In ricordo di tutti i lavoratori caduti laddove cercavano una speranza di vita. Per tutti i lavoratori sfruttati da imprenditori italiani utilizzando il ricatto dei documenti non in regola. Per gli schiavi di Rosarno gestiti dai mafiosi. Per i cassaintegrati dell'isola dell'Asinara. Per chi cerca lavoro senza trovarlo. Per tutti i periti in mare o respinti nei lager libici solo per aver cercato una vita migliore. Per chi si prostituisce per sopravvivere. Per i nostri giovani che non vedono un futuro. A chi dopo venti anni di studio viene offerto un lavoro part time a meno di 800 euro al mese. Ai ricercatori che non arrivano alla fine del mese. A chi vive a stento di un solo stipendio. A chi ha creduto al primo articolo della Costituzione che dice che l'Italia è un Paese fondato sul lavoro.
Ecco cosa attende, per esempio, ai lavoratori dello spettacolo:
"Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha emanato oggi il decreto legge per le "Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e di attività culturali", nel testo definitivo trasmesso ieri dalla presidenza del Consiglio dei ministri, che riflette significativamente osservazioni segnalate al ministro per i Beni e le Attività culturali Sandro Bondi. Il decreto era stato rinviato dal Quirinale 1 due giorni fa, con la richiesta di chiarimenti al dicastero. Il Capo dello Stato, si legge in una nota del Quirinale, "ha inoltre preso atto della conferma da parte dello stesso Ministro dell'intendimento di incontrare nei prossimi giorni le rappresentanze sindacali e di tener conto, nel corso dell'iter di conversione, delle proposte dei gruppi parlamentari e degli apporti collaborativi che potranno pervenire dal mondo della cultura e dello spettacolo". Durissima la reazione degli operatori del settore.
ROMA. Sciopero, questa sera, al Teatro dell'Opera. Per decisione unanime dell'assemblea di tutti i lavoratori del teatro, salta il Don Chisciotte, protagonista femminile la danzatrice coreana J. Young-Kim. Il Coordinamento unitario CGIL, CISL, UIL e FIALS preannuncia che i lavoratori del Teatro si riuniranno nei prossimi giorni in assemblea per la determinazione delle prossime azioni di lotta.
All'Accademia Nazionale di Santa Cecilia è blocco totale. I professori d'orchestra, gli artisti del coro, il personale tecnico-amministrativo si sono riuniti in assemblea permanente dalle ore 14.30 di oggi e hanno proclamato il blocco totale delle attività. Annullati, fino a data da destinarsi, prove, concerti e lezioni. Previsti happening musicali nei foyer dell'Auditorium Parco della Musica per informare il pubblico sulle ragioni della protesta.
MILANO. Questa sera alla Scala la rappresentazione di Lulu di Alban Berg si terrà ma, prima dello spettacolo, sarà letto in italiano e inglese un comunicato dei sindacati che annunciano scioperi e iniziative contro il decreto. "Gentile pubblico - spiega il testo firmato da Cgil, Cisl, Uil, Fials e Rsa della Scala - è solo per rispetto a voi e alla musica che stasera si terrà lo spettacolo in cartellone. Le maestranze del teatro alla Scala e delle fondazioni lirico-sinfoniche esprimono la più profonda contrarietà al decreto legge di riforma del settore che considerano inaccettabile".
FIRENZE. Mentre il sindaco Matteo Renzi considera "un punto molto importante" che di un declassamento del Maggio Musicale Fiorentino nel decreto non vi sia alcun "esplicito riferimento", lo sciopero annunciato oggi da tutte le sigle sindacali dei lavoratori dello spettacolo fa saltare, domenica 2 maggio, la prima replica dell'opera La donna senz'ombra, che ieri sera ha inaugurato la 73/a edizione della rassegna.
TORINO. Annullata, causa sciopero. la prima dell'opera Il Barbiere di Siviglia al Teatro Regio, prevista domenica 2 maggio. Conseguenza, anche in questo caso, della protesta decisa dalle rappresentanze sindacali unitarie della Fondazione Teatro Regio di Torino contro le nuove norme sugli enti lirici.
GENOVA. Al teatro Carlo Felice, per lo sciopero di musicisti e maestranze proclamato dai sindacati Fials-Cisal, Snater, Uilcom-Uil e Libersind, salta giovedi 6 maggio (due giorni dopo il concerto in onore del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in visita a Genova per i 150 anni della partenza dei Mille dallo scoglio di Quarto) il concerto sinfonico diretto da Jordi Bernacer.
VENEZIA. Anche i lavoratori del teatro La Fenice hanno proclamato per domenica prossima, in occasione di un concerto, uno sciopero come segno di protesta contro il decreto Bondi. Lo ha annunciato stasera Giorgio Trentin, segretario della Fials Cisal.
BOLOGNA. I lavoratori del Teatro Comunale di Bologna scioperano martedi prossimo, in occasione della prima della Carmen. Uno sciopero ancor più necessario, ha rimarcato Enrico Baldotto della Fials-Cisal, perché "qui c'è uno dei principali ispiratori del decreto, ossia Marco Tutino", sovrintendente del teatro.
BARI. L'assemblea dei lavoratori della Fondazione Petruzzelli e Teatri di Bari aderisce al documento del coordinamento nazionale unitario del 19 aprile scorso, "che tra l'altro prevede azioni di lotta, di iniziative e di sciopero fino a giungere all'occupazione del teatro se sarà necessario". "Il Decreto - è detto in una nota - deve contenere una deroga per il teatro Petruzzelli per consentire allo stesso la sopravvivenza". L'assemblea "prende atto positivamente" della posizione assunta dal presidente della Fondazione, Michele Emiliano, contro il decreto e "invita tutte le forze politiche e le istituzioni di Puglia a solidarizzare" con i lavoratori.
NAPOLI. Lo stato di agitazione proclamato al Teatro di San Carlo determina la irrealizzabilità dell'appuntamento della stagione sinfonica del Massimo partenopeo, con il direttore d'orchestra Maurizio Benini sul podio in un programma dedicato ad Haydn.(La Repubblica)
"ISOLA DELL'ASINARA. Dalle loro storie alle emergenze di un’isola. Dalle promesse fatte in campagna elettorale ai risultati che non arrivano. La battaglia degli operai Vinyls scatena la polemica, fa arrabbiare Bersani e ringalluzzisce il Pd, che apprezza lo stile aggressivo del segretario ad «Annozero». L’attenzione sulla vertenza della chimica è alta: oggi e domani sull’isola dei cassintegrati si fa festa, con un occhio al calendario che non concede sconti.
Dalle 600 alle 800 persone distribuite sulle quattro imbarcazioni, assalto all’isola previsto poco dopo le 11. La festa del lavoro raddoppia, tra musica, dibattiti e riflessioni all’Asinara si andrà avanti sino a domenica sera. L’evento «per il lavoro che non c’è», organizzato dagli operai di Vinyls, Eurocoop e Tecnicoop insieme al comune di Porto Torres, Legambiente, Arci e Federparchi avrà un risalto mediatico impensabile all’inizio di questa lunga battaglia. Tv e giornali locali e nazionali, collegamenti in diretta per raccontare questa due giorni che vuole suonare la sveglia all’Eni e al Governo. C’è un’azienda, la Ramco, che vuole acquisire l’intero ciclo del cloro italiano: l’accordo darebbe nuova vita agli impianti Vinyls di Porto Torres, Porto Marghera e Ravenna e rilancerebbe il settore della chimica. Cruciale, secondo Pierluigi Bersani, «considerato quanto stiamo spendendo per importare il Pvc, un prodotto a larghissima diffusione». I cassintegrati di Porto Torres, che dicono di essere i più bravi «a fare chimica e a produrre Pvc senza inquinare», da giorni sono sulle spine. Ripetono che l’occupazione dell’isola e della torre aragonese andrà avanti «sino a ognuno di noi non sarà reintegrato al suo posto». Si guarda con speranza al 5 maggio, all’incontro tra Eni e Ramco convocato dal ministro Scajola. È quella l’ultima possibilità concessa dalla Cgil: il segretario generale di Sassari Antonio Rudas si dice pronto a proclamare lo sciopero se l’incontro non si concluderà con l’immediato riavvio degli impianti. Ed è probabile che lo sciopero si farà, perchè è difficile che il 5 maggio possa essere la data risolutiva dopo mesi di discussioni, tira e molla, incertezze. Di questo si parlerà all’Asinara, un'isola lasciata deserta (ci abitano solo asini e un ex agente della polizia penitenziaria ora scultore) dopo la chiusura del carcere di massima sicurezza e l'allontanamento di tutti gli abitanti autoctoni). Gli operai riceveranno la solidarietà di chi il lavoro ce l’ha e di chi invece l’ha perso. Ci saranno i colleghi di Porto Marghera, protagonisti dello stesso destino. E ci sarà Legambiente, che dopo le accuse pesanti all’industria che inquina, ora dice che chimica e parco dell’Asinara possono convivere. Sbarcherà sull’isola il segretario del Pd Silvio Lai, non potrà esserci il presidente della Provincia Alessandra Giudici, che in una lettera aperta incoraggia i cassintegrati a non mollare. Oggi canteranno gli Istentales, domani si esibirà Enzo Favata. Ad ascoltarlo ci sarà la redazione dell’Unità, con il direttore Concita De Gregorio e il condirettore Giovanni Maria Bellu. Poi, da lunedì, si riparte con un pizzico di speranza in più". (La Repubblica)
L'AQUILA. A un anno dal terremoto, L'Aquila celebra la festa dei lavoratori in tono minore ma resta la sede della manifestazione centrale della Festa del lavoro in Abruzzo. I leader nazionali, che organizzarono la celebrazione 2009 della festa nella caserma di Coppito, ora non ci sono più. Ma i problemi restano, così come le richieste degli aquilani e degli abruzzesi: «Non basta ricostruire le case, bisogna far ripartire anche l'economia e il lavoro». Per questo i sindacati, anche se solo con gli esponenti regionali, sono tornati in città per celebrare il Primo maggio, per ricordare le vittime del sisma e per testimoniare la volontà di ricostruzione di tutta la regione. Trovata, nonostante le polemiche, una prima soluzione per l'emergenza abitativa, ora la questione principale è quella del lavoro. A dirlo sono i numeri: 5.600 disoccupati in più in 12 mesi, oltre 8mila persone in cassa integrazione e altri 8mila lavoratori a rischio continuo perché precari e non tutelati. Così centinaia di aquilani si sono riuniti in piazza Duomo per celebrare la festa dei lavoratori e chiedere lavoro per gli aquilani e l'Abruzzo. E a loro si sono unite migliaia di persone che, approfittando della bella giornata e del ponte del primo maggio, hanno scelto di visitare il centro dell'Aquila.«Oggi in piazza per festeggiare il Primo maggio c'è un popolo di senza lavoro», esordisce Pietro Paolelli, segretario generale Uil L'Aquila. «La situazione è grave. A soffrire sono tutti gli aquilani e gli abruzzesi. Ma le vittime principali sono i giovani. Il rischio è che abbandonino la città. E lo spopolamento sarà la rovina dell'Aquila».«È passato un anno dal terremoto e le cose sono cambiate in peggio», spiega Umberto Trasatti, segretario della Cgil aquilana. «Dopo il sisma, una riduzione del lavoro e degli occupati era prevedibile. Il problema è che non abbiamo nessuno strumento operativo per contrastare la crisi. Serve un impegno concreto da parte di Regione e governo».«Il governo non ci deve abbandonare», è l'appello di Gianfranco Giorgi, segretario cittadino della Cisl. «Servono nuovi insediamenti e investimenti per far ripartire il lavoro e tutto il resto. Sembra una cosa banale, ma oggi la gente non spende perché non ha soldi».Oltre alla manifestazione dei sindacati, torna all'Aquila, oggi e domani, anche la EuroMayday Parade: la "festa del non lavoro" una manifestazione a livello internazionale per denunciare le condizioni del precariato. In città stand e concerti sono previsti nel parco del Castello, alle porte della zona rossa. «In 10 anni», si legge in una nota degli organizzatori, «siamo diventati la maggioranza tra i lavoratori sotto i 40 anni. Nei prossimi 10, complice il liberismo, saremo la maggioranza di tutti i lavoratori. La crisi ha colpito duro e se possibile ha peggiorato le nostre condizioni di vita». Oltre al capolugoo d'Abruzzo la ricorrenza si festeggia a Dortmund, Ginevra, Amburgo, Hanau, Lisbona, Losanna, Malaga, Milano, Palermo, Tubingen, Zurigo, Tokio, Toronto e Tsukuba". (La Repubblica)
venerdì 30 aprile 2010
La legge non è uguale per tutti
"Se il potere politico elimina l’autonomia e l’indipendenza della magistratura crolla lo Stato di diritto, muore la democrazia. Solo un magistrato libero può dare concretezza all’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Solo un magistrato che intende essere indipendente può esercitare il controllo di legalità; quando, invece, la magistratura partecipa alla gestione del potere diviene fondamenta del sistema intriso di corruzione e mafia. L’Italia ha già conosciuto diverse magistrature. Il procuratore della Repubblica di Palermo, Gaetano Costa, ammazzato da Cosa Nostra perché lasciato solo dai magistrati della sua stessa Procura che non vollero firmare con lui gli ordini di cattura contro i mafiosi. Il consigliere Rocco Chinnici – capo dell’ufficio istruzione di Palermo – dilaniato da un’autobomba mentre parte della magistratura palermitana voleva che affossasse con fascicoli il giudice istruttore Giovanni Falcone in modo tale che non si potesse occupare di Cosa Nostra. Quest’ultimo e Paolo Borsellino osteggiati e dileggiati nel Palazzo di Giustizia di Palermo, poi divenuto noto come “il palazzo dei veleni”, quali giudici protagonisti. Erano protagonisti della lotta alla mafia, organizzazione che, invece, veniva protetta da ambienti giudiziari palermitani. Oggi, vi sono magistrati collocati in uffici direttivi strategici che si rendono autori di fughe di notizie per favorire indagati eccellenti; che operano per ostacolare indagini condotte da altri magistrati; che sottraggono fascicoli; che colludono per distruggere i veri servitori dello Stato. Magistrati che applicano la Costituzione e altri che la mortificano; alcuni indipendenti e altri che nell’andare a braccetto con la politica si accomodano nelle stanze dei bottoni dei ministeri; magistrati dell’associazione nazionale magistrati e del Csm che invece di tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura prendono “ordini” dai poteri forti, non di rado massonici, anche per ostacolare altri magistrati. Magistrati controllori e controllati allo stesso tempo. Lo scandalo degli incarichi extra-giudiziari dei magistrati del Tar e del Consiglio di Stato è illuminante. Un’enormità di magistrati che invece di esercitare la giurisdizione nell’interesse dei cittadini si piegano a logiche di potere per consolidare il loro e per rimpinguare le loro tasche. 