inserita in una legge che, come abbiamo visto, aveva proprio l’obiettivo di dare seguito alle modifiche concordatarie. Nulla a che fare, quindi, con slanci di solidarietà e filantropia. Tanto che gli unici due destinatari originari dell’otto per mille erano lo Stato e la Chiesa cattolica. E basta poco per accorgersi che inserire lo Stato tra i beneficiari era un mero escamotage per rendere accettabile anche alle sensibilità un po’ più laiche un finanziamento diretto alla Chiesa cattolica.
L’
Irpef – lo ripetiamo – è tutta dello Stato, che con questa norma non fa che sottrarre a se stesso una quota delle proprie entrate fiscali per darla alla Chiesa. Sarebbe come dire che una quota dell’Ici è destinata ai comuni per fini specifici: un evidente non senso per nascondere una realtà che iniziava ad essere imbarazzante.Oggi, però, come si sa, i destinatari dell’otto per mille non sono solo lo Stato e la Chiesa cattolica, ma anche altre istituzioni religiose. Come mai? C’è lo zampino dei radicali (siano benedetti). Durante la discussione alla Camera del disegno di legge che istituiva l’otto per mille, alcuni parlamentari radicali, tra cui l’allora laico e anticlericale Francesco Rutelli (lo stesso che oggi dice: «Se non fossi ministro andrei al Family day»… le vie del signore sono infinite), presentarono un ordine del giorno (n. 9/2337/3 del 17 aprile 1985) che impegnava il governo a mettere in atto tutte le iniziative volte a porre rimedio alla «grave situazione di disparità con le altre confessioni religiose» che la nuova legge avrebbe creato. L’ordine del giorno venne approvato e da allora anche le altre confessioni religiose con cui lo Stato italiano ha stipulato intese in base all’articolo 8 della Costituzione italiana possono concorrere alla ripartizione dell’otto per mille. L’apertura non deve aver fatto molto piacere alla Chiesa cattolica ma, una volta abolito l’articolo dei Patti lateranensi del 1929 che definiva la «religione cattolica, apostolica e romana» come «la sola religione dello Stato», un finanziamento esclusivo alla Chiesa cattolica sarebbe diventato incostituzionale. È stato questo, dunque, il percorso che ha portato a quello strano oggetto con cui abbiamo a che fare ogni anno tra maggio e giugno.
Ma ppoi scattò l'inganno. Quello dell’otto per mille è un meccanismo subdolo inventato proprio per ingannare chi paga regolarmente le tasse. Il terzo comma del già citato articolo 47 della legge 222/85 recita: «Le destinazioni di cui al comma precedente vengono stabilite sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi. In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse». Tre righe in grado di stravolgere, se non addirittura capovolgere, le volontà reali dei contribuenti. Ogni anno la stragrande maggioranza delle scelte espresse va alla Chiesa cattolica: per i fondi ripartiti nel 2007 – relativi ai redditi 2003, dichiarati nel 2004 – addirittura l’89,81 per cento. Ma a fare una scelta esplicita per la destinazione dell’otto per mille è stato solo il 40 per cento dei contribuenti. Dunque, a rigore, è il 90 per cento di quel 40 per cento che vuole destinare l’otto per mille alla Chiesa cattolica, cioè su 100 contribuenti solo 36 e non 90. E invece alla Chiesa è andato il 90 per cento circa dell’intero ammontare dell’otto per mille dell’irpef. Proviamo a fare un gioco mentale. Immaginiamo che alla prossima dichiarazione dei redditi un solo contribuente esprima la sua preferenza e la dia alla Chiesa cattolica: in questo caso, poiché il 100 per cento delle scelte espresse ha indicato la Chiesa cattolica come destinatario, tutto l’otto per mille di tutti i contribuenti andrà alla Chiesa cattolica. Il paradosso mostra chiaramente la natura ingannevole del meccanismo. E non poteva che essere così. Sarebbe mai stato possibile abolire la congrua sostituendola con un meccanismo che non garantiva alla Chiesa entrate almeno simili, se non addirittura maggiori? Ricordiamo che la modifica del Concordato si può fare solo con l’accordo delle parti (l’unico atto unilaterale che lo Stato italiano potrebbe fare è abolire l’articolo 7 della Costituzione che riconosce i Patti lateranensi come testo di riferimento nei rapporti Stato-Chiesa… ve l’immaginate?). Visto l’atto di nascita dell’otto per mille, dunque, non è affatto malizioso né dietrologico affermare che si tratta di un meccanismo di finanziamento pubblico della Chiesa cattolica, escogitato in modo che fosse il più possibile favorevole alla Santa Sede. Se così non fosse, perché lo Stato non fa neanche un minuto di pubblicità per spiegare bene il meccanismo dell’otto per mille e invitare i cittadini a destinarlo a esso stesso?
È chiaro che chi ha scritto la legge sapeva benissimo che la gran parte delle persone non avrebbe espresso alcuna preferenza e si è inventato un meccanismo che trasformasse questo silenzio in maggiori guadagni per il principale destinatario, cioè la Chiesa cattolica. Il meccanismo del silenzio assenso si presta perfettamente a questi inganni. Per fare un esempio in un contesto completamente diverso, un simile tranello si sta realizzando sulla questione della destinazione del Tfr (trattamento di fine rapporto, meglio conosciuta come liquidazione). Come si sa, entro il 30 giugno tutti i dipendenti privati devono decidere se destinare il proprio Tfr ad un fondo pensione (scelta dalla quale non si potrà più tornare indietro) o se lasciare il proprio Tfr in azienda (scelta sempre modificabile). Bene, anche in questo caso il silenzio non è collegato alla scelta più naturale e, soprattutto, reversibile ma a quella che favorisce il cosiddetto secondo pilastro della previdenza, la nascita del quale era lo scopo della legge. Pertanto, se un lavoratore non esprime la sua preferenza sulla destinazione del proprio Tfr, questo andrà direttamente (e irreversibilmente!) ad un fondo pensionistico complementare. Insomma, il silenzio viene sempre collegato non alla scelta più logica e ovvia ma a quella che più favorisce l’obiettivo che il politico di turno si è posto, anche a costo di ingannare i cittadini.
Facciamo un esempio concreto di come la Chiesa cattolica tragga un vantaggio economico enorme da questo meccanismo. Facendo due conti sulla base dei dati che ci sono stati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, stando alle sole scelte espresse, la Chiesa avrebbe dovuto percepire «solo» 362 milioni di euro circa. L’intero ammontare dell’otto per mille distribuito nel 2007 è infatti di circa 987 milioni di euro e, come abbiamo visto, solo il 36 per cento circa del totale dei contribuenti ha esplicitamente espresso la volontà che l’otto per mille fosse destinato alla Chiesa cattolica. Questa, invece, ha percepito quasi 887 milioni di euro, più del doppio di quello che le sarebbe spettato rispettando fedelmente la volontà dei contribuenti, perché a quella somma si devono aggiungere circa 524 milioni di euro che costituiscono i fondi derivanti dalle scelte non espresse che vengono ripartiti secondo le percentuali delle scelte espresse.
La Chiesa cattolica è l’unica a percepire un anticipo sull’anno in corso mentre a tutti gli altri enti i fondi arrivano dopo tre anni dalle dichiarazioni dei redditi cui si riferiscono. Questo significa che se una nuova confessione religiosa stipulasse una intesa con lo Stato nel 2007, inizierebbe a percepire i fondi nel 2011 (con riferimento alle dichiarazioni dei redditi 2008). Altra cosa, per esempio, è che le Assemblee di Dio in Italia e la Chiesa valdese non partecipano, perché le loro intese non lo prevedono, alla distribuzione della quota dell’otto per mille derivante dalle scelte non espresse, dunque queste due confessioni percepiscono esclusivamente quanto è stato espressamente destinato loro e la loro quota di scelte non espresse va allo Stato. Qualche anno fa la Chiesa valdese ha iniziato a constatare che lo Stato con la sua parte di 8 per mille spesso tornava a finanziare la Chiesa cattolica (per esempio con interventi sull’edilizia di culto) o destinava i fondi ad usi lontani da quelli previsti dalla legge e nel 2001 decise di chiedere una modifica dell’intesa che le consentisse di gestire direttamente anche la parte di fondi derivante dalle scelte non espresse. Se dovesse essere approvata la modifica all’intesa, la Chiesa valdese, grazie al meccanismo che abbiamo appena visto, inizierebbe a percepire i fondi a partire dal 2011.
Ma cosa ci fa la Chiesa cattolica con tutta questa massa di denaro? La Cei non fornisce un rendiconto dettagliato e analitico dell’utilizzo dei fondi per l’otto per mille, ma solo dei dati distinti per macroaree. Per il 2007, la Chiesa cattolica dispone di una somma superiore a 990 milioni di euro (per l’esattezza quasi 887 milioni a titolo di anticipo sul 2007 e circa 104 milioni come conguaglio per il 2004) e ha deciso di investirli così: 432 milioni, cioè il 44 per cento dei fondi disponibili, per «esigenze di culto e pastorali»; più di 353 milioni, il 36 per cento, per il «sostentamento del clero»; e poco più di 200 milioni, il 20 per cento, per «interventi caritativi» (di cui 90 milioni gestiti direttamente dalle diocesi, 85 milioni per interventi nel Terzo mondo e altri 30 milioni per «iniziative di rilievo nazionale»). La prima voce, «esigenze di culto e pastorali», che è anche quella più sostanziosa, costituisce un calderone in cui c’è dentro di tutto: dalla costruzione di nuove chiese, al mantenimento dei tribunali ecclesiastici regionali, dalla formazione dei catechisti al sostegno alle facoltà teologiche e agli istituti di scienze religiose, dagli oratori ai contributi alle associazioni cattoliche. Poi, visto che una buona fetta di questi fondi è gestita dalle singole diocesi, ognuna può metterci dentro le cose più disparate: dall’organizzazione del sinodo diocesano al sostegno ai consultori familiari e ai centri di accoglienza. Non è possibile sapere nel dettaglio come vengono divisi i soldi all’interno di questo calderone, però la Cei dichiara che «nel 2006 a livello nazionale in media il 30 per cento [dei fondi assegnati alla prima voce di spesa: esigenze di culto e pastorali] è destinato agli interventi per l’esercizio del culto, il 50 per cento per l’esercizio della cura delle anime [sostegno ad attività pastorali, facoltà teologiche e istituti di scienze religiose, parrocchie in condizioni di necessità straordinarie, iniziative a favore del clero anziano e malato, mezzi di comunicazione sociale eccetera], il 10 per cento per la formazione del clero e dei religiosi, l’1 per cento per scopi missionari, il 4 per cento per la catechesi e l’educazione cristiana e il 5 per cento per le altre destinazioni e le iniziative pluriennali diocesane». Insomma, di tutto un po’. C’è poi l’altra voce, quella relativa al sostentamento del clero. Nel 2005, ultimo dato disponibile, ben il 57 per cento dei redditi di sacerdoti e vescovi è coperto dai fondi dell’otto per mille. Infine c’è un dato che non viene riportato per nulla nel rendiconto Cei ed è quello relativo alle spese per la promozione. Paolo Mascarino, responsabile del Servizio per la promozione al sostegno economico alla Chiesa (che fa direttamente capo alla Cei) in una recente intervista alla Sir, un’agenzia di stampa legata alla Conferenza episcopale italiana, ha dichiarato che le spese per la promozione ammontano a circa 9 milioni di euro l’anno, cioè intorno all’1 per cento del totale dei fondi raccolti, e sono investiti principalmente nelle campagne televisive su tutte le reti nazionali (Rai, Mediaset e La7). Mascarino, direttamente interpellato da MicroMega, ha confermato anche che, per quel che riguarda sia la produzione che la messa in onda degli spot sono coinvolte «società esterne che riservano alla Cei, in virtù della sua natura e finalità, tariffe di assoluto favore», ed è la ragione per cui non ci ha fornito i dati precisi del costo dei singoli spot. Stretto riserbo sui costi anche da parte di Sipra, Publitalia e Cairo Communication, le tre società concessionarie della pubblicità rispettivamente di Rai, Mediaset e La7, alle quali ci siamo rivolti nel tentativo di ottenere cifre precise. È certo comunque che grazie a questo «trattamento di favore», la Chiesa cattolica riesce a mantenere i costi per la promozione entro cifre relativamente contenute: 9 milioni di euro sono un’enormità come cifra assoluta, ma sono in percentuale circa cinque volte più di quello che spende, per esempio, la Chiesa valdese tra gestione e promozione dell’otto per mille. Il moderatore della Tavola valdese, Maria Bonafede, ci conferma che per loro gli spot televisivi sono assolutamente inavvicinabili, perché non sono mai riusciti ad ottenere alcuno sconto sui prezzi. Gli spot della Cei sulle sette reti nazionali – stando sempre a quanto dichiarato da Mascarino – sono invece circa 100 alla settimana equamente distribuiti su tutte le reti, con circa 2 passaggi giornalieri su ciascun canale, sia di giorno che di sera, e sono trasmessi per circa 8 settimane. I prezzi dei listini ufficiali non sono per niente attendibili, perché, di norma vengono applicati degli sconti che possono anche superare il 50 per cento. Ma, visto che nessuno ci ha voluto fornire i dati precisi né gli sconti applicati alla Cei, ci toccherà fare un po’ di conti con i dati che abbiamo.
Dulcis in fundo, l’inganno nell’inganno. I cittadini che intendono lasciare allo Stato tutte le tasse che pagano, otto per mille compreso, sono ingannati due volte. La prima con il meccanismo di distribuzione che abbiamo appena visto. Non ci vuole infatti un sondaggio per capire che la stragrande maggioranza di chi non esprime una preferenza (cioè più della metà dei contribuenti) è arciconvinta che il suo silenzio valga come una preferenza per lo Stato. A nessuno dotato di un minimo di capacità logica – bene ormai introvabile nel nostro paese – verrebbe mai in mente un meccanismo diabolico come quello descritto. Ma ad essere ingannati sono anche coloro che – capito il primo tranello – fanno una scelta esplicita in favore dello Stato. Secondo la legge, infatti, questo ha l’obbligo di utilizzare i fondi che gli derivano dalla ripartizione dell’otto per mille (che per il 2007 ammontano a quasi 86 milioni di euro) esclusivamente «per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali». Sorvoliamo qui sull’arbitrarietà con cui sono stati scelti questi ambiti (perché la conservazione dei beni culturali e non – parola impronunciabile in Italia – la ricerca scientifica? Misteri della politica). Il problema è che negli anni lo Stato ha in realtà utilizzato questi fondi sostanzialmente per integrare le sue, già scarse, finanze. Domanda: e se se lo tenesse tutto l’otto per mille piuttosto che finanziare col denaro di tutti alcune confessioni religiose? Ma questi, si sa, sono quesiti da laicisti anticlericali. Torniamo al punto. Lo Stato inventa un meccanismo per favorire la Chiesa cattolica, meccanismo grazie al quale alcune briciole rimangono allo Stato stesso. Ci si aspetterebbe che almeno queste briciole venissero utilizzate coerentemente a quanto dichiarato nella legge. I fondi dell’otto per mille sono sempre stati utilizzati (ad eccezione del 2002 e del 2003) anche per scopi che esulano dalla normativa (la legge 222/85, che individua gli ambiti in cui questi fondi devono essere utilizzati, e il decreto del presidente della Repubblica n. 76 del 1998, che definisce più analiticamente i criteri per l’assegnazione). Gli usi più «impropri» sono quelli relativi al finanziamento di missioni militari. Non è storia solo recente. Nel 1999 cento miliardi di lire dell’otto per mille vennero dirottati per l’invio in Albania e in Macedonia di contingenti italiani nell’ambito della missione Nato «per compiti umanitari e di protezione militare, nonché rifinanziamento del programma di aiuti italiani all’Albania e di assistenza ai profughi» (decreto legge 21-4-1999, n. 110 convertito in legge il 18-6-1999, n. 186). Nei due anni successivi la somma destinata a missioni internazionali è addirittura aumentata fino ai 150 miliardi circa del 2001. Ma la cosa più scandalosa è avvenuta nel 2004, quando venne inserito nella finanziaria questo passaggio: «L’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 47, secondo comma, della legge 20 maggio 1985, n. 222, relativamente alla quota destinata allo Stato dell’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (irpef) è ridotta di 80 milioni di euro annui a decorrere dal 2004». Avete letto bene: ogni anno la quota di otto per mille destinata allo Stato dovrebbe essere decurtata alla fonte di 80 milioni di euro (che quest’anno rappresenterebbero quasi il 100 per cento dei fondi!) senza nessuna specificazione circa il loro utilizzo. Poiché vanno a finire nel grande calderone del bilancio dello Stato, è difficile seguire esattamente il percorso di questi danari.
Insomma, questa faccenda dell’otto per mille è un classico pasticcio all’italiana con il danno e pure la beffa per milioni di contribuenti che non riescono a capire che fine fanno i propri soldi. Tutto questo fa quasi rimpiangere i tempi della vecchia congrua, quando almeno tutto era chiaro: l’Italia era uno Stato dichiaratamente confessionale, quella cattolica era la religione di Stato che pagava direttamente per mantenere preti, vescovi e chiese, tutto alla luce del sole. Oggi non è cambiato molto, solo che la luce è stata oscurata da una spessa coltre di ipocrisia".

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