sabato 30 luglio 2011
Ciao Giuseppe
Giuseppe D'Avanzo non lo conoscevo personalmente, però quando compravo 'La Repubblica' lo leggevo sempre con piacere. La prima cosa che ho pensato sulla sua improvvisa scomparsa è che berlusconi ne sarà sicuramente contento. Perché Giuseppe sapeva scrivere e descrivere, con la schiena diritta, quello che tutti sapevamo ma che non riuscivamo a dire, magari per timore o per mancanza di particolarti. Ciao Giuseppe, mi mancherei.
giovedì 28 luglio 2011
Italia allo sbando
Non si riesce a credere ai propri occhi e alle proprie orecchie quando si assiste allo sbando totale dell'Italia. Siamo in mano a dei lost chiusi nel loro fortino fatto di vecchi voti ormai in disuso che la stanno distruggendo. Mentre la nave continua ad affondare, degli antitaliani arretrati pensano a portare ministeri in una padania cialtrona. Mentre il Paese brucia, il suo finto condottiero continua a pensare a farsi leggine ad hoc per non andare in galera. Mentre lo tsunami ci travolge psicoministri danno dei cretini a chi non ha un lavoro, altri dicono che si sono fatti pagare l'affitto delle case perché nelle caserme della finanza avevano paura ad abitare, altri ancora vengono nominati per continuare lo scempio della legalità. L'opposizione latita nel fango. Si erge a paladino un presidente vilipeso in una repubblica parlamentare. Stiamo affondando mentre l'italiano medio continua ad andare in vacanza, il ministeriale scrocca e i poveri cristi finiscono in galera. This is the end my friend.
giovedì 21 luglio 2011
mercoledì 20 luglio 2011
martedì 19 luglio 2011
Non c'è solo la casta, ma anche la chiesa. In Grecia ne stanno chiedendo la testa. E da noi che aspettiamo?
Dalla Rete è nata una petizione per chiedere l'abolizione dei privilegi concessi ai religiosi della chiesa ortodossa in Grecia: a cominciare dallo stipendio dei 9000 preti, pagato dalle casse statali fino all'immenso patrimonio immobiliare, nemmeno sfiorato per uscire dalla crisi economica. E da noi quando, visto che è ancora peggio????
"La crisi economica investe anche la Chiesa ortodossa greca. Non tanto perché ne colpisce le rendite e gli assets, ma piuttosto per la rivolta popolare scoppiata, in tempi di austerity e sacrifici, proprio contro i vantaggi fiscali di cui gode la potente Chiesa ortodossa greca (la chiesa nazionale).Il tam tam che sta investendo i vertici ecclesiastici, considerati dei “ricchi egoisti” è iniziato su Facebook: un pagina creata da alcuni giovani, che chiede “uguaglianza” e “il taglio dei privilegi”, ha raggiunto in poche ore oltre 100mila “amici”. Ne è nata ben presto una petizione per chiedere al governo una legge di iniziativa popolare che elimini tutti i benefici speciali, che rendono di fatto la Chiesa immune dall’impatto della recessione, oggi spettro per 11 milioni di cittadini.Si parla di un’istituzione che detiene l’1,5% della azioni sella Banca Nazionale della Grecia, che è l’ente privato con maggiori possedimenti terrieri (seconda solo al demanio), che dà lavoro a migliaia di persone ma che, secondo gli osservatori, versa una quota di tasse irrisoria rispetto ai beni detenute.Va detto che, prima della protesta pubblica, il “balletto Chiesa-stato” è durato alcuni mesi: in un primo tempo l’arcivescovo di Atene Ieronymos II, dopo un colloquio con il ministro delle Finanze ellenico, Evangelos Venizelos, aveva manifestato la disponibilità della Chiesa ortodossa a cedere parte del suo vasto patrimonio immobiliare per aiutare il paese a contrastare la crisi. Sembrava una mossa per condividere i sacrifici della popolazione. Ma, arrivati al punto di mettere in pratica le buone intenzioni, le proprietà della Chiesa ortodossa greca sono state escluse dalla lista dell’Ufficio per la valorizzazione della proprietà dello Stato, l’ente statale incaricato di attuare il programma delle privatizzazioni. Dunque, la Chiesa è uscita indenne dal piano.Gli stipendi ai circa 9.000 preti attivi (oltre a quelli in pensione) continueranno ad essere pagati dallo Stato (con un esborso di 286 milioni di euro l’anno), mentre la nuova legge fiscale in preparazione dovrà avere il beneplacito ecclesiastico prima di giungere in Parlamento. Ieronymos e il ministro Venizelos hanno poi deciso, con un escamotage, di creare un ente speciale (in partnership stato-chiesa) per vendere parti esigue delle proprietà ecclesiastiche, destinando gli introiti a opere di beneficenza.L’annuncio dell’esenzione, pur ammorbidita dal progetto futuribile di una limitata alienazione dei beni, per una fantomatica beneficenza (tutta da definire), ha scatenato la rivolta popolare. Che oggi investe le gerarchie e che ha trovato un sponda politica nell’ex ministro delle finanze Yannis Papantoniou.Va detto che la Chiesa ortodossa in Grecia ha una antica storia di privilegi sul suo status, in un paese dove registra il 90% dei fedeli ed è costituzionalmente la “preferita”, unico gruppo religioso sostenuto finanziariamente dallo stato. E il Partito socialista del Premier George Papandreou, al governo ad Atene, non sembra volerne intaccare seriamente il potere, temendone la capacità di mobilitazione delle coscienze e dunque delle masse.Anche perchè la Chiesa oggi respinge al mittente le accuse, rimarcando che nel 2010 il Santo Sinodo ha pagato all’erario la ragguardevole cifra di 1,3 milioni di euro. Il punto è che, attualmente, è impossibile controllare e stimare con precisione l’entità dei beni posseduti, in quanto ci si dovrebbe addentrare in un labirinto in cui ogni singola chiesa (che nel mondo ortodosso è autocefala) è responsabile per le tasse che paga. Le immense proprietà terriere, ricordano i leader religiosi, sono eredità del periodo della dominazione ottomana, quando i cittadini preferivano donarle alla Chiesa piuttosto che rischiare l’esproprio da parte di turchi. Ma oggi, mentre il paese soffre per disoccupazione galoppante, calo del potere di acquisto e nuove sacche di povertà, la giustificazione fa acqua. E un altro ex ministro delle Finanze, Sefanos Manos, reclama più trasparenza, invocando “un censimento indipendente delle proprietà ecclesiastiche”, chiedendo che, almeno per pagare i religiosi, si possano utilizzare le rendite relative a quei beni.Proprio nell’autunno scorso, in messaggio distribuito in tutte le chiese, il sinodo della Chiesa ortodossa greca denunciava “la carenza di leadership e di senso etico” della classe dirigente, che “ha perso la propria indipendenza”. E bacchettava anche “un impoverimento morale della società, attirata solo dalla facile ricchezza e dal benessere”, esortando alla “solidarietà verso i bisognosi”.Oggi, mentre la rabbia monta, quello che la chiesa potrebbe pagare, in questa fase difficile per la nazione, è un costo politico, di immagine, e di credibilità che potrebbe ferirla al cuore e generare un’emorragia di fedeli". (Il Fatto Quotidiano del 19.7.2011)
"La crisi economica investe anche la Chiesa ortodossa greca. Non tanto perché ne colpisce le rendite e gli assets, ma piuttosto per la rivolta popolare scoppiata, in tempi di austerity e sacrifici, proprio contro i vantaggi fiscali di cui gode la potente Chiesa ortodossa greca (la chiesa nazionale).Il tam tam che sta investendo i vertici ecclesiastici, considerati dei “ricchi egoisti” è iniziato su Facebook: un pagina creata da alcuni giovani, che chiede “uguaglianza” e “il taglio dei privilegi”, ha raggiunto in poche ore oltre 100mila “amici”. Ne è nata ben presto una petizione per chiedere al governo una legge di iniziativa popolare che elimini tutti i benefici speciali, che rendono di fatto la Chiesa immune dall’impatto della recessione, oggi spettro per 11 milioni di cittadini.Si parla di un’istituzione che detiene l’1,5% della azioni sella Banca Nazionale della Grecia, che è l’ente privato con maggiori possedimenti terrieri (seconda solo al demanio), che dà lavoro a migliaia di persone ma che, secondo gli osservatori, versa una quota di tasse irrisoria rispetto ai beni detenute.Va detto che, prima della protesta pubblica, il “balletto Chiesa-stato” è durato alcuni mesi: in un primo tempo l’arcivescovo di Atene Ieronymos II, dopo un colloquio con il ministro delle Finanze ellenico, Evangelos Venizelos, aveva manifestato la disponibilità della Chiesa ortodossa a cedere parte del suo vasto patrimonio immobiliare per aiutare il paese a contrastare la crisi. Sembrava una mossa per condividere i sacrifici della popolazione. Ma, arrivati al punto di mettere in pratica le buone intenzioni, le proprietà della Chiesa ortodossa greca sono state escluse dalla lista dell’Ufficio per la valorizzazione della proprietà dello Stato, l’ente statale incaricato di attuare il programma delle privatizzazioni. Dunque, la Chiesa è uscita indenne dal piano.Gli stipendi ai circa 9.000 preti attivi (oltre a quelli in pensione) continueranno ad essere pagati dallo Stato (con un esborso di 286 milioni di euro l’anno), mentre la nuova legge fiscale in preparazione dovrà avere il beneplacito ecclesiastico prima di giungere in Parlamento. Ieronymos e il ministro Venizelos hanno poi deciso, con un escamotage, di creare un ente speciale (in partnership stato-chiesa) per vendere parti esigue delle proprietà ecclesiastiche, destinando gli introiti a opere di beneficenza.L’annuncio dell’esenzione, pur ammorbidita dal progetto futuribile di una limitata alienazione dei beni, per una fantomatica beneficenza (tutta da definire), ha scatenato la rivolta popolare. Che oggi investe le gerarchie e che ha trovato un sponda politica nell’ex ministro delle finanze Yannis Papantoniou.Va detto che la Chiesa ortodossa in Grecia ha una antica storia di privilegi sul suo status, in un paese dove registra il 90% dei fedeli ed è costituzionalmente la “preferita”, unico gruppo religioso sostenuto finanziariamente dallo stato. E il Partito socialista del Premier George Papandreou, al governo ad Atene, non sembra volerne intaccare seriamente il potere, temendone la capacità di mobilitazione delle coscienze e dunque delle masse.Anche perchè la Chiesa oggi respinge al mittente le accuse, rimarcando che nel 2010 il Santo Sinodo ha pagato all’erario la ragguardevole cifra di 1,3 milioni di euro. Il punto è che, attualmente, è impossibile controllare e stimare con precisione l’entità dei beni posseduti, in quanto ci si dovrebbe addentrare in un labirinto in cui ogni singola chiesa (che nel mondo ortodosso è autocefala) è responsabile per le tasse che paga. Le immense proprietà terriere, ricordano i leader religiosi, sono eredità del periodo della dominazione ottomana, quando i cittadini preferivano donarle alla Chiesa piuttosto che rischiare l’esproprio da parte di turchi. Ma oggi, mentre il paese soffre per disoccupazione galoppante, calo del potere di acquisto e nuove sacche di povertà, la giustificazione fa acqua. E un altro ex ministro delle Finanze, Sefanos Manos, reclama più trasparenza, invocando “un censimento indipendente delle proprietà ecclesiastiche”, chiedendo che, almeno per pagare i religiosi, si possano utilizzare le rendite relative a quei beni.Proprio nell’autunno scorso, in messaggio distribuito in tutte le chiese, il sinodo della Chiesa ortodossa greca denunciava “la carenza di leadership e di senso etico” della classe dirigente, che “ha perso la propria indipendenza”. E bacchettava anche “un impoverimento morale della società, attirata solo dalla facile ricchezza e dal benessere”, esortando alla “solidarietà verso i bisognosi”.Oggi, mentre la rabbia monta, quello che la chiesa potrebbe pagare, in questa fase difficile per la nazione, è un costo politico, di immagine, e di credibilità che potrebbe ferirla al cuore e generare un’emorragia di fedeli". (Il Fatto Quotidiano del 19.7.2011)
lunedì 18 luglio 2011
I tartassati
Gentile Direttore Cotral Spa, vengo con la presente a segnalarLe un increscioso episodio avvenuto lunedì 18 luglio 2011, alle 12,10, sulla via Portuense, all'altezza del numero civico 2460, a Fiumicino, proprio di fronte al Comune e al locale Commissariato. Mi ero recato con un mezzo Cotral, alle 7.15 dalla metropolitana Magliana, dal Giudice di Pace di Fiumicino per sbrigare una pratica, e alle 9.20 ero già alla fermata per ritornare a casa, verso Roma. Avevo fatto presto e pensavo fra me e me che entro le 12 sarei arrivato a casa e che in fondo si possono anche usare i mezzi pubblici nella capitale e dintorni. Ma avevo fatto molto male i miei conti e non avrei mai immaginato l'incubo nel quale mi sarei ritrovato di lì a poco. Dopo quasi tre ore infatti, alle 12.10, ero ancora lì, solo, sotto al sole e in mezzo al traffico, senza che nessun pullman passasse. E' solo a quell'ora infatti, ora in cui avrei dovuto già essere a casa e che invece ero ancora al punto di partenza, che intravedevo da lontano il colore blu dell'autobus e, spossato, al suo avvicinarsi e vedendo che era quello che aspettavo perché aveva sul display luminoso la scritta 'Aeroporto', facevo segno all'autista di fermarsi. Quest'ultimo invece tirava diritto, gridandomi che non mi avrebbe aperto. Lo rincorro, perché c'era un vigile che ogni tanto fermava le auto allo stop del ponte limitrofo, gridandogli di aprire le porte e che ero lì da tre ore sotto il sole a 30 gradi ad aspettare quel mezzo pubblico, pagato dalla Regione Lazio per trasportarmi da una parte all'altra dell'area metropolitana di Roma. Ma l'autista con un gesto di scherno, ridendo, continuava a non aprire le porte e ripartiva. Io battevo sulle porte per farmi aprire, finché alla fine un finestrino, quello dove dall'interno in caso di pericolo si picchia con un martelletto rosso, si è rotto improvvisamente in mille pezzi, tanto da farmi poi credere che fosse già fallato, facendomi sanguinare il braccio dove si erano infilati piccolissimi pezzi di vetro, come quando si rompe il lunotto di un auto già colpito in precedenza. E dalla ragione di un utente sdegnato sono così passato dalla parte del torto. E' intervenuta la polizia del locale commissariato, a cui devo tutti i miei ringraziamenti per la gentilezza e la diligenza dimostrata. Ho avuto così la nuova esperienza di essere fermato, prendermi una denuncia penale per danneggiamento aggravato e stare fino alle 17 alla polizia di Ostia ad essere schedato come l'ultimo dei pregiudicati, insieme a due piccole zingarelle e un vecchio ladro di autoradio sul lungomare. Mancava poco che finivo anche in gattabuia. Una giornata da incubo, che poteva trasformarsi in tragedia, per la maleducazione e la prevaricazione di un Vostro autista, che non capisco come istruite, perché in giro ce ne sono tanti che si comportano allo stesso modo. Chiedo che questo cattivo dipendente, di cui la polizia conosce nome e cognome, venga individuato e punito. Io, poi, me la vedrò con la giustizia cercando di spiegare le mie ragioni.
domenica 17 luglio 2011
sabato 16 luglio 2011
venerdì 15 luglio 2011
giovedì 14 luglio 2011
L'Italia affondata
Questi pseudosignori che stanno nei palazzi del potere politico, economico, statale, degli enti e del potere ecumenico, che di onorevole come si fanno chiamare non hanno nemmeno più la madre, devono liberare l'Italia di tutti, le sue istituzioni, i suoi servizi, della loro presenza. Ma lo devono fare subito, ma non prima di aver restituito tutto quello che ci hanno rubato. Lo devono fare in fretta perché se il titanic sta affondando è proprio per colpa loro, colpa di decenni di malversazione, di accaparramento, di prepotenza, di mediocrità, di prevaricazione sugli onesti. Lo devono fare subito prima che per loro e per l'Italia sia troppo tardi. Lascino i palazzi del potere, i nostri palazzi, lascino i soldi che hanno preso dalle tasche di noi tutti, lascino l'Italia. Se lo faranno si salveranno e ci salveremo. Allora i nostri giovani, le nuove generazioni, potranno riprendersi quello che gli appartiene, potranno di nuovo vivere un presente, progettare un futuro ed avere una storia.
"Ora qualcuno dovrà spiegare agli italiani come sia stato possibile, dall'oggi al domani, passare da "La nave va" di Silvio Berlusconi al "Titanic" di Giulio Tremonti. Qualcuno dovrà chiarire a un'opinione pubblica confusa come sia stato possibile precipitare in poche ore dalla leggenda berlusconiana su un'Italia "che è già uscita fuori dalla crisi e l'ha superata molto meglio degli altri", alla tregenda tremontiana intorno a un Paese che a causa del suo debito pubblico "rischia di divorare il futuro nostro e quello dei nostri figli".In questo abisso di contraddizione politica e di contraffazione mediatica è racchiuso il fallimento di un governo che per tre anni ha colpevolmente negato l'evidenza, e che adesso è brutalmente travolto dall'emergenza. Nessuno ha spiegato e spiegherà ai cittadini storditi dalla stangata in arrivo questo clamoroso e doloroso cortocircuito. Soprattutto non lo farà l'unico artefice del colossale inganno, cioè il presidente del Consiglio. Il Cavaliere Inesistente, come da romanzo di Calvino. Da una settimana non si vede e non si sente. Il Paese è nel mirino della speculazione, alla quale offre ogni pretesto possibile per attaccare: un premier bollato come "corruttore" da una pronuncia civile derivata da una sentenza penale passata in giudicato, una maggioranza lacerata dalle guerre intestine, una teoria di ministri mascariati da richieste di processo per mafia o lambiti da scandali affaristici e da faide interne agli apparati dello Stato. L'Italia, in queste penose condizioni, torna ad essere la seconda "i" dell'acronimo dei derelitti di Eurolandia: siamo "Piigs", insieme a Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Berlusconi tace. Raccontano che sia occupato dall'organizzazione delle sue prossime ferie ad Antigua. Da mattatore del Villaggio Globale ad animatore del Villaggio Vacanze, come già gli successe nell'estate rovente del 2006.L'assordante silenzio è colmato da una esplicita supplenza. Sul fronte internazionale, la Merkel e Bernanke incoraggiano l'Italia a non desistere dal rigore. Sul fronte interno, il presidente della Repubblica e il governatore della Banca d'Italia ottengono quel frammento di "coesione nazionale" utile a portare a casa almeno questa manovra. Il ministro dell'Economia va in Senato a mettere la faccia sul maxi-decreto da ultima spiaggia, da approvare subito, pena l'attacco finale dei mercati. Tremonti fa un discorso grave, da "ora delle scelte irrevocabili". Rilancia l'immagine apocalittica di un'Europa che incontra "un appuntamento col destino", consapevole che "la salvezza non arriva dalla finanza ma dalla politica" e che "la politica non può fare errori". Ma neanche lui spende una parola per giustificarsi e per scusarsi, di tutti gli errori madornali che questo governo ha commesso dal trionfo elettorale dell'aprile 2008 in poi. Non un "mea culpa". Solo l'appello accorato a unire le forze, perché "il Paese ci guarda, guarda il governo, guarda la maggioranza, guarda l'opposizione".L'appello va raccolto. Nessuno può giocare a dadi contro il proprio Paese, all'insegna dello sfascismo e del peggiorismo. Nessuno si augura che l'Italia faccia la fine della Grecia, che trascini nel baratro se stessa e l'intera unione monetaria europea. Nessuno spera che la caduta di Berlusconi sia uno spettacolo che valga "qualunque prezzo", compresa la bancarotta nazionale. Dunque la manovra-lampo deve passare. Ma nel momento in cui il Parlamento assume fino in fondo questa responsabilità, non si può non dire di chi è la colpa, se oggi siamo arrivati a questo durissimo tornante della Storia. E soprattutto non si può non dire che l'"imperativo categorico", al quale ora l'insipienza e l'incoscienza di chi governa ci ha costretto, ha un costo sociale enorme, e purtroppo ancora una volta squilibrato a danno di chi è più debole. Un ceto medio ormai sempre più esteso e indifeso è obbligato a ingoiare i ticket sanitari, il blocco dei contratti nel pubblico impiego, la riduzione delle cattedre nella scuola, in prospettiva persino il colpo di scure sulle detrazioni fiscali per i coniugi e i figli a carico. A regime, solo per le ricadute sull'Irpef, una "botta" stimata in oltre 500 euro a famiglia. E a poco servono le presunte "correzioni perequative", come la rimodulazione della "patrimoniale mascherata" sui conti di deposito o il contributo di solidarietà sulle pensioni d'oro. Ancora meno servono le privatizzazioni e le liberalizzazioni alle vongole, come dimostra la penosa Vandea corporativa degli avvocati-deputati del Pdl, che gli ha fruttato la blindatura di un Ordine professionale ancora una volta sacro e intoccabile. Sale sulle ferite di un corpo sociale che paga sempre. Lieve prurito sulla pelle di categorie che non pagano mai. Anche il centrosinistra è costretto a turarsi il naso e a lasciare che la manovra passi così. Con tutte le sue iniquità qualitative e le sue criticità quantitative, che pesano e peseranno. Non solo sulle tasche dei contribuenti, ma anche sul giudizio dei mercati. Questa manovra da 40, 49 o 65 miliardi che siano, infatti, rischia di non bastare a fermare l'onda speculativa che monta. La calma apparente degli ultimi due giorni è già finita. La Borsa torna a perdere, i titoli bancari tornano a cadere, lo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi torna sopra a quota 300, all'asta dei Btp il "premio di rischio" richiesto per investire sull'Italia sale a livelli mai conosciuti dall'avvento dell'euro. È il segno che la "cura" non basta, perché nonostante tutto non appare credibile né sulle politiche di risanamento né, meno che mai, sulle politiche di crescita. Non basta inchinarsi doverosamente al totem del "pareggio di bilancio": va inseguito nei fatti, non solo celebrato nelle parole. E questa manovra non da sufficienti sicurezze. Questo è il "conto" da saldare, che il Cavaliere Inesistente lascia sul tavolo della crisi. Senza battere ciglio e senza pagare "pegno". Lo rammentino gli italiani, quando saranno in fila con il portafoglio aperto per una visita medica, o verseranno il bollo sui Bot. Soprattutto, lo ricordino nel segreto dell'urna, quando saranno richiamati a votare. A questo punto, speriamo davvero il più presto possibile. Naufraghi all'improvviso, forse siamo ancora in tempo per scendere dal Titanic". (Massimo Giannini-La Repubblica del 15.07.2011)
"L'orchestrina del Titanic continua a suonare mentre l'iceberg si avvicina. Tremorti, il trombonista, ci rassicura "O si va avanti o si va a fondo" (forse entrambi...) e "Come sul Titanic, la prima classe non si salva". E' l'ennesima balla tremortiana. La prima classe si è già salvata. Ha accumulato capitali, ha portato i soldi all'estero. La prima classe ha ottenuto dal Governo biglietti omaggio per la traversata con lo Scudo Fiscale con il solo 5% di tassazione sui capitali occultati al Fisco. Insieme ai viaggiatori di prima classe si salveranno i loro cuochi, i valletti, i camerieri dei giornali, ma anche i gigolò e le puttane da camera e gli armatori delle banche e di Confindustria. La citazione del Titanic è una rassicurazione buona soltanto per i poveracci. Lavoratori dipendenti, precari e disoccupati sono già immersi nella merda fino al collo. Nell'affondamento del Titanic in prima classe si salvò il 61,81% dei passeggeri, 204 superstiti su 330. In seconda classe il 42,5%, 119 su 280. In terza classe il 26,85%, 105 su 391. Un biglietto di prima classe garantiva tre volte di più la salvezza rispetto a uno di terza.Tremorti dopo trent'anni di frequentazioni politiche e di ciance economiche si è svegliato. Ha bisbigliato, come se fosse sdraiato sul letto in attesa del trapasso "Introdurre nella Costituzione una regola d'oro che vincoli al raggiungimento del pareggio di bilancio". Lo dice ora, quando tutto tracima, tracolla, esonda e il debito è una montagna di ghiaccio che sfiora i 2.000 miliardi che ci arriva in faccia. Tremortacci tua, dove sei stato insieme ai tuoi compari in tutto questo tempo? Il MoVimento 5 Stelle, quello populista, l'alfiere dell'anti politica, il qualunquista, da anni ha inserito nel suo Programma una riga "Approvazione di ogni legge subordinata alla effettiva copertura finanziaria". Non puoi indebitare il cittadino senza il suo permesso per fare finanza elettorale, per comprare cacciabombardieri dagli Stati Uniti, per mantenere le nostre truppe in Afghanistan, per puttanate da 22 miliardi di euro come la Tav, per un miliardo di finanziamenti pubblici ai partiti spacciati come rimborsi. Non puoi buttare nel cesso centinaia di milioni dei contribuenti con cazzate come quella voluta da Maroni di disaccoppiare il referendum dalle elezioni amministrative o per mantenere in vita le Province. O fare il Ponte di Messina, la Gronda e il cazzo che ti pare per decine di miliardi di euro attinti dal debito pubblico. I soldi sono nostri, dei cittadini. Ve li siete fumati, li avete regalati ai concessionari di Stato come Benetton per le autostrade, alla Marcegaglia e ai petrolieri con il Cip6, ai vostri giornali. La prima classe si è arricchita grazie allo Stato, deve essere l'ultima a salire sulle scialuppe di salvataggio". (dal blog di Beppe Grillo)
"Ora qualcuno dovrà spiegare agli italiani come sia stato possibile, dall'oggi al domani, passare da "La nave va" di Silvio Berlusconi al "Titanic" di Giulio Tremonti. Qualcuno dovrà chiarire a un'opinione pubblica confusa come sia stato possibile precipitare in poche ore dalla leggenda berlusconiana su un'Italia "che è già uscita fuori dalla crisi e l'ha superata molto meglio degli altri", alla tregenda tremontiana intorno a un Paese che a causa del suo debito pubblico "rischia di divorare il futuro nostro e quello dei nostri figli".In questo abisso di contraddizione politica e di contraffazione mediatica è racchiuso il fallimento di un governo che per tre anni ha colpevolmente negato l'evidenza, e che adesso è brutalmente travolto dall'emergenza. Nessuno ha spiegato e spiegherà ai cittadini storditi dalla stangata in arrivo questo clamoroso e doloroso cortocircuito. Soprattutto non lo farà l'unico artefice del colossale inganno, cioè il presidente del Consiglio. Il Cavaliere Inesistente, come da romanzo di Calvino. Da una settimana non si vede e non si sente. Il Paese è nel mirino della speculazione, alla quale offre ogni pretesto possibile per attaccare: un premier bollato come "corruttore" da una pronuncia civile derivata da una sentenza penale passata in giudicato, una maggioranza lacerata dalle guerre intestine, una teoria di ministri mascariati da richieste di processo per mafia o lambiti da scandali affaristici e da faide interne agli apparati dello Stato. L'Italia, in queste penose condizioni, torna ad essere la seconda "i" dell'acronimo dei derelitti di Eurolandia: siamo "Piigs", insieme a Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Berlusconi tace. Raccontano che sia occupato dall'organizzazione delle sue prossime ferie ad Antigua. Da mattatore del Villaggio Globale ad animatore del Villaggio Vacanze, come già gli successe nell'estate rovente del 2006.L'assordante silenzio è colmato da una esplicita supplenza. Sul fronte internazionale, la Merkel e Bernanke incoraggiano l'Italia a non desistere dal rigore. Sul fronte interno, il presidente della Repubblica e il governatore della Banca d'Italia ottengono quel frammento di "coesione nazionale" utile a portare a casa almeno questa manovra. Il ministro dell'Economia va in Senato a mettere la faccia sul maxi-decreto da ultima spiaggia, da approvare subito, pena l'attacco finale dei mercati. Tremonti fa un discorso grave, da "ora delle scelte irrevocabili". Rilancia l'immagine apocalittica di un'Europa che incontra "un appuntamento col destino", consapevole che "la salvezza non arriva dalla finanza ma dalla politica" e che "la politica non può fare errori". Ma neanche lui spende una parola per giustificarsi e per scusarsi, di tutti gli errori madornali che questo governo ha commesso dal trionfo elettorale dell'aprile 2008 in poi. Non un "mea culpa". Solo l'appello accorato a unire le forze, perché "il Paese ci guarda, guarda il governo, guarda la maggioranza, guarda l'opposizione".L'appello va raccolto. Nessuno può giocare a dadi contro il proprio Paese, all'insegna dello sfascismo e del peggiorismo. Nessuno si augura che l'Italia faccia la fine della Grecia, che trascini nel baratro se stessa e l'intera unione monetaria europea. Nessuno spera che la caduta di Berlusconi sia uno spettacolo che valga "qualunque prezzo", compresa la bancarotta nazionale. Dunque la manovra-lampo deve passare. Ma nel momento in cui il Parlamento assume fino in fondo questa responsabilità, non si può non dire di chi è la colpa, se oggi siamo arrivati a questo durissimo tornante della Storia. E soprattutto non si può non dire che l'"imperativo categorico", al quale ora l'insipienza e l'incoscienza di chi governa ci ha costretto, ha un costo sociale enorme, e purtroppo ancora una volta squilibrato a danno di chi è più debole. Un ceto medio ormai sempre più esteso e indifeso è obbligato a ingoiare i ticket sanitari, il blocco dei contratti nel pubblico impiego, la riduzione delle cattedre nella scuola, in prospettiva persino il colpo di scure sulle detrazioni fiscali per i coniugi e i figli a carico. A regime, solo per le ricadute sull'Irpef, una "botta" stimata in oltre 500 euro a famiglia. E a poco servono le presunte "correzioni perequative", come la rimodulazione della "patrimoniale mascherata" sui conti di deposito o il contributo di solidarietà sulle pensioni d'oro. Ancora meno servono le privatizzazioni e le liberalizzazioni alle vongole, come dimostra la penosa Vandea corporativa degli avvocati-deputati del Pdl, che gli ha fruttato la blindatura di un Ordine professionale ancora una volta sacro e intoccabile. Sale sulle ferite di un corpo sociale che paga sempre. Lieve prurito sulla pelle di categorie che non pagano mai. Anche il centrosinistra è costretto a turarsi il naso e a lasciare che la manovra passi così. Con tutte le sue iniquità qualitative e le sue criticità quantitative, che pesano e peseranno. Non solo sulle tasche dei contribuenti, ma anche sul giudizio dei mercati. Questa manovra da 40, 49 o 65 miliardi che siano, infatti, rischia di non bastare a fermare l'onda speculativa che monta. La calma apparente degli ultimi due giorni è già finita. La Borsa torna a perdere, i titoli bancari tornano a cadere, lo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi torna sopra a quota 300, all'asta dei Btp il "premio di rischio" richiesto per investire sull'Italia sale a livelli mai conosciuti dall'avvento dell'euro. È il segno che la "cura" non basta, perché nonostante tutto non appare credibile né sulle politiche di risanamento né, meno che mai, sulle politiche di crescita. Non basta inchinarsi doverosamente al totem del "pareggio di bilancio": va inseguito nei fatti, non solo celebrato nelle parole. E questa manovra non da sufficienti sicurezze. Questo è il "conto" da saldare, che il Cavaliere Inesistente lascia sul tavolo della crisi. Senza battere ciglio e senza pagare "pegno". Lo rammentino gli italiani, quando saranno in fila con il portafoglio aperto per una visita medica, o verseranno il bollo sui Bot. Soprattutto, lo ricordino nel segreto dell'urna, quando saranno richiamati a votare. A questo punto, speriamo davvero il più presto possibile. Naufraghi all'improvviso, forse siamo ancora in tempo per scendere dal Titanic". (Massimo Giannini-La Repubblica del 15.07.2011)
"L'orchestrina del Titanic continua a suonare mentre l'iceberg si avvicina. Tremorti, il trombonista, ci rassicura "O si va avanti o si va a fondo" (forse entrambi...) e "Come sul Titanic, la prima classe non si salva". E' l'ennesima balla tremortiana. La prima classe si è già salvata. Ha accumulato capitali, ha portato i soldi all'estero. La prima classe ha ottenuto dal Governo biglietti omaggio per la traversata con lo Scudo Fiscale con il solo 5% di tassazione sui capitali occultati al Fisco. Insieme ai viaggiatori di prima classe si salveranno i loro cuochi, i valletti, i camerieri dei giornali, ma anche i gigolò e le puttane da camera e gli armatori delle banche e di Confindustria. La citazione del Titanic è una rassicurazione buona soltanto per i poveracci. Lavoratori dipendenti, precari e disoccupati sono già immersi nella merda fino al collo. Nell'affondamento del Titanic in prima classe si salvò il 61,81% dei passeggeri, 204 superstiti su 330. In seconda classe il 42,5%, 119 su 280. In terza classe il 26,85%, 105 su 391. Un biglietto di prima classe garantiva tre volte di più la salvezza rispetto a uno di terza.Tremorti dopo trent'anni di frequentazioni politiche e di ciance economiche si è svegliato. Ha bisbigliato, come se fosse sdraiato sul letto in attesa del trapasso "Introdurre nella Costituzione una regola d'oro che vincoli al raggiungimento del pareggio di bilancio". Lo dice ora, quando tutto tracima, tracolla, esonda e il debito è una montagna di ghiaccio che sfiora i 2.000 miliardi che ci arriva in faccia. Tremortacci tua, dove sei stato insieme ai tuoi compari in tutto questo tempo? Il MoVimento 5 Stelle, quello populista, l'alfiere dell'anti politica, il qualunquista, da anni ha inserito nel suo Programma una riga "Approvazione di ogni legge subordinata alla effettiva copertura finanziaria". Non puoi indebitare il cittadino senza il suo permesso per fare finanza elettorale, per comprare cacciabombardieri dagli Stati Uniti, per mantenere le nostre truppe in Afghanistan, per puttanate da 22 miliardi di euro come la Tav, per un miliardo di finanziamenti pubblici ai partiti spacciati come rimborsi. Non puoi buttare nel cesso centinaia di milioni dei contribuenti con cazzate come quella voluta da Maroni di disaccoppiare il referendum dalle elezioni amministrative o per mantenere in vita le Province. O fare il Ponte di Messina, la Gronda e il cazzo che ti pare per decine di miliardi di euro attinti dal debito pubblico. I soldi sono nostri, dei cittadini. Ve li siete fumati, li avete regalati ai concessionari di Stato come Benetton per le autostrade, alla Marcegaglia e ai petrolieri con il Cip6, ai vostri giornali. La prima classe si è arricchita grazie allo Stato, deve essere l'ultima a salire sulle scialuppe di salvataggio". (dal blog di Beppe Grillo)
Paghiamo milioni di euro per giornali che nessuno legge più
"Crisi. Tagli a tutte le agevolazioni fiscali. Colpite le famiglie, l'istruzione, gli asili, le pensioni. Lacrime e sangue, e siamo solo all'inizio. Questo avviene mentre paghiamo centinaia di milioni di euro di contributi diretti e indiretti alla stampa ripiena di stuoli di pennivendoli che negavano fino a ieri il possibile default. Questa crisi i cittadini italiani non la devono pagare se prima non sono cancellati tutti i contributi ai giornali. Più stampano, più paghiamo, più ci disinformano. Il "Corriere della Sera", voce dal sen fuggita di Brunetta, riceve trasferimenti pubblici per 20/25 milioni per per carta, abbonamenti, spese postali e altro, cifre simili a altri quotidiani di larga diffusione.La lettura dei contributi diretti per quotidiani e periodici erogati per il 2009 e pubblicata sul sito del Governo italiano è ai confini della realtà. C'è di tutto, soprattutto l'impensabile. Si rimane esterrefatti, muti, in preda allo sbalordimento. Eppure è vero che "l'Avanti" ha incassato 2.530.640 euro, "Buongiorno Campania" 1.041.078 e "il Sannio Quotidiano" 1.726.598. Che "L'Avvenire" ha intascato 5.871.082 euro e le "Conquiste del Lavoro" (mai nome fu più appropriato) 3.289.851 euro. Anche chi ci spiega l'economia e il libero mercato, come "Italia Oggi", attinge a 5.263.728 euro. C'è una società, "il Musichiere", che intasca 277.769 euro per pubblicare "Chitarre" e un'impresa, "Carta", che stampa "Carta" (su carta ovviamente) per 506.660 euro. Non manca la filosofia con "Modus Vivendi Scienza Natura e Stili di Vita", a 464.105 euro e l'informazione sportiva con "Motocross" per soli 506.660. C'è anche "Risk" che non corre nessun rischio con 436.335 euro e il diplomatico "Superpartes in the world" a 108.820 euro. Boss(ol)i si porta a casa da Roma Ladrona 3.896.339 euro per "la Padania", Fini 2.952.474 euro per il "Secolo d'Italia" e Rutelli pane e cicoria 3.527.208 di euro per "Europa". "L'Unità" pdimenoellina però li surclassa con i suoi 6.377.209 euro. In tempi bui riscalda il cuore Ferrara e il grasso che cola da 3.441.668 euro per "il Foglio". C'è chi pensa alla libertà di opinione a pagamento, "Opinione delle Libertà" alla cifra di 2.009.957 euro. Chi si professa nostro amico, e come non potrebbe visto che paghiamo noi, "L'Amico del Popolo" con 260.840 euro. Per gli automobilisti l'immancabile "Car Audio & FM" alla modica cifra di 297.400 euro. Chi vive a Milano e dintorni è fortunato, per lui i "Quaderni di Milano" a 312.000 euro e "Rho Settegiorni" a 229.718 euro. Per le gite fuori porta gli imperdibili "Eco del Chisone" a 283.640 euro e la "Gazzetta della Martesana" a 150.466 euro. Se non ci sono i soldi per le famiglie, non si capisce perché dobbiamo mantenere i giornalisti". (dal blog di Beppe Grillo)
mercoledì 13 luglio 2011
Ecco come ci hanno ridotto
"Non mi importa niente della P2 né della futura P15, di chi ha piu soldi di me, non me ne frega niente se Berlusconi si fa le ragazzotte (purché maggiorenni). Però mi importa eccome che lavoro meno, produco meno, vendo meno e guadagno meno! Non è un'invenzione la crisi, ed è sempre peggio! Prima riuscivo a concedermi qualche piccolezza, come mangiare una pizza una volta ogni qualche settimana, adesso faccio fatica a mangiare a casa mia! Son costretto a comprare le cose in offerta sempre e cmq, e affanculo mangiare sano. Alcune verdure non le posso nemmeno guardare, lasciamo stare la frutta, il manzo poi non ricordo nemmeno che sapore abbia! Il pesce ho dimenticato come si compra da quanto tempo non lo mangio! Mangiamo patate, tante, in ogni modo e in ogni stagione, uova, pollo che ormai odio e poco altro! Ho finito i calzini, i miei sono stati rammendati così tante volte che adesso sono una retina ricucita, sembrano dei collant. Ho un paio di jeans e un paio di scarpe, non mi compro un indumento da un anno e ormai gli altri sono logori. Eppure continuo a lavorare, a sperare che questa "crisi" finisca quando so benissimo che potrà solo peggiorare. Se da una parte sono terrorizzato dal futuro perchè non riesco a vivere nemmeno il presente, una parte di me spera che il giorno che l'economia mondiale collasserà su se stessa arrivi presto. Ne ho terrore, ma probabilmente prima accade e prima potremo risollevarci". (Francesco Rogiti, dal blog di Beppe Grillo)
martedì 12 luglio 2011
Senegal, où vas-tu?
"“Ho detto a Gheddafi quello che penso: negare l’esistenza di un diffuso malessere nella popolazione significa negare l’evidenza. C’è malessere in tutti i paesi colpiti dalle rivolte, in Egitto, in Algeria e soprattutto in Tunisia e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti”.
Così Abdoulaye Wade, presidente del Senegal, si esprimeva durante l’intervista concessa a Slate Afrique lo scorso 9 marzo, riferendosi a un colloquio telefonico avuto con il leader libico. Quel malessere è emerso prepotentemente anche nel suo Senegal, scatenato maldestramente dallo stesso presidente con il duplice tentativo di cambiare la Costituzione: da una parte infatti una modifica della legge elettorale avrebbe consentito di aggiudicarsi la presidenza ottenendo solo il 25% delle preferenze in luogo della maggioranza assoluta prevista dalla Costituzione vigente; dall’altra, veniva proposta l’automatica assegnazione al vicepresidente della poltrona presidenziale, nel caso quest’ ultima divenisse vacante.
Data la frammentazione delle opposizioni, il dimezzamento del quorum richiesto per vincere le elezioni avrebbe reso scontato il trionfo del partito di governo alle presidenziali previste per febbraio 2012, prefigurando, peraltro, la possibilità di avere un presidente eletto contro il voto del 75% della popolazione. D’altro canto, con il progetto di rendere automatico l’avvicendamento tra il presidente e il suo vice si è insinuato nella popolazione il sospetto di voler avviare una successione tra l’ormai ottantacinquenne Wade e suo figlio Karim, semplicemente assegnando a quest’ultimo la carica di vicepresidente.
Un sospetto fortemente alimentato dall’irresistibile ascesa dello stesso Karim, divenuto in un sol colpo ministro dei Trasporti, della Cooperazione, dello Sviluppo, delle Infrastrutture e dell’Energia, subito dopo, peraltro, che il popolo aveva bocciato la sua candidatura alle elezioni municipali di Dakar del 2009. Considerato il momento storico e il fatto che i senegalesi erano già da tempo esasperati dal progressivo accentramento del potere nelle mani del presidente, in carica ormai da undici anni, la manovra tentata da Wade assume i contorni di un vero e proprio suicidio politico.
L’atmosfera era poi già stata surriscaldata dalla polemica montata di fronte all’intenzione di Wade di ottenere un terzo mandato presidenziale, nonostante la Costituzione da lui stesso introdotta nel 2001 ponga il limite di due mandati - che l’anziano presidente, rieletto nel 2007 dopo la storica vittoria del 2000, concluderebbe proprio nel 2012. Wade sostiene che il suo primo mandato non vale ai fini del conteggio, avendo avuto inizio prima che la costituzione del 2001 introducesse il nuovo limite.
Così il 23 giugno scorso una folla inferocita si è riversata nelle strade di Dakar per dirigersi verso la sede dell’Assemblea Nazionale, dove i deputati erano in procinto di approvare la riforma voluta da Wade e considerata dai manifestanti l’ultima e insopportabile dimostrazione dell’egoismo politico del presidente. Al grido di “Y’en a marre!" (siamo stufi!), esclamazione dalla quale prende il nome il movimento promotore dell’iniziativa, i senegalesi hanno dimostrato la loro collera nei confronti del regime.
L’intervento delle forze di polizia ha causato due morti e un centinaio di feriti, ma ciò non è valso a fermare la protesta, costringendo Wade a ritirare precipitosamente il suo progetto di riforma che agli occhi dei senegalesi aveva assunto le sembianze di un vero e proprio tentativo di colpo di Stato costituzionale. Tuttavia, che il paventato emendamento fosse solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso già stracolmo, lo ha confermato il 27 giugno la nuova rivolta esplosa a Dakar e diffusasi successivamente negli altri centri urbani del paese.
Questa volta a scatenare le ire della popolazione è stata l’ennesima prolungata assenza di corrente elettrica che ha lasciato al buio gran parte del paese. Il problema dei continui blackout, insieme al rincaro dei prezzi dei generi alimentari registratosi negli ultimi anni, ha contribuito ad aumentare il malcontento popolare nei confronti del regime.
I manifestanti si sono scagliati contro i locali della Senelec, la compagnia energetica nazionale, sotto gli occhi della polizia che, a differenza del 23 giugno, ha lasciato ai rivoltosi la possibilità di sfogare la loro rabbia senza intervenire. Nonostante l’ondata di protesta si sia esaurita con il ritorno della corrente nelle prime ore del giorno successivo, il governo ha deciso di ricorrere all’uso dell’esercito per proteggere i principali edifici pubblici e le residenze dei funzionari della società energetica.
A rivelare lo stato di panico che ha colpito l’entourage di Wade è stato Robert Bourgi, il potente consigliere del presidente francese Sarkozy per gli Affari africani. Costui ha rivelato alla stampa di essere stato svegliato nel cuore della notte tra il 27 e il 28 giugno da una telefonata di Karim Wade, il quale gli avrebbe chiesto di premere su Sarkozy affinché inviasse truppe francesi in Senegal.
La dichiarazione di Bourgi ha messo in grave imbarazzo Wade e ha mostrato chiaramente la posizione di Parigi di fronte agli avvenimenti nell'ex possedimento coloniale. Un duro colpo per il presidente senegalese, visto che la sua recente politica estera sembrava aver cementato i rapporti con l’Eliseo. Dopo la netta presa di posizione in favore di Ouattara durante la crisi ivoriana, il Senegal è infatti l’unico paese africano insieme al Gambia ad aver riconosciuto il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, con tanto di visita ufficiale nella capitale dei ribelli.
Non è quindi azzardato pensare che Wade si aspettasse di poter replicare quanto successo in Togo e Gabon (successione tra padre e figlio al vertice dello Stato) con il benestare del suo collega d’oltremare. Un’operazione che sembrava riuscita lo scorso maggio, quando durante il vertice del G8 a Deauville Sarkozy ha voluto presentare al presidente americano Obama l’aitante Karim. Un gesto che in Senegal è stato unanimemente interpretato come un’investitura per quello che viene ironicamente definito dalla stampa locale il “super-ministro”.
Sembra tuttavia che la diplomazia statunitense abbia fatto poi intendere che la successione auspicata da Wade non sarebbe stata vista di buon occhio a Washington. L’immagine del Senegal quale simbolo di democrazia e stabilità riveste infatti un valore strategico fondamentale a livello regionale.
Il Senegal è uno dei rari casi tra i paesi africani la cui storia è priva di colpi di Stato e di regimi militari. La sua democrazia vanta la presenza di personaggi del calibro di Léopold Sédar Senghor, primo capo di Stato africano a cedere spontaneamente il potere - dopo una lunga presidenza caratterizzata comunque da elezioni regolari e, a partire da metà anni Settanta, da un sistema multipartitico.
La stessa ascesa al potere di Wade è considerata una prova dei valori democratici presenti nel paese: dopo 25 anni di opposizione alla guida del Partito democratico senegalese, Wade ha infatti sconfitto nel 2000 l’allora presidente e successore di Senghor, Abdou Diouf, ponendo fine al lungo dominio del Partito socialista e realizzando in questo modo, altra rarità nel continente, quel principio dell’alternanza proprio di ogni sistema democratico maturo.
È quindi nella necessità di difendere questi stessi valori democratici che affonda le radici il Movimento “Y’en a marre!”, nato all’inizio del 2011 grazie all’ opera di un gruppo di giovani rapper locali. Colpisce che la prima pacifica manifestazione organizzata dal movimento sia stata realizzata il 19 marzo, proprio nell’undicesimo anniversario della prima vittoria elettorale di Wade.
Una scelta simbolica, a significare come l’attuale presidente abbia tradito le speranza riposte dalla maggioranza dei senegalesi in quel sopi (“cambiamento” in lingua locale) che aveva costituito lo slogan in grado di interpretare le aspirazioni popolari e che aveva consegnato a Wade la guida del paese. Intorno al Movimento “Y’en a marre!”, la protesta del 23 e del 27 giugno ha visto la mobilitazione di tutte le componenti della popolazione.
Giovani e meno giovani, rappresentanti di Ong e di associazioni dei lavoratori, finanche i capi religiosi, che da tempo avevano dichiarato la loro opposizione al regime. Questa ampia e diversificata partecipazione, insieme alle dichiarazioni dei promotori del movimento, indica che si è trattato di una reazione spontanea, difficilmente riconducibile a una specifica parte politica e che ha dimostrato la presenza di una vigile società civile.
Di fronte a una mobilitazione tanto compatta, Wade sembra intenzionato a tornare sui suoi passi: dopo aver rinunciato a modificare la Costituzione, ha ricevuto un gruppo di sei rappresentanti della protesta, mostrandosi disponibile ad aprire un dialogo con le opposizioni e arrivando anche a ipotizzare la formazione di un governo di unità nazionale per guidare il paese fino alle elezioni.
Il presidente non ha però ancora accettato di ritirare la propria candidatura alle presidenziali, annunciando che la questione sarà sottoposta al giudizio del Consiglio costituzionale. Fa discutere inoltre l’improvvisa decisione di estradare nel suo paese d’origine l’ex dittatore ciadiano Hissene Habre, accusato di aver commesso crimini contro l’umanità e rifugiatosi in Senegal sin dal 1990.
L’8 luglio il governo senegalese, che si era sempre rifiutato di concedere l’estradizione o di processare l’ex dittatore sul proprio territorio, ha annunciato di essere in procinto di consegnare Habre al Ciad. La decisione è stata sospesa due giorni più tardi su espressa richiesta delle Nazioni Unite: il Ciad non viene infatti considerato un paese in grado di garantire un giusto processo, e si preferirebbe che Habre fosse giudicato in Belgio, che ne chiede l’estradizione dal 2005.
Analizzando la mossa a sorpresa di Wade si potrebbe pensare all’intenzione di distogliere l’attenzione dalle questioni interne, o a un disperato, quanto ancora una volta maldestro, tentativo di riguadagnare consenso internazionale esaudendo una richiesta da anni sul tavolo della diplomazia senegalese. Ma perché allora non consegnare Habre direttamente al Belgio?.
In ogni caso l’ atteggiamento schizofrenico di Wade dimostra il nervosismo di un presidente che negli ultimi mesi sembra aver sbagliato i modi e i tempi, oltre che i contenuti, di tutte le sue ardite scelte politiche. Resta solo da capire chi prenderà in mano le redini dello Stato saheliano a partire dal 2012, in un panorama politico frammentato che sembra mancare di personalità adeguate a guidare il paese". (Davide Matteucci-Limes)
Così Abdoulaye Wade, presidente del Senegal, si esprimeva durante l’intervista concessa a Slate Afrique lo scorso 9 marzo, riferendosi a un colloquio telefonico avuto con il leader libico. Quel malessere è emerso prepotentemente anche nel suo Senegal, scatenato maldestramente dallo stesso presidente con il duplice tentativo di cambiare la Costituzione: da una parte infatti una modifica della legge elettorale avrebbe consentito di aggiudicarsi la presidenza ottenendo solo il 25% delle preferenze in luogo della maggioranza assoluta prevista dalla Costituzione vigente; dall’altra, veniva proposta l’automatica assegnazione al vicepresidente della poltrona presidenziale, nel caso quest’ ultima divenisse vacante.
Data la frammentazione delle opposizioni, il dimezzamento del quorum richiesto per vincere le elezioni avrebbe reso scontato il trionfo del partito di governo alle presidenziali previste per febbraio 2012, prefigurando, peraltro, la possibilità di avere un presidente eletto contro il voto del 75% della popolazione. D’altro canto, con il progetto di rendere automatico l’avvicendamento tra il presidente e il suo vice si è insinuato nella popolazione il sospetto di voler avviare una successione tra l’ormai ottantacinquenne Wade e suo figlio Karim, semplicemente assegnando a quest’ultimo la carica di vicepresidente.
Un sospetto fortemente alimentato dall’irresistibile ascesa dello stesso Karim, divenuto in un sol colpo ministro dei Trasporti, della Cooperazione, dello Sviluppo, delle Infrastrutture e dell’Energia, subito dopo, peraltro, che il popolo aveva bocciato la sua candidatura alle elezioni municipali di Dakar del 2009. Considerato il momento storico e il fatto che i senegalesi erano già da tempo esasperati dal progressivo accentramento del potere nelle mani del presidente, in carica ormai da undici anni, la manovra tentata da Wade assume i contorni di un vero e proprio suicidio politico.
L’atmosfera era poi già stata surriscaldata dalla polemica montata di fronte all’intenzione di Wade di ottenere un terzo mandato presidenziale, nonostante la Costituzione da lui stesso introdotta nel 2001 ponga il limite di due mandati - che l’anziano presidente, rieletto nel 2007 dopo la storica vittoria del 2000, concluderebbe proprio nel 2012. Wade sostiene che il suo primo mandato non vale ai fini del conteggio, avendo avuto inizio prima che la costituzione del 2001 introducesse il nuovo limite.
Così il 23 giugno scorso una folla inferocita si è riversata nelle strade di Dakar per dirigersi verso la sede dell’Assemblea Nazionale, dove i deputati erano in procinto di approvare la riforma voluta da Wade e considerata dai manifestanti l’ultima e insopportabile dimostrazione dell’egoismo politico del presidente. Al grido di “Y’en a marre!" (siamo stufi!), esclamazione dalla quale prende il nome il movimento promotore dell’iniziativa, i senegalesi hanno dimostrato la loro collera nei confronti del regime.
L’intervento delle forze di polizia ha causato due morti e un centinaio di feriti, ma ciò non è valso a fermare la protesta, costringendo Wade a ritirare precipitosamente il suo progetto di riforma che agli occhi dei senegalesi aveva assunto le sembianze di un vero e proprio tentativo di colpo di Stato costituzionale. Tuttavia, che il paventato emendamento fosse solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso già stracolmo, lo ha confermato il 27 giugno la nuova rivolta esplosa a Dakar e diffusasi successivamente negli altri centri urbani del paese.
Questa volta a scatenare le ire della popolazione è stata l’ennesima prolungata assenza di corrente elettrica che ha lasciato al buio gran parte del paese. Il problema dei continui blackout, insieme al rincaro dei prezzi dei generi alimentari registratosi negli ultimi anni, ha contribuito ad aumentare il malcontento popolare nei confronti del regime.
I manifestanti si sono scagliati contro i locali della Senelec, la compagnia energetica nazionale, sotto gli occhi della polizia che, a differenza del 23 giugno, ha lasciato ai rivoltosi la possibilità di sfogare la loro rabbia senza intervenire. Nonostante l’ondata di protesta si sia esaurita con il ritorno della corrente nelle prime ore del giorno successivo, il governo ha deciso di ricorrere all’uso dell’esercito per proteggere i principali edifici pubblici e le residenze dei funzionari della società energetica.
A rivelare lo stato di panico che ha colpito l’entourage di Wade è stato Robert Bourgi, il potente consigliere del presidente francese Sarkozy per gli Affari africani. Costui ha rivelato alla stampa di essere stato svegliato nel cuore della notte tra il 27 e il 28 giugno da una telefonata di Karim Wade, il quale gli avrebbe chiesto di premere su Sarkozy affinché inviasse truppe francesi in Senegal.
La dichiarazione di Bourgi ha messo in grave imbarazzo Wade e ha mostrato chiaramente la posizione di Parigi di fronte agli avvenimenti nell'ex possedimento coloniale. Un duro colpo per il presidente senegalese, visto che la sua recente politica estera sembrava aver cementato i rapporti con l’Eliseo. Dopo la netta presa di posizione in favore di Ouattara durante la crisi ivoriana, il Senegal è infatti l’unico paese africano insieme al Gambia ad aver riconosciuto il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, con tanto di visita ufficiale nella capitale dei ribelli.
Non è quindi azzardato pensare che Wade si aspettasse di poter replicare quanto successo in Togo e Gabon (successione tra padre e figlio al vertice dello Stato) con il benestare del suo collega d’oltremare. Un’operazione che sembrava riuscita lo scorso maggio, quando durante il vertice del G8 a Deauville Sarkozy ha voluto presentare al presidente americano Obama l’aitante Karim. Un gesto che in Senegal è stato unanimemente interpretato come un’investitura per quello che viene ironicamente definito dalla stampa locale il “super-ministro”.
Sembra tuttavia che la diplomazia statunitense abbia fatto poi intendere che la successione auspicata da Wade non sarebbe stata vista di buon occhio a Washington. L’immagine del Senegal quale simbolo di democrazia e stabilità riveste infatti un valore strategico fondamentale a livello regionale.
Il Senegal è uno dei rari casi tra i paesi africani la cui storia è priva di colpi di Stato e di regimi militari. La sua democrazia vanta la presenza di personaggi del calibro di Léopold Sédar Senghor, primo capo di Stato africano a cedere spontaneamente il potere - dopo una lunga presidenza caratterizzata comunque da elezioni regolari e, a partire da metà anni Settanta, da un sistema multipartitico.
La stessa ascesa al potere di Wade è considerata una prova dei valori democratici presenti nel paese: dopo 25 anni di opposizione alla guida del Partito democratico senegalese, Wade ha infatti sconfitto nel 2000 l’allora presidente e successore di Senghor, Abdou Diouf, ponendo fine al lungo dominio del Partito socialista e realizzando in questo modo, altra rarità nel continente, quel principio dell’alternanza proprio di ogni sistema democratico maturo.
È quindi nella necessità di difendere questi stessi valori democratici che affonda le radici il Movimento “Y’en a marre!”, nato all’inizio del 2011 grazie all’ opera di un gruppo di giovani rapper locali. Colpisce che la prima pacifica manifestazione organizzata dal movimento sia stata realizzata il 19 marzo, proprio nell’undicesimo anniversario della prima vittoria elettorale di Wade.
Una scelta simbolica, a significare come l’attuale presidente abbia tradito le speranza riposte dalla maggioranza dei senegalesi in quel sopi (“cambiamento” in lingua locale) che aveva costituito lo slogan in grado di interpretare le aspirazioni popolari e che aveva consegnato a Wade la guida del paese. Intorno al Movimento “Y’en a marre!”, la protesta del 23 e del 27 giugno ha visto la mobilitazione di tutte le componenti della popolazione.
Giovani e meno giovani, rappresentanti di Ong e di associazioni dei lavoratori, finanche i capi religiosi, che da tempo avevano dichiarato la loro opposizione al regime. Questa ampia e diversificata partecipazione, insieme alle dichiarazioni dei promotori del movimento, indica che si è trattato di una reazione spontanea, difficilmente riconducibile a una specifica parte politica e che ha dimostrato la presenza di una vigile società civile.
Di fronte a una mobilitazione tanto compatta, Wade sembra intenzionato a tornare sui suoi passi: dopo aver rinunciato a modificare la Costituzione, ha ricevuto un gruppo di sei rappresentanti della protesta, mostrandosi disponibile ad aprire un dialogo con le opposizioni e arrivando anche a ipotizzare la formazione di un governo di unità nazionale per guidare il paese fino alle elezioni.
Il presidente non ha però ancora accettato di ritirare la propria candidatura alle presidenziali, annunciando che la questione sarà sottoposta al giudizio del Consiglio costituzionale. Fa discutere inoltre l’improvvisa decisione di estradare nel suo paese d’origine l’ex dittatore ciadiano Hissene Habre, accusato di aver commesso crimini contro l’umanità e rifugiatosi in Senegal sin dal 1990.
L’8 luglio il governo senegalese, che si era sempre rifiutato di concedere l’estradizione o di processare l’ex dittatore sul proprio territorio, ha annunciato di essere in procinto di consegnare Habre al Ciad. La decisione è stata sospesa due giorni più tardi su espressa richiesta delle Nazioni Unite: il Ciad non viene infatti considerato un paese in grado di garantire un giusto processo, e si preferirebbe che Habre fosse giudicato in Belgio, che ne chiede l’estradizione dal 2005.
Analizzando la mossa a sorpresa di Wade si potrebbe pensare all’intenzione di distogliere l’attenzione dalle questioni interne, o a un disperato, quanto ancora una volta maldestro, tentativo di riguadagnare consenso internazionale esaudendo una richiesta da anni sul tavolo della diplomazia senegalese. Ma perché allora non consegnare Habre direttamente al Belgio?.
In ogni caso l’ atteggiamento schizofrenico di Wade dimostra il nervosismo di un presidente che negli ultimi mesi sembra aver sbagliato i modi e i tempi, oltre che i contenuti, di tutte le sue ardite scelte politiche. Resta solo da capire chi prenderà in mano le redini dello Stato saheliano a partire dal 2012, in un panorama politico frammentato che sembra mancare di personalità adeguate a guidare il paese". (Davide Matteucci-Limes)
lunedì 11 luglio 2011
Buon compleanno Francie
Nella foto eravamo in un compound a Port Bouet, vicono al grande porto di Abidjan, in Costa d'Avorio. Abitavamo in un edificio al terzo piano, in un ammobiliato appena sopra le Nazioni Unite. Ci restammo quattro mesi e ogni tanto scendevamo nel giardino dove c'erano le canne da zucchero per farti giocare, proprio a ridosso della laguna. Nascesti alle 3.50 del 12 luglio 1996 e ora, dopo 15 anni, me lo ricordo ancora bene. In quel periodo potevamo permetterci una clinica privata libanese a Cocody, il quartiere chic della capitale economica ivoriana, dove lavorava il nostro ginecologo che conosceva il 'Corriere della Sera'. Il parto durò otto interminabili ore e mamma soffrì parecchio, ma lei era una donna africana forte e dopo due giorni eravate già a casa a Grand Bassam. Avevi tante balie, tutte le sette sorelle di mamma, e anche altre, eri viziato ed avevi la tua baby sitter personale, il tuo fratello più grande Yao, che non ti perdeva di vista un attimo ed assecondava qualsiasi tuo capriccio. Anche se qualche volte sgaiattolavi via, come quel giorno in cui ti trovammo nel giardino carponi con vicino un varano, o quanto stavi per essere morso da un piccolo serpente velenosissimo e mortale, che per fortuna Jean, il nipote di mamma, vide in tempo. Ti avevamo voluto e ci eravamo sottoposti anche a delle cure affinché mamma restasse incinta. Dovevamo seguire delle regole del dottor Anoma e fare l'amore a delle ore ben precise, quando la fertilità era al massimo, e non era facile farlo a comando. Poi finalmente la buona notizia: mamma era rimasta incinta e dopo nove mesi eri nato. Buon compleanno Francie!
domenica 10 luglio 2011
Il vuoto
"La natura rifugge il vuoto, l'Italia ne è attratta. Politica, economia, società sono vuoti che ci ostiniamo a riempire con il nulla. La nostra soluzione al vuoto che ci assedia, che divora gli spazi quotidiani, è sempre un altro vuoto. A finzione si sussegue uguale finzione. A ogni problema, nessun rimedio. Navighiamo a vista, ma non vediamo più l'orizzonte e neppure la stella polare. Siamo in default, con un Tremorti azzoppato, l'ennesimo ministro inconsapevole di favori ricevuti. Un governo di figuri e figuranti presieduto da un vecchio corruttore è al comando della nazione. Sindaci e assessori finiscono in galera senza sosta, gli arresti sono diventati routine. L'opposizione è una via di mezzo tra una larva e un parassita. Un vuoto a perdere.Due eventi concomitanti ci attendono. Il primo è il fallimento economico conclamato dell'Italia, il secondo è il crollo degli attuali partiti. Entro fine anno dovremo vendere 200 miliardi di titoli di Stato a interessi sempre più alti. Se non ci riusciremo salta il banco. Non ci sarà una tragedia greca, ma una commedia all'italiana. L'improvvisa ricerca dei colpevoli da parte degli stessi colpevoli. I moniti alti e circostanziati di Napolitano. I guaiti di Confindustria. Gli appelli all'Europa dei principali editorialisti e, in fondo al tunnel, la bandiera bianca, forse il nostro vero simbolo nazionale. I maggiori responsabili, la triade Pdl, Pdmenoelle e Lega, collasseranno, come avvenne nel 1992 per Dc e per il Psi. Molti loro esponenti saranno ospiti delle patrie galere, altri ripareranno all'estero emuli di Bottino Craxi.Si sente nell'aria una nuova Tangentopoli. Gli arresti di Torino, Parma, Voghera possono saldarsi in una rivolta popolare. Osservare i tranquilli parmigiani chiedere la testa del loro sindaco e affrontare a pugni nudi le forze antisommossa dovrebbe far scendere un brivido nella schiena di molti. L'Italia può trasformarsi in un'enorme bacino di White Bloc, cittadini comuni che pretendono onestà dalle amministrazioni e dalle istituzioni a qualunque costo, con qualunque rischio personale.Il vuoto politico di inizio anni '90 fu riempito con il trasformismo. La Dc si divise in due, Dc di sinistra e Dc di destra, e sopravvisse tranquillamente. Il Psi si arruolò sotto le bandiere di Forza Italia. Il PCI si limitò a cambiare nome. Oggi il trasformismo non è più possibile. In politica, i vuoti sono spesso riempiti dall'uomo della Provvidenza. Da un cialtrone che dichiara poteri taumaturgici. L'italiano ne è da sempre affascinato come un coniglio da un serpente a sonagli. Il presidente della Repubblica deve, al più presto, dare l'incarico di formare un nuovo governo a un uomo estraneo ai partiti con l'unico obiettivo di evitare il peggio, altrimenti ci aspetta un altro 8 settembre, ma forse anche questo non sarà sufficiente. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure". (dal blog di Beppe Grillo)
La rai ci ridia i soldi del canone con gli interessi
"Gli atti processuali e le intercettazioni telefoniche pubblicate in questi giorni fanno emergere purtroppo con anni di ritardo la sottomissione degli interessi della Rai, e quindi dei suo abbonati, a quelli della concorrente Mediaset per volontà e maneggi di alcuni giornalisti e dirigenti catapultati nella Rai dalla cerchia dei volenterosi collaboratori di Silvio Berlusconi. Che, oltre a essere il capo del governo, è anche il padrone di Mediaset, con un clamoroso conflitto di interessi che solo l'ignavia del centrosinistra e la complicità di fatto del centrodestra ha potuto sottovalutare o far finta di non vedere. Che il manipolo di zelanti messi ai vertici della Rai dal padrone di Mediaset avrebbe fatto danni alla prima a favore della seconda era prevedibile e man mano anche sempre più chiaro, ma ciò che viene documentato dalle intercettazioni telefoniche è semplicemente sconvolgente: il cinismo, il servilismo e il tradimento del proprio ruolo e dovere a favore del massimo potere economico e politico oggi esistente in Italia, e forse nell'intera Europa, si dimostrano di una volgarità e subordinazione ben oltre l'immaginabile. L'Ordine dei giornalisti a volte ha radiato o sospeso colleghi ritenuti indegni della professione o responsabili di scorrettezze di varia gravità. Chiediamo che intervenga con fermezza a carico dei giornalisti colti con le mani nel sacco del tradimento del proprio dovere professionale, dovere che comprende anche la lealtà ed esclude l'intendersela con la concorrenza aziendale. Poiché oltre che giornalisti siamo tutti anche abbonati alla Rai, ne paghiamo cioè ogni anno il canone dal quale derivano i molto lauti stipendi dei felloni in questione, è senza dubbio il caso che si metta in piedi una class action, cioè una azione di responsabilità collettiva sia contro i colleghi in questione sia contro i dirigenti Rai non> giornalisti ma comunque traditori della stessa Rai. Non lasciamo una tale iniziativa a partiti e forze politiche, sempre pronte a barattare anche una tale doverosa iniziativa in cambio di qualche piatto di lenticchie o di caviale. (Pino Nicotri-Senza Bavaglio Consigliere generale Ingpi e consigliere della Lombarda)
Una pernacchia li seppellirà
