lunedì 31 maggio 2010
Easy rider
E' nato su Facebook il Gruppo "Gorgona ai gorgonesi". Chi ama e ha vissuto l'isola di Gorgona è invitato a parteciparvi.
Israele, ora basta!
"“Un attacco inaccettabile su cui occorre fare piena luce, imponendo alle autorità israeliane la massima collaborazione per chiarire le dinamiche di un’aggressione che rischia di avvelenare, ulteriormente, il clima politico e sociale del Medio Oriente. Per questo bene ha fatto l’Europa ad affermare la necessità di istituire un’inchiesta, sollecitando l'apertura senza condizioni e immediata di un varco che consenta il passaggio per il flusso di aiuti umanitari, beni commerciali e persone da e per Gaza. Da anni la popolazione di Gaza subisce una sistematica violazione dei suoi diritti: l'occupazione e l'esproprio delle sue terre, l'impossibilità di soddisfare bisogni vitali per la mancanza di beni primari, la non attuazione delle risoluzioni internazionali. L'Europa, gli Usa e l'Onu non possono consentire che la tragedia del popolo palestinese perduri ancora, voltando lo sguardo dall’altra parte e alimentando un atteggiamento ingiusto di accondiscendenza totale nei confronti di Israele”. (Luigi De Magistris)
Caro Andrea, questa volta mi sei piaciuto
Sul sito di Italia Futura, la fondazione di Luca di Montezemolo, è apparso questa mattina un durissimo editoriale contro il ministro Tremonti, firmato con uno pseudonimo. Il titolare del Tesoro viene definito "l'imperatore dei marziani".
Ecco alcuni stralci del pezzo.
"Questa mattina, proseguendo il censimento di coloro che dopo decenni di politica sembrano essere appena sbarcati da un altro pianeta, Zamjatin (pseudonimo usato dall'editorialista ndr) ha letto con attenzione l’intervista che il ministro dell’ economia Giulio Tremonti ha concesso ad uno dei principali quotidiani italiani (il Corriere della Sera ndr). Eppure Zamjatin si è chiesto se l’intervistato fosse proprio il ministro dell’economia, o se invece si trattasse di un filosofo della storia che in questo difficile giorno voleva distrarre i lettori con considerazioni sui tempi lunghi dell’umanità e sul valore profetico che le sue visioni hanno mostrato nel corso degli anni. Sì, perché dall’intervista si apprende che il filosofo Tremonti già nel 2008 aveva scritto il copione della crisi nel suo libro “La paura e la speranza”; già nel 1997 aveva rinverdito le basi “dell’illuminismo giuridico” nel suo libro “Lo Stato criminogeno”; già nel 1994 aveva denunciato il “drammatico errore politico” della globalizzazione nel suo libro “Il fantasma della povertà”. Così come Zamjatin vi ha trovato poche notizie sulla manovra economica ma certamente molti spunti per dottissime conversazioni estive. Non tutti i popoli sono fortunati come gli italiani, che alla guida dell’economia si trovano un filosofo e non un semplice ministro. Ma per Zamjatin è stato inevitabile domandarsi se il filosofo della storia Tremonti, dotato di tanta capacità di previsione, sia lo stesso che in questo quindicennio è stato ministro delle finanze e dell’economia per un totale di circa otto anni. O se il Tremonti antielitario che oggi descrive il “tornante della storia … avvertito più dal basso che dall’alto, più che dai popoli che dalle élites” sia lo stesso che occupa da anni la presidenza dell’Aspen Institute che tanta élite riunisce con tanta efficacia. O se si tratti dello stesso uomo politico che ha incarnato molteplici parti in commedia sin da quando, ormai trent’anni fa, si è affacciato sulla scena del potere romano. Perché Tremonti è lo stesso che è stato dapprima nel motore del riformismo socialista con Reviglio, poi esponente del nuovismo post-democristiano con Segni, quindi transfuga nelle file del primo Berlusconi, poi ancora avversario della moneta unica europea, successivamente l’indimenticabile ministro della finanza creativa e della cartolarizzazione, quindi l’ uomo di riferimento della Lega nel cuore del berlusconismo, quindi l’oracolo che prevedeva ogni crisi internazionale, poi il ministro nuovamente indimenticabile dell’ennesimo condono, quindi colui che cinguettava con gli immortali spiriti anticapitalisti della sinistra per silenziare gli economisti e infine l’alfiere del rigore. Tutte incarnazioni diverse per un unico percorso personale, naturalmente legittimo ma altrettanto naturalmente lontano da ogni coerenza politica che non sia quella della più tenace promozione di sé. Un percorso che oggi raggiunge il suo apice, soprattutto laddove il ministro scopre che la vera anomalia italiana è “l’e vasione fiscale colossale”. Non c’è dubbio. A Tremonti spetta a buon diritto la corona di Imperatore dei Marziani". (La Repubblica)
Ecco alcuni stralci del pezzo.
"Questa mattina, proseguendo il censimento di coloro che dopo decenni di politica sembrano essere appena sbarcati da un altro pianeta, Zamjatin (pseudonimo usato dall'editorialista ndr) ha letto con attenzione l’intervista che il ministro dell’ economia Giulio Tremonti ha concesso ad uno dei principali quotidiani italiani (il Corriere della Sera ndr). Eppure Zamjatin si è chiesto se l’intervistato fosse proprio il ministro dell’economia, o se invece si trattasse di un filosofo della storia che in questo difficile giorno voleva distrarre i lettori con considerazioni sui tempi lunghi dell’umanità e sul valore profetico che le sue visioni hanno mostrato nel corso degli anni. Sì, perché dall’intervista si apprende che il filosofo Tremonti già nel 2008 aveva scritto il copione della crisi nel suo libro “La paura e la speranza”; già nel 1997 aveva rinverdito le basi “dell’illuminismo giuridico” nel suo libro “Lo Stato criminogeno”; già nel 1994 aveva denunciato il “drammatico errore politico” della globalizzazione nel suo libro “Il fantasma della povertà”. Così come Zamjatin vi ha trovato poche notizie sulla manovra economica ma certamente molti spunti per dottissime conversazioni estive. Non tutti i popoli sono fortunati come gli italiani, che alla guida dell’economia si trovano un filosofo e non un semplice ministro. Ma per Zamjatin è stato inevitabile domandarsi se il filosofo della storia Tremonti, dotato di tanta capacità di previsione, sia lo stesso che in questo quindicennio è stato ministro delle finanze e dell’economia per un totale di circa otto anni. O se il Tremonti antielitario che oggi descrive il “tornante della storia … avvertito più dal basso che dall’alto, più che dai popoli che dalle élites” sia lo stesso che occupa da anni la presidenza dell’Aspen Institute che tanta élite riunisce con tanta efficacia. O se si tratti dello stesso uomo politico che ha incarnato molteplici parti in commedia sin da quando, ormai trent’anni fa, si è affacciato sulla scena del potere romano. Perché Tremonti è lo stesso che è stato dapprima nel motore del riformismo socialista con Reviglio, poi esponente del nuovismo post-democristiano con Segni, quindi transfuga nelle file del primo Berlusconi, poi ancora avversario della moneta unica europea, successivamente l’indimenticabile ministro della finanza creativa e della cartolarizzazione, quindi l’ uomo di riferimento della Lega nel cuore del berlusconismo, quindi l’oracolo che prevedeva ogni crisi internazionale, poi il ministro nuovamente indimenticabile dell’ennesimo condono, quindi colui che cinguettava con gli immortali spiriti anticapitalisti della sinistra per silenziare gli economisti e infine l’alfiere del rigore. Tutte incarnazioni diverse per un unico percorso personale, naturalmente legittimo ma altrettanto naturalmente lontano da ogni coerenza politica che non sia quella della più tenace promozione di sé. Un percorso che oggi raggiunge il suo apice, soprattutto laddove il ministro scopre che la vera anomalia italiana è “l’e vasione fiscale colossale”. Non c’è dubbio. A Tremonti spetta a buon diritto la corona di Imperatore dei Marziani". (La Repubblica)
Razzismo all'italiana
"Insomma, facciamo più incidenti degli altri o siamo considerati un popolo di truffatori?". Anna non se ne fa una ragione. Mentre prepara i caffè, dietro il bancone del bar in cui lavora, dà sfogo alla sua indignazione.Polizza maggiorata per alcuni immigrati. È polemica. "Al momento del rinnovo della polizza auto - spiega Anna - ho trovato un aumento di 250 euro. L'assicuratore mi ha spiegato che per alcuni stranieri è prevista una sorta di "rischio nazionalità" e che se fossi stata francese o tedesca non ci sarebbe stato nessun aumento, ma essendo romena...". Anna vive e lavora in Puglia, la sua agenzia è la Carige. Ma le "tariffe etniche" vengono applicate su tutto il territorio nazionale. Basta fare un viaggio attraverso call center e siti internet delle diverse compagnie. La Carige Assicurazioni, innanzitutto. L'agenzia di Anna non ha fatto altro che applicare le tariffe interne. Una verifica? Chiediamo un preventivo on-line. Maschio, residente a Roma, nato il 24 febbraio 1973, operaio, dipendente del settore privato, auto immatricolata a febbraio del 2000, benzina, 73 kw. Premio annuale (imposte comprese): 1.962,58 euro. Questo in base al preventivo numero 364857, nel quale ci siamo dichiarati di cittadinanza italiana. Ma se lasciamo tutto invariato e cambiamo solo la cittadinanza del contraente, le cose cambiano. Se siamo romeni, infatti, il premio sale a 2.257,50 euro (preventivo numero 364850). Un caso isolato? No. La Carige non è infatti l'unica ad applicare un rischio legato alla nazionalità. Basta fare un'altra prova, a caso. Chiediamo un preventivo alla Zurich Connect. Contraente maschio, single, residente a Roma, operaio, diplomato, nato il 24.02.1973. Auto Fiat 500 C1.2 Lounge benzina, immatricolata a gennaio 2010, nuova, assicurata per la prima volta. Valore dichiarato: 10.000 euro. Antifurto: assente. Il preventivo (datato 30 maggio 2010) varia a seconda della nazionalità che indichiamo: 1.040,76 euro se il contraente è italiano, 1.040,76 euro per uno statunitense, 1.251,14 euro per un romeno, 1.251,14 euro se a sottoscrivere il contratto è un marocchino. Insomma, se gli italiani pagano come gli statunitensi, il premio sale di molto per chi proviene dai Paesi tipici dei flussi migratori. Non tutte le assicurazioni, però, applicano tariffe differenziate. Anche in questo caso basta chiedere dei preventivi, prima come italiani, poi come romeni. La Genialloyd e la Milano Assicurazioni (gruppo Fondiaria Sai), per esempio, non fanno distinzioni in base alla nazionalità. Ma le "tariffe etniche" sono legittime? L'Ania, Associazione nazionale tra le assicurazioni, risponde semplicemente che "non ha né può avere i criteri di personalizzazione tariffaria delle rc auto". L'Isvap, che ha il compito istituzionale di vigilare sulle compagnie assicurative, sollecitata sul problema, preferisce tacere. E le associazioni dei consumatori? "In base alla liberalizzazione del '94 - sostiene Ivano Daelli di Altroconsumo - ogni compagnia ha diritto di applicare proprie tariffe, depositandole all'Isvap. La compagnia dunque può anche tariffare in modo diverso in base a una nazionalità, considerandola a maggior rischio. Il cliente deve allora affidarsi alla libera concorrenza". Di "grave diseguaglianza" parla invece l'avvocato Marco Paggi dell'Asgi (Associazione di studi giuridici sull'immigrazione), perché "l'articolo 43 del Testo unico sull'immigrazione considera discriminatorio l'accesso differenziato a un servizio, in base alla semplice nazionalità del richiedente". Annuncia battaglia, infine, Eugen Terteleac, presidente dell'Associazione romeni in Italia, contro quella che chiama "una palese diseguaglianza". (La Repubblica)
domenica 30 maggio 2010
L'Italia dei ladroni
"Al Parlamento europeo approviamo la dichiarazione scritta contro la corruzione ed in Italia i berluscones fanno la legge sulle intercettazioni che impedisce ai magistrati ed alle forze dell’ordine di svolgere le indagini contro il crimine. In Europa approviamo risoluzioