Nonostante la risoluzione Onu, il leader libico questa mattina, 19 marzo 2011, ha avviato bombardamenti sulla città in mano ai ribelli. Gli attacchi sono iniziati dopo che ieri il ministro degli Esteri aveva annunciato un cessato il fuoco totale in rispetto degli accordi internazionali. Così non è stato. L'obiettivo del rais è quello di riconquistare le città prima del summit parigino tra Lega Araba, Unione europea e Stati Uniti. Sempre ieri Gheddafi aveva autorizzato i bombardamenti a Misurata. Poi la marcia indietro: "La vita dei civili è la nostra priorità". I ribelli: "Non è vero, si continua a combattere". La Francia pronta ai raid. Il governo italiano: "A disposizione basi e uomini".
"Noi occidentali abbiamo spesso guardato dall'alto in basso gli arabi, gli africani. Non parlo di razzisti e xenofobi e delle loro pulsioni meschine ed egoistiche, mi riferisco agli altri, a quelli che si pensano normali e che un po' di distanza l'hanno sempre messa da quelli dalla pelle più scura e dall'odore forte di corpi che raccontano della sofferenza di popoli in lotta da sempre, ed oggi, ancora, in lotta anche per acqua e cibo. Siamo talmente storditi dall'opulenza consumistica - dal dibattito sulla indecente volontà di privatizzare l'acqua - che non riflettiamo nemmeno abbastanza sul fatto che le montagne di spazzatura che circondano Napoli e provincia, nell'indifferenza di ampie moltitudini di gente, non sono presenti nemmeno in quello che viene chiamato terzo mondo. Ci rassegniamo alla mortificazione quotidiana della democrazia e ai poteri oligarchici sempre più asfissianti perché abbiamo ancora benessere a sufficienza e perché i detentori del potere non fanno ancora uso dell'olio di ricino e di violenze fisiche diffuse limitandosi all'abuso della legge e alla violenza morale del potere. L'indignazione sociale non è ancora sufficiente, ma cresce ed è un bene se sarà tradotta in energia positiva. Dal Nord Africa al Medio Oriente dilaga, invece, l'uso della democrazia. Soprattutto in Egitto abbiamo assistito alla forza imponente della democrazia partecipativa che trova linfa dalla mortificazione delle libertà civili, dal radicamento delle disuguaglianze sociali e in un conflitto sociale in crescente consolidamento. Il regime egiziano, come del resto quello libico, sembravano immodificabili. Coincidenza tra potere politico e militare, controllo dell'economia, sostegno da parte dei governi occidentali e delle istituzioni internazionali. Dittature che riservavano agli oppositori infami destini: tortura, carcere, soppressione fisica. Eppure a molti occidentali andava bene tutto questo, perché quelle dittature rassicuravano il capitalismo dal pericolo, più o meno fondato, dei fondamentalismi islamici. Ecco il mercimonio politico-diplomatico: sostegno occidentale totale ottenendo in cambio il controllo degli estremismi. Nulla importa se le dittature calpestano diritti umani, reprimono il dissenso, uccidono ogni anelito di democrazia. L'occidente, in testa gli Stati Uniti, sempre pronto a propagandare e praticare l'esportazione della democrazia quando si tratta di fare guerre che hanno, in realtà, l'obiettivo di mettere in moto l'economia degli armamenti, difendere gli interessi petrolifici ed ottenere il controllo geopolitico in aree strategiche del pianeta, non ha alzato la voce della democrazia per quanto accadeva, da decenni, in Tunisia, Algeria, Egitto, Libia, Palestina, Medio Oriente, Paesi Arabi. Addirittura l'Italia, nel 2008, ha firmato il Trattato con la Libia, per interessi commerciali, affari ed eliminazione degli immigrati. Autori, Berlusconi e Gheddafi, il sultano del bunga-bunga e il satrapo cavallerizzo. Non c'è nulla, in quel trattato, su democrazia e diritti umani. Il popolo africano ha mortificato l'occidente dandoci una lezione di democrazia. L'uso di Internet per organizzarsi e mettere in rete la rivoluzione, gli studenti che invece di deprimersi per l'assenza di lavoro e di prospettive future e confondersi nell'edonismo del potere, sono stati protagonisti attivi del rovesciamento del regime; le donne in prima linea nelle piazze con la loro passione, operai e ceto produttivo illuminato uniti nella lotta per i diritti e per la democrazia. I regimi sono scricchiolati e stanno crollando per le lotte delle persone, stanche di essere non-persone, senza aver ottenuto alcun aiuto da parte di un occidente impotente e preoccupato solo a salvaguardare i suoi interessi economici e commerciali. Studenti, anziani, donne in minigonna e donne con il velo, borghesia, operai, contadini, il popolo si è messo in movimento e ha consegnato alla storia pagine di democrazia. Un popolo pensante, non narcotizzato. La democrazia non si esporta falsamente con le armi, come in Iraq e in Afghanistan, ma si realizza dal basso e, se lo si vuole, con la diplomazia e la politica. In Italia la politica estera è affari, abuso del potere, difesa degli interessi dei più forti. Il vento caldo africano spero faccia bene anche a noi per contribuire ad allontanare il puzzo del compromesso morale e il grasso dell'opulenza che annebbia il cervello e comprime i cuori. Liberiamoci anche noi". (dal blog di Luigi de Magistris)
"L’Onu autorizza l’intervento armato per difendere Bengasi accerchiata dalle forze del colonnello Gheddafi, che replica minacciando fuoco e fiamme in tutto lo scacchiere del Mediterraneo. Con dieci voti a favore e cinque astensioni il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 1973 che chiede l’immediato cessate il fuoco, prevede la «no fly zone» sui cieli della Libia e autorizza il ricorso ad «ogni mezzo necessario» per «proteggere i civili» con particolare riferimento alla «zona di Bengasi ». L’unica limitazione è l’impegno a «non inviare forze di occupazione», dunque truppe di terra, ma per il resto il richiamo al capitolo VII della Carta dell’Onu legittima ogni tipo di azione militare «per il mantenimento della pace e della sicurezza». Ciò significa che il voto apre la strada ad attacchi aeronavali. E’ l’ambasciatore britannico al Palazzo di Vetro, Mark Lyall Grant, a spiegare quanto avvenuto: «Le forze di Gheddafi già colpevoli di gravi crimini contro i civili sono a ridosso di una città di un milione di persone e con 2500 anni di Storia».L’ accelerazione al Palazzo di Vetro nasce dal timore che l’assalto a Bengasi da parte delle forze di sicurezza guidate da Khamis Gheddafi, figlio del colonnello, possa innescare una strage di immani dimensioni. D’altra parte il colonnello lo avvalora tuonando alla radio: «Vi stiamo venendo a prendere, vi troveremo anche dentro gli armadi, arrendetevi deponendo le armi altrimenti non avremo pietà». La scelta di affidare l’assalto alle forze di sicurezza - polizia e intelligence - e non all’esercito lascia intendere cosa si prepara. Parigi, Washington e Londra hanno raggiunto l’intesa sul testo di una seconda risoluzione che segue la 1970 sulle sanzioni economiche raccogliendo altri sette voti favorevoli nel Consiglio di Sicurezza: Bosnia, Gabon, Nigeria, Sudafrica, Portogallo, Colombia e Libano. L’assenza di riferimenti a truppe di terra non è bastata ad ottenere l’avallo di Mosca e Pechino che si sono astenute assieme a Germania, India e Brasile. Le trattative precedenti al voto hanno visto l’ambasciatrice Usa all’Onu Susan Rice impegnata in una maratona di incontri assieme ai colleghi di Parigi e Londra, ma le resistenze di Germania, India e Brasile hanno complicato il negoziato, consentendo un’approvazione a maggioranza rispetto all’unanimità con cui passò la 1970. L’accelerazione diplomatica è stata decisa da Usa, Francia e Gran Bretagna sulla base della comune considerazione che «la nofly zone non basta più»come ha sottolineato Susan Rice, in quanto la rapida avanzata delle forze di Gheddafi in Cirenaica fa temere la possibile caduta di Bengasi, roccaforte dei ribelli, con il conseguente rischio di vendette sanguinose contro la popolazione.Da qui l’ipotesi, avvalorata da portavoci di Parigi, che un attacco aereo della Nato contro le truppe di Gheddafi possa scattare «nelle ore immediatamente successive» all’approvazione del testo Onu. Il Segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, assicura che «l’Alleanza è pronta ad agire in qualsiasi momento». Anche i portavoce della Lega Araba hanno assicurato «pieno sostegno e partecipazione» all’operazione militare, destinata ad avere «fini umanitari»come autorizzato dalla risoluzione 1970, redatta sulla base del capitolo VII della Carta dell’Onu che prevede interventi per «preservare pace e sicurezza ». E’ sulla base dello stesso capitolo VII che nel 1999 la Nato intervenne nei Balcani nel 1999. Se la cornice legale e le motivazioni strategiche della nuova risoluzione sono definite, resta invece il top secret sul tipo di opzione militare che le forze Nato ed arabe seguiranno. Anche perché l’obiettivo resta, come conferma un portavoce del Dipartimento di Stato, «l’abbandono del potere da parte di Gheddafi». L’ipotesi più discussa, raid aerei e bombardamenti navali, potrebbe risultare insufficiente se i ribelli non avranno la capacità di andare al contrattacco. A complicare i piani militari c’è l’Unione Africana che, a differenza della Lega Araba, non si è schierata a sostegno dell’intervento e dunque impedisce di adoperare il territorio dei Paesi del Sahel. L’Unione Europa invece, con il presidente permanente Hernan Van Rompuy, si è detta «pronta a mettere in pratica la risoluzione» dando l’assenso alla concessione dello spazio aereo e terrestre.Poco prima dell’approvazione della risoluzione, il colonnello ha tuonato da Tripoli che «qualsiasi tipo di azione da parte dell’Onu sarà illegale» minacciando rappresaglie: «Ogni intervento militare contro di noi metterà a rischio il traffico aereo e marittimo nelMediterraneo » e «tutte le strutture civili e militari diventeranno legittimo obiettivo del nostro contrattacco », parlando di «pericoli per il Mediterraneonel lungo termine». Dopo il voto dell’Onu a parlare invece è stato Khaled Kaaim, viceministro degli Esteri, affermando la «disponibilità ad osservare il cessate il fuoco» ma chiedendo al Palazzo di Vetro «dettagli tecnici ». Kaaim ha mandato anche un esplicito messaggio all’Italia: «Speriamo che non conceda le basi, rispettando la nostra integrità territoriale». E ieri sera si è tenuto un improvvisato vertice tra il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e alti gradi delle forze armate. Al colloquio si è poco dopo unito anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano, immediatamente informato degli sviluppi della situazione sulla Libia". (da 'La Stampa')
" È sempre alta tensione nello Yemen. Dopo gli scontri di ieri 1 nella capitale Sana'a, che hanno provocato almeno 52 vittime e 127 feriti , oggi la polizia ha sparato sui manifestanti ad Aden, nel sud del paese. Un primo bilancio parla di 4 feriti, secondo quanto riferiscono alcuni testimoni. La polizia e l'esercito avrebbero aperto il fuoco sui manifestanti che difendevano una barricata nel quartiere di Moalla, ad Aden. Secondo i testimoni, un manifestante è stato colpito da una pallottola, gli altri tre da granate lacrimogene. Le forze dell'ordine non sono riuscite a smantellare le barricate, che resistono ad Aden da due settimane. Sempre oggi si registra una nuova imponente manifestazione dell'opposizione. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza anche oggi in piazza del Cambiamento, a Sana'a, per chiedere le dimissioni del presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh. Lo ha riferito l'agenzia d'informazione 'Dpa'. La manifestazione si tiene all'indomani degli scontri nella capitale Sana'a nel corso di una manifestazione di protesta contro il presidente yemenita Ali Abdallah Saleh. La gravità del bilancio delle vittime ha spinto il governo di Saleh - al potere da 32 anni - a proclamare lo stato di emergenza. Secondo le prime testimonianze a sparare sulla folla sarebbe stato un gruppo di sostenitori del governo appostati sui tetti delle abitazioni che si affacciano su piazza dell'università, dove si svolgeva la manifestazione; la polizia da parte sua avrebbe usato i gas lacrimogeni e - secondo alcune fonti - sarebbe anche ricorsa alle armi da fuoco". (La Repubblica)
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