"La fine d'un regno ha sempre un andamento drammatico e talvolta addirittura tragico. Pensate a Macbeth e a Lear ma anche a Hitler e a Mussolini, dove la realtà sembra imitare i vertici della letteratura.Talvolta però alla cupezza del dramma si accompagna la sconcia comicità della farsa; sconcia perché inconsapevole e quindi cupa e drammatica anch'essa. Vengono in mente alcuni comprimari del fine regno berlusconiano: Brunetta, Gasparri, La Russa, Quagliariello, Sacconi, Ghedini, Prestigiacomo, Gelmini, Alfano e il suo partito degli onesti. Con Calderoli siamo al culmine della comicità inconsapevole, a cominciare da come si veste e da come cammina: non è un pavone che esibisce la sua splendida ruota e neppure un tacchino con i suoi bargigli, ma ha piuttosto l'andare del gallinaccio, il più sgraziato dei pennuti. Bossi no, non è comico ma profondamente drammatico: un leader lucido e sensibilissimo a cogliere gli umori della sua gente, cui la malattia aveva addirittura conferito un di più, quella parlata inceppata, quei gesti di una volgarità voluta, quella faccia segnata ma non rassegnata: così era stato fino a un anno fa, ma poi il vento è cambiato anche nella Lega e il Senatur ha cominciato ad annaspare. Ora sembra un timoniere senza bussola e senza stelle che procede alla cieca in una fitta foschia mentre infuria lo scontro per la successione. Il dramma di Berlusconi è ancora più complesso ed enigmatica la sua comicità. A volte è anche per lui inconsapevole e quindi oscena come nel caso della nipote di Mubarak. Ma poi usa consapevolmente quella stessa comicità, la trasforma in barzelletta con la quale strappare al suo pubblico una risata e un applauso con la duplice intenzione di dimostrare la sua autoironia e la sua calma nella tempesta. A volte però la barzelletta non piace, non provoca la risata liberatoria ma un assordante silenzio e in lui sempre più spesso emerge la sindrome della solitudine, del tradimento, della congiura.Leggendo l'altro ieri la sua intervista a "Repubblica" tutti questi passaggi sono chiarissimi: c'è la stanchezza d'un leader che preannuncia il suo futuro di padre nobile, il disprezzo verso i nemici esterni, l'ira verso i traditori interni, la volontà di mantenere il potere attraverso i figliocci da lui delegati. Infine il colpo di teatro d'affidare il lascito testamentario ad un giornale da lui attaccato, vilipeso, ingiuriato.E Tremonti? Qual è la parte di Tremonti in questo fine regno sempre più incombente? Ha appena varato una manovra finanziaria che avrebbe dovuto mettere al sicuro i conti pubblici e il debito sovrano, ma proprio nei giorni del varo i mercati sono stati scossi da una speculazione che ha il nostro debito, le nostre banche, i nostri titoli, come bersagli primari. Invece di rafforzare la stabilità del governo e della maggioranza la manovra ha aumentato le crepe diventando a sua volta un fattore di instabilità.Potrà in queste condizioni il ministro dell'Economia restare al suo posto? Potrà reggere al dibattito parlamentare che si annuncia estremamente difficile?* * * La storia - lo sappiamo - non si fa con i se, ma i se a volte ci aiutano a capir meglio i fatti che sono realmente avvenuti. Dove saremmo oggi se il 14 dicembre del 2010 Berlusconi non avesse avuto la fiducia? Il governo sarebbe caduto, il Presidente della Repubblica avrebbe aperto le consultazioni e molto probabilmente avrebbe nominato un nuovo governo, un nuovo presidente del Consiglio, un nuovo ministro del Tesoro. I nomi non mancavano ed erano tutti di primissimo piano, da Mario Monti a Mario Draghi. I mercati sarebbero stati ampiamente rassicurati da quei nomi e dalla loro politica.Purtroppo non andò così. Oggi i mercati stanno attaccando i titoli pubblici emessi dallo Stato e i titoli delle banche; il rendimento dei buoni del Tesoro decennali è salito al 5 e mezzo per cento, lo "spread" rispetto al Bund tedesco a 2,48. Nel frattempo ieri mattina la Corte civile d'appello di Milano ha condannato la Fininvest, nel processo di secondo grado sul Lodo Mondadori, a pagare alla Cir di Carlo De Benedetti 560 milioni di euro. Si tratta d'una sentenza che fa giustizia in sede civile d'uno dei più gravi reati che il nostro codice penale contempla: la corruzione di magistrati. Quel reato fu accertato con sentenza definitiva ma Berlusconi ne fu tenuto fuori perché per lui erano decorsi i termini della prescrizione.Restava tuttavia il diritto della parte lesa al risarcimento del danno e a questo ha provveduto la sentenza di ieri. Essa certifica che l'impero editoriale del presidente del Consiglio è fondato su un gravissimo reato penale. Noi l'abbiamo sempre saputo e sempre detto e questo è per noi il valore politico e morale della sentenza di ieri.* * * Ribadito che la reazione negativa dei mercati è motivata principalmente dall'implosione della maggioranza di centrodestra, occorre tuttavia esaminare la manovra nella sua impostazione politica e tecnica, ambedue estremamente manchevoli.Il ministro dell'Economia aveva inizialmente spacchettato i tempi dell'operazione: per l'esercizio in corso un intervento di un miliardo e mezzo, di semplice manutenzione. Nel 2012 cinque miliardi e mezzo e tanto bastava secondo il calendario concordato con l'Ue. Il grosso nei due esercizi successivi, 20 miliardi in ciascuno di essi per azzerare il deficit nel 2013 e per realizzare il pareggio del bilancio nel 2014. In totale 47 miliardi, ai quali bisognava aggiungerne circa 32 utilizzati nel 2009-2010 per mettere i conti pubblici in sicurezza.Sembrò che queste operazioni fossero sufficienti e che il loro risultato finale segnasse il pieno successo di Tremonti e per riflesso del governo di cui egli è il perno economico. Mancavano in questo quadro di rigore finanziario, interventi destinati alla crescita del prodotto interno lordo, ma il superministro non mostrava di preoccuparsene. La crescita sarebbe venuta al momento opportuno. Protestavano le imprese, protestavano i sindacati, protestavano le organizzazioni dei commercianti e dei consumatori e protestavano anche Berlusconi e Bossi, ma Tremonti restava fermo e sicuro con l'appoggio dell'Europa e - così sembrava - anche dei mercati.Ma poi le cose sono radicalmente cambiate e una realtà del tutto diversa è venuta a galla. Fermo restando lo spacchettamento temporale, si è venuti a sapere che Tremonti aveva effettuato un altro tipo di spacchettamento: la manovra vera e propria non era di 47 miliardi ma soltanto di 40; di questi, 25 erano contenuti nel decreto firmato quattro giorni fa da Napolitano (dopo che era stata ritirata la vergognosa norma mirata a bloccare la sentenza sul Lodo Mondadori). Altri 15 miliardi sarebbero stati invece reperiti con la legge delega per la riforma fiscale, che dovrà anch'essa esser votata dal Parlamento nelle prossime settimane o nei prossimi mesi.È proprio la riduzione della manovra che ha indotto Giorgio Napolitano nel momento in cui firmava il decreto a indicare la necessità di ulteriori interventi da prendere al più presto possibile. Senza ancora entrare nel merito, la criticità che ha allarmato i mercati si deve soprattutto a quei 15 miliardi affidati alla legge delega. Dovrà essere approvata dal Parlamento e dovrà poi confrontarsi, nel momento di emettere i decreti delegati, non solo con l'apposita commissione bicamerale ma soprattutto con la conferenza Stato-Regioni. E poiché la parte più rilevante dei 15 miliardi da reperire è prevista proprio a carico delle Regioni e degli Enti locali, è facile prevedere che il negoziato sarà lungo e molto complesso. La reperibilità e la tempistica restano dunque i punti interrogativi che difficilmente saranno risolti nel prossimo esercizio.Quanto al merito, la manovra da 25 miliardi e la riforma fiscale per reperirne altri 15 poggiano, come ha più volte osservato Bersani, su prelievi a carico del sociale: il taglio dei contributi agli Enti locali, le maggiori imposte territoriali, il peggioramento dei servizi, il potere d'acquisto delle famiglie, la mancata rivalutazione delle pensioni, i giovani disoccupati, l'età pensionistica delle donne.Se si dovesse definire con due parole il significato politico di questa imponente operazione, di cui uno degli interventi principali è l'imposta sui titoli depositati nelle banche, si dovrebbe definirla una manovra di classe. Forse questo piacerà al Pdl e per alcuni aspetti anche alla Lega, ma certo non piacerà alle opposizioni e soprattutto a quelle fasce sociali che si sono manifestate nelle recenti elezioni amministrative e nel voto referendario.* * * L'ultimo capitolo che marca il fine regno berlusconiano è la marea degli scandali che coinvolge due eminenti deputati del Pdl, Alfonso Papa e Marco Milanese, un ministro di recente nomina, quel Saverio Romano sul quale il Presidente della Repubblica nell'atto di firmare il decreto di nomina voluto da Berlusconi indicò un possibile impedimento giudiziario che in quel momento era soltanto potenziale ma che ora è diventato di stringente attualità perché a suo carico è stato formalizzato dal Tribunale di Palermo un mandato di cattura per associazione mafiosa.Papa, Milanese, Romano sono i tre terminali sui quali stanno lavorando le Procure di Napoli, Palermo e Roma e che riguardano appalti, nomine in alcune imprese di natura pubblica, dazioni di danaro, gioielli, automobili di altissimo pregio, immobili, informazioni riservate ed usate per ricatti e vere e proprie estorsioni.Il centro di alcuni di questi scandali e di questi reati è la Guardia di finanza e il suo Comando generale. Il ministro dell'Economia, ascoltato di recente come testimone dalla Procura di Napoli, ha addirittura ammesso che esistono due cordate nella Guardia di finanza che operano per favorire due diversi candidati alla nomina di comandante generale.Tremonti del resto è coinvolto in pieno dallo scandalo Milanese; un uomo che è al suo fianco dal 2005 e che è stato colto con le mani nel sacco per decine di reati, ricatti, uso di informazioni riservate. Di tutto ciò il ministro garantisce di non essere mai stato al corrente. Delle due l'una: o il ministro non dice il vero oppure la sua dabbenaggine nella scelta dei collaboratori rasenta un livello tale da minare la sua credibilità.In questa situazione sarebbe estremamente urgente che il Partito democratico producesse una seria proposta alternativa di politica economica, di politica istituzionale e di legge elettorale. Bersani si era impegnato a farlo subito dopo le elezioni del maggio scorso, ma quella promessa non è stata mantenuta, si è restati nel vago di dichiarazioni che non descrivono una politica nella sua completezza e concretezza. Il Pd rischia di perdere un'occasione storica per ridare un ruolo al centrosinistra e al riformismo. Viene da dire - insieme alle donne italiane di nuovo mobilitate - se non adesso, quando?" (Eugenio Scalfari-La Repubblica 10.07.2011)
"Se non si ricorda come sono andate le cose venti anni fa, ci si può lasciare confondere dal frastuono sollevato dai commessi ubbidienti dell'Egoarca. Dunque. Due privati cittadini, capi d'impresa, si trovano in conflitto per la proprietà della Mondadori. Accade che gli eredi del fondatore (Arnoldo Mondadori) pattuiscano con Carlo De Benedetti (editore di questo giornale) la cessione della loro quota entro un termine, 30 gennaio 1991. Tra i soci c'è anche Silvio Berlusconi. Mai schietto, lavora nell'ombra. Traffica. Intriga. Ottiene che gli eredi passino nel suo campo. Nasce una lite. La decidono tre arbitri a favore di De Benedetti.Berlusconi impugna il lodo dinanzi alla Corte d'appello di Roma. E' qui si consuma il coup de théatre, il crimine, il robo. All'indomani della camera di consiglio, il giudice relatore Vittorio Metta deposita centosessantasette pagine d'una sentenza che dà partita vinta a Berlusconi. Era stata già scritta e non l'ha scritta il giudice e non è stata scritta nemmeno nello studio privato o nell'ufficio del giudice in tribunale. Preesisteva, scritta altrove. Il giudice ha venduto la sentenza per quattrocento milioni di lire - il giudizio è definitivo, è res iudicata (Corte d'appello di Milano, 23 febbraio 2007, respinto il ricorso dalla Cassazione il 13 luglio 2007) . Il corruttore è Silvio Berlusconi. Ascoltate, perché questo è un brano della storia che solitamente viene trascurato. L'Egoarca porta a casa la ghirba per un lapsus del legislatore. Il parlamento vuole inasprire la pena della corruzione quando il corrotto vende favori processuali. Ma i redattori della legge dimenticano, compilandola, il "privato corruttore". Così per Berlusconi - è il "privato" che corrompe il giudice - non vale la nuova legge più severa (corruzione in atti giudiziari), ma la norma preesistente più blanda (corruzione semplice). Questa, con le attenuanti generiche, decide della prescrizione del delitto. Un colpo fortunato sovrapposto a un "aiutino" togato. Nel 2001, l'Egoarca è a capo del governo. Per il suo alto incarico gli vanno riconosciute - sostengono i giudici (e poi, irriconoscente, il Cavaliere si lamenta delle toghe) - le attenuanti generiche e quindi la prescrizione e non come sarebbe stato più coerente, proprio in ragione delle pubbliche responsabilità, le aggravanti e quindi la condanna insieme agli uomini (gli avvocati Previti, Acampora e Pacifico) che, nel suo interesse, truccarono il gioco. Allora, per chi vuole ricordare, le cose stanno così: Berlusconi ha voluto, organizzato, finanziato la corruzione di Vittorio Metta che gli consegna - come il bottino di una rapina - la più grande casa editrice del Paese, ma non può essere punito. Con buona pace di Marina Berlusconi e dei suoi argomenti ("un esproprio") e arroganza ("neppure un euro è dovuto da parte nostra"), dov'è la politica in questa storia? C'è soltanto la contesa di mercato tra due imprenditori. Uno dei due, Berlusconi, si muove come un pirata della Tortuga. Non gli va bene. Lascia troppe tracce in giro. Lo beccano. La sentenza della Corte d'appello civile è molto chiara in due punti decisivi. 1. Berlusconi è il corruttore. Scrivono i giudici: "Ai soli fini civilistici del giudizio, Silvio Berlusconi è corresponsabile della vicenda corruttiva". 2. Con la corruzione del giudice, Berlusconi non ha soltanto sottratto a De Benedetti la chance di prevalere nella causa sul controllo del gruppo Mondadori-Espresso (come ha sostenuto la sentenza di primo grado), ma gli ha impedito di vincere perché De Benedetti senza la corruzione giudiziaria avrebbe di certo conquistato un verdetto favorevole alle sue ragioni.Oggi a distanza di venti anni, che non sono pochi soprattutto per chi ha patito l'inganno, Berlusconi - evitato il castigo penale - paga il prezzo della rapina, risarcendone il danno. Tutto qui? Andiamoci piano. E' un "tutto qui" che ci racconta molte cose di Berlusconi e qualcuna sul berlusconismo.Si sa, il Cavaliere si lamenta: "Mi trattano come se fossi Al Capone". Lo disse accompagnando la sentenza di primo grado, in questo processo civile. La sentenza di appello ci consente di comprendere meglio che cosa l'Egoarca condivida con Al Capone: il rifiuto delle regole, il disprezzo della legge, l'avidità. Lo abbiamo già scritto in qualche altra occasione. Come Al Capone testimonia simbolicamente la crisi di legalità negli Stati Uniti degli Anni Venti, Berlusconi rappresenta - ne è il simbolo - l'Italia corrotta degli Anni Ottanta e Novanta, la crisi strutturale della sfera pubblica che ancora oggi, nonostante Tangentopoli, comprime il futuro del Paese. E' infatti irrealistico immaginare Berlusconi fuori dal corso di quegli eventi: capitali oscuri, costanti prassi corruttive, liaisons piduistiche, un'ininterrotta presenza nel sottosuolo pubblico dove non esiste un angolo pulito. Berlusconi è quella storia e senza amnistie, senza un incessante e rinnovato abuso di potere, senza riforme del codice e della procedura preparate dai suoi governi, egli sarebbe considerato oggi un "delinquente abituale". Accostiamo, per capire meglio, la sentenza di ieri della Corte d'appello civile di Milano con gli esiti processuali di un altro processo per corruzione. Questa volta non di un giudice, ma di un testimone, David Mills.Lo si ricorderà. David Mills, per conto e nell'interesse di Berlusconi e con il suo coinvolgimento "diretto e personale", crea e gestisce "64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest", dove transitano quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come "i politici costano molto ed è in discussione la legge Mammì"). E ancora, il controllo illegale dell'86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l'acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; la risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma tra i quali (appunto) Vittorio Metta; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. In due occasioni (processi a Craxi e alle "fiamme gialle" corrotte), David Mills mente in aula per tener lontano il Cavaliere dai guai, da quella galassia societaria di cui l'avvocato inglese si attribuì la paternità ricevendone in cambio "enormi somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali", come si legge nella sentenza che lo ha condannato. Sono sufficienti questi due approdi processuali (Mondadori e