venerdì 30 aprile 2010
La legge non è uguale per tutti
"Se il potere politico elimina l’autonomia e l’indipendenza della magistratura crolla lo Stato di diritto, muore la democrazia. Solo un magistrato libero può dare concretezza all’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Solo un magistrato che intende essere indipendente può esercitare il controllo di legalità; quando, invece, la magistratura partecipa alla gestione del potere diviene fondamenta del sistema intriso di corruzione e mafia. L’Italia ha già conosciuto diverse magistrature. Il procuratore della Repubblica di Palermo, Gaetano Costa, ammazzato da Cosa Nostra perché lasciato solo dai magistrati della sua stessa Procura che non vollero firmare con lui gli ordini di cattura contro i mafiosi. Il consigliere Rocco Chinnici – capo dell’ufficio istruzione di Palermo – dilaniato da un’autobomba mentre parte della magistratura palermitana voleva che affossasse con fascicoli il giudice istruttore Giovanni Falcone in modo tale che non si potesse occupare di Cosa Nostra. Quest’ultimo e Paolo Borsellino osteggiati e dileggiati nel Palazzo di Giustizia di Palermo, poi divenuto noto come “il palazzo dei veleni”, quali giudici protagonisti. Erano protagonisti della lotta alla mafia, organizzazione che, invece, veniva protetta da ambienti giudiziari palermitani. Oggi, vi sono magistrati collocati in uffici direttivi strategici che si rendono autori di fughe di notizie per favorire indagati eccellenti; che operano per ostacolare indagini condotte da altri magistrati; che sottraggono fascicoli; che colludono per distruggere i veri servitori dello Stato. Magistrati che applicano la Costituzione e altri che la mortificano; alcuni indipendenti e altri che nell’andare a braccetto con la politica si accomodano nelle stanze dei bottoni dei ministeri; magistrati dell’associazione nazionale magistrati e del Csm che invece di tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura prendono “ordini” dai poteri forti, non di rado massonici, anche per ostacolare altri magistrati. Magistrati controllori e controllati allo stesso tempo. Lo scandalo degli incarichi extra-giudiziari dei magistrati del Tar e del Consiglio di Stato è illuminante. Un’enormità di magistrati che invece di esercitare la giurisdizione nell’interesse dei cittadini si piegano a logiche di potere per consolidare il loro e per rimpinguare le loro tasche. 2000 incarichi l’anno per meno di 500 magistrati. Uno scandalo. Filamenti gelatinosi di un variegato giro di affari che necessita delle coperture formali dell’amministrazione che foraggia lautamente. Man mano che l’organizzazione extra-istituzionale si espande, nella giustizia amministrativa si comprime, fino a mete lillipuziane, l’organizzazione giurisdizionale. Quando la toga diviene un mezzo per indossare un altro vestito la sua misura e forma si deve adattare. Udienze e sentenze dovranno essere disciplinate in ossequio alle esigenze degli incarichi extra. Molti giudici vivono carriere parallele: quella grigia in magistratura e quella aurea nei vellutati piani nobili ministeriali, come consulenti, quali capi degli uffici legislativi o capi di gabinetto, sempre più in alto e più lontano dalla giurisdizione. Carriere parallele e guadagni paralleli. Talvolta basta conquistare un arbitrato “giusto” per ricavare più che da dieci anni di stipendio. Giustificazione del regime: gli incarichi extragiudiziari si devono dare ai magistrati e non ad altri perché i magistrati sono indipendenti. Già, ma così diventano dipendenti da chi glieli fa avere, mantenere e aumentare. Questo è il Paese in cui diventa consigliere di Stato l’ex capo del Sismi Pollari, coinvolto in gravissime vicende giudiziarie; in cui diviene giudice del Tar l’ufficiale della Guardia di finanza Brunella Bruno, già coinvolta nell’indagine Why not illegalmente sottratta proprio da magistrati collusi con i poteri; questo è il Paese dei togati coinvolti nelle recenti indagini, tra cui quelle delle Procure di Firenze e Perugia: magistrati della Procura di Roma, del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti. Un’orgia del potere. Chi osa indagare sul marcio esistente anche in magistratura salta, come dinamite. Chi osa viene ghettizzato e additato quale scheggia impazzita; massacrato da uno stillicidio di procedimenti disciplinari da santa inquisizione del Terzo millennio; con la violenza di piegare il dissenziente, l’onesto, intimidire la massa, rafforzare i pavidi e garantire l’impunità ai corrotti. Nella magistratura amministrativa chi non accetta di entrare nel “sistema” non volendo gli incarichi extragiudiziari è un deviato che va punito. Nella magistratura ordinaria chi indaga sui colleghi che sono nel sistema criminale va fermato: con lo scippo delle inchieste, i trasferimenti illegittimi, la sottrazione delle funzioni. Chi osa denunciare pubblicamente questo sistema criminale viene, a sua volta, criminalizzato. Ad un magistrato che afferma che una parte della magistratura in Calabria è collusa – come ha dimostrato la Procura di Salerno verificando che le inchieste Poseidone e Why not erano state sottratte in maniera criminale a quello stesso magistrato –, in uno dei tanti procedimenti disciplinari ai quali era stato sottoposto, la Procura generale della Cassazione – ufficio nel quale vi sono alcuni magistrati che praticano le tecniche di neutralizzazione di quelli onesti che si oppongono al sistema – ha sostenuto che denunciare l’illegalità significava rendersi responsabile del reato di cui all’art. 290 c.p., in quanto si disprezzava l’intera magistratura. No, signor procuratore generale: si difendeva l’indipendenza della magistratura che non piega la schiena come vuole la Costituzione nata dalla Resistenza". (Luigi De Magistris)
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