giovedì 20 marzo 2008

Diplomazia all'italiana. Perdere i propri cari e non sapere più nulla.

Riporto qui di seguito un appello dei familiari dei dispersi in Venezuela a Walter Veltroni, sul comportamento della diplomazia italiana, tratto da un articolo di Flavia Amabile su "La Stampa" del 20 marzo 2008.
"La vicenda dell'aereo scomparso in Venezuela la ricorderete. Otto turisti diretti all'arcipelago di Los Roques finiti all'improvviso nel nulla il 4 gennaio. A bordo c'erano otto italiani. Ne ho scritto il giorno dopo. E ne ho scritto soprattutto un mese dopo, quando i dubbi erano l'unica certezza per i parenti dei dispersi. Sono trascorsi due mesi e mezzo, i familiari non si danno per vinti. Tempestano il ministero degli Esteri di telefonate. Pochi giorni fa ottengono una risposta ufficiale da Elisabetta Belloni, capo dell'Unità di crisi della Farnesina. E' l'ennesimo aggiornamento sull'andamento delle ricerche. Ma i familiari non ne possono più di parole. Hanno contatti con altre persone, controllano le informazioni e accusano la Farnesina di ingannarli. E così una decina di giorni fa scrivono una lettera a Walter Veltroni. Veltroni rimane in silenzio fino a ieri quando telefona ai parenti e assicura il suo impegno: vedrà l'ambasciatore venezuelano in Italia il 28 marzo per parlare della vicenda. Anche Prodi chiama proprio ieri il presidente Chavez e ottiene molte rassicurazioni sul fatto che il suo Paese sta facendo il possibile per recuperare l'aereo, se davvero si è inabissato al largo dell'arcipelago di Los Roques. I familiari ringraziano per le telefonate e le promesse ma la lettera scritta a Veltroni esprime con chiarezza il loro pensiero. Accusano Roma e Caracas di mentire. La riporto per intero perché spiega molto bene i dubbi, le incongruenze e i motivi delle loro accuse:'I Venezuelani ci raccontano che subito si sono levati in volo elicotteri per individuare l’aereo in mare. Tutti sanno invece che i 3 elicotteri del SAR (servizio di soccorso in mare), che avrebbero dovuto essere a Caracas, non erano disponibili: 2 erano stati utilizzati impropriamente per lo scambio degli ostaggi con le FARC in Colombia, uno era fermo per manutenzione; a riprova di ciò, tutte le fonti di informazione e tutti i testimoni oculari sono concordi nel sostenere che i primi ad arrivare nel presunto luogo del presunto incidente sono stati i pescatori !!!! I Venezuelani sostengono che nei giorni immediatamente successivi sono proseguite le ricerche di superficie con un enorme dispiegamento di forze: 3 elicotteri, 3 aerei della protezione civile, 4 aerei militari, 3 navi militari e 6 navi civili. Può anche essere vero, però l’unica cosa ritrovata, cioè il corpo del copilota, ha galleggiato per 9 giorni con un giubbetto salvagente giallo con luce stroboscopica, è stato avvistato dai pescatori che lo hanno segnalato alle autorità competenti ed è stato ritrovato 2 giorni dopo, da un gruppo di ragazzi in gita, arenato sulla spiaggia! La giustificazione della Dr.ssa Belloni, capo dell’Unità di crisi della Farnesina, è stata la sfortuna del personale impegnato nelle ricerche ..…
A detta degli stessi venezuelani nella loro prima relazione scritta, in base a posizione ed altezza dell’aereo al momento del lancio dell’SOS, il relitto si trova fra le 2 e le 6 miglia nautiche dalla costa dell’aricpelago, dove ci sono profondità fra i 400 ed i 1.000 metri. In base a successive comunicazioni, la zona di ricerca è stata delimitata su un’area di 200 km quadrati, dove la profondità minima è di 670 metri e quella massimo intorno ai 1.300 metri. A fronte di questi dati inoppugnabili, le ricerche dei venezuelani si sono svolte per circa un mese con mezzi che arrivavano a 100 metri di profondità, e per il mese successivo a 200 metri; in questi giorni ci sbandierano, come fosse la soluzione a tutti i nostri problemi, l’utilizzo di una nave dotata di strumenti per arrivare a 500 metri di profondità. Noi non riusciamo a capire con quale logica si possano svolgere ricerche a queste profondità, se non per perdere tempo e sperare che i familiari si scordino del loro cari. Se continuiamo con queste ricerche, la nostra unica speranza è che il relitto dell’aereo, con il suo contenuto umano, galleggi a mezz’acqua per farci un piacere. Anche in questo caso, la Farnesina ed i suoi tecnici ci dicono che ‘va bene così, se fosse successo in Italia sicuramente non avremmo fatto di più…..’
La tesi dei Venezuelani è che il pilota sia riuscito ad eseguire un ammaraggio non distruttivo ad una velocità di circa 180 km/h, e che le persone a bordo non siano riuscite ad abbandonare l’aereo prima dell’affondamento che si stima possa essere avvenuto in circa 1 minuto. Per giustificare il ritrovamento del copilota, i venezuelani si arrampicano sugli specchi. Sarebbe l’unica persona a bordo senza cinture di sicurezza in quanto ha il compito di aiutare i passeggeri a sistemarsi in vista dell’ammaraggio; ha il giubbetto salvagente in mano, ed al momento dell’impatto dell’aereo con l’acqua colpisce con il plesso solare un oggetto (la cloche?) che ne causa lo sfondamento e la lacerazione del cuore. Da morto, sarebbe poi uscito dall’uscita d’emergenza o dal portellone che lui stesso avrebbe aperto per abbandonare l’aereo……. Ma se è morto nell’impatto, ha aperto le uscite prima di toccare l’acqua? Ma non era impegnato a sistemare i passeggeri? E anche se fosse, esce il suo corpo e niente altro? La delegazione di tecnici inviati in Venezuela dalla Farnesina ha giustificato l’uscita dall’aereo del solo copilota con il fatto che l’uscita d’emergenza era ad apertura ‘sliding door’ e quindi si sarebbe automaticamente richiusa una volta uscito il copilota.
Ma ci sono le foto di quell’aereo scattate pochi giorni prima, che dimostrano che l’apertura della porta è a battente controvento; se aperta in volo, quella porta non si può più richiudere. Pur nell’evidenza delle contraddizioni venezuelane, i tecnici italiani incaricati dalla Farnesina non hanno nulla da eccepire.
In base alle informazioni trasmesse dalle autorità venezuelane, l’aereo era dotato di scatola nera dotata, fra l’altro, ULB = Underwater Acoustic Beacon, cioè di un dispositivo che in caso di incidente emette delle onde sonore captabili con idonei strumenti (idrofoni) anche in profondità. L’emissione di questi segnali continua finchè si esauriscono le batterie dalla scatola nera, cioè circa 30 giorni. E’ stato subito evidente, a chiunque avesse un minimo di dimestichezza con la materia, che gli idrofoni utilizzati dai venezuelani (arrivavano le foto dalla stampa locale nei primi giorni dopo la sparizione) erano completamente inadeguati a questo tipo di ricerca. Quindi i venezuelani hanno consapevolmente fatto trascorrere i 30 giorni utili svolgendo l’ennesima ricerca inutile, e le autorità italiane sono rimaste a guardare senza muovere un dito. Ci ripetiamo: esiste al mondo qualcuno, oltre a noi familiari, che vuole trovare veramente l'aereo?
Abbiamo avuto modo di conoscere, in questi giorni disperati, la famiglia di un italiano disperso da 11 anni a Los Roques. Il 2 marzo 1997, Mario Parolo e sua moglie Teresa (venezuelana), erano a bordo di un Cessna sulla tratta Caracas-Los Roques. L’aereo non è mai arrivato a destinazione. L’aereo era pilotato da Efrain Rodriguez, fondatore della compagnia Chapi Air. Dopo questo incidente, la compagnia cambia nome in Transven, cioè la compagnia utilizzata dai nostri familiari, ora gestita dai figli di Efrain Rodriguez. Esattamente come nel nostro caso: · non sono mai stati trovati i resti dell’aereo. Dopo qualche giorno viene ritrovato il solo corpo di un passeggero australiano, con la testa fracassata e diverse fratture agli arti, senza acqua nei polmoni; l’ipotesi è che sia morto prima di entrare in acqua, ma nessuno spiega come e perchè; · la Farnesina tiene un comportamento vergognoso, arrivando a scrivere nella relazione finale che per un solo italiano non vale la pena spendere soldi nella ricerca e nel recupero del corpo.
Nonostante la morte per sfondamento della regione toracica e conseguente lacerazione del cuore, le foto del cadavere del pilota (da noi recuperate, perché la Farnesina si è ben guardata da fornircele) mostrano il petto del pilota intatto, senza segni di compressione o escoriazioni, senza ematomi od ecchimosi; · I tessuti del cranio hanno subito un completo scollamento, tanto da rendere completamente irriconoscibile il viso, mentre il resto del corpo appare in buone condizioni; se questo scollamento è avvenuto per gravi lacerazioni, dovrebbero esserci anche traumi ossei sul cranio, che appare invece perfetto; · E’ estremamente singolare che siano stati distrutti completamente i tessuti dei due avambracci, mentre il resto del corpo è in buone condizioni; verrebbe quasi da pensare che sugli avambracci mancanti ci fossero tatuaggi ‘non compatibili’ con il riconoscimento effettuato; · I tessuti molli (il ventre) sono intatti; dovrebbe essere la prima regione del corpo ad essere aggredita dai pesci, che invece si sono limitati a mangiare i bicipiti di entrambe le braccia e poi, sazi, hanno lasciato perdere; · Nella relazione venezuelana si asserisce che il corpo sia stato trasportato da correnti sottomarine per poi riemergere in superficie; l’ipotesi è quantomeno bizzarra, perché i polmoni del copilota sono privi di acqua; · Ammesso e non concesso che sia vero che il corpo è stato sott’acqua ed è riemerso dopo giorni, il salvagente era stato indossato o no? Se era stato indossato, il corpo non può essere andato sott’acqua, ma se non era stato indossato, come ha potuto percorrere 370 km in 10 giorni su correnti di superficie e trovarsi a solo 400 metri dal corpo del copilota, che è stato trasportato da correnti sottomarine?
Esistono 2 contatti radio fra il pilota e le torri di controllo, In base alla prima relazione ricevuta dal Venezuela: · alle ore 9,23 il pilota comunica a Maiquietia di essere a 9000 piedi e di passare sotto il controllo della torre di controllo (se così vogliamo chiamarla) di Los Roques; · alle ore 9,38 il pilota lancia il mayday dicendo di essere a 3000 piedi senza motori. Per scendere da 9.000 a 3.000 piedi, posto che la discesa sia iniziata per lo spegnimento di entrambi i motori, si dovrebbero impegnare circa 7-8 minuti. E' possibile che il pilota, dopo essere entrato in emergenza, abbia aspettato così tanto tempo prima di lanciare il mayday? In caso di deviazione per qualsiasi motivo dal piano di volo prestabilito, la prima cosa che deve fare il pilota è quella di avvertire la torre di controllo, in modo che questa possa provvedere a sgombrare l'area da altri velivoli. E’ inverosimile che un pilota molto esperto (sembra addirittura fosse un istruttore di volo) ci metta 7-8 minuti a ricordarsi di fare questa banale ma fondamentale comunicazione. I tecnici italiani della Farnesina ci hanno spiegato (mentendo) che il pilota per aprire i contatti radio deve lasciare la cloche e con un dito tenere premuto un pulsante, cosa che in momenti di emergenza non può fare. Ebbene, questo è palesemente falso, perché il pulsante radio si trova sulla cloche, come in tutti gli aerei ed elicotteri del mondo, e non bisogna staccare le mani per aprire il contatto radio !!!! 3
Le autorità venezuelane non fanno alcuna ipotesi sulle cause dell’incidente, per cui l’unica informazione (certa?) è che alle 9,38 del 04/01/08 l’aereo aveva entrambi i motori spenti, ma oltre 2 ore di autonomia, in base all’ultimo contatto radio pilota-torre di controllo. I due motori, i relativi sistemi di alimentazione ed i serbatoi sono completamente indipendenti. Statisticamente, e nella pratica aeronautica, si considera impossibile che i due motori abbiano subito contemporaneamente un’avaria, o abbiano contemporaneamente finito il carburante. Se si è spento prima un motore e successivamente l’altro, non si capisce perché il pilota non abbia comunicato subito l’emergenza. Anche nel caso di errore del pilota nel posizionare il selettore, e conseguente alimentazione di entrambi i motori dallo stesso serbatoio, l’autonomia si sarebbe dimezzata da due ad una sola ora, in ogni caso più che sufficiente per arrivare a destinazione.
Vogliamo infine sottolineare il ruolo delle autorità italiane, rappresentate nel nostro caso dall’Unità di Crisi della Farnesina, dalla Dr.ssa Belloni e dai sui collaboratori. Lei potrà capire, Onorevole Veltroni, che il sostegno psicologico conseguente alla sparizione di 4 familiari, ognuno lo deve cercare - e se è fortunato trovare - all’interno del proprio mondo (famiglia, religione, amici, ecc). Quello che noi chiediamo alle Istituzioni è innanzitutto la rigorosa ricerca della verità, e possibilmente l’assistenza su questioni burocratiche, legali, e tecniche. Ebbene, se Lei ha letto quanto scritto in queste pagine, è evidente che dal nostro punto di vista la Farnesina non solo non ha assolto alcuno di quelli che noi ritenevamo essere i suoi doveri, ma ci sta addirittura ostacolando nella ricerca della verità. Sappia infatti che: · la famosa delegazione di tecnici italiani che è andata in Venezuela per conto della Farnesina a verificare, non ha rilasciato ai familiari nemmeno una riga scritta su quanto ha fatto; · l’unità di crisi, nell’unica nota scritta che ci ha rilasciato, ha avuto il coraggio di scrivere ‘Si ricorda, inoltre, che il Ministro degli Affari Esteri D’Alema ha incontrato la sorella di Fabiola Napoli…’, ennesima falsità: Debora Napoli, sorella di Fabiola, ha aspettato il Ministro fuori dal Parlamento e lo ha ‘assalito’ facendogli presente la situazione; il Ministro, con una freddezza degna di un paracarro e senza guardarla in faccia ha risposto ‘mi informerò’ e si è allontanato senza neanche salutarla…… · tutte le traduzioni dei documenti venezuelani fateci avere dalla Farnesina, sono piene di errori e di molti termini che non esistono nella lingua italiana (hanno usato il traduttore automatico di Word?, in questo caso potevamo arrangiarci…..); · probabilmente anche i quesiti posti da noi familiari sono stati tradotti ai venezuelani con la stessa precisione, visto che alla domanda ‘Qual’è la quota alla quale normalmente l’aeronave realizza il tragitto?’ i venezuelani rispondono senza esitare ’32 minuti’; e naturalmente la Farnesina ci gira questa comunicazione senza fiatare….. In conclusione, abbiamo avuto inizialmente il sospetto ed oramai la certezza, che la Farnesina persegua obiettivi ben diversi dai nostri e molto lontani dalla ricerca della verità. E’ oramai chiaro che l’unica preoccupazione della Farnesina è quella di preservare buoni rapporti diplomatici con il Venezuela, non mettere in difficoltà o in imbarazzo uno Stato amico……. Ma a noi chi ci pensa, chi mai ci riporterà a casa i nostri cari fratelli e le nostre dolcissime nipoti, se lo Stato Italiano si comporta in questa maniera?"

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