Mills) per guardare dentro la "scatola degli attrezzi" di Silvio Berlusconi e lasciare senza mistero la sua avventura imprenditoriale. Da quelle ricostruzioni, che non hanno mai incontrato un'alternativa accettabile, ragionevole, credibile nelle parole o nei documenti del Cavaliere, si può comprendere come è nato il Biscione e di quali deformità pubbliche e fragilità private ha goduto per diventare un impero. Se solo la memoria non avesse delle sincopi, spesso determinate dal controllo pieno dell'informazione, che cosa ne sarebbe allora del "corpo mistico" dell'ideologia berlusconiana, della sua agiografia epica? Chi potrebbe credere alla favola del genio, dell'uomo che si fatto da sé con un "fare" instancabile, ottimistico e sempre vincente, ispirato all'amore e lontano dal risentimento? La verità è che finalmente, dopo un ventennio, comincia a far capolino e - quel che più conta - a diventare consapevolezza anche tra chi gli ha creduto come, al fondo della fortuna del premier, ci sia il delitto e quindi la violenza. Scorriamo i reati che gli sono stati contestati nei dodici processi che ha subito finora. Salta fuori il resoconto degli "attrezzi" del Mago: evasione fiscale; falso in bilancio; manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio; corruzione della politica (che gli confeziona leggi ad hoc); della polizia tributaria (che non vede i suoi conti taroccati); dei giudici (che decidono dei suoi processi); dei testimoni (che lo salvano dalle condanne). Senza il controllo dei "dispositivi della risonanza" - ripeto - sarebbe chiaro da molto tempo come la chiave del successo di Berlusconi la si debba cercare nel malaffare, nell'illegalità, nel pozzo nero della corruzione della Prima Repubblica, di cui egli è il figlio più longevo.Oggi come ieri per far dimenticare la sua storia, per nascondere il passato, salvare il suo futuro, tenere in vita la mitologia dell'homo faber, Berlusconi non inventerà fantasmagoremi. L'Egoarca muove sempre gli stessi passi, ripete sempre le stesse mosse. Come per un riflesso automatico, si esibirà nell'esercizio che gli riesce meglio: posare da vittima "politica", bersaglio di un complotto politico-giudiziario. Confondendo come sempre privato e pubblico, con qualche metamorfismo mediatico - ha degli ordigni e sa usarli - trasformerà la sua personale e privatissima catastrofe di imprenditore, abituato all'imbroglio e al crimine, in affaire politico che decide del destino della Nazione. Ha cominciato la figlia Marina, accompagnata dalla volgarità ingaglioffita e aggressiva dei corifei. Domani - comoda la prognosi - sarà il Cavaliere a menare la danza in prima fila. Con un mantra prevedibile e in attesa di escogitare un qualche sopruso vincente, dirà: "Contro di me tentano un attacco patrimoniale". Vedremo così allo scoperto il più autentico statuto del berlusconismo: l'affermazione di un potere statale esercitato direttamente da un tycoon che sfrutta apertamente, e senza scrupoli, la funzione pubblica come un modo per proteggere i suoi interessi economici. Ieri, ne abbiamo già avuto un saggio nella tempesta declamatoria dell'intero gruppo dirigente del "partito della libertà" dove si è distinto Maurizio Lupi, che nella settimana che si apre sarà addirittura ministro di Giustizia. Le sue parole sono quasi il paradigma della devastazione della legalità che il berlusconismo ha codificato. L'uomo spesso posa a riformista dialogante, ma nell'ora decisiva mostra il suo volto più reale. Dice: "In qualsiasi Paese una sentenza che intima al leader di maggioranza di risarcire il vero leader dell'opposizione (De Benedetti ha la tessera n. 1 del Pd) avrebbe suscitato unanime condanna". Davvero in qualsiasi Paese, con l'eccezione di un'Italia gobba afflitta da malattie organiche, un imbroglione avrebbe potuto nascondere agli elettori le sue tecniche fino a diventare capo del governo? In quale altro Paese, scoperto l'imbroglio, il neoministro di Giustizia quasi come atto programmatico ne invoca l'impunità pretendendo la severa punizione dell'eretico che, truffato, ha chiesto il rispetto dei suoi diritti? In quale altro Paese un delitto commesso da un privato può essere cancellato in nome della sua funzione pubblica? Nelle poche parole del neoministro si può rintracciare il compendio delle "qualità" del ceto politico berlusconiano, i suoi strumenti, il suo metro: ignoranza, immoralismo cinico, illegalismo istituzionale, chiassosi stereotipi, menzogna sistematica e la totale eclissi dei due archetipi del sentimento morale: la vergogna e la colpa. Con tutta evidenza, siamo soltanto all'inizio del triste spettacolo che andrà in scena nelle prossime settimane perché - è chiaro - Berlusconi può abbozzare sulla manovra fiscale che riguarda gli altri, ma qui parliamo di lui, della sua "roba". E' per la "roba" che si è fatto politico e con la politica che vorrà salvare la sua "roba". Costi quel che costi". (Giuseppe D'Avanzo-La Repubblica 10.07.2011)
"Se non si ricorda come sono andate le cose venti anni fa, ci si può lasciare confondere dal frastuono sollevato dai commessi ubbidienti dell'Egoarca. Dunque. Due privati cittadini, capi d'impresa, si trovano in conflitto per la proprietà della Mondadori. Accade che gli eredi del fondatore (Arnoldo Mondadori) pattuiscano con Carlo De Benedetti (editore di questo giornale) la cessione della loro quota entro un termine, 30 gennaio 1991. Tra i soci c'è anche Silvio Berlusconi. Mai schietto, lavora nell'ombra. Traffica. Intriga. Ottiene che gli eredi passino nel suo campo. Nasce una lite. La decidono tre arbitri a favore di De Benedetti.Berlusconi impugna il lodo dinanzi alla Corte d'appello di Roma. E' qui si consuma il coup de théatre, il crimine, il robo. All'indomani della camera di consiglio, il giudice relatore Vittorio Metta deposita centosessantasette pagine d'una sentenza che dà partita vinta a Berlusconi. Era stata già scritta e non l'ha scritta il giudice e non è stata scritta nemmeno nello studio privato o nell'ufficio del giudice in tribunale. Preesisteva, scritta altrove. Il giudice ha venduto la sentenza per quattrocento milioni di lire - il giudizio è definitivo, è res iudicata (Corte d'appello di Milano, 23 febbraio 2007, respinto il ricorso dalla Cassazione il 13 luglio 2007) . Il corruttore è Silvio Berlusconi. Ascoltate, perché questo è un brano della storia che solitamente viene trascurato. L'Egoarca porta a casa la ghirba per un lapsus del legislatore. Il parlamento vuole inasprire la pena della corruzione quando il corrotto vende favori processuali. Ma i redattori della legge dimenticano, compilandola, il "privato corruttore". Così per Berlusconi - è il "privato" che corrompe il giudice - non vale la nuova legge più severa (corruzione in atti giudiziari), ma la norma preesistente più blanda (corruzione semplice). Questa, con le attenuanti generiche, decide della prescrizione del delitto. Un colpo fortunato sovrapposto a un "aiutino" togato. Nel 2001, l'Egoarca è a capo del governo. Per il suo alto incarico gli vanno riconosciute - sostengono i giudici (e poi, irriconoscente, il Cavaliere si lamenta delle toghe) - le attenuanti generiche e quindi la prescrizione e non come sarebbe stato più coerente, proprio in ragione delle pubbliche responsabilità, le aggravanti e quindi la condanna insieme agli uomini (gli avvocati Previti, Acampora e Pacifico) che, nel suo interesse, truccarono il gioco. Allora, per chi vuole ricordare, le cose stanno così: Berlusconi ha voluto, organizzato, finanziato la corruzione di Vittorio Metta che gli consegna - come il bottino di una rapina - la più grande casa editrice del Paese, ma non può essere punito. Con buona pace di Marina Berlusconi e dei suoi argomenti ("un esproprio") e arroganza ("neppure un euro è dovuto da parte nostra"), dov'è la politica in questa storia? C'è soltanto la contesa di mercato tra due imprenditori. Uno dei due, Berlusconi, si muove come un pirata della Tortuga. Non gli va bene. Lascia troppe tracce in giro. Lo beccano. La sentenza della Corte d'appello civile è molto chiara in due punti decisivi. 1. Berlusconi è il corruttore. Scrivono i giudici: "Ai soli fini civilistici del giudizio, Silvio Berlusconi è corresponsabile della vicenda corruttiva". 2. Con la corruzione del giudice, Berlusconi non ha soltanto sottratto a De Benedetti la chance di prevalere nella causa sul controllo del gruppo Mondadori-Espresso (come ha sostenuto la sentenza di primo grado), ma gli ha impedito di vincere perché De Benedetti senza la corruzione giudiziaria avrebbe di certo conquistato un verdetto favorevole alle sue ragioni.Oggi a distanza di venti anni, che non sono pochi soprattutto per chi ha patito l'inganno, Berlusconi - evitato il castigo penale - paga il prezzo della rapina, risarcendone il danno. Tutto qui? Andiamoci piano. E' un "tutto qui" che ci racconta molte cose di Berlusconi e qualcuna sul berlusconismo.Si sa, il Cavaliere si lamenta: "Mi trattano come se fossi Al Capone". Lo disse accompagnando la sentenza di primo grado, in questo processo civile. La sentenza di appello ci consente di comprendere meglio che cosa l'Egoarca condivida con Al Capone: il rifiuto delle regole, il disprezzo della legge, l'avidità. Lo abbiamo già scritto in qualche altra occasione. Come Al Capone testimonia simbolicamente la crisi di legalità negli Stati Uniti degli Anni Venti, Berlusconi rappresenta - ne è il simbolo - l'Italia corrotta degli Anni Ottanta e Novanta, la crisi strutturale della sfera pubblica che ancora oggi, nonostante Tangentopoli, comprime il futuro del Paese. E' infatti irrealistico immaginare Berlusconi fuori dal corso di quegli eventi: capitali oscuri, costanti prassi corruttive, liaisons piduistiche, un'ininterrotta presenza nel sottosuolo pubblico dove non esiste un angolo pulito. Berlusconi è quella storia e senza amnistie, senza un incessante e rinnovato abuso di potere, senza riforme del codice e della procedura preparate dai suoi governi, egli sarebbe considerato oggi un "delinquente abituale". Accostiamo, per capire meglio, la sentenza di ieri della Corte d'appello civile di Milano con gli esiti processuali di un altro processo per corruzione. Questa volta non di un giudice, ma di un testimone, David Mills.Lo si ricorderà. David Mills, per conto e nell'interesse di Berlusconi e con il suo coinvolgimento "diretto e personale", crea e gestisce "64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest", dove transitano quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come "i politici costano molto ed è in discussione la legge Mammì"). E ancora, il controllo illegale dell'86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l'acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; la risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma tra i quali (appunto) Vittorio Metta; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. In due occasioni (processi a Craxi e alle "fiamme gialle" corrotte), David Mills mente in aula per tener lontano il Cavaliere dai guai, da quella galassia societaria di cui l'avvocato inglese si attribuì la paternità ricevendone in cambio "enormi somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali", come si legge nella sentenza che lo ha condannato. Sono sufficienti questi due approdi processuali (Mondadori e Mills) per guardare dentro la "scatola degli attrezzi" di Silvio Berlusconi e lasciare senza mistero la sua avventura imprenditoriale. Da quelle ricostruzioni, che non hanno mai incontrato un'alternativa accettabile, ragionevole, credibile nelle parole o nei documenti del Cavaliere, si può comprendere come è nato il Biscione e di quali deformità pubbliche e fragilità private ha goduto per diventare un impero. Se solo la memoria non avesse delle sincopi, spesso determinate dal controllo pieno dell'informazione, che cosa ne sarebbe allora del "corpo mistico" dell'ideologia berlusconiana, della sua agiografia epica? Chi potrebbe credere alla favola del genio, dell'uomo che si fatto da sé con un "fare" instancabile, ottimistico e sempre vincente, ispirato all'amore e lontano dal risentimento? La verità è che finalmente, dopo un ventennio, comincia a far capolino e - quel che più conta - a diventare consapevolezza anche tra chi gli ha creduto come, al fondo della fortuna del premier, ci sia il delitto e quindi la violenza. Scorriamo i reati che gli sono stati contestati nei dodici processi che ha subito finora. Salta fuori il resoconto degli "attrezzi" del Mago: evasione fiscale; falso in bilancio; manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio; corruzione della politica (che gli confeziona leggi ad hoc); della polizia tributaria (che non vede i suoi conti taroccati); dei giudici (che decidono dei suoi processi); dei testimoni (che lo salvano dalle condanne). Senza il controllo dei "dispositivi della risonanza" - ripeto - sarebbe chiaro da molto tempo come la chiave del successo di Berlusconi la si debba cercare nel malaffare, nell'illegalità, nel pozzo nero della corruzione della Prima Repubblica, di cui egli è il figlio più longevo.Oggi come ieri per far dimenticare la sua storia, per nascondere il passato, salvare il suo futuro, tenere in vita la mitologia dell'homo faber, Berlusconi non inventerà fantasmagoremi. L'Egoarca muove sempre gli stessi passi, ripete sempre le stesse mosse. Come per un riflesso automatico, si esibirà nell'esercizio che gli riesce meglio: posare da vittima "politica", bersaglio di un complotto politico-giudiziario. Confondendo come sempre privato e pubblico, con qualche metamorfismo mediatico - ha degli ordigni e sa usarli - trasformerà la sua personale e privatissima catastrofe di imprenditore, abituato all'imbroglio e al crimine, in affaire politico che decide del destino della Nazione. Ha cominciato la figlia Marina, accompagnata dalla volgarità ingaglioffita e aggressiva dei corifei. Domani - comoda la prognosi - sarà il Cavaliere a menare la danza in prima fila. Con un mantra prevedibile e in attesa di escogitare un qualche sopruso vincente, dirà: "Contro di me tentano un attacco patrimoniale". Vedremo così allo scoperto il più autentico statuto del berlusconismo: l'affermazione di un potere statale esercitato direttamente da un tycoon che sfrutta apertamente, e senza scrupoli, la funzione pubblica come un modo per proteggere i suoi interessi economici. Ieri, ne abbiamo già avuto un saggio nella tempesta declamatoria dell'intero gruppo dirigente del "partito della libertà" dove si è distinto Maurizio Lupi, che nella settimana che si apre sarà addirittura ministro di Giustizia. Le sue parole sono quasi il paradigma della devastazione della legalità che il berlusconismo ha codificato. L'uomo spesso posa a riformista dialogante, ma nell'ora decisiva mostra il suo volto più reale. Dice: "In qualsiasi Paese una sentenza che intima al leader di maggioranza di risarcire il vero leader dell'opposizione (De Benedetti ha la tessera n. 1 del Pd) avrebbe suscitato unanime condanna". Davvero in qualsiasi Paese, con l'eccezione di un'Italia gobba afflitta da malattie organiche, un imbroglione avrebbe potuto nascondere agli elettori le sue tecniche fino a diventare capo del governo? In quale altro Paese, scoperto l'imbroglio, il neoministro di Giustizia quasi come atto programmatico ne invoca l'impunità pretendendo la severa punizione dell'eretico che, truffato, ha chiesto il rispetto dei suoi diritti? In quale altro Paese un delitto commesso da un privato può essere cancellato in nome della sua funzione pubblica? Nelle poche parole del neoministro si può rintracciare il compendio delle "qualità" del ceto politico berlusconiano, i suoi strumenti, il suo metro: ignoranza, immoralismo cinico, illegalismo istituzionale, chiassosi stereotipi, menzogna sistematica e la totale eclissi dei due archetipi del sentimento morale: la vergogna e la colpa. Con tutta evidenza, siamo soltanto all'inizio del triste spettacolo che andrà in scena nelle prossime settimane perché - è chiaro - Berlusconi può abbozzare sulla manovra fiscale che riguarda gli altri, ma qui parliamo di lui, della sua "roba". E' per la "roba" che si è fatto politico e con la politica che vorrà salvare la sua "roba". Costi quel che costi". (Giuseppe D'Avanzo-La Repubblica 10.07.2011)
sabato 9 luglio 2011
venerdì 8 luglio 2011
giovedì 7 luglio 2011
mercoledì 6 luglio 2011
martedì 5 luglio 2011
No Tav, le menzogne del palazzo e la verità dei cittadini inermi
"Ho partecipato alla manifestazione in Val di Susa. Eravamo in migliaia, a manifestare pacificamente il nostro dissenso. Sui giornali e dalla politica solo menzogne.
Sono appena rientrato dopo 6 ore di marcia a Chiomonte. Incredibile, un serpente umano colorato e festante proveniente da tutta Italia percorreva i boschi verdeggianti della media Valsusa in una giornata calda e luminosissima. La stima minima è di 50.000 persone, quella massima 100.000, fate voi... Statale del Monginevro bloccata e autostrada pure.In queste ore ancora si sparano lacrimogeni, un teatro osceno per un Paese civile nel museo archeologico del villaggio neolitico della Maddalena di Chiomonte, che la polizia ha usurpato come suo quartier generale. Lì, nel punto di contatto tra manifestanti e poliziotti io non sono stato, e qualche ferito c'è, qualche sasso è volato, qualche episodio da deplorare può darsi che ci sia, ma aspettiamo a parlare quando avremo sentito i racconti e visto i video di chi era lì... Il 412 della polizia ha volato sopra di noi come fossimo stati in Afghanistan, dalle 8 alle 18 almeno, e sono 100 euro al minuto... io non ci sto, è uno scenario surreale per aprire un cantiere.Ciò che vi vorrei dire a caldo è:1) già ora le prime pagine dei giornali titolano di guerriglia, di back bloc e altre amenità simili: si tratta di elementi del tutto marginali della giornata, ciò che conta, e che doveva essere oggetto dei titoli, è l'enormità della gente normale qui confluita, cittadini italiani ed europei, famiglie con bambini, pensionati, professionisti, docenti, medici, artigiani, studenti che da tutta italia (pullman da Pisa, Macerata, Udine, Bologna, Genova...) hanno affrontato levatacce e disagi, per venire a passare una domenica di civile indignazione insieme a noi. Chapeau a tutti loro, che dimostrano come vi sia una presa di coscienza sempre più vasta del problema dei beni comuni e una voglia individuale di "contare" qualcosa sul piano delle scelte. Mi sembra che politica e giornalisti siano terribilmente indietro, impegnati a proteggere i loro privilegi o tremebondi a sperare che il loro servilismo porti una promozione sulla scala sociale. Ma la gente sta correndo più veloce di loro. Ho parlato con centinaia di persone e ne ho tratto una grande impressione di competenza, di coraggio, di onestà, di passione. Altro che black-bloc!2) tutti hanno ben chiaro, per vivere ogni giorno sulla propria pelle altre simili usurpazioni sui loro territori, che le priorità per il Paese sono altre, che nessuno vuole questi monumenti faraonici ma desidera interventi semplici, evidenti e efficaci sulla quotidianità. Tutti hanno ben chiaro che i tempi stanno cambiando in fretta. Nelle ore di marcia sotto il sole, i discorsi che sentivo fare erano dei rapporti dell'Asia con il mondo occidentale, della crisi delle risorse, dell'opposizione economia capitalistica-benessere, dell'impossibilità della crescita continua, della crisi petrolifera... insomma, un campione interessante di pubbliche riflessioni sul presente e sul futuro.3) speriamo che ognuno di loro stasera su facebook dica: "c'ero anch'io e vi spiego quali menzogne i giornali e la tv diffondono su di noi e su questa faccenda".4) fino al 12 luglio 1980 non c'era il traforo autostradale, quindi sulla ferrovia attuale passavano tutte le merci e i passeggeri per la Francia, inclusa la navetta per le automobili Bardonecchia-Modane. Nel 1980 eravamo forse all'età della pietra? La ferrovia attuale bastava allora, basterebbe a maggior ragione in un mondo futuro con meno risorse. Ma Chiamparino è al delirio sviluppista e vede il Tav Valsusa come una fede: o il Tav o la terribile decrescita! Allora Tav sia. Aggiungo che un'opera di questo genere avrebbe un overhead di sistema enorme rispetto a opere più semplici e resilienti. In un'epoca postpicco petrolifero, l'imponente infrastruttura tecnologica ed energetica necessaria a garantire la sicurezza di un tunnel di 54 km con temperature interne di oltre 50 C, collasserebbe dopo pochi mesi, anche solo per via dei costi. Vedere Rutilio Namaziano... le mitiche strade di Roma, poco dopo la caduta dell'impero erano impraticabili per mancanza di manutenzione e si preferiva il periglioso viaggio via mare da Roma alla Liguria piuttosto che affrontare il fango dei tratturi maremmani...5) finanziamento europeo: per ora, a inizio cantiere, si parla di sbloccare 671 milioni di euro, pari a circa il 4,5% del valore del progetto (calcolato dell'ordine dei 15 miliardi di euro, anche qui non ci sono mai numeri trasparenti). In caso di realizzazione successiva, si parla di ulteriore finanziamento EU del 30% della sola tratta internazionale, che escluderebbe quindi i circa 2 miliardi di euro della tratta di adduzione Torino-Chiomonte, interamente a carico italiano. Sono dati vaghi perchè è quel poco che si riesce a leggere sui giornali locali. Anche questo fatto dovrebbe indignare tutti: non c'è uno straccio di rapporto ufficiale che faccia chiarezza verso i cittadini. I promotori, che i dati immagino li avranno, con fior di tecnici pagati per far solo quello, tacciono, lasciando tutti noi a baloccarci con stime e supposizioni. Anche questo è strano: se avessero dati seri, certi e inoppugnabili a sostegno dell'opera, non pensate che avrebbero già convocato una conferenza stampa internazionale, spazzando via ogni nostra chiacchiera? Invece stanno nascosti nelle gallerie, lasciando che la gente si arrabbi, che i politici sfornino la loro retorica, che i pochi come noi che tentano di ragionare si spacchino la testa su dati faticosamente estratti qua e là.6) la stretta alleanza politica bipartisan che mostra un tenacissimo blocco favorevole all'opera, è un altro elemento di sospetto. In genere il politico, massimamente quello italico, quando trova un muro invalicabile nei propri affari, lo aggira, scantona, sceglie altri obiettivi più facili, ma non si mette contro una marea montante di rabbia popolare che sta diventando un elemento incognito estremamente instabile. Qui invece sono passati vent'anni di proteste e continuano tutti imperterriti ad andare in rotta di collisione contro il massiccio d'Ambin. Butto lì, non è che devono aver fatto tante e tali facili promesse sulla divisione di questa appetitosa torta, che ora qualcuno ha la canna di fucile puntata dietro la schiena se non le mantiene e non paga pegno?Ciao a tutti dalla Valsusa, qui comunque è una serata ancora molto calda. Speriamo che serva a qualcosa. (Luca Mercalli, cadoinpiedi.it)
Sono appena rientrato dopo 6 ore di marcia a Chiomonte. Incredibile, un serpente umano colorato e festante proveniente da tutta Italia percorreva i boschi verdeggianti della media Valsusa in una giornata calda e luminosissima. La stima minima è di 50.000 persone, quella massima 100.000, fate voi... Statale del Monginevro bloccata e autostrada pure.In queste ore ancora si sparano lacrimogeni, un teatro osceno per un Paese civile nel museo archeologico del villaggio neolitico della Maddalena di Chiomonte, che la polizia ha usurpato come suo quartier generale. Lì, nel punto di contatto tra manifestanti e poliziotti io non sono stato, e qualche ferito c'è, qualche sasso è volato, qualche episodio da deplorare può darsi che ci sia, ma aspettiamo a parlare quando avremo sentito i racconti e visto i video di chi era lì... Il 412 della polizia ha volato sopra di noi come fossimo stati in Afghanistan, dalle 8 alle 18 almeno, e sono 100 euro al minuto... io non ci sto, è uno scenario surreale per aprire un cantiere.Ciò che vi vorrei dire a caldo è:1) già ora le prime pagine dei giornali titolano di guerriglia, di back bloc e altre amenità simili: si tratta di elementi del tutto marginali della giornata, ciò che conta, e che doveva essere oggetto dei titoli, è l'enormità della gente normale qui confluita, cittadini italiani ed europei, famiglie con bambini, pensionati, professionisti, docenti, medici, artigiani, studenti che da tutta italia (pullman da Pisa, Macerata, Udine, Bologna, Genova...) hanno affrontato levatacce e disagi, per venire a passare una domenica di civile indignazione insieme a noi. Chapeau a tutti loro, che dimostrano come vi sia una presa di coscienza sempre più vasta del problema dei beni comuni e una voglia individuale di "contare" qualcosa sul piano delle scelte. Mi sembra che politica e giornalisti siano terribilmente indietro, impegnati a proteggere i loro privilegi o tremebondi a sperare che il loro servilismo porti una promozione sulla scala sociale. Ma la gente sta correndo più veloce di loro. Ho parlato con centinaia di persone e ne ho tratto una grande impressione di competenza, di coraggio, di onestà, di passione. Altro che black-bloc!2) tutti hanno ben chiaro, per vivere ogni giorno sulla propria pelle altre simili usurpazioni sui loro territori, che le priorità per il Paese sono altre, che nessuno vuole questi monumenti faraonici ma desidera interventi semplici, evidenti e efficaci sulla quotidianità. Tutti hanno ben chiaro che i tempi stanno cambiando in fretta. Nelle ore di marcia sotto il sole, i discorsi che sentivo fare erano dei rapporti dell'Asia con il mondo occidentale, della crisi delle risorse, dell'opposizione economia capitalistica-benessere, dell'impossibilità della crescita continua, della crisi petrolifera... insomma, un campione interessante di pubbliche riflessioni sul presente e sul futuro.3) speriamo che ognuno di loro stasera su facebook dica: "c'ero anch'io e vi spiego quali menzogne i giornali e la tv diffondono su di noi e su questa faccenda".4) fino al 12 luglio 1980 non c'era il traforo autostradale, quindi sulla ferrovia attuale passavano tutte le merci e i passeggeri per la Francia, inclusa la navetta per le automobili Bardonecchia-Modane. Nel 1980 eravamo forse all'età della pietra? La ferrovia attuale bastava allora, basterebbe a maggior ragione in un mondo futuro con meno risorse. Ma Chiamparino è al delirio sviluppista e vede il Tav Valsusa come una fede: o il Tav o la terribile decrescita! Allora Tav sia. Aggiungo che un'opera di questo genere avrebbe un overhead di sistema enorme rispetto a opere più semplici e resilienti. In un'epoca postpicco petrolifero, l'imponente infrastruttura tecnologica ed energetica necessaria a garantire la sicurezza di un tunnel di 54 km con temperature interne di oltre 50 C, collasserebbe dopo pochi mesi, anche solo per via dei costi. Vedere Rutilio Namaziano... le mitiche strade di Roma, poco dopo la caduta dell'impero erano impraticabili per mancanza di manutenzione e si preferiva il periglioso viaggio via mare da Roma alla Liguria piuttosto che affrontare il fango dei tratturi maremmani...5) finanziamento europeo: per ora, a inizio cantiere, si parla di sbloccare 671 milioni di euro, pari a circa il 4,5% del valore del progetto (calcolato dell'ordine dei 15 miliardi di euro, anche qui non ci sono mai numeri trasparenti). In caso di realizzazione successiva, si parla di ulteriore finanziamento EU del 30% della sola tratta internazionale, che escluderebbe quindi i circa 2 miliardi di euro della tratta di adduzione Torino-Chiomonte, interamente a carico italiano. Sono dati vaghi perchè è quel poco che si riesce a leggere sui giornali locali. Anche questo fatto dovrebbe indignare tutti: non c'è uno straccio di rapporto ufficiale che faccia chiarezza verso i cittadini. I promotori, che i dati immagino li avranno, con fior di tecnici pagati per far solo quello, tacciono, lasciando tutti noi a baloccarci con stime e supposizioni. Anche questo è strano: se avessero dati seri, certi e inoppugnabili a sostegno dell'opera, non pensate che avrebbero già convocato una conferenza stampa internazionale, spazzando via ogni nostra chiacchiera? Invece stanno nascosti nelle gallerie, lasciando che la gente si arrabbi, che i politici sfornino la loro retorica, che i pochi come noi che tentano di ragionare si spacchino la testa su dati faticosamente estratti qua e là.6) la stretta alleanza politica bipartisan che mostra un tenacissimo blocco favorevole all'opera, è un altro elemento di sospetto. In genere il politico, massimamente quello italico, quando trova un muro invalicabile nei propri affari, lo aggira, scantona, sceglie altri obiettivi più facili, ma non si mette contro una marea montante di rabbia popolare che sta diventando un elemento incognito estremamente instabile. Qui invece sono passati vent'anni di proteste e continuano tutti imperterriti ad andare in rotta di collisione contro il massiccio d'Ambin. Butto lì, non è che devono aver fatto tante e tali facili promesse sulla divisione di questa appetitosa torta, che ora qualcuno ha la canna di fucile puntata dietro la schiena se non le mantiene e non paga pegno?Ciao a tutti dalla Valsusa, qui comunque è una serata ancora molto calda. Speriamo che serva a qualcosa. (Luca Mercalli, cadoinpiedi.it)
Siamo noi la maggioranza silenziosa
"La prima gallina che canta ha fatto l'uovo. La Marcegaglia degli inceneritori ha invocato la discesa in campo della "maggioranza silenziosa" "E' venuto Il momento che la maggioranza silenziosa di questo Paese che vuole la Tav, le infrastrutture, si faccia veramente sentire, perche' altrimenti si fa sentire solo la minoranza rumorosa ed in malafede". La maggioranza silenziosa ha già fatto sentire la sua voce con i referendum. Il festoso banchetto, la tavola imbandita con 6/7 centrali nucleari pagate dai contribuenti per decine di miliardi e incassate dalla Confindustria non c'è più. E neppure la lucrosa gestione dell'acqua pubblica da parte degli industriali assistiti. Il ponte sullo Stretto è diventato una chimera. Rimangono le Grandi opere Inutili finanziate dallo Stato, come la Tav e la Gronda in Liguria. Devastazioni del territorio e cemento a carico dei contribuenti. La Confindustria dei Concessionari di Stato alla Benetton con le autostrade o alla Marcegaglia con gli inceneritori pagati in bolletta con il CIP6 vuole una sola cosa, i soldi pubblici. Senza andrebbe in asfissia. Il capitale di rischio in Italia ce lo mette lo Stato, i cittadini che pagano le tasse, operai, impiegati, piccoli imprenditori, sono loro la "maggioranza silenziosa". E a questi la Marcegaglia chiede ancora soldi. La Confidustria con il piattino in mano fa però la voce grossa. "Molto grave quanto dichiarato da Grillo: ''Ha detto che quelli erano degli eroi, mentre quelli erano dei delinquenti. I veri eroi sono gli agenti di polizia". È falso e ne risponderà nelle aule giudiziarie. I miei eroi sono i cittadini che combattono con le armi della democrazia questo sistema marcio dalle fondamenta, come la popolazione valsusina. La Marcegaglia ha aggiunto "Noi imprenditori, i lavoratori, le banche, dobbiamo dire: adesso basta, ci siamo stufati. Dobbiamo velocemente decidere un giorno in cui chi crede nella crescita di questo Paese, dica basta". Su questo siamo d'accordo. Dobbiamo dire basta agli imprenditori con le pezze al culo che depredano le risorse del Paese. Ieri, tanto per cambiare, sono stati condannati in primo grado Sergio Cragnotti e Cesare Geronzi a nove e quattro anni di carcere per il crac da 1.125 milioni di euro della Cirio. Chi risarcirà i risparmiatori? La Confindustria? Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure". (dal blog di Beppe Grillo)
"Quello che i partiti non hanno ancora capito è che il Paese appartiene ai cittadini. Il Paese è nostro!"E' la prima volta che scrivo in un blog, io vorrei sapere se qualcuno di voi ha avuto a che fare con Equitalia, io sono allibita ho messo in vendita la mia macchina ed ho saputo che avevo un fermo amministrativo da un anno!!! Non ne sapevo niente perche la multa ( 600 euro ora diventati 1.900) arrivava all'indirizzo dove abitavo 10 anni fa ... 10 anni capite??!! E adesso mi trovo a dover pagare sta multa , ma che interessi ci pago sopra? Perché il mio ricorso non e' stato accettato? Perché mi hanno fatto un fermo amministrativo senza che io ne fossi informata? Ma quale ABUSO DI POTERE e' questo, ho letto su internet che c'e parecchia gente a cui hanno pignorato la casa per 2.000 euro. Ma in che cavolo di Paese viviamo? E' questo il potere che lo Stato ( il sig Tremonti ) ha dato al sig Befera? E' questo lo Stato che dovrebbe difendere i cittadini e invece li accusa di evasione fiscale, di essere dei disonesti e gli mette le mani in tasca senza neanche avvisarli, é questo lo Stato che vogliamo? Che non ci ascolta , che ci espropria dalle nostre terre ( vedi Tav) , che ci fa sentire che non valiamo niente, che siamo solo degli ignoranti senza un pensiero intelligente, perché se non diciamo sempre si siamo stupidi,. E' ora di far capire che il Paese é nostro e che non li vogliamo più ,facciamo qualcosa cacciamoli, facciamoci sentire non permettiamo che uccidano il nostro futuro e quello dei nostri figli." (lalla t., castellarano)
"Quello che i partiti non hanno ancora capito è che il Paese appartiene ai cittadini. Il Paese è nostro!"E' la prima volta che scrivo in un blog, io vorrei sapere se qualcuno di voi ha avuto a che fare con Equitalia, io sono allibita ho messo in vendita la mia macchina ed ho saputo che avevo un fermo amministrativo da un anno!!! Non ne sapevo niente perche la multa ( 600 euro ora diventati 1.900) arrivava all'indirizzo dove abitavo 10 anni fa ... 10 anni capite??!! E adesso mi trovo a dover pagare sta multa , ma che interessi ci pago sopra? Perché il mio ricorso non e' stato accettato? Perché mi hanno fatto un fermo amministrativo senza che io ne fossi informata? Ma quale ABUSO DI POTERE e' questo, ho letto su internet che c'e parecchia gente a cui hanno pignorato la casa per 2.000 euro. Ma in che cavolo di Paese viviamo? E' questo il potere che lo Stato ( il sig Tremonti ) ha dato al sig Befera? E' questo lo Stato che dovrebbe difendere i cittadini e invece li accusa di evasione fiscale, di essere dei disonesti e gli mette le mani in tasca senza neanche avvisarli, é questo lo Stato che vogliamo? Che non ci ascolta , che ci espropria dalle nostre terre ( vedi Tav) , che ci fa sentire che non valiamo niente, che siamo solo degli ignoranti senza un pensiero intelligente, perché se non diciamo sempre si siamo stupidi,. E' ora di far capire che il Paese é nostro e che non li vogliamo più ,facciamo qualcosa cacciamoli, facciamoci sentire non permettiamo che uccidano il nostro futuro e quello dei nostri figli." (lalla t., castellarano)
lunedì 4 luglio 2011
domenica 3 luglio 2011
sabato 2 luglio 2011
Io sono sardo e me ne vanto
"Chi vi scrive è un emigrato fortunato. Uno dei seicentomila sardi che hanno lasciato la Sardegna per lavorare altrove. Ma in una posizione di privilegio, comoda, protetta. All'inizio mi pareva strano che si usasse la stessa parola - emigrato - per operai e soldati, camerieri e minatori, gente che si spezza la schiena per mettere assieme il pranzo e la cena, e per categorie privilegiate quali gli imprenditori e, appunto, i giornalisti. Ne ho recuperato il senso generale lentamente, incontrando emigrati sardi in Italia e nel mondo, dagli Stati Uniti all'Australia, dalla Germania all'Argentina, e scoprendo che avevamo condiviso tutti, indipendentemente dalla professione e dal censo, lo stesso processo: la trasformazione della nostalgia in rabbia.E' un processo lento ma inesorabile. A un certo punto si esaurisce il piacere di perdersi nelle strade sconosciute e cominci a vedere il dolore e la solitudine metropolitani, poi un giorno l'acqua torbida di Ostia t'immalinconisce e la memoria del Poetto ti strugge, poi un altro giorno incontri in Somalia uomini che si uccidono per contendersi un pezzo di deserto e rivedi come un Eden gli spazi immensi della tua infanzia in Barbagia. E siccome avevi ormai cominciato a misurare le distanze col passo del luogo straniero, quei flash di memoria ti restituiscono il senso dell'essere la tua terra “quasi un Continente”. Scopri che quella definizione abusata, troppo spesso ripetuta, che ormai quasi ti irritava, è esatta: non esiste al mondo un altro luogo dove, in un così piccolo spazio, si concentri il mondo. Il passaggio dalla nostalgia alla rabbia è un viaggio a ritroso: cominci a rivedere la tua terra in ogni angolo del pianeta. E più lo giri, più la ritrovi: ti perseguita. Poi magari per il tuo lavoro ti capita d'incrociare le storie di uomini che lasciano la loro terra, rischiando la vita, spesso perdendola nel Mediterraneo, perché proprio non possono restare nel luogo dove sono nati, e allora ritrovi la consapevolezza della tua fortuna. Non è scontata la democrazia, non è scontato il benessere. Bisogna coltivarli. La democrazia va coltivata con lo stesso amore con cui si coltiva la terra. Cominci a notare le occasioni perdute e i talenti dissipati. Li ho visti, in queste settimane, mentre formavo la redazione di Sardegna24: decine e decine di curricula stellari, studi di eccellenza nelle migliori università del mondo, ed esperienze lavorative misere segnate da retribuzioni modeste e precarie. Il nostro futuro umiliato a favore degli amici degli amici, dei raccomandati, dei furbi. Rilevi che un tempo, quando sei partito, per lo meno agivano di nascosto, si vergognavano. Oggi, invece, quasi rivendicano come un valore la loro cialtroneria e la loro amoralità. Aguzzi lo sguardo e pensi che con tutta quella terra, con tutto quel mare, con tutta quella varietà, potremmo essere ricchi. Ricchi nella misura giusta: quella che dà a tutti i bambini che nascono le stesse opportunità. E constati che non solo non è così, ma che siamo gli ultimi. Gli ultimi nella pur misera ripresa del Paese, gli ultimi nella capacità di rivendicare i nostri diritti. Siamo minores – come i tiranni del malaffare che oggi come ieri dobbiamo buttare a mare – minores e patetici. Siamo giunti a utilizzare alcuni dei luoghi sacri della nostra memoria - Scintu, Dimonios – per coprire – come raccontiamo in questo nostro primo numero – l'incapacità di utilizzare le leggi per salvaguardare i nostri diritti. Povera Sardegna massacrata dai mediocri e dai vassalli. Povera Sardegna che umilia se stessa umiliando le sue migliori intelligenze. Povera terra mia trasformata nel bordello di un miliardario senza dignità. Può finire così una privilegiata esperienza migratoria. Semplicemente con la rabbia che nasce dall'indignazione.Non esiste il giornalismo obiettivo. Esiste il giornalismo onesto. E' la più importante tra le cose che ho imparato da Eugenio Scalfari quando, più di vent'anni fa, andai a lavorare a Repubblica. Non esiste il giornalismo asettico, esiste il giornalismo che offre un punto di vista sul mondo, come abbiamo tentato di fare in questi ultimi anni con Concita De Gregorio a l'Unità. Esiste solo il giornalismo che riferisce la verità sostanziale dei fatti, senza travisamenti e senza censure. Il giornalismo che informa. Quello dove i lettori comprano i giornali non per contare i morti, ma per capire i vivi. E' un lavoro duro che richiede pazienza e umiltà. Gli editori di questo giornale mi hanno garantito assoluta autonomia, e la eserciterò in pieno. Sarete voi, i lettori, a giudicare. E sarete voi stessi i protagonisti di questo progetto, perché Sardegna24 è il giornale che avete tra le mani, ma anche un sito internet, una radio. Una “piattaforma multimediale” aperta al contributo di tutti.Oggi, in questo primo numero, ho pensato che la cosa più onesta fosse rendere esplicite le motivazioni. Secondo la lezione di uno dei più grandi report del nostro tempo, Ryszard Kapuscinski, credo nel giornalismo che cambia la realtà e dà voce agli ultimi". (Giovanni Maria Bellu)
Roma non ci piace più
"La tragica vicenda di Alberto Bonanni, picchiato a sangue e ridotto in fin di vita nel centro storico di Roma, ha nuovamente attirato l’attenzione sul fondamentale tema della sicurezza sul quale, è bene ricordarlo, il sindaco Alemanno nel 2008 (con tecnica mascalzonesca ) ha fondato gran parte della sua fortuna elettorale.
La violenza al rione Monti è un fatto gravissimo, ultimo di una lunga serie di aggressioni, stupri e rapine. Sono convinto che tra i tanti fattori che favoriscono la violenza uno dei principali sia la disgregazione civile, sociale e morale di una comunità. A Roma la questione sicurezza è strettamente connessa a una precisa domanda alla quale il sindaco Alemanno non ha mai risposto: qual è la sua idea di Roma? Qual è il suo impegno per le periferie? Qual è il suo progetto, se ne ha uno, per la preservazione e manutenzione di quel grande “museo a cielo aperto” che è il centro di Roma?
Roma ha un centro storico che racchiude un immenso reticolo di tesori artistici: palazzi, monumenti, strade, vicoli, basiliche, chiese. Ma è anche un luogo dove tanti romani vivono e lavorano che, come dimostra la cronaca odierna, è giunto a un livello di degrado definibile con una sola parola: inaccettabile.
Nessuno chiede ad Alemanno di fare quello che, con ogni evidenza, non è alla sua portata. Ma i romani hanno il diritto di sapere quali sono le sue idee e i suoi progetti per il presente e per il futuro della città, quante risorse vuole impegnare, quanto tempo gli serve per conseguire risultati visibili.
Negli ultimi tre anni i romani hanno assistito a una vera e propria trasformazione (in peggio) del carattere urbanistico e architettonico della città. Il centro, cuore nevralgico della Capitale, si sta progressivamente trasformando in un suk dove dominano disordine, anarchia e, spesso, illegalità. Capita a chiunque, purtroppo anche ai tantissimi turisti, di imbattersi in decine e decine di baracchini di ambulanti, ben posizionati davanti ai principali monumenti della città attrezzati come veri e propri supermarket. Nascono come funghi ristoranti, gelaterie e pizze a taglio al posto di esercizi storici che vantavano una lunga tradizione. Aprono ovunque botteghe senza arte né parte, accomunate solo dal cattivo gusto della merce che espongono: tutti le stesse, identiche schifezze. Il centro di Roma cambia (anzi, ha già cambiato) il suo profilo, la città diventa impersonale e perde l’anima. Il suo carattere di comunità solidale e amichevole si sta lentamente spegnendo per responsabilità più che dei romani, dell’amministrazione che li governa.
Nella sua storia, Roma è sempre stata una grande capitale mondiale dell’accoglienza. Un’accoglienza di qualità che, fino a ieri, ha saputo preservare, pur tra mille difficoltà, un tessuto urbano e monumentale che è l’orgoglio dell’intera nazione. Se il Sindaco non ha chiaro che cosa deve fare per il bene di Roma, dedichi il suo tempo alla crisi del Popolo delle Libertà e dichiari il suo fallimento come amministratore". (Luigi Zanda)
La violenza al rione Monti è un fatto gravissimo, ultimo di una lunga serie di aggressioni, stupri e rapine. Sono convinto che tra i tanti fattori che favoriscono la violenza uno dei principali sia la disgregazione civile, sociale e morale di una comunità. A Roma la questione sicurezza è strettamente connessa a una precisa domanda alla quale il sindaco Alemanno non ha mai risposto: qual è la sua idea di Roma? Qual è il suo impegno per le periferie? Qual è il suo progetto, se ne ha uno, per la preservazione e manutenzione di quel grande “museo a cielo aperto” che è il centro di Roma?
Roma ha un centro storico che racchiude un immenso reticolo di tesori artistici: palazzi, monumenti, strade, vicoli, basiliche, chiese. Ma è anche un luogo dove tanti romani vivono e lavorano che, come dimostra la cronaca odierna, è giunto a un livello di degrado definibile con una sola parola: inaccettabile.
Nessuno chiede ad Alemanno di fare quello che, con ogni evidenza, non è alla sua portata. Ma i romani hanno il diritto di sapere quali sono le sue idee e i suoi progetti per il presente e per il futuro della città, quante risorse vuole impegnare, quanto tempo gli serve per conseguire risultati visibili.
Negli ultimi tre anni i romani hanno assistito a una vera e propria trasformazione (in peggio) del carattere urbanistico e architettonico della città. Il centro, cuore nevralgico della Capitale, si sta progressivamente trasformando in un suk dove dominano disordine, anarchia e, spesso, illegalità. Capita a chiunque, purtroppo anche ai tantissimi turisti, di imbattersi in decine e decine di baracchini di ambulanti, ben posizionati davanti ai principali monumenti della città attrezzati come veri e propri supermarket. Nascono come funghi ristoranti, gelaterie e pizze a taglio al posto di esercizi storici che vantavano una lunga tradizione. Aprono ovunque botteghe senza arte né parte, accomunate solo dal cattivo gusto della merce che espongono: tutti le stesse, identiche schifezze. Il centro di Roma cambia (anzi, ha già cambiato) il suo profilo, la città diventa impersonale e perde l’anima. Il suo carattere di comunità solidale e amichevole si sta lentamente spegnendo per responsabilità più che dei romani, dell’amministrazione che li governa.
Nella sua storia, Roma è sempre stata una grande capitale mondiale dell’accoglienza. Un’accoglienza di qualità che, fino a ieri, ha saputo preservare, pur tra mille difficoltà, un tessuto urbano e monumentale che è l’orgoglio dell’intera nazione. Se il Sindaco non ha chiaro che cosa deve fare per il bene di Roma, dedichi il suo tempo alla crisi del Popolo delle Libertà e dichiari il suo fallimento come amministratore". (Luigi Zanda)
No tav, no tav
"Per chi suonano oggi le campane in Val di Susa? Suonano anche per voi. Voi che per indifferenza, per partito preso o che, a causa delle televisioni e dei giornali, siete disinformati. Prima vennero a prendere i ragazzi del G8, li pestarono e li infamarono, poi ogni manifestazione contraria al Potere fu trattata allo stesso modo, botte agli operai (ricordate Pomigliano?), ai pastori sardi, agli studenti (ricordate le proteste per la Legge Gelmini?). Mancavano ancora gli anziani, i vecchi. A questo si è provveduto domenica scorsa con signore che potrebbero essere le nonne dei baldi poliziotti, attaccate con gas lacrimogeni alla Maddalena. Boccheggiavano per terra. Vomitavano. La polizia passava oltre, senza aiutarle, e avanzava indomita per manganellare chi scappava nei boschi. Chi ha ordinato ai nostri dipendenti in divisa (li paghiamo noi, devono difendere noi) di tagliare le tende lasciate al presidio, di pisciarci e cagarci dentro, come l'ultimo dei teppisti? I fumogeni contenevano lacrimogeni al CS” (orto-clorobenziliden-malononitrile) che rientrano tra le cosiddette “armi chimiche”. Chi li ha autorizzati? Il secessionista e condannato in via definitiva Maroni, che sembra la caricatura di Bagonghi? Maroni ha l'autorità di fare questo agli italiani che difendono il loro territorio? Maroni di "padroni a casa nostra"?
Le campane in Val di Susa suonano a distesa, è giorno di messa. Oggi ci possono essere le prove generali della dittatura, ultima ancora di salvezza dei politici per salvare le penne di fronte al cataclisma economico prossimo venturo, o la nascita della democrazia in Italia. I referendum e le elezioni amministrative hanno dimostrato due cose. La prima è che tra società e partiti non esiste più alcun collegamento, i partiti del nucleare e della gestione privata dell'acqua sono stati spazzati via. La seconda è che i media non rappresentano più lo scudo degli inciuci e delle decisioni prese dall'alto. L'informazione in Rete è libera. I partiti, a iniziare dall'osceno duopolio Pdl-Pdmenoelle sono stati superati (fanculati?) dai cittadini, ma fanno finta di nulla. Continuano imperterriti nello scontro frontale. I media sono un ferrovecchio assistito dai finanziamenti pubblici. Non servono più a nulla, ormai sono allineati tra loro e senza alcuna credibilità. Le posizioni del Gruppo l'Espresso e di Mediaset sulla Tav in Val di Susa sono identiche. De Beneduttoni. Al Potere rimane l'ultima difesa: lo Stato di Polizia. La strategia infame di mettere gli italiani gli uni contro gli altri. Carne da macello. Le campane in Val di Susa, delle sue chiese, questa domenica suonano per tutti gli italiani. Ascoltatele, sono anche la vostra voce. E' la voce della democrazia".(dal blog di Beppe Grillo)
"Spettabile Commissario europeo per i Trasporti Siim Kallas,le scrivo per metterla al corrente, se già non lo fosse, che lei ha una grande responsabilità nei confronti degli abitanti della Valle di Susa e, più in generale, verso gli italiani. Il traforo che dovrebbe collegare la Torino Lione è inutile in quanto le merci, si parla infatti di TAC (Treni ad Alta Capacità) e non di TAV, che transitano per l'attuale tratta ferroviaria Torino-Modane sono in costante diminuzione da anni e tutte le previsioni per il futuro confermano l'attuale tendenza. I lavori dovrebbero durare almeno vent'anni e nessun economista o esperto di collegamenti al mondo può dire quali saranno le necessità dei trasporti nel 2032. Io e lei forse non ci saremo più, ma rimarranno i figli e i nipoti di una valle sventrata e già oggi stuprata dalla militarizzazione, i cui abitanti, figli della civile Europa alpina, sono trattati alla stregua di criminali senza avere alcuna colpa se non quella di voler difendere la loro terra dalla distruzione e dalla speculazione e la salute delle prossime generazioni. Lo scavo infatti disperderebbe grandi quantità di amianto, come riportato in più occasioni da personale medico.I politici italiani si fanno scudo dell'Europa, ma in realtà dalla UE vogliono solo i soldi, 672 milioni, maledetti e subito. Poi si vedrà. Il costo dell'opera è stimato in 22 miliardi tutti a carico della collettività, nessuna azienda privata investirebbe miliardi senza un ritorno economico. L'Italia è pericolosamente vicina al default e il ministro dell'Economia Tremonti ha chiesto e ottenuto 47 miliardi tra tagli di spesa sociale e nuove tasse. Poteva, senza il fardello di questa opera mostruosa e inutile, chiedere metà dei sacrifici agli italiani o destinare 22 miliardi allo sviluppo del tessuto industriale del Piemonte e del Paese.Il prossimo 6 luglio ci sarà la conferenza intergovernativa Italia-Francia sulla TAC in Val di Susa. Lei ha fatto sapere, attraverso la sua portavoce Helen Kearns, che non sono ancora rispettate le tre condizioni fissate per ottenere i fondi europei: apertura del cantiere per il tunnel esplorativo di 7,5 chilometri della Maddalena, l’approvazione dei nuovi progetti e la firma di un accordo bilaterale sulla ripartizione dei costi finanziari dell’opera. Ci sono però anche una quarta e una quinta condizione che lei dovrebbe valutare: l'utilità dell'opera che non ha alcun presupposto e il consenso dei valsusini che in quella valle vivono da secoli e che, prima di ora, prima di questa colossale truffa nei confronti della UE e degli italiani, era stata occupata una sola volta nella Storia moderna: dai nazifascisti. Spero che lei si schieri per l'Europa dei popoli e non per quella degli affaristi e delle lobby. Se lo farà, le sarò eternamente grato." Beppe Grillo
P.S. Scrivi al Commissario per i Trasporti europeo Siim Kallas per chiedergli di bloccare la Tav in Val di Susa: mailto:CAB-KALLAS-WEB-FEEDBACK@ec.europa.eu;siim.kallas@ec.europa.eu?subject=No". (dal blog di Beppe Grillo)
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