2000 incarichi l’anno per meno di 500 magistrati. Uno scandalo. Filamenti gelatinosi di un variegato giro di affari che necessita delle coperture formali dell’amministrazione che foraggia lautamente. Man mano che l’organizzazione extra-istituzionale si espande, nella giustizia amministrativa si comprime, fino a mete lillipuziane, l’organizzazione giurisdizionale. Quando la toga diviene un mezzo per indossare un altro vestito la sua misura e forma si deve adattare. Udienze e sentenze dovranno essere disciplinate in ossequio alle esigenze degli incarichi extra. Molti giudici vivono carriere parallele: quella grigia in magistratura e quella aurea nei vellutati piani nobili ministeriali, come consulenti, quali capi degli uffici legislativi o capi di gabinetto, sempre più in alto e più lontano dalla giurisdizione. Carriere parallele e guadagni paralleli. Talvolta basta conquistare un arbitrato “giusto” per ricavare più che da dieci anni di stipendio. Giustificazione del regime: gli incarichi extragiudiziari si devono dare ai magistrati e non ad altri perché i magistrati sono indipendenti. Già, ma così diventano dipendenti da chi glieli fa avere, mantenere e aumentare. Questo è il Paese in cui diventa consigliere di Stato l’ex capo del Sismi Pollari, coinvolto in gravissime vicende giudiziarie; in cui diviene giudice del Tar l’ufficiale della Guardia di finanza Brunella Bruno, già coinvolta nell’indagine Why not illegalmente sottratta proprio da magistrati collusi con i poteri; questo è il Paese dei togati coinvolti nelle recenti indagini, tra cui quelle delle Procure di Firenze e Perugia: magistrati della Procura di Roma, del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti. Un’orgia del potere. Chi osa indagare sul marcio esistente anche in magistratura salta, come dinamite. Chi osa viene ghettizzato e additato quale scheggia impazzita; massacrato da uno stillicidio di procedimenti disciplinari da santa inquisizione del Terzo millennio; con la violenza di piegare il dissenziente, l’onesto, intimidire la massa, rafforzare i pavidi e garantire l’impunità ai corrotti. Nella magistratura amministrativa chi non accetta di entrare nel “sistema” non volendo gli incarichi extragiudiziari è un deviato che va punito. Nella magistratura ordinaria chi indaga sui colleghi che sono nel sistema criminale va fermato: con lo scippo delle inchieste, i trasferimenti illegittimi, la sottrazione delle funzioni. Chi osa denunciare pubblicamente questo sistema criminale viene, a sua volta, criminalizzato. Ad un magistrato che afferma che una parte della magistratura in Calabria è collusa – come ha dimostrato la Procura di Salerno verificando che le inchieste Poseidone e Why not erano state sottratte in maniera criminale a quello stesso magistrato –, in uno dei tanti procedimenti disciplinari ai quali era stato sottoposto, la Procura generale della Cassazione – ufficio nel quale vi sono alcuni magistrati che praticano le tecniche di neutralizzazione di quelli onesti che si oppongono al sistema – ha sostenuto che denunciare l’illegalità significava rendersi responsabile del reato di cui all’art. 290 c.p., in quanto si disprezzava l’intera magistratura. No, signor procuratore generale: si difendeva l’indipendenza della magistratura che non piega la schiena come vuole la Costituzione nata dalla Resistenza". (Luigi De Magistris)
Io sto con Emergency
"Grazie cari amici,
vorrei ringraziarvi dello straordinario sostegno che avete dato a Emergency in questa difficile situazione. Insieme a voi abbiamo vissuto un periodo di grande preoccupazione per i nostri operatori umanitari e per l'ospedale di Lashkar-gah, l’unica struttura nella regione in grado di offrire cure chirurgiche gratuite e di qualità alle tante vittime di guerra.Come sapete, i nostri tre colleghi italiani sono stati rilasciati con tante scuse. Un rilascio, come hanno detto gli stessi servizi di sicurezza afgani, frutto non di pressioni di sorta ma dovuto a una semplice, banale verità: sono innocenti. L’avevamo detto fin dal primo, durissimo giorno, e voi con noi. Dei sei collaboratori afgani che erano stati prelevati insieme agli italiani, cinque sono stati rilasciati il 28 aprile; sul sesto stanno proseguendo le indagini. I nostri avvocati e il nostro personale a Kabul continuano naturalmente a monitorare la situazione.Stiamo già lavorando per la riapertura dell’ospedale di Lashkar-gah: continuare ad assicurare assistenza alle vittime di guerra – per il 40 percento bambini – è la nostra priorità, come lo è stata per i quindici anni della nostra storia.Siamo riusciti ad affrontare a testa alta questi giorni durissimi grazie a due fattori. Il primo, naturalmente, era la consapevolezza che i nostri fossero innocenti. Ma l’altro ingrediente fondamentale siete stati voi: il vostro sostegno, le mail e le telefonate, la presenza a piazza San Giovanni (con il corpo o con lo spirito), le quattrocentomila firme in quattro giorni. Di tutto questo, non sappiamo come ringraziarvi. Anzi, lo sappiamo: continuando a fare sempre di più e sempre meglio il nostro lavoro, curando chiunque ne abbia bisogno. E siamo sicuri che voi non ci farete mancare il vostro sostegno in futuro, anche con un gesto che a voi non costa nulla, come la devoluzione del 5 per mille per gli ospedali di Emergency. Ancora una volta, grazie di cuore. A presto,
Cecilia Strada
Presidente di Emergency
IL TUO 5 PER MILLE PER GLI OSPEDALI DI EMERGENCY
codice fiscale 971 471 101 55"
vorrei ringraziarvi dello straordinario sostegno che avete dato a Emergency in questa difficile situazione. Insieme a voi abbiamo vissuto un periodo di grande preoccupazione per i nostri operatori umanitari e per l'ospedale di Lashkar-gah, l’unica struttura nella regione in grado di offrire cure chirurgiche gratuite e di qualità alle tante vittime di guerra.Come sapete, i nostri tre colleghi italiani sono stati rilasciati con tante scuse. Un rilascio, come hanno detto gli stessi servizi di sicurezza afgani, frutto non di pressioni di sorta ma dovuto a una semplice, banale verità: sono innocenti. L’avevamo detto fin dal primo, durissimo giorno, e voi con noi. Dei sei collaboratori afgani che erano stati prelevati insieme agli italiani, cinque sono stati rilasciati il 28 aprile; sul sesto stanno proseguendo le indagini. I nostri avvocati e il nostro personale a Kabul continuano naturalmente a monitorare la situazione.Stiamo già lavorando per la riapertura dell’ospedale di Lashkar-gah: continuare ad assicurare assistenza alle vittime di guerra – per il 40 percento bambini – è la nostra priorità, come lo è stata per i quindici anni della nostra storia.Siamo riusciti ad affrontare a testa alta questi giorni durissimi grazie a due fattori. Il primo, naturalmente, era la consapevolezza che i nostri fossero innocenti. Ma l’altro ingrediente fondamentale siete stati voi: il vostro sostegno, le mail e le telefonate, la presenza a piazza San Giovanni (con il corpo o con lo spirito), le quattrocentomila firme in quattro giorni. Di tutto questo, non sappiamo come ringraziarvi. Anzi, lo sappiamo: continuando a fare sempre di più e sempre meglio il nostro lavoro, curando chiunque ne abbia bisogno. E siamo sicuri che voi non ci farete mancare il vostro sostegno in futuro, anche con un gesto che a voi non costa nulla, come la devoluzione del 5 per mille per gli ospedali di Emergency. Ancora una volta, grazie di cuore. A presto,
Cecilia Strada
Presidente di Emergency
IL TUO 5 PER MILLE PER GLI OSPEDALI DI EMERGENCY
codice fiscale 971 471 101 55"
Fuori dai coglioni!
"I capoccion del mitico Pd
si son riuniti intorno a un caminetto
in una settantina o giù di lì
per studiar come battere il ducetto.
Dei settanta ognun va per la sua strada,
che è sempre quella dalla quale arriva,
non son squadra, sono una masnada
nel litigare alquanto recidiva.
C’è chi vuole saltare in groppa a Fini,
c’è chi vuole trattar col Cavaliere,
chi spera in Montezemolo e Casini.
“Elezion? Non c’è nulla da temere!”,
dice chi ancor non sa d’aver perduto
quattro regioni solo un mese fa.
“No alle elezioni!”, dice un altro astuto
nel casin di settanta sì…, no…, ma…
C’è che dice che è il tempo del programma,
chi vuol trovare in fretta gli alleati,
chi vive ancor lo spaventoso dramma
di Rutelli e Binetti trasmigrati.
L’idea che emerge è proprio straordinaria:
dieci parole chiave individuar
per mandar Berlusconi gambe all’aria.
Esempio: green economy, welfare,
giustizia, sanità, economia,
per farne poi proposte in Parlamento…
Dieci parole forti, strategia
che li faccia motor del cambiamento.
Suggerire ai settanta capoccioni
dieci parole? Non ci sembra vero:
“Andate tutti fuori dai coglioni,
poiché vogliamo ripartir da zero!”
(Carlo Cornaglia)
si son riuniti intorno a un caminetto
in una settantina o giù di lì
per studiar come battere il ducetto.
Dei settanta ognun va per la sua strada,
che è sempre quella dalla quale arriva,
non son squadra, sono una masnada
nel litigare alquanto recidiva.
C’è chi vuole saltare in groppa a Fini,
c’è chi vuole trattar col Cavaliere,
chi spera in Montezemolo e Casini.
“Elezion? Non c’è nulla da temere!”,
dice chi ancor non sa d’aver perduto
quattro regioni solo un mese fa.
“No alle elezioni!”, dice un altro astuto
nel casin di settanta sì…, no…, ma…
C’è che dice che è il tempo del programma,
chi vuol trovare in fretta gli alleati,
chi vive ancor lo spaventoso dramma
di Rutelli e Binetti trasmigrati.
L’idea che emerge è proprio straordinaria:
dieci parole chiave individuar
per mandar Berlusconi gambe all’aria.
Esempio: green economy, welfare,
giustizia, sanità, economia,
per farne poi proposte in Parlamento…
Dieci parole forti, strategia
che li faccia motor del cambiamento.
Suggerire ai settanta capoccioni
dieci parole? Non ci sembra vero:
“Andate tutti fuori dai coglioni,
poiché vogliamo ripartir da zero!”
(Carlo Cornaglia)
Indignamoci e ribelliamoci ai nuovi barbari
"Se alla fine passerà questa porcheria sovietica di legge che inceppa le intercettazioni telefoniche, le intralcia nello spazio e nel tempo, ne vieta per anni la pubblicazione e insomma le cancella sine die, bisognerà inventarsi delle contromisure al di là dei singoli giornali/giornalisti disposti a rischiare sanzioni e galera per quel po’ di inchiostro indispensabile alla libertà di stampa. Di Pietro ha detto che leggerà in aula i testi delle intercettazioni per trasformarli in atti parlamentari e quindi liberarli sebbene in forma stenografica. Sarebbe cosa buona e giusta che anche gli altri parlamentari dell’opposizione facessero altrettanto. E magari i senatori a vita, in nome della Costituzione. E le numerose Fondazioni, mirabili di arredi e convegnistica, impegnate in massime et eccellentissime architetture riformiste. E poi gli attori, i comici, i premi Nobel disponibili. Giusto per moltiplicare i punti di fuga di quello che si vorrebbe imprigionare (e gestire) nel segreto. Servirà il Web, naturalmente. Ma non sarebbe male usare anche le bacheche scolastiche, aziendali. Riesumare quella antica forma di carta e manovella, oggi sostituita dalla velocità digitale, che si chiamava volantinaggio e costituiva una delle più semplici e efficaci forme di informazione orizzontale. E se tutto ci fosse precluso in patria andrà benissimo pure un banchetto a Bruxelles, uno a Ginevra e uno al 760 di United Nations Plaza, New York, magari insieme con i kazaki, i ceceni e i redattori del Tg1. Parliamone. (dal blog di Marco Travaglio e Peter Gomez)
Io metto a disposizione il mio blog, la mia famiglia, le mie conoscenze, tutto me stesso e quello che ho.
Io metto a disposizione il mio blog, la mia famiglia, le mie conoscenze, tutto me stesso e quello che ho.
giovedì 29 aprile 2010
La nostra dittatura
"Il dolore dei terremotati. La speculazione. Il potere della propaganda. Il ruolo di Berlusconi. La Guzzanti parla del nuovo film: 'In Abruzzo si capisce come si può costruire una dittatura'. Colloquio con Sabina Guzzanti
Nei giorni del terremoto, ci avevo creduto anch'io che il governo stesse reagendo bene all'emergenza. Tenevo a bada il mio antiberlusconismo, e mi ripetevo: chissà, stavolta, forse...".
Poi, però, è partita per l'Aquila Sabina Guzzanti. Partita, come dice nel suo film, dopo i grandi della Terra, le suore, i boy scout, gli studenti e George Clooney. Partita in luglio a vedere quel terremoto che si era trasformato in evento mediatico e in gigantesca occasione di propaganda per un Berlusconi che, grazie alla tragedia, risaliva lentamente nei sondaggi.
Così, era partita la Guzzanti, senza un gran progetto, con una vaga idea di film, una troupe fatta di tre donne e una camera digitale, nessuna particolare aspettativa. Certo non quella di rimanerci impigliata quasi un anno, di accumulare 700 ore di girato, di vivere un'esperienza che lascia il segno e infine di conquistare un posto d'onore (special screening) al Festival di Cannes.
Ed ecco 'Draquila': un film che non fa ridere nonostante la nota e feroce capacità di satira della regista e il titolo apparentemente ironico. Un film che non fa piangere nonostante il tema e il sottotitolo 'L'Italia che trema'. Un film sul potere e non sul dolore. Un film duro, a volte sarcastico, ma strettamente logico che porta avanti come un treno la sua tesi. Ovvero: l'Aquila è un laboratorio; un test che dimostra come si possano cambiare i patti sociali, alterare i principi costituzionali e di fatto sparare allo Stato col silenziatore, in modo che i cittadini non se ne accorgano. Il tutto spiegato stavolta senza urli faziosi, ma con raggelata pacatezza. Ed è piaciuto ai selezionatori di Cannes questo linguaggio secco a ciglio asciutto, con una punta acida, da sana scuola Michael Moore: stessa voce fuori campo, stesse domande tanto pertinenti da diventare impertinenti, stessi siparietti grafici con fatti e numeri, stesso montaggio serrato di testimonianze, opinioni e facce diverse, ma tutte travolte dal soffio della storia.
Uomini e donne in tendopoli militarizzate costretti a seguire la dieta dell''attendato' (no alcol, né caffè, né Coca-Cola); i senzatetto con nuova casa assegnata dal premier innamorati persi di Berlusconi; il vecchio professore che fa resistenza barricandosi nel suo appartamento: "Se quelli ti pigliano sei finito"; l'urbanista, teorico delle newtown, che spiega come un centro commerciale è molto meglio di un centro storico e una feroce sequenza sulla tenda del Pd vuota di uomini ma con molta spazzatura e avanzo marcito di panino con frittata.
Niente sinistra, Protezione civile militarizzata e un premier che spopola. Cominciamo dalla solitudine del panino?
"Troppo splatter, tutto verde e muffo. Questo è un film rigoroso, il panino non l'abbiamo inquadrato".
Rigoroso e spietato. J'accuse di 93 minuti che va ben oltre L'Aquila...
"Questa è l'intenzione. L'Aquila è una cartina di tornasole del malessere del Paese intero. Ho visto tutti gli ingredienti della nostra crisi: l'assenza di un'opposizione; il dilagare della propaganda; la speculazione; la criminalità organizzata; l'indifferenza della gente; l'impotenza di chi cerca di far qualcosa e resta solo; lo Stato parallelo che nasce mentre quello vero neanche se ne rende conto. È un film su come si costruisce una dittatura".
Anche 'Viva Zapatero' era un film sull'arroganza del potere. Cosa cambia qui?
"Noi: popolo italiano. In cinque anni siamo cambiati molto. Non si vede più una capacità di reazione, si è affievolito il ricordo della vita democratica, se ne è persa finanche la nostalgia. Si reagisce all'indignazione adattandosi, ci si costruisce una vita parallela, piccole strategie di resistenza. È così che se all'Aquila ti dicono 'questo lo decide il capocampo', non ti viene da rispondere: 'Ma chi è il capocampo? Chi lo ha nominato? Che rappresenta? In base a cosa è pubblico ufficiale?'. Si obbedisce come se fossimo finiti tutti nel club di Topolino".
Che cosa le fa più paura in Berlusconi?
"A me non fa nessuna paura Berlusconi. Penso che sia uno squalo che come tale mangia tutto ciò che trova intorno. Non ho niente contro gli squali, sono creature come le altre, basta che stiano al loro posto in fondo all'Oceano. Se invece uno squalo passeggia in via del Corso, mi preoccupo".
Spiegazione della metafora?
"Berlusconi non è arrivato al potere con strumenti democratici, perché in democrazia non si può fare il premier controllando tv e giornali e gestendo in prima persona la propaganda. La cosa che più mi ha colpito all'Aquila è quanto la televisione sia stata più forte del terremoto. La gente non distingue più tra realtà e finzione, anzi la realtà televisiva è spesso più forte di quel che vedono e sentono. Donne raccontavano di aver imparato dai loro nonni a fuggire alla prima scossa, ma il 6 aprile sono rimaste nelle loro case, solo perché il telegiornale le aveva rassicurate. Un uomo ha perso due figli perché quella notte li ha rimessi nei loro lettini, convinto dai media che non ci fosse alcun pericolo. Terribile dirlo, ma la propaganda all'Aquila è stata più forte degli antenati e persino dell'istinto di sopravvivenza. Quando sono le gambe prima ancora del pensiero a farti scappare se la terra trema. È chiaro adesso di che potere sto parlando?".
Chiaro. Ma allora come mai nel film ha fatto parlare tanti berlusconiani pazzi del premier che mostravano la meraviglia della casa assegnata con tanto di pentole e spumante in frigo?
"Perché non sono faziosa come si dice. E volevo capire e ascoltare. Capire come si possa rinunciare a una bellissima città, fatta di persone e monumenti, di vita e memoria per sostituirla con diciannove quartieri senz'anima, spuntati dal nulla, ai bordi di una strada statale, lontani fra loro che aspettano solo un centro commerciale. Un tempo mi era impossibile anche pensare di parlare con uno che vota Berlusconi. L'Aquila mi ha cambiato, voglio parlare con tutti. E tutti avevano una gran voglia di parlare. Nessuna intervista è durata meno di un'ora. Spesso si dilungavano fino a tre, quattro ore. Ancor più spesso me ne andavo io, se no si faceva notte. È così che sono arrivata a 700 ore di girato".
Ma non la riconoscevano? Non la identificavano come un nemico?
"Non mi riconosceva quasi nessuno. Non apparendo su Canale 5, ho questo vantaggio. Mi chiedevano solo: 'Lei di che televisione è?'. Io rispondevo: 'Nessuna, stiamo facendo cinema'. E loro: 'Brava! E quando va in onda?'. Non c'era verso. Persino ai posti di blocco i militari insistevano: 'Va bene cinema, ma cinema di che rete?'".
Nelle note di regia però lei ha scritto: "Ho scoperto di amare questo Paese". Perché?
"Perché come l'Aquila questo Paese lo stiamo distruggendo. E come spesso accade, ti accorgi di quanto ami qualcuno e di quanto sia prezioso, solo quando lo stai perdendo. Oddio, non sarò mica diventata patriottica!". (Alessandra Mammì)
mercoledì 28 aprile 2010
No al nucleare
"In Italia non ci sarà mai il nucleare. Posso assicurare al governo che perseverare su questa linea, in questi termini, sara' la sua Caporetto. La legge italiana deve essere cambiata. Non e' possibile che in una democrazia venga sconfessato, da un manipolo di affaristi, un referendum che ha portato l’80% dei votanti ad esprimersi contro il nucleare. Ciò che viene abrogato da un referendum, dovrebbe essere reintrodotto solo tornando ad interpellare direttamente la popolazione, o in alternativa, la più ampia rappresentanza della stessa, ossia il Parlamento e non Sarkozy né Putin. Questo esecutivo tradisce perfino i propri elettori. La dimostrazione sta nel fatto che, durante le elezioni regionali, è stata sospesa qualsiasi campagna pro-nucleare salvo poi riprendere il discorso nella villa privata di Berlusconi. Perfino i governatori delle regioni cadute nella trappola del centrodestra, rifiutano che sia lo Stato a decidere sull’ubicazione delle centrali. Cari cittadini state molto attenti e siate informati poiché solo così potrete resistere ad un anno di ‘lavaggio del cervello’ che il Presidente del Consiglio diabolicamente chiama “sensibilizzazione”. Noi faremo altrettanto per il bene del Paese ma non disponiamo di sei reti unificate e dunque chiediamo il vostro aiuto per sensibilizzare amici, familiari e vicini di casa. Il nucleare è fallimentare sotto tutti i punti di vista, soprattutto dal punto di vista economico. Una centrale nucleare, infatti, opererebbe costantemente in perdita, con un impatto pesante sul debito pubblico e sulle bollette degli italiani. Per costruirla ci vorrà circa un decennio e potrà operare al massimo per una ventina d’anni. Le sue scorie radioattive, che avranno tempi di smaltimento millenari, le pagheremo per tutto il tempo di stoccaggio, oppure saranno affidate da politici disonesti alla ‘ndrangheta per affondarle nei mari di casa nostra. Questo governo propone almeno quattro centrali nucleari per produrre l’8% di fabbisogno energetico nazionale: tutto ciò è demenziale. Un esempio perfetto del fallimento del nucleare è la Francia. Nella nazione d’Oltralpe si sono verificati, infatti, oltre 100 incidenti in un anno . La Francia, inoltre, affonda le scorie in acque internazionali o le stocca in Africa e in Siberia. Se non fosse per l’utilizzo militare, lo stesso Sarkozy cestinerebbe il nucleare dall’oggi al domani. E allora, se il Presidente del Consiglio non accetterà di fare un passo indietro, manifesteremo anche in Francia per sensibilizzare i cittadini sul fatto che sono correi del pericolo verso il quale gli italiani saranno esposti in futuro. Tutto questo perché la Francia ha venduto all’Italia una tecnologia fallimentare che segnerà il futuro di intere generazioni. E’ importante intraprendere ora una scelta strategica e vincente in campo energetico per evitare di drenare finanziamenti, ricerca e tecnologia, alle vere ed uniche fonti del futuro: le energie rinnovabili. Il fatto che un cittadino, con un pannello solare di pochi decimetri quadri, possa mettere alla porta l’Enel e le sue bollette, risparmiando centinaia di euro l’anno, dovrebbe bastare per far comprendere loro chi sarebbero gli unici soggetti a guadagnare con il ritorno del nucleare. L’Italia dei Valori ha scelto la via del referendum contro il nucleare, contro la privatizzazione dell’acqua e contro il legittimo impedimento, ed avvierà la raccolta firme su tutto il territorio nazionale a partire dal 1 maggio, per restituire la parola e la dignità ai cittadini. Il governo tenterà di fare il ‘lavaggio del cervello’ ai cittadini per salvare i suoi affari, noi faremo informazione per salvare il Paese e chiediamo a tutte le forze politiche e della società civile di schierarsi con chiarezza o contro o a favore del nucleare, invitandole a contribuire alla raccolta firme. Il referendum contro il nucleare è la linea di demarcazione tra chi vuole tutelare il popolo italiano e chi persegue, invece, tornaconti economici". (Antonio Di Pietro)
martedì 27 aprile 2010
lunedì 26 aprile 2010
domenica 25 aprile 2010
venerdì 23 aprile 2010
giovedì 22 aprile 2010
mercoledì 21 aprile 2010
martedì 20 aprile 2010
Educa il nostro dipendente
"La foto della tribuna Vip alla partita Lazio-Roma di domenica scorsa può sembrare innocente, una cosa da niente, invece è la dimostrazione dell'esistenza di un virus che colpisce i politici. Un morbo che infetta anche i neo eletti e che stabilisce di fatto due classi sociali in Italia: i Vip e tutti gli altri. La tribuna delle Autorità dell'Olimpico, 242 posti gestiti dalla squadra ospite e dal CONI, vedeva seduti per il derby sulle poltrone azzurre extra large i nuovi padroni del Bel Paese, per loro il vero Paese di Bengodi. Vip che hanno vinto il biglietto della Lotteria Italia, macchine blu, pensione dopo due anni e mezzo di legislatura, assenteismo libero al Parlamento italiano e a quello europeo, doppio e triplo incarico, doppio stipendio, immunità dalle leggi, voli de luxe. Tra un buffet e una bibita i Vip applaudivano i giocatori in campo ed esibivano la loro superiorità tribunizia al popolo, al volgo, come ai tempi di Cesare. Tra i molti: Renata Polverini, Paolo Bonaiuti, Clemente Mastella, Maurizio Gasparri, Francesco Rutelli, i direttori della Rai e il consigliere Rai Soderini, Fabrizio Cicchitto, Giulio Napolitano, figlio del Presidente della Repubblica. Quando si incontrano si riconoscono, si fiutano come i cani al parco. Fanno cose, vedono gente. "Ambiente simpatico e informale, i colleghi rilassati", parola del Vip Gasparri.
I simboli sono importanti, una tribuna ripiena di dipendenti pubblici che si atteggiano a padroni è la prova della nostra minorità. Il padrone è servo e colui che dovrebbe servire è diventato un arrogante parvenu. Milioni senza lavoro, decine di suicidi di disoccupati per disperazione e un Paese allo sfascio economico e morale non turbano i Vip. Sono "rilassati", non hanno un cartellino da timbrare, obblighi lavorativi, qualcuno che li controlli. Possono, con elegante metafora, fare il cazzo che gli pare e riscuotere uno stipendio favoloso. Amano atteggiarsi a statisti, stabilire nuove alleanze, indicare sconosciuti orizzonti. L'unica cosa che non fanno è lavorare, svolgere il compito per il quale sono stati eletti. Un'attività troppo plebea, loro non si mischiano con la plebe.
Io credo che sia giunta l'ora della resa dei conti, con gentilezza, senza alcuna violenza. Non si può continuare a fare finta di niente. Iniziamo da noi. Se incontriamo per strada un nostro dipendente con la scorta, o fermo al semaforo con la macchina blu e autista o all'ingresso di una partita importante o alla prima della Scala o presso uno studio televisivo o in un qualunque posto diverso dal Parlamento dove dovrebbe lavorare... in quel caso ricordiamogli garbatamente i suoi doveri nei confronti di chi gli paga lo stipendio con le trattenute delle sue tasse. Filmate il colloquio, che spero cordiale, pubblicatelo su YouTube con il tag: "Educa il nostro dipendente" e inviate una segnalazione al blog. In futuro lancerò delle fatwa democratiche attraverso dei video verso alcuni dipendenti esempio della categoria. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure". (dal blog di Beppe Grillo)
I simboli sono importanti, una tribuna ripiena di dipendenti pubblici che si atteggiano a padroni è la prova della nostra minorità. Il padrone è servo e colui che dovrebbe servire è diventato un arrogante parvenu. Milioni senza lavoro, decine di suicidi di disoccupati per disperazione e un Paese allo sfascio economico e morale non turbano i Vip. Sono "rilassati", non hanno un cartellino da timbrare, obblighi lavorativi, qualcuno che li controlli. Possono, con elegante metafora, fare il cazzo che gli pare e riscuotere uno stipendio favoloso. Amano atteggiarsi a statisti, stabilire nuove alleanze, indicare sconosciuti orizzonti. L'unica cosa che non fanno è lavorare, svolgere il compito per il quale sono stati eletti. Un'attività troppo plebea, loro non si mischiano con la plebe.
Io credo che sia giunta l'ora della resa dei conti, con gentilezza, senza alcuna violenza. Non si può continuare a fare finta di niente. Iniziamo da noi. Se incontriamo per strada un nostro dipendente con la scorta, o fermo al semaforo con la macchina blu e autista o all'ingresso di una partita importante o alla prima della Scala o presso uno studio televisivo o in un qualunque posto diverso dal Parlamento dove dovrebbe lavorare... in quel caso ricordiamogli garbatamente i suoi doveri nei confronti di chi gli paga lo stipendio con le trattenute delle sue tasse. Filmate il colloquio, che spero cordiale, pubblicatelo su YouTube con il tag: "Educa il nostro dipendente" e inviate una segnalazione al blog. In futuro lancerò delle fatwa democratiche attraverso dei video verso alcuni dipendenti esempio della categoria. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure". (dal blog di Beppe Grillo)
lunedì 19 aprile 2010
Sù la testa coglione
"Nel mondo, in Europa, l’Italia è divenuta famosa - nella storia - per la cultura, il patrimonio artistico, la natura, il diritto. Roma e le altre città italiane sono state da sempre luoghi simbolo del dibattito letterario. Tutto questo sta evaporando, il bel paese sta attraversando una pericolosa fase di mutazione genetica. La natura viene quotidianamente violentata dai saccheggi edilizi spesso legalizzati da scellerati piani urbanistici. Le ecomafie trasformano il territorio in una devastante bomba ecologica attraverso lo smaltimento illegale di rifiuti tossico-nocivi. Il patrimonio artistico deve essere trasformato in una grande società per azioni in modo da privatizzare il patrimonio storico dell’umanità per ricavarne profitto. La vendita della fontana di Trevi del celebre film di Totò si trasformerà in amara realtà. La cultura che ci ha reso speciali, unitamente alla capacità di esercizio di un pensiero libero e critico, viene inquinata, giorno dopo giorno, da modelli sub-culturali che conducono alla sostanziale privatizzazione della democrazia: il consumatore universale, il pensiero unico, l’accaparramento del denaro, l’apparenza, l’avere. La persona, in tutta la sua umanità, si va lentamente dissolvendo. Il culto dell’immagine predomina sull’uomo. Si dissolve anche la pietas umana nei confronti dei più deboli, in quelli che la “nuova destra” considera residui e scarti sociali, effetti collaterali del benessere dei più ricchi. Si consolida un capitalismo senile privo di regole giuridiche ed anche morali. Si legalizza e si praticano respingimenti di massa con il sostegno propagandistico di un rozzo ministro della Repubblica il quale, con riferimento alle donne, ai bambini e agli anziani immigrati, che muoiono in mare, afferma: “peggio per loro”. I governanti adottano pratiche immorali, abusano del diritto con l’approvazione di provvedimenti illegali, favoriscono corruzioni e mafie rendendole sistema-paese. Il declino delle coscienze. Gli italiani orgogliosi della propria Nazione all’estero provano inquietudine per tutto questo. E’ imbarazzante la considerazione che si ha oltralpe del peronista nostrano. Mortificanti le immagini della conferenza stampa Berlusconi-Zapatero, i manifesti elettorali in Germania per screditare la Merkel, le frasi sul colore della pelle del Presidente Obama, le corna nei flash fotografici. Una macchietta da film di Totò, se non fosse il Capo del Governo. I deputati del Parlamento Europeo spesso ti guardano negli occhi e dicono: “ma come fate a votare Berlusconi?”. Vai a spiegare che non tutti gli italiani sono così. Quest’altra Italia non appare, è nell’angolo, deve, invece, tornare ad essere protagonista. Italiani che devono portare il Paese fuori dal baratro culturale e morale. Il segreto è volerlo. Ma quanti veramente lo desiderano?". (Luigi De Magistris)
Dopo Mike, Vianello mediaset
"Ieri mattina, sciaguratamente, ho acceso la tv e mi sono imbattuto su una rete Mediaset nella telecronaca diretta del funerale di Raimondo Vianello. Del grande attore scomparso, per sua fortuna, non c’era traccia, essendo già ben chiuso nella sua bara. In compenso imperversava dappertutto un altro comico, anzi un guitto tragicomico con le gote avvizzite e impiastricciate di fard fucsia e il capino spennellato di polenta arancione, che officiava la cerimonia, dirigeva le pompe funebri, smistava il traffico delle préfiche, abbassava il cofano del carro, salutava la folla come Gerry Scotti, poi nella chiesetta sbaciucchiava a favore di telecamera la povera vedova pietrificata in carrozzella e cercava di farla ridere con qualche battuta all’orecchio, chiamava i battimani associandosi ai cori da stadio "Raimondo Raimondo" sollecitati da Pippo Baudo: era il presidente del Consiglio. Sul pratone di Milano2, un maxischermo da concerto rock ingigantiva quelle immagini raccapriccianti esponendole al "bell’applauso" di una folla di curiosi armata di telefonini e videocamere per immortalare la sfilata dei "vip", come sulla banchina di Porto Rotondo e nel dehors del Billionaire a Ferragosto. Infatti, in quel festival di botulini e siliconi, incedeva persino Lele Mora (Luciano Moggi, altro magister elegantiarum, era passato il giorno prima in una pausa del suo processo). Ho sperato con tutto il cuore che al grande Raimondo, impegnato nell’ultimo viaggio, sia stata risparmiata la vista di quello spettacolo sguaiato, volgare, fasullo: l’esatto contrario della sua vita garbata, elegante, ironica e autoironica. L’estremo oltraggio. Vianello era, politicamente, un berlusconiano. Ma, antropologicamente e artisticamente, era l’antitesi vivente del berlusconismo. Infatti han dovuto aspettare che morisse per coinvolgerlo, ormai impotente e incolpevole, in una baracconata invereconda che ricorda il feroce episodio de "I nuovi mostri" firmato da Scola, in cui Sordi, guitto di provincia, recita l’elogio funebre del capocomico al cimitero, sul bordo della tomba, rievocandone le battute più grasse e pecorecce mentre tutt’intorno si applaude e si sghignazza. Gli storici del futuro che tenteranno di interpretare l’Italia di oggi non potranno prescindere da quelle immagini, perché difficilmente troveranno miglior reperto del nostro tempo: l’epoca dei senza pudore e dei senza vergogna. Una bara sequestrata da un anziano miliardario squilibrato, malamente pittato da giovanotto, che si crede Napoleone e monopolizza la scena con la stessa congenita volgarità con cui, proprio un anno fa, passeggiava sui cadaveri dell’Aquila accarezzando bambini, baciando vecchie, promettendo case e dentiere nuove per tutti. Una povera vedova incerottata e distrutta dalla malattia e dal dolore esposta alle telecamere e ai megascreen mentre mormora “Raimondo, io sono qua” senza neppure il diritto di farlo sottovoce, in penombra, lontano da microfoni, occhi e orecchi invadenti, pronti a trasformare tutto in "gossip". E, tutt’intorno, nessuno che notasse lo scempio. Nemmeno un consigliere che suggerisse al capo un po’ di raccoglimento, di compostezza, di silenzio, o gli spiegasse che ai funerali non c’è niente da ridere nè da applaudire. Men che meno ai funerali di Vianello, al quale bastava e avanzava il bellissimo necrologio bianco dettato dalla sua Sandra. "Berlusconi – scrisse un giorno Montanelli – è talmente vanesio che ai matrimoni vorrebbe essere la sposa e ai funerali il morto". Infatti, anche per evitare di ritrovarselo cianciante alle sue esequie, il vecchio Indro lasciò detto nelle sue ultime volontà: "Non sono gradite né cerimonie religiose, né commemorazioni civili". Forse Berlusconi non se n’è accorto, ma ieri ha seppellito sguaiatamente l’ultimo berlusconiano elegante e ironico rimasto in circolazione. Se lo capisse, se ne preoccuperebbe più che per il divorzio da Fini. Ma, se lo capisse, non sarebbe Berlusconi". (Marco Travaglio)
Liberi e dignitosi
E' destinata a far scoppiare la polemica la scelta dei tre volontari di Emergency di non accettare il volo di Stato per rientrare in Italia. Trascorsa la prima notte tranquilla, dopo l'incubo dell'isolamento nelle celle della Direzione nazionale della sicurezza (Nsd), i tre operatori di Emergency liberati domenica dalle autorità afghane hanno fatto sapere di non voler tornare in Italia con un volo di Stato. Marco Garatti, Matteo Dell'Aira e Matteo Pagani sarebbero dovuti rientrare in Italia con il Falcon dell'Aeronautica che sta conducendo in Afghanistan il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto, che parteciperà al cambio del comando del contingente italiano; ma i tre hanno rifiutato l'offerta del volo di Stato.
domenica 18 aprile 2010
sabato 17 aprile 2010
Torna il bue marino
"La Foca monaca, animale simbolo del rischio di estinzione dovuto all'alterazione del mare per mano dell'uomo, è tornata a nuotare in acque dove non la si vedeva più dagli anni '50: quelle di fonte alle isole Egadi. «La notizia ci inorgoglisce» ha detto a caldo il sindaco di Favignana, Lucio Antinoro, che ha commentato così il ritorno della foca monaca nelle acque di fronte all'isola di Marettimo. La buona notizia è stata riferita da alcuni pescatori che hanno anche corredato con le immagini di un video l'avvistamento. Gli esperti del Wwf, che proprio a Marettimo dal 1985 hanno svolto in questi anni un'intensa attività di sensibilizzazione, hanno analizzato il video realizzato dai pescatori di Marettimo e ne hanno dedotto che «si fa sempre più reale l'ipotesi che si tratti di diversi esemplari, una piccola colonia quasi certamente impegnata in un'attività riproduttiva in loco». L'avvistamento si aggiunge a quelli registrati in questi ultimi anni lungo le coste italiane, dal Tirreno centrale al Salento, comprese le acque antistanti l'Oasi Wwf di Policoro nello Ionio, fino alle coste sarde. «Speriamo davvero che il suo ritorno faccia comprendere a tutte le comunità locali che vivono lungo le nostre coste che una specie così rara rappresenta una ricchezza da difendere e custodire con saggezza», ha detto Fulco Pratesi, Presidente onorario del Wwf Italia, apprezzando il messaggio del ministro dell'Ambiente «che bene ha fatto a sottolineare l'importanza di un coinvolgimento responsabile e fruttuoso con le popolazioni locali». «Una bellissima notizia - aveva infatti detto il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo - e, come ministero, intendiamo adottare in questa occasione un atteggiamento nuovo, e confidiamo, efficace: intendiamo nominare custodi di questo tesoro la comunità e i pescatori stessi di Marettimo». (Corriere della Sera)
Speriamo che la foca monaca ritorni anche all'isola di Gorgona. Noi la chiamavamo il bue marino e veniva a partorire nella grotta dietro a Bellavista. Poi è scomparsa. Ora a noi gorgonesi è vietato andare in quella grotta perché protetta da vincoli ambientali. Da ragazzi noi arrivavamo ad una spiaggetta a cui si accedeva solo passando in un corridoio marino sottorraneo. Si sbucava in una grotta con una bella spiaggetta di ciottolato, illuminata da una piccola fessura che faceva penetrare fasci di luce, rendendo il tutto a dir poco suggestivo. Lì, quando noi non c'eravamo, veniva la foca monaca a partorire i suoi piccoli. Me lo aveva raccontato mio zio Gigi, uno degli ultimo pescatori gorgonesi, che qualche volta mi portava con lui, dopo molte insistenze di mia nonna, a pescare a traino le lecce alla punta di Bellavista, quella più prolifica di tutti sin dai tempi antichi.
Speriamo che la foca monaca ritorni anche all'isola di Gorgona. Noi la chiamavamo il bue marino e veniva a partorire nella grotta dietro a Bellavista. Poi è scomparsa. Ora a noi gorgonesi è vietato andare in quella grotta perché protetta da vincoli ambientali. Da ragazzi noi arrivavamo ad una spiaggetta a cui si accedeva solo passando in un corridoio marino sottorraneo. Si sbucava in una grotta con una bella spiaggetta di ciottolato, illuminata da una piccola fessura che faceva penetrare fasci di luce, rendendo il tutto a dir poco suggestivo. Lì, quando noi non c'eravamo, veniva la foca monaca a partorire i suoi piccoli. Me lo aveva raccontato mio zio Gigi, uno degli ultimo pescatori gorgonesi, che qualche volta mi portava con lui, dopo molte insistenze di mia nonna, a pescare a traino le lecce alla punta di Bellavista, quella più prolifica di tutti sin dai tempi antichi.
venerdì 16 aprile 2010
Io sto con Roberto Saviano
Io sto con Roberto Saviano. Stufo di questo premier di cartapesta che leggittima la mafia e il malaffare.
"Presidente Silvio Berlusconi, le scrivo dopo che in una conferenza stampa tenuta da lei a Palazzo Chigi sono stato accusato, anzi il mio libro è stato accusato di essere responsabile di "supporto promozionale alle cosche". Non sono accuse nuove. Mi vengono rivolte da anni: si fermi un momento a pensare a cosa le sue parole significano. A quanti cronisti, operatori sociali, a quanti avvocati, giudici, magistrati, a quanti narratori, registi, ma anche a quanti cittadini che da anni, in certe parti d'Italia, trovano la forza di raccontare, di esporsi, di opporsi, pensi a quanti hanno rischiato e stanno tutt'ora rischiando, eppure vengono accusati di essere fiancheggiatori delle organizzazioni criminali per il solo volerne parlare. Perché per lei è meglio non dire. è meglio la narrativa del silenzio. Del visto e taciuto. Del lasciar fare alle polizie ai tribunali come se le mafie fossero cosa loro. Affari loro. E le mafie vogliono esattamente che i loro affari siano cosa loro, Cosa nostra appunto è un'espressione ancor prima di divenire il nome di un'organizzazione. Io credo che solo e unicamente la verità serva a dare dignità a un Paese. Il potere mafioso è determinato da chi racconta il crimine o da chi commette il crimine?Il ruolo della 'ndrangheta, della camorra, di Cosa nostra è determinato dal suo volume d'affari - cento miliardi di euro all'anno di profitto - un volume d'affari che supera di gran lunga le più granitiche aziende italiane. Questo può non esser detto? Lei stesso ha presentato un dato che parla del sequestro alle mafie per un valore pari a dieci miliardi di euro. Questo significa che sono gli scrittori ad inventare? Ad esagerare? A commettere crimine con la loro parola? Perché? Michele Greco il boss di Cosa Nostra morto in carcere al processo contro di lui si difese dicendo che "era tutta colpa de Il Padrino" se in Sicilia venivano istruiti processi contro la mafia. Nicola Schiavone, il padre dei boss Francesco Schiavone e Walter Schiavone, dinanzi alle telecamere ha ribadito che la camorra era nella testa di chi scriveva di camorra, che il fenomeno era solo legato al crimine di strada e che io stesso ero il vero camorrista che scriveva di queste storie quando raccontava che la camorra era impresa, cemento, rifiuti, politica. Per i clan che in questi anni si sono visti raccontare, la parola ha rappresentato sempre un affronto perché rendeva di tutti informazioni e comportamenti che volevano restassero di pochi. Perché quando la parola rende cittadinanza universale a quelli che prima erano considerati argomenti particolari, lontani, per pochi, è in quell'istante che sta chiamando un intervento di tutti, un impegno di molti, una decisione che non riguarda più solo addetti ai lavori e cronisti di nera. Le ricordo le parole di Paolo Borsellino in ricordo di Giovanni Falcone pronunciate poco prima che lui stesso fosse ammazzato. "La lotta alla mafia è il primo problema da risolvere ... non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e specialmente le giovani generazioni le spinga a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale della indifferenza della contiguità e quindi della complicità. Ricordo la felicità di Falcone quando in un breve periodo di entusiasmo mi disse: la gente fa il tifo per noi. E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l'appoggio morale dà al lavoro dei giudici, significava soprattutto che il nostro lavoro stava anche smuovendo le coscienze". Il silenzio è ciò che vogliono. Vogliono che tutto si riduca a un problema tra guardie e ladri. Ma non è così. E' mostrando, facendo vedere, che si ha la possibilità di avere un contrasto. Lo stesso Piano Caserta che il suo governo ha attuato è partito perché è stata accesa la luce sull'organizzazione dei casalesi prima nota solo agli addetti ai lavori e a chi subiva i suoi ricatti. Eppure la sua non è un'accusa nuova. Anche molte personalità del centrosinistra campano, quando uscì il libro, dissero che avevo diffamato il rinascimento napoletano, che mi ero fatto pubblicità, che la mia era semplicemente un'insana voglia di apparire. Quando c'è un incendio si lascia fuggire chi ha appiccato le fiamme e si dà la colpa a chi ha dato l'allarme? Guardando a chi ha pagato con la vita la lotta per la verità, trovo assurdo e sconfortante pensare che il silenzio sia l'unica strada raccomandabile. Eppure, Presidente, avrebbe potuto dire molte cose per dimostrare l'impegno antimafia degli italiani. Avrebbe potuto raccontare che l'Italia è il paese con la migliore legislazione antimafia del mondo. Avrebbe potuto ricordare di come noi italiani offriamo il know-how dell'antimafia a mezzo mondo. Le organizzazioni criminali in questa fase di crisi generalizzata si stanno infiltrando nei sistemi finanziari ed economici dell'occidente e oggi gli esperti italiani vengono chiamati a dare informazioni per aiutare i governi a combattere le organizzazioni criminali di ogni genealogia. E' drammatico - e ne siamo consapevoli in molti - essere etichettati mafiosi ogni volta che un italiano supera i confini della sua terra. Certo che lo è. Ma non è con il silenzio che mostriamo di essere diversi e migliori.Diffondendo il valore della responsabilità, del coraggio del dire, del valore della denuncia, della forza dell'accusa, possiamo cambiare le cose.Accusare chi racconta il potere della criminalità organizzata di fare cattiva pubblicità al paese non è un modo per migliorare l'immagine italiana quanto piuttosto per isolare chi lo fa. Raccontare è il modo per innescare il cambiamento. Questa è l'unica strada per dimostrare che siamo il paese di Giovanni Falcone, di Don Peppe Diana, e non il paese di Totò Riina e di Schiavone Sandokan. Credo che nella battaglia antimafia non ci sia una destra o una sinistra con cui stare. Credo semplicemente che ci sia un movimento culturale e morale al quale aspirare. Io continuerò a parlare a tutti, qualunque sarà il credo politico, anche e soprattutto ai suoi elettori, Presidente: molti di loro, credo, saranno rimasti sbigottiti ed indignati dalle sue parole. Chiedo ai suoi elettori, chiedo agli elettori del Pdl di aiutarla a smentire le sue parole. E' l'unico modo per ridare la giusta direzione alla lotta alla mafia. Chiederei di porgere le sue scuse non a me - che ormai ci sono abituato - ma ai parenti delle vittime di tutti coloro che sono caduti raccontando. Io sono un autore che ha pubblicato i suoi libri per Mondadori e Einaudi, entrambe case editrici di proprietà della sua famiglia. Ho sempre pensato che la storia partita da molto lontano della Mondadori fosse pienamente in linea per accettare un tipo di narrazione come la mia, pensavo che avesse gli strumenti per convalidare anche posizioni forti, correnti di pensiero diverse. Dopo le sue parole non so se sarà più così. E non so se lo sarà per tutti gli autori che si sono occupati di mafie esponendo loro stessi e che Mondadori e Einaudi in questi anni hanno pubblicato. La cosa che farò sarà incontrare le persone nella casa editrice che in questi anni hanno lavorato con me, donne e uomini che hanno creduto nelle mie parole e sono riuscite a far arrivare le mie storie al grande pubblico. Persone che hanno spesso dovuto difendersi dall'accusa di essere editor, uffici stampa, dirigenti, "comprati". E che invece fino ad ora hanno svolto un grande lavoro. E' da loro che voglio risposte.Una cosa è certa: io, come molti altri, continueremo a raccontare. Userò la parola come un modo per condividere, per aggiustare il mondo, per capire. Sono nato, caro Presidente, in una terra meravigliosa e purtroppo devastata, la cui bellezza però continua a darmi forza per sognare la possibilità di una Italia diversa. Una Italia che può cambiare solo se il sud può cambiare. Lo giuro Presidente, anche a nome degli italiani che considerano i propri morti tutti coloro che sono caduti combattendo le organizzazioni criminali, che non ci sarà giorno in cui taceremo. Questo lo prometto. A voce alta". (Roberto Saviano)
"Presidente Silvio Berlusconi, le scrivo dopo che in una conferenza stampa tenuta da lei a Palazzo Chigi sono stato accusato, anzi il mio libro è stato accusato di essere responsabile di "supporto promozionale alle cosche". Non sono accuse nuove. Mi vengono rivolte da anni: si fermi un momento a pensare a cosa le sue parole significano. A quanti cronisti, operatori sociali, a quanti avvocati, giudici, magistrati, a quanti narratori, registi, ma anche a quanti cittadini che da anni, in certe parti d'Italia, trovano la forza di raccontare, di esporsi, di opporsi, pensi a quanti hanno rischiato e stanno tutt'ora rischiando, eppure vengono accusati di essere fiancheggiatori delle organizzazioni criminali per il solo volerne parlare. Perché per lei è meglio non dire. è meglio la narrativa del silenzio. Del visto e taciuto. Del lasciar fare alle polizie ai tribunali come se le mafie fossero cosa loro. Affari loro. E le mafie vogliono esattamente che i loro affari siano cosa loro, Cosa nostra appunto è un'espressione ancor prima di divenire il nome di un'organizzazione. Io credo che solo e unicamente la verità serva a dare dignità a un Paese. Il potere mafioso è determinato da chi racconta il crimine o da chi commette il crimine?Il ruolo della 'ndrangheta, della camorra, di Cosa nostra è determinato dal suo volume d'affari - cento miliardi di euro all'anno di profitto - un volume d'affari che supera di gran lunga le più granitiche aziende italiane. Questo può non esser detto? Lei stesso ha presentato un dato che parla del sequestro alle mafie per un valore pari a dieci miliardi di euro. Questo significa che sono gli scrittori ad inventare? Ad esagerare? A commettere crimine con la loro parola? Perché? Michele Greco il boss di Cosa Nostra morto in carcere al processo contro di lui si difese dicendo che "era tutta colpa de Il Padrino" se in Sicilia venivano istruiti processi contro la mafia. Nicola Schiavone, il padre dei boss Francesco Schiavone e Walter Schiavone, dinanzi alle telecamere ha ribadito che la camorra era nella testa di chi scriveva di camorra, che il fenomeno era solo legato al crimine di strada e che io stesso ero il vero camorrista che scriveva di queste storie quando raccontava che la camorra era impresa, cemento, rifiuti, politica. Per i clan che in questi anni si sono visti raccontare, la parola ha rappresentato sempre un affronto perché rendeva di tutti informazioni e comportamenti che volevano restassero di pochi. Perché quando la parola rende cittadinanza universale a quelli che prima erano considerati argomenti particolari, lontani, per pochi, è in quell'istante che sta chiamando un intervento di tutti, un impegno di molti, una decisione che non riguarda più solo addetti ai lavori e cronisti di nera. Le ricordo le parole di Paolo Borsellino in ricordo di Giovanni Falcone pronunciate poco prima che lui stesso fosse ammazzato. "La lotta alla mafia è il primo problema da risolvere ... non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e specialmente le giovani generazioni le spinga a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale della indifferenza della contiguità e quindi della complicità. Ricordo la felicità di Falcone quando in un breve periodo di entusiasmo mi disse: la gente fa il tifo per noi. E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l'appoggio morale dà al lavoro dei giudici, significava soprattutto che il nostro lavoro stava anche smuovendo le coscienze". Il silenzio è ciò che vogliono. Vogliono che tutto si riduca a un problema tra guardie e ladri. Ma non è così. E' mostrando, facendo vedere, che si ha la possibilità di avere un contrasto. Lo stesso Piano Caserta che il suo governo ha attuato è partito perché è stata accesa la luce sull'organizzazione dei casalesi prima nota solo agli addetti ai lavori e a chi subiva i suoi ricatti. Eppure la sua non è un'accusa nuova. Anche molte personalità del centrosinistra campano, quando uscì il libro, dissero che avevo diffamato il rinascimento napoletano, che mi ero fatto pubblicità, che la mia era semplicemente un'insana voglia di apparire. Quando c'è un incendio si lascia fuggire chi ha appiccato le fiamme e si dà la colpa a chi ha dato l'allarme? Guardando a chi ha pagato con la vita la lotta per la verità, trovo assurdo e sconfortante pensare che il silenzio sia l'unica strada raccomandabile. Eppure, Presidente, avrebbe potuto dire molte cose per dimostrare l'impegno antimafia degli italiani. Avrebbe potuto raccontare che l'Italia è il paese con la migliore legislazione antimafia del mondo. Avrebbe potuto ricordare di come noi italiani offriamo il know-how dell'antimafia a mezzo mondo. Le organizzazioni criminali in questa fase di crisi generalizzata si stanno infiltrando nei sistemi finanziari ed economici dell'occidente e oggi gli esperti italiani vengono chiamati a dare informazioni per aiutare i governi a combattere le organizzazioni criminali di ogni genealogia. E' drammatico - e ne siamo consapevoli in molti - essere etichettati mafiosi ogni volta che un italiano supera i confini della sua terra. Certo che lo è. Ma non è con il silenzio che mostriamo di essere diversi e migliori.Diffondendo il valore della responsabilità, del coraggio del dire, del valore della denuncia, della forza dell'accusa, possiamo cambiare le cose.Accusare chi racconta il potere della criminalità organizzata di fare cattiva pubblicità al paese non è un modo per migliorare l'immagine italiana quanto piuttosto per isolare chi lo fa. Raccontare è il modo per innescare il cambiamento. Questa è l'unica strada per dimostrare che siamo il paese di Giovanni Falcone, di Don Peppe Diana, e non il paese di Totò Riina e di Schiavone Sandokan. Credo che nella battaglia antimafia non ci sia una destra o una sinistra con cui stare. Credo semplicemente che ci sia un movimento culturale e morale al quale aspirare. Io continuerò a parlare a tutti, qualunque sarà il credo politico, anche e soprattutto ai suoi elettori, Presidente: molti di loro, credo, saranno rimasti sbigottiti ed indignati dalle sue parole. Chiedo ai suoi elettori, chiedo agli elettori del Pdl di aiutarla a smentire le sue parole. E' l'unico modo per ridare la giusta direzione alla lotta alla mafia. Chiederei di porgere le sue scuse non a me - che ormai ci sono abituato - ma ai parenti delle vittime di tutti coloro che sono caduti raccontando. Io sono un autore che ha pubblicato i suoi libri per Mondadori e Einaudi, entrambe case editrici di proprietà della sua famiglia. Ho sempre pensato che la storia partita da molto lontano della Mondadori fosse pienamente in linea per accettare un tipo di narrazione come la mia, pensavo che avesse gli strumenti per convalidare anche posizioni forti, correnti di pensiero diverse. Dopo le sue parole non so se sarà più così. E non so se lo sarà per tutti gli autori che si sono occupati di mafie esponendo loro stessi e che Mondadori e Einaudi in questi anni hanno pubblicato. La cosa che farò sarà incontrare le persone nella casa editrice che in questi anni hanno lavorato con me, donne e uomini che hanno creduto nelle mie parole e sono riuscite a far arrivare le mie storie al grande pubblico. Persone che hanno spesso dovuto difendersi dall'accusa di essere editor, uffici stampa, dirigenti, "comprati". E che invece fino ad ora hanno svolto un grande lavoro. E' da loro che voglio risposte.Una cosa è certa: io, come molti altri, continueremo a raccontare. Userò la parola come un modo per condividere, per aggiustare il mondo, per capire. Sono nato, caro Presidente, in una terra meravigliosa e purtroppo devastata, la cui bellezza però continua a darmi forza per sognare la possibilità di una Italia diversa. Una Italia che può cambiare solo se il sud può cambiare. Lo giuro Presidente, anche a nome degli italiani che considerano i propri morti tutti coloro che sono caduti combattendo le organizzazioni criminali, che non ci sarà giorno in cui taceremo. Questo lo prometto. A voce alta". (Roberto Saviano)
L'imene a posteriori
"Ieri, 15 aprile 2010, si è varcato il Rubicone della legalità. Alea iacta est. Il protagonista non è stato Giulio Cesare, ma più modestamente il duo Pdl-Pdmenoelle che si esibisce da quasi vent'anni nella distruzione della democrazia in Italia, riuscendovi peraltro benissimo. Il fiume non era il Rubicone, ma il Parlamento, la Cloaca Massima della politica italiana. La Camera ha approvato con 435 voti a favore, 21 contrari e 41 astensioni la legge salva Errani-Formigoni. La coppia stagionata dalle molte legislature di presidenza delle Regioni Emilia Romagna-Lombardia per ora è salva. La legge, che vieta la ricandidabilità dopo due mandati consecutivi, ne impediva l'elezione fino a ieri. Con il decreto ad hoc Errani e Formigoni sono riverginati, gli è stato ricucito l'imene elettorale. La legge votata dai deputati è la prova provata della ineleggibilità di Errani e Formigoni. E' una legge a posteriori per legittimare un comportamento fuori legge a priori. Il decreto salva liste è un'istigazione a leggi ex post fai da te. Hai evaso il fisco? Nessun problema, ti riunisci in salotto con i famigliari e fai un decretino ex post con uno scudo fiscale. Sei stato licenziato insieme ad altri precari? Convochi un'assemblea per approvare una legge per il reintegro immediato. Non riesci a pagare le bollette dell'acqua, della luce e del gas? Scrivi una legge ex post per un'autoriduzione del 100% e la spedisci a Equitalia con affrancatura a carico del destinatario. Calderoli dovrebbe bruciare Il Codice Civile e il Codice Penale. Sono inutili. Ogni legge si può cambiare dopo il reato. E' la semplificazione della democrazia, l'ingresso in un nuovo mondo in cui ognuno può fare il c...o che gli pare a norma di legge ex post. Il decreto salva Errani-Formigoni deve essere ancora approvato al Senato, ma è una formalità. I senatori sono persone ubbidienti. Poi dovrà firmarlo Napolitano, ma anche questa è una formalità. Il decreto però è incostituzionale e mi impegnerò per farlo decadere. Nel frattempo, mentre è in vigore, ognuno potrà farsi la sua legge, leggina, decreto, decretino ex post. Neanche gli dei possono cambiare il passato, ma i nostri politici ci riescono senza alcun problema, così come ci fottono con naturalezza il futuro. Il corruttore diventa presidente del Consiglio, il mafioso un eroe, Errani e Formigoni presidenti di Regione. La realtà ti fa schifo? La legge è contro le tue attitudini naturali di grassatore, ladro, mafioso, estorsore? Tutto questo appartiene al passato. Con la legge ex post sarai un altro uomo, forse da grande potrai fare anche il deputato". (dal blog di Beppe Grillo)
giovedì 15 aprile 2010
E ora se la prendono anche con i bambini
"Qualche giorno fa, stando davanti al video e seguendo un telegiornale, Franca ed io siamo rimasti sconvolti. La cosa si è ripetuta anche nei giorni successivi. Siamo venuti a sapere che proprio qui, in Lombardia, in un complesso di scuole per l’infanzia, elementari e medie, ci sono dei bambini che al momento della distribuzione del cibo nella mensa si sono trovati con davanti un piatto, dentro al quale c’era un pezzo di pane, e un bicchiere d’acqua; mentre nel piatto degli altri bimbi c’era pastasciutta, e appresso formaggio e anche la frutta. Perché? Perché i genitori dei puniti non avevano pagato la retta, o anche solo erano in ritardo, e quindi i figlioli non avevano il diritto di mangiare! Digiuni per castigo dovevano restare! Pensiamo allo choc che devono aver provato questi ragazzini: fermi, davanti al panino, il bicchiere d’acqua; e gli altri che mangiavano. Sappiamo che alcuni fra i bambini, di quelli che avevano gli spaghetti, senza una parola ne hanno messo nel piatto vuoto dei compagni una o due forchettate. Diciamo: una società che produce un dolore, una mortificazione, un’umiliazione di questo livello a dei ragazzini innocenti – ma che razza di società è? Che razza di valori ha nel corpo, nel cuore e nel cervello? Che cultura produce? Quale dimensione sociale? Ci siamo sentiti proprio male. E’ da ricordare che questi che inscenano spettacoli del genere sono gente nostra, della nostra razza. Sono loro che hanno ordinato di togliere il cibo ai bambini poveri, in quanto indegni dei vantaggi comuni. S’è saputo poi, che questi genitori non hanno mancato per strafottenza o per un atto di inciviltà, ma solo perché non avevano i denari per pagare la retta! E’ gente travolta dalla crisi, quasi tutti causa la perdita di un lavoro, e quindi senza paga, disoccupati. Ai gestori della cucina, ai gestori di questa economia e di questa scuola e del comune non importava niente. Importava: “Non paghi, non mangi”: anche se sei un bimbo devi soccombere, essere punito. Di colpo ci è venuto in mente Sant’Ambrogio. Su di lui, il maggiore vescovo che la nostra città abbia avuto, abbiamo realizzato e messo in scena anche uno spettacolo al Piccolo Teatro di Milano, lo Strehler.
Siamo atei, ma abbiamo studiato profondamente la storia del cristianesimo. E abbiamo scoperto che Ambrogio possedeva un grande senso della collettività, che aveva preso parola, intervenendo con durezza al Senato di Milano, quando questa era stata eletta a Capitale dell’Impero d’Oriente e d’Occidente, portando avanti il diritto della dignità degli uomini: anche quando sono schiavi, anche quando sono privi di diritti. Lui diceva: “Ricco signore, non t’accorgi che davanti alla tua porta c’è un uomo nudo, e tu sei tutto assorto a scegliere i marmi che dovranno ricoprire i muri. Quell’uomo chiede del pane e intanto il tuo cavallo mastica un morso d’oro. Tu vai in visibilio contemplando i tuoi arredi preziosi, e quell’uomo nudo trema di freddo di fronte a te e tu non lo degni di uno sguardo, non l’hai nemmeno riconosciuto. “Sappi che ogni uomo affamato e senz’abito che viene alla tua porta è Gesù; ogni disperato è Gesù. E lo incontrerai il giorno in cui si chiuderà il tempo del mondo e lui, quello stesso uomo, verrà ad aprirti e ti chiederà: ‘Mi riconosci?’. “Voi, ricchi, dite: ‘C’è sempre tempo per pentirsi e pagare i debiti’. Ma non c’è peggior menzogna. Ricchi, non vi è nulla nella vostra attività di uomini che possa piacere a Dio. Anche se tenete appesa una croce sopra il letto e disponete di una cappella dove pregare soli e assistere alla messa. Voi vi stringete ai vostri beni, gridando ‘È mio!’. No, nulla è vostro su questa terra”. “Schiacciate le vostre regole di infamia e di ingiustizia. Ridate il diritto a chi non ne ha… il pane a chi non ne può masticare, impedito dalla vostra grettezza! Distribuitene, finché siete in tempo, ai disperati, ai derubati dalla vostra insolente avidità. Nessun lascito sostanzioso alla chiesa e al suo clero vi salverà”. “Vi dirò”, concludeva Ambrogio, “che non si può credere a un potere magnanimo, poiché chi lo possiede vuole tutto, anche le briciole. Perciò io sono per la comunità dei beni; io sono per l’uguaglianza fra uomini diversi. Perché solo il furto ha creato la proprietà privata”. (Dario Fo e Franca Rame)
Siamo atei, ma abbiamo studiato profondamente la storia del cristianesimo. E abbiamo scoperto che Ambrogio possedeva un grande senso della collettività, che aveva preso parola, intervenendo con durezza al Senato di Milano, quando questa era stata eletta a Capitale dell’Impero d’Oriente e d’Occidente, portando avanti il diritto della dignità degli uomini: anche quando sono schiavi, anche quando sono privi di diritti. Lui diceva: “Ricco signore, non t’accorgi che davanti alla tua porta c’è un uomo nudo, e tu sei tutto assorto a scegliere i marmi che dovranno ricoprire i muri. Quell’uomo chiede del pane e intanto il tuo cavallo mastica un morso d’oro. Tu vai in visibilio contemplando i tuoi arredi preziosi, e quell’uomo nudo trema di freddo di fronte a te e tu non lo degni di uno sguardo, non l’hai nemmeno riconosciuto. “Sappi che ogni uomo affamato e senz’abito che viene alla tua porta è Gesù; ogni disperato è Gesù. E lo incontrerai il giorno in cui si chiuderà il tempo del mondo e lui, quello stesso uomo, verrà ad aprirti e ti chiederà: ‘Mi riconosci?’. “Voi, ricchi, dite: ‘C’è sempre tempo per pentirsi e pagare i debiti’. Ma non c’è peggior menzogna. Ricchi, non vi è nulla nella vostra attività di uomini che possa piacere a Dio. Anche se tenete appesa una croce sopra il letto e disponete di una cappella dove pregare soli e assistere alla messa. Voi vi stringete ai vostri beni, gridando ‘È mio!’. No, nulla è vostro su questa terra”. “Schiacciate le vostre regole di infamia e di ingiustizia. Ridate il diritto a chi non ne ha… il pane a chi non ne può masticare, impedito dalla vostra grettezza! Distribuitene, finché siete in tempo, ai disperati, ai derubati dalla vostra insolente avidità. Nessun lascito sostanzioso alla chiesa e al suo clero vi salverà”. “Vi dirò”, concludeva Ambrogio, “che non si può credere a un potere magnanimo, poiché chi lo possiede vuole tutto, anche le briciole. Perciò io sono per la comunità dei beni; io sono per l’uguaglianza fra uomini diversi. Perché solo il furto ha creato la proprietà privata”. (Dario Fo e Franca Rame)
mercoledì 14 aprile 2010
La mia morte dentro
Ennesimo suicidio nelle sovraffollate carceri italiane: ieri sera, nella sezione collaboratori di giustizia del penitenziario romano di Rebibbia, si è tolto la vita Daniele Bellante. L'uomo, 31 anni, si è impiccato annodando una striscia di tessuto alla finestra della della. Siciliano, originario di Vittoria, Bellante, secondo quanto si è appreso al momento, era un pluripregiudicato, fino al 2009 sottoposto a sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. Per essersi allontanato da Vittoria, violando così le restrizioni delle misure di prevenzione, era stato arrestato nell'ottobre dello scorso anno. Si tratta del ventesimo suicidio dall'inizio dell'anno, stando alla denuncia del Dap. Un elenco di vittime di Stato e vittime del sovraffollamento. Dov'è finito il piano per il riordino delle carceri più volte annunciato a mezzo stampa dal ministro Alfano e mai presentato?
Ecco la lista delle vittime:
1. Pierpaolo Ciullo, 39 anni - 2 gennaio - carcere di Altamura, asfissia con gas;
2. Celeste Frau, 62 anni - 4 gennaio - carcere Buoncammino di Cagliari, impiccagione;
3. Antonio Tammaro, 28 anni - 7 gennaio - carcere di Sulmona, impiccagione;
4. Giacomo Attolini, 49 anni - 8 gennaio - carcere di Verona, impiccagione;
5. Abellativ Sirage Eddine, 27 anni - 14 gennaio - carcere di Massa, impiccagione;
6. Mohamed El Aboubj, 25 anni - 16 gennaio - carcere S. Vittore di Milano, asfissia con gas;
7. Ivano Volpi, 29 anni - 20 gennaio - carcere di Spoleto, impiccagione;
8. Cittadino tunisino, 27 anni - 22 febbraio - carcere di Brescia, impiccagione;
9. Vincenzo Balsamo, 40 anni - 23 febbraio - carcere di Fermo, impiccagione;
10. Walid Aloui, 27 anni - 23 febbraio - carcere di Padova, impiccagione;
11. Rocco Nania, 42 anni - 24 febbraio - carcere di Vibo Valentia, impiccagione;
12. Roberto Giuliani, 47 anni - 25 febbraio - carcere di Rebibbia (Roma), impiccagione;
13. Giuseppe Sorrentino, 35 anni - 7 marzo - carcere di Padova, impiccagione;
14. Angelo Russo, 31 anni - 10 marzo - carcere di Poggioreale a Napoli, impiccagione;
15. Detenuto italiano, 47 anni - 27 marzo - carcere di Reggio Emilia, asfissia con gas;
16. Romano Iaria, 54 anni - 3 aprile - carcere di Sulmona, impiccagione;
17. Carmine B., 39 anni - 7 aprile - casa circondariale di Benevento, impiccagione;
18. Detenuto italiano, 40anni - 11 aprile - casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, asfissia con gas.
19. Daniele Bellante, 31 anni - 13 aprile - carcere di Rebibbia a Roma, impiccagione.
Ecco la lista delle vittime:
1. Pierpaolo Ciullo, 39 anni - 2 gennaio - carcere di Altamura, asfissia con gas;
2. Celeste Frau, 62 anni - 4 gennaio - carcere Buoncammino di Cagliari, impiccagione;
3. Antonio Tammaro, 28 anni - 7 gennaio - carcere di Sulmona, impiccagione;
4. Giacomo Attolini, 49 anni - 8 gennaio - carcere di Verona, impiccagione;
5. Abellativ Sirage Eddine, 27 anni - 14 gennaio - carcere di Massa, impiccagione;
6. Mohamed El Aboubj, 25 anni - 16 gennaio - carcere S. Vittore di Milano, asfissia con gas;
7. Ivano Volpi, 29 anni - 20 gennaio - carcere di Spoleto, impiccagione;
8. Cittadino tunisino, 27 anni - 22 febbraio - carcere di Brescia, impiccagione;
9. Vincenzo Balsamo, 40 anni - 23 febbraio - carcere di Fermo, impiccagione;
10. Walid Aloui, 27 anni - 23 febbraio - carcere di Padova, impiccagione;
11. Rocco Nania, 42 anni - 24 febbraio - carcere di Vibo Valentia, impiccagione;
12. Roberto Giuliani, 47 anni - 25 febbraio - carcere di Rebibbia (Roma), impiccagione;
13. Giuseppe Sorrentino, 35 anni - 7 marzo - carcere di Padova, impiccagione;
14. Angelo Russo, 31 anni - 10 marzo - carcere di Poggioreale a Napoli, impiccagione;
15. Detenuto italiano, 47 anni - 27 marzo - carcere di Reggio Emilia, asfissia con gas;
16. Romano Iaria, 54 anni - 3 aprile - carcere di Sulmona, impiccagione;
17. Carmine B., 39 anni - 7 aprile - casa circondariale di Benevento, impiccagione;
18. Detenuto italiano, 40anni - 11 aprile - casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, asfissia con gas.
19. Daniele Bellante, 31 anni - 13 aprile - carcere di Rebibbia a Roma, impiccagione.
Chiesa in confusione
Ormai non passa giorno senza che la Chiesa, o il Vaticano che sia, non se ne esca con qualche precisazione della precisazione sulla pedofilia, sull'omossessualità, la pillola qui e la pillola là. Mentre fino a qualche tempo fa la sua parola sembrava legge, almeno in Italia, ora sembra che ogni uscita sia una gaffe sulla gaffe, con una perdita mondiale della credibilità della Chiesa e del Papa. L'ultima uscita è quella sui Beatles, che il Vaticano o chi per lui avrebbe riabilitato. Ringo Starr, il loro ex batterista, ha fatto sapere che del parere del Vaticano non gliene frega niente. Nemmeno a noi.
Salvate Emergency senza se e senza ma
Questo governo non tutela gli italiani. Per salvare gli operatori di Emergency, probabilmente nella loro ottica italiani di serie B, il premier ha scritto una lettera a Kharzai. Siamo al tragico ridicolo di una diplomazia che vale quanto i rappresentanti di questa maggioranza. Mobilitiamoci per pretendere l'immediato rilascio dei nostri connazionali pena il ritiro delle nostre truppe.
"Caro direttore, si introducono - direttamente o con la complicità di qualcuno che vi lavora - alcune armi in un ospedale, poi si dà il via all'operazione... Truppe afgane e inglesi circondano il Centro chirurgico di Emergency a Lashkargah, poi vi entrano mitragliatori in pugno e si recano dove sanno di trovare le armi. A quanto ci risulta, nessun altro luogo viene perquisito. Si va diritti in un magazzino, non c'è neppure bisogno di controllare le centinaia di scatole sugli scaffali, le due con dentro le armi sono già pronte - ma che sorpresa! - sul pavimento in mezzo al locale. Una telecamera e il gioco è fatto. Si arrestano tre italiani - un chirurgo, un infermiere e un logista, gli unici internazionali presenti in quel momento in ospedale - e sei afgani e li si sbatte nelle celle dei Servizi di Sicurezza, le cui violazioni dei diritti umani sono già state ben documentate da Amnesty International e Human Rights Watch. Anche le case di Emergency vengono circondate e perquisite. Alle cinque persone presenti - tra i quali altri quattro italiani - viene vietato di uscire dalle proprie abitazioni. L'ospedale viene militarmente occupato. Le accuse: "Preparavano un complotto per assassinare il governatore, hanno perfino ricevuto mezzo milione di dollari per compiere l'attentato". A dirlo non è un magistrato né la polizia: è semplicemente il portavoce del governatore stesso. Neanche un demente potrebbe credere a una simile accusa: e perché mai dovrebbero farlo? La maggior parte dei razzi e delle bombe a Lashkargah hanno come obiettivo il palazzo del governatore: chi sarebbe così cretino da pagare mezzo milione di dollari per un attentato visto che ogni giorno c'è chi cerca già di compierlo gratuitamente? Questa montatura è destinata a crollare, nonostante la complicità di pochi mediocri - che vergogna per il nostro Paese! - che cercano di tenerla in piedi con insinuazioni e calunnie, con il tentativo di screditare Emergency, il suo lavoro e il suo personale. Perché si aggredisce, perché si dichiara guerra a un ospedale? Emergency e il suo ospedale sono accusati di curare anche i talebani, il nemico. Ma non hanno per anni sbraitato, i politici di ogni colore, che l'Italia è in Afghanistan per una missione di pace? Si possono avere nemici in missione di pace? In ogni caso l'accusa è vera. Anzi, noi tutti di Emergency rendiamo piena confessione. Una confessione vera, questa, non come la "confessione choc" del personale di Emergency che è finita nei titoli del giornalismo nostrano. Noi curiamo anche i talebani. Certo, e nel farlo teniamo fede ai principi etici della professione medica, e rispettiamo i trattati e le convenzioni internazionali in materia di assistenza ai feriti. Li curiamo, innanzitutto, per la nostra coscienza morale di esseri umani che si rifiutano di uccidere o di lasciar morire altri esseri umani. Curiamo i talebani come abbiamo curato e curiamo i mujaheddin, i poliziotti e i soldati afgani, gli sciiti e i sunniti, i bianchi e i neri, i maschi e le femmine. Curiamo soprattutto i civili afgani, che sono la grande maggioranza delle vittime di quella guerra.Curiamo chi ha bisogno, e crediamo che chi ha bisogno abbia il diritto ad essere curato. Crediamo che anche il più crudele dei terroristi abbia diritti umani - quelli che gli appartengono per il solo fatto di essere nato - e che questi diritti vadano rispettati. Essere curati è un diritto fondamentale, sancito nei più importanti documenti della cultura sociale, se si vuole della "Politica", dell'ultimo secolo. E noi di Emergency lo rispettiamo. Ci dichiariamo orgogliosamente "colpevoli". Curiamo tutti. In Afghanistan lo abbiamo fatto milioni di volte. Nell'ospedale di Lashkargah lo abbiamo fatto sessantaseimila volte. Senza chiedere, di fronte a un ferito nel pronto soccorso, "Stai con Karzai o con il mullah Omar?". Tantomeno lo abbiamo chiesto ai tantissimi bambini che abbiamo visto in questi anni colpiti da mine e bombe, da razzi e pallottole. Nel 2009 il 41 percento dei feriti ricoverati nell'ospedale di Emergency a Lashkargah aveva meno di 14 anni. Bambini. Ne abbiamo raccontato le storie e mostrato i volti, le immagini vere della guerra, la sua verità. Emergency fa politica", è l'altra accusa che singolarmente ci rivolgono i politici. In realtà vorrebbero solo che noi stessimo zitti, che non facessimo vedere quei volti e quei corpi martoriati. "Curateli e basta, non fate politica". Chi lo sostiene ha una idea molto rozza della politica. No, noi ci rifiutiamo di stare zitti e di nascondere quelle immagini. Da tempo la Nato sta compiendo quella che definisce "la più importante campagna militare da decenni": la prima vittima è stata l'informazione. Sono rarissimi i giornalisti che stanno informando i cittadini del mondo su che cosa succede nella regione di Helmand. I giornalisti veri sono scomodi, come l'ospedale di Emergency, che è stato a lungo l'unico "testimone" occidentale a poter vedere "gli orrori della guerra". Non staremo zitti. Emergency ha una idea alta della politica, la pensa come il tentativo di trovare un modo di stare insieme, di essere comunità. Di trovare un modo per convivere, pur restando tutti diversi, evitando di ucciderci a vicenda. Emergency è dentro questo tentativo. Noi crediamo che l'uso della violenza generi di per sé altra violenza, crediamo che solo cervelli gravemente insufficienti possano amare, desiderare, inneggiare alla guerra. Non crediamo alla guerra come strumento, è orribile, e mostruosamente stupido il pensare che possa funzionare. Ricordiamo "la guerra per far finire tutte le guerre" del presidente americano Wilson? Era il 1916. E come si può pensare di far finire le guerre se si continua a farle? L'ultima guerra potrà essere, semmai, una già conclusa, non una ancora in corso. La risposta di Emergency è semplice. Abbiamo imparato da Albert Einstein che la guerra non si può abbellire, renderla meno brutale: "La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire". Nella nostra idea di politica, e nella nostra coscienza di cittadini, non c'è spazio per la guerra. La abbiamo esclusa dal nostro orizzonte mentale. Ripudiamo la guerra e ne vorremmo la abolizione, come fu abolita la schiavitù. Utopia? No, siamo convinti che la abolizione della guerra sia un progetto politico da realizzare, e con grande urgenza. Per questo non possiamo tacere di fronte alla guerra, a qualsiasi guerra. Di proporre quel progetto, siamo colpevoli. Ecco, vi abbiamo fornito le risposte. E adesso? Un pistoiese definì il lavoro di Emergency "ramoscello d'ulivo in bocca e peperoncino nel culo". Adesso è ora che chi "di dovere" lavori in quel modo, e tiri fuori "i nostri ragazzi". Può farlo, bene e in fretta. Glielo ricorderemo sabato pomeriggio, dalle due e mezza, in piazza Navona a Roma".
(Gino Strada)
"È sempre un piacere vedere il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Si ha sempre l’impressione che passi di lì per caso, e che a ogni domanda sulla politica estera dell’Italia si appresti a rispondere: “E che ne so, io, chiedete al ministro degli Esteri”. Fosse vivo Fortebraccio, si pentirebbe di avere sprecato due memorabili battute per un ministro socialdemocratico a lui caro: “Si fermò un’auto blu e non ne scese nessuno: era Tanassi”, “uomo dalla fronte inutilmente spaziosa”. L’altra sera, dopo l’arresto-sequestro dei tre medici italiani di Emergency a opera della polizia di Kabul (e forse dei nostri “alleati” inglesi), Nessuno Frattini sedeva amabilmente su una poltroncina bianca di Porta a Porta con l’aria di uno svagato frequentatore del Club del Polo in attesa del suo Martini Dry. “Lo vuole liscio o con seltz? Con o senza oliva?”. Con l’aria pensosa che gli è propria, sottolineata dal dito indice morbidamente poggiato sul mento, anch’esso inutilmente spazioso, ripeteva banalità che nemmeno Peter Sellers nei panni del giardiniere Chance, intervallate con molesta frequenza dall’avverbio “ovviamente”. Tant’è che anche nel telespettatore più distratto sorgeva spontanea una domanda: “Ovviamente che, visto che non stai dicendo niente?”. Ecco, lui è così: sempre sfuocato come Woody Allen in “Harry a pezzi”. Se uno vuol farsi una ragione del peso nullo del nostro Paese nel mondo, la faccia di Ovviamente Frattini è lì apposta. Da otto anni mandiamo miliardi e soldati in Afghanistan per soddisfare le frègole guerrafondaie di B&B, poi il governo-farsa che contribuiamo a tenere in piedi ci arresta tre connazionali e non ci avverte neppure. L’anno scorso, in piena crisi fra Georgia e Russia, i ministri degli Esteri europei si riunirono d’urgenza per prendere una posizione, tranne Frattini che preferì restarsene su un atollo delle Maldive per non dover prendere una posizione, visto che non ne aveva una. Allora scrivemmo che, forse, non era stato avvertito di essere il ministro degli Esteri. Ora finalmente l’hanno avvisato e lui ne è visibilmente compiaciuto, anche se non ha la più pallida idea di che cosa questo significhi. Se l’avesse, appresa la notizia dei tre arresti-sequestri, avrebbe subito alzato il telefono per farsi sentire con Karzai e gli “alleati” angloamericani che lo puntellano. Invece ha addirittura dato credito alla bufala di alcuni fantomatici funzionari afghani sulla confessione dei noti terroristi di Emergency: “Prego con tutto il cuore che non sia vero, altrimenti sarebbe una vergogna per tutti gli italiani”. La vera vergogna è che, prima di dar fiato alla bocca, il ministro degli Esteri non abbia verificato tramite i canali diplomatici se la notizia fosse vera e, visto che non lo era, non abbia diffuso un’immediata smentita, con allegata protesta al cosiddetto governo afghano e annessa richiesta di restituire immediatamente i nostri volontari alle loro famiglie. Un vero ministro degli Esteri avrebbe poi tappato la bocca a suoi colleghi di partito e di governo, tipo l’acuto Maurizio Gasparri e il pacato Ignazio La Rissa, che anziché prendersela col regime di Kabul hanno attaccato Gino Strada, mettendo ulteriormente in pericolo gli ostaggi. La Rissa ha invitato il fondatore di Emergency a “prendere le distanze dai suoi collaboratori” arrestati, perché “può sempre succedere di avere accanto inconsapevolmente degli infiltrati” come “le Br nel Pci e i Nar nell’Msi”. E, con notevole consequenzialità logica, ha prima ammesso che “il governo italiano non è stato informato dell’operazione”, salvo poi aggiungere che, “se le autorità afghane avessero fatto un imbroglio contro Emergency, ci saremmo arrabbiati, anche se l’orientamento politico di Emergency è noto a tutti”. Ma come faceva, di grazia, il governo ad arrabbiarsi se non sapeva nulla? Domande che avrebbero un senso se l’Italia avesse una politica estera, cioè se avesse un governo, o almeno un ministro degli Esteri. Invece abbiamo Frattini Dry. Con seltz. Senza oliva". (Marco Travaglio)
"Caro direttore, si introducono - direttamente o con la complicità di qualcuno che vi lavora - alcune armi in un ospedale, poi si dà il via all'operazione... Truppe afgane e inglesi circondano il Centro chirurgico di Emergency a Lashkargah, poi vi entrano mitragliatori in pugno e si recano dove sanno di trovare le armi. A quanto ci risulta, nessun altro luogo viene perquisito. Si va diritti in un magazzino, non c'è neppure bisogno di controllare le centinaia di scatole sugli scaffali, le due con dentro le armi sono già pronte - ma che sorpresa! - sul pavimento in mezzo al locale. Una telecamera e il gioco è fatto. Si arrestano tre italiani - un chirurgo, un infermiere e un logista, gli unici internazionali presenti in quel momento in ospedale - e sei afgani e li si sbatte nelle celle dei Servizi di Sicurezza, le cui violazioni dei diritti umani sono già state ben documentate da Amnesty International e Human Rights Watch. Anche le case di Emergency vengono circondate e perquisite. Alle cinque persone presenti - tra i quali altri quattro italiani - viene vietato di uscire dalle proprie abitazioni. L'ospedale viene militarmente occupato. Le accuse: "Preparavano un complotto per assassinare il governatore, hanno perfino ricevuto mezzo milione di dollari per compiere l'attentato". A dirlo non è un magistrato né la polizia: è semplicemente il portavoce del governatore stesso. Neanche un demente potrebbe credere a una simile accusa: e perché mai dovrebbero farlo? La maggior parte dei razzi e delle bombe a Lashkargah hanno come obiettivo il palazzo del governatore: chi sarebbe così cretino da pagare mezzo milione di dollari per un attentato visto che ogni giorno c'è chi cerca già di compierlo gratuitamente? Questa montatura è destinata a crollare, nonostante la complicità di pochi mediocri - che vergogna per il nostro Paese! - che cercano di tenerla in piedi con insinuazioni e calunnie, con il tentativo di screditare Emergency, il suo lavoro e il suo personale. Perché si aggredisce, perché si dichiara guerra a un ospedale? Emergency e il suo ospedale sono accusati di curare anche i talebani, il nemico. Ma non hanno per anni sbraitato, i politici di ogni colore, che l'Italia è in Afghanistan per una missione di pace? Si possono avere nemici in missione di pace? In ogni caso l'accusa è vera. Anzi, noi tutti di Emergency rendiamo piena confessione. Una confessione vera, questa, non come la "confessione choc" del personale di Emergency che è finita nei titoli del giornalismo nostrano. Noi curiamo anche i talebani. Certo, e nel farlo teniamo fede ai principi etici della professione medica, e rispettiamo i trattati e le convenzioni internazionali in materia di assistenza ai feriti. Li curiamo, innanzitutto, per la nostra coscienza morale di esseri umani che si rifiutano di uccidere o di lasciar morire altri esseri umani. Curiamo i talebani come abbiamo curato e curiamo i mujaheddin, i poliziotti e i soldati afgani, gli sciiti e i sunniti, i bianchi e i neri, i maschi e le femmine. Curiamo soprattutto i civili afgani, che sono la grande maggioranza delle vittime di quella guerra.Curiamo chi ha bisogno, e crediamo che chi ha bisogno abbia il diritto ad essere curato. Crediamo che anche il più crudele dei terroristi abbia diritti umani - quelli che gli appartengono per il solo fatto di essere nato - e che questi diritti vadano rispettati. Essere curati è un diritto fondamentale, sancito nei più importanti documenti della cultura sociale, se si vuole della "Politica", dell'ultimo secolo. E noi di Emergency lo rispettiamo. Ci dichiariamo orgogliosamente "colpevoli". Curiamo tutti. In Afghanistan lo abbiamo fatto milioni di volte. Nell'ospedale di Lashkargah lo abbiamo fatto sessantaseimila volte. Senza chiedere, di fronte a un ferito nel pronto soccorso, "Stai con Karzai o con il mullah Omar?". Tantomeno lo abbiamo chiesto ai tantissimi bambini che abbiamo visto in questi anni colpiti da mine e bombe, da razzi e pallottole. Nel 2009 il 41 percento dei feriti ricoverati nell'ospedale di Emergency a Lashkargah aveva meno di 14 anni. Bambini. Ne abbiamo raccontato le storie e mostrato i volti, le immagini vere della guerra, la sua verità. Emergency fa politica", è l'altra accusa che singolarmente ci rivolgono i politici. In realtà vorrebbero solo che noi stessimo zitti, che non facessimo vedere quei volti e quei corpi martoriati. "Curateli e basta, non fate politica". Chi lo sostiene ha una idea molto rozza della politica. No, noi ci rifiutiamo di stare zitti e di nascondere quelle immagini. Da tempo la Nato sta compiendo quella che definisce "la più importante campagna militare da decenni": la prima vittima è stata l'informazione. Sono rarissimi i giornalisti che stanno informando i cittadini del mondo su che cosa succede nella regione di Helmand. I giornalisti veri sono scomodi, come l'ospedale di Emergency, che è stato a lungo l'unico "testimone" occidentale a poter vedere "gli orrori della guerra". Non staremo zitti. Emergency ha una idea alta della politica, la pensa come il tentativo di trovare un modo di stare insieme, di essere comunità. Di trovare un modo per convivere, pur restando tutti diversi, evitando di ucciderci a vicenda. Emergency è dentro questo tentativo. Noi crediamo che l'uso della violenza generi di per sé altra violenza, crediamo che solo cervelli gravemente insufficienti possano amare, desiderare, inneggiare alla guerra. Non crediamo alla guerra come strumento, è orribile, e mostruosamente stupido il pensare che possa funzionare. Ricordiamo "la guerra per far finire tutte le guerre" del presidente americano Wilson? Era il 1916. E come si può pensare di far finire le guerre se si continua a farle? L'ultima guerra potrà essere, semmai, una già conclusa, non una ancora in corso. La risposta di Emergency è semplice. Abbiamo imparato da Albert Einstein che la guerra non si può abbellire, renderla meno brutale: "La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire". Nella nostra idea di politica, e nella nostra coscienza di cittadini, non c'è spazio per la guerra. La abbiamo esclusa dal nostro orizzonte mentale. Ripudiamo la guerra e ne vorremmo la abolizione, come fu abolita la schiavitù. Utopia? No, siamo convinti che la abolizione della guerra sia un progetto politico da realizzare, e con grande urgenza. Per questo non possiamo tacere di fronte alla guerra, a qualsiasi guerra. Di proporre quel progetto, siamo colpevoli. Ecco, vi abbiamo fornito le risposte. E adesso? Un pistoiese definì il lavoro di Emergency "ramoscello d'ulivo in bocca e peperoncino nel culo". Adesso è ora che chi "di dovere" lavori in quel modo, e tiri fuori "i nostri ragazzi". Può farlo, bene e in fretta. Glielo ricorderemo sabato pomeriggio, dalle due e mezza, in piazza Navona a Roma".
(Gino Strada)
"È sempre un piacere vedere il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Si ha sempre l’impressione che passi di lì per caso, e che a ogni domanda sulla politica estera dell’Italia si appresti a rispondere: “E che ne so, io, chiedete al ministro degli Esteri”. Fosse vivo Fortebraccio, si pentirebbe di avere sprecato due memorabili battute per un ministro socialdemocratico a lui caro: “Si fermò un’auto blu e non ne scese nessuno: era Tanassi”, “uomo dalla fronte inutilmente spaziosa”. L’altra sera, dopo l’arresto-sequestro dei tre medici italiani di Emergency a opera della polizia di Kabul (e forse dei nostri “alleati” inglesi), Nessuno Frattini sedeva amabilmente su una poltroncina bianca di Porta a Porta con l’aria di uno svagato frequentatore del Club del Polo in attesa del suo Martini Dry. “Lo vuole liscio o con seltz? Con o senza oliva?”. Con l’aria pensosa che gli è propria, sottolineata dal dito indice morbidamente poggiato sul mento, anch’esso inutilmente spazioso, ripeteva banalità che nemmeno Peter Sellers nei panni del giardiniere Chance, intervallate con molesta frequenza dall’avverbio “ovviamente”. Tant’è che anche nel telespettatore più distratto sorgeva spontanea una domanda: “Ovviamente che, visto che non stai dicendo niente?”. Ecco, lui è così: sempre sfuocato come Woody Allen in “Harry a pezzi”. Se uno vuol farsi una ragione del peso nullo del nostro Paese nel mondo, la faccia di Ovviamente Frattini è lì apposta. Da otto anni mandiamo miliardi e soldati in Afghanistan per soddisfare le frègole guerrafondaie di B&B, poi il governo-farsa che contribuiamo a tenere in piedi ci arresta tre connazionali e non ci avverte neppure. L’anno scorso, in piena crisi fra Georgia e Russia, i ministri degli Esteri europei si riunirono d’urgenza per prendere una posizione, tranne Frattini che preferì restarsene su un atollo delle Maldive per non dover prendere una posizione, visto che non ne aveva una. Allora scrivemmo che, forse, non era stato avvertito di essere il ministro degli Esteri. Ora finalmente l’hanno avvisato e lui ne è visibilmente compiaciuto, anche se non ha la più pallida idea di che cosa questo significhi. Se l’avesse, appresa la notizia dei tre arresti-sequestri, avrebbe subito alzato il telefono per farsi sentire con Karzai e gli “alleati” angloamericani che lo puntellano. Invece ha addirittura dato credito alla bufala di alcuni fantomatici funzionari afghani sulla confessione dei noti terroristi di Emergency: “Prego con tutto il cuore che non sia vero, altrimenti sarebbe una vergogna per tutti gli italiani”. La vera vergogna è che, prima di dar fiato alla bocca, il ministro degli Esteri non abbia verificato tramite i canali diplomatici se la notizia fosse vera e, visto che non lo era, non abbia diffuso un’immediata smentita, con allegata protesta al cosiddetto governo afghano e annessa richiesta di restituire immediatamente i nostri volontari alle loro famiglie. Un vero ministro degli Esteri avrebbe poi tappato la bocca a suoi colleghi di partito e di governo, tipo l’acuto Maurizio Gasparri e il pacato Ignazio La Rissa, che anziché prendersela col regime di Kabul hanno attaccato Gino Strada, mettendo ulteriormente in pericolo gli ostaggi. La Rissa ha invitato il fondatore di Emergency a “prendere le distanze dai suoi collaboratori” arrestati, perché “può sempre succedere di avere accanto inconsapevolmente degli infiltrati” come “le Br nel Pci e i Nar nell’Msi”. E, con notevole consequenzialità logica, ha prima ammesso che “il governo italiano non è stato informato dell’operazione”, salvo poi aggiungere che, “se le autorità afghane avessero fatto un imbroglio contro Emergency, ci saremmo arrabbiati, anche se l’orientamento politico di Emergency è noto a tutti”. Ma come faceva, di grazia, il governo ad arrabbiarsi se non sapeva nulla? Domande che avrebbero un senso se l’Italia avesse una politica estera, cioè se avesse un governo, o almeno un ministro degli Esteri. Invece abbiamo Frattini Dry. Con seltz. Senza oliva". (Marco Travaglio)
martedì 13 aprile 2010
L'illegittimo impedimento
"Ieri, a Catania, un impiegato regionale è finito in carcere per truffa allo Stato perché timbrava il cartellino in ufficio e poi se ne usciva per sbrigare le sue faccende private. I carabinieri l’hanno sorpreso in casa sua mentre riposava. Nelle stesse ore andava in scena al Tribunale di Milano l’ennesima replica della pièce “Un ometto in fuga”. I tre avvocati del premier, tutti parlamentari, cioè pagati da noi, hanno esibito due paginette firmate nientemeno che dal segretario della presidenza del Consiglio, in cui si spiega (si fa per dire) come e qualmente Mr. B. avrà da fare ininterrottamente, 24 ore su 24, sette giorni su sette, per i prossimi tre mesi e mezzo, fino al 21 luglio (dopo, i tribunali chiudono per ferie fino a metà settembre). In tempi normali, dinanzi a una lettera così indecente, il tribunale avrebbe disposto un’immediata perizia psichiatrica sul segretario della presidenza del Consiglio, nel tentativo di esplorare le gravi patologie che l’hanno indotto a mettere nero su bianco una così monumentale cazzata. In un paese normale, tipo gli Stati Uniti, se un avvocato si azzardasse a sostenerla, verrebbe incriminato su due piedi per oltraggio alla Corte e gli passerebbe la voglia di riprovarci (quando Bill Clinton provò a chiedere di essere esentato dal testimoniare sulle accuse di molestie della stagista Paula Jones, la Corte suprema rispose che, al massimo, poteva essere sentito alla Casa Bianca, non certo sottrarsi alla Giustizia). Siccome non viviamo in un paese e in tempi normali, è probabile che i giudici prendano per buona la cazzata e rinviino il processo Mediaset al 21 luglio, quando dovranno rinviarlo a metà settembre, quando riceveranno un’altra lettera piena di cazzate che chiederà un ulteriore rinvio di sei mesi, e così via per un totale di un anno e mezzo. Cioè fino a Natale del 2011, quando i giudici si sveglieranno e scopriranno che il premier è improcessabile per sempre: non si sa ancora se grazie a un lodo Alfano-bis riservato alle alte cariche dello Stato o al ripristino dell’immunità parlamentare per tutti i mandarini della Casta, anzi della Cosca. Tutto ciò è possibile grazie a una psico-legge, quella sul cosiddetto “legittimo impedimento”, festosamente firmata dal presidente Napolitano, presunto garante della Costituzione in cui è scolpito all’articolo 3 che “tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” e all’articolo 101 che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”.
Il pm Fabio De Pasquale, un ingenuo che si ostina a leggere e rileggere la Costituzione in cerca di qualcosa che giustifichi quel che sta accadendo, ha osservato che delle due l’una: o il legittimo impedimento consente ai giudici di verificare se sia umanamente possibile che il premier non possa comparire mai per un anno e mezzo in tribunale (e allora resta da capire, per esempio, che ci facesse l’altro giorno in una tenuta del Senese, dove pare stia per comprare l’ennesima villa) e, in caso contrario, di convocarlo per le udienze, magari concordando qualche data libera, compresi i sabati e le domeniche; oppure la nuova legge lo impedisce, nel qual caso è incostituzionale, perché rende i giudici soggetti non più alla legge, ma a due paginette firmate dal segretario di Palazzo Chigi. Sarebbe opportuno che fosse il capo dello Stato a spiegare all’impiegato di Catania perché deve restarsene in galera per aver disertato l’ufficio per qualche ora, mentre il suo presidente del Consiglio può andare in giro per i suoi porci comodi disertando i tribunali per 18 mesi. L’impiegato non può accampare legittimi impedimenti per assentarsi dall’ufficio, né per sottrarsi al processo. Il premier invece sì. Eppure sono due cittadini italiani “eguali di fronte alla legge”. Riuscirà Giorgio Napolitano a trovare le parole per spiegare questa singolare disparità di trattamento, oppure ha anche lui un legittimo impedimento?". (Marco Travaglio)
Il pm Fabio De Pasquale, un ingenuo che si ostina a leggere e rileggere la Costituzione in cerca di qualcosa che giustifichi quel che sta accadendo, ha osservato che delle due l’una: o il legittimo impedimento consente ai giudici di verificare se sia umanamente possibile che il premier non possa comparire mai per un anno e mezzo in tribunale (e allora resta da capire, per esempio, che ci facesse l’altro giorno in una tenuta del Senese, dove pare stia per comprare l’ennesima villa) e, in caso contrario, di convocarlo per le udienze, magari concordando qualche data libera, compresi i sabati e le domeniche; oppure la nuova legge lo impedisce, nel qual caso è incostituzionale, perché rende i giudici soggetti non più alla legge, ma a due paginette firmate dal segretario di Palazzo Chigi. Sarebbe opportuno che fosse il capo dello Stato a spiegare all’impiegato di Catania perché deve restarsene in galera per aver disertato l’ufficio per qualche ora, mentre il suo presidente del Consiglio può andare in giro per i suoi porci comodi disertando i tribunali per 18 mesi. L’impiegato non può accampare legittimi impedimenti per assentarsi dall’ufficio, né per sottrarsi al processo. Il premier invece sì. Eppure sono due cittadini italiani “eguali di fronte alla legge”. Riuscirà Giorgio Napolitano a trovare le parole per spiegare questa singolare disparità di trattamento, oppure ha anche lui un legittimo impedimento?". (Marco Travaglio)
lunedì 12 aprile 2010
Bimba uccisa dalle leggi razziali di questo governo
Rifiutata dall’ospedale perché le era scaduta la tessera sanitaria, una bambina nigeriana di 13 mesi muore poche ore dopo. Il padre, in regola con il permesso di soggiorno, aveva appena perso il lavoro e non poteva rinnovare il documento che forse avrebbe strappato la piccola alla morte. «Uccisa dalla burocrazia», dicono gli amici della coppia, che ieri pomeriggio in 200 hanno sfilato per le vie di Carugate, hinterland di Milano, dove la famiglia vive. «I medici avrebbero potuto salvarla se non si fosse perso tutto quel tempo e se le cure fossero state adeguate. Se fosse stata italiana questo non sarebbe successo», grida ora Tommy Odiase, 40 anni, in Italia dal 1997. Chiede giustizia mentre stringe la mano della moglie Linda, di nove anni più giovane. La notte del 3 marzo la piccola Rachel sta male, è preda di violenti attacchi di vomito. I genitori, spaventati, chiamano il 118. Arriva un’ambulanza che li trasporta al pronto soccorso dell’Uboldo di Cernusco sul Naviglio. Il medico di turno, in sei minuti, visita la paziente e la dimette prescrivendole tre farmaci. «Non l’ha nemmeno svestita», racconta la mamma. Sul referto medico si leggono poche parole: «Buone condizioni generali». Sono riportati anche gli orari di ingresso, 00.39, e di uscita, 00.45. Il quartetto, con loro c’è anche la figlia più grande, di due anni e mezzo, gira in cerca della farmacia di turno. Ma le medicine sono inutili e alle 2 di notte l’uomo torna al pronto soccorso. Vuole che qualcuno si occupi della figlia, che sta sempre più male. «Il personale ci risponde che “la bambina ha la tessera sanitaria scaduta, non possiamo visitarla ancora o ricoverarla”», denuncia il 40enne. «Un fatto di una gravità assoluta — sottolinea l’avvocato della famiglia, Marco Martinelli — . Dobbiamo capire se esistono delle direttive precise per casi come questo». In mano Tommy Odiase ha un permesso di soggiorno da residente da rinnovare ogni sei mesi ma che scade in caso di disoccupazione. Il nigeriano, per ottenere il rinnovo della tessera sanitaria propria e delle figlie, doveva presentare una serie di documenti che ne attestassero la posizione, fra i quali la busta paga dell’ultimo mese. Licenziato solo sei settimane prima, la pratica si è trasformata in un incubo. Davanti al rifiuto dei medici, l’ex operaio diventa una furia. Urla, vuole attenzione. Qualcuno dall’ospedale chiama i carabinieri per farlo allontanare. Forse dall’altra parte della cornetta ricordano che pochi giorni prima all’ospedale di Melzo, stessa Asl, era morto un bimbo albanese di un anno e mezzo rimandato a casa dal pronto soccorso. L’intervento dell’Arma risolve momentaneamente la situazione: Rachel viene ricoverata in pediatria. Sono le 3 di notte, «ma fino alle otto del mattino nessuno la visita e non le viene somministrata alcuna flebo, nonostante nostra figlia avesse fortissimi attacchi di dissenteria e non riuscisse più a bere nulla», raccontano i genitori. Nel tono della voce rabbia e dolore si mischiano. La sera del giorno dopo la situazione è critica, tanto che oltre alla flebo accanto al letto spunta un monitor per tenere sotto costante controllo il battito cardiaco. Alle cinque e mezza il cuore della bambina si ferma, dopo 30 minuti di manovre di rianimazione viene constatato il decesso. I carabinieri acquisiscono le cartelle cliniche, gli Odiase presentano una denuncia per omicidio colposo a carico dei medici e dell’ospedale, la Procura di Milano apre un’inchiesta con la stessa accusa contro ignoti. Ora si attendono i risultati dell’autopsia, pronti per il 12 maggio.
domenica 11 aprile 2010
Io sto con Emergency
Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah, in Afghanistan, e portato via membri dello staff nazionale e internazionale.Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani. Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi Emergency ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso, senza fare distinzioni di nessun genere tra gli ammalati che si presentano nel suo centro finanziato solo da donazioni spontanee. Gino Strada, il fondatore di Emergency, ha parlato di un complotto per allontanare un testimone scomodo alla prossima invasione occidentale nella regione, dove non esiste un solo giornalista presente alle operazioni militari in corso. Io sto con Emergency. Firmate l'appello su http://www.emergency.it/.
On Saturday, April 10, soldiers of the Afghan army and the International Coalition Forces attacked the Emergency Surgical Centre of Lashkar-gah and arrested members of the national and international staff. Three of them are Italian citizens: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani. Emergency is an independent and neutral organisation. Since 1999, Emergency in Afghanistan has provided medical assistance free-of-charge to over 2,500,000 Afghan citizens, by establishing three surgical hospitals, a maternity centre and a network of 28 first aid posts.
On Saturday, April 10, soldiers of the Afghan army and the International Coalition Forces attacked the Emergency Surgical Centre of Lashkar-gah and arrested members of the national and international staff. Three of them are Italian citizens: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani. Emergency is an independent and neutral organisation. Since 1999, Emergency in Afghanistan has provided medical assistance free-of-charge to over 2,500,000 Afghan citizens, by establishing three surgical hospitals, a maternity centre and a network of 28 first aid posts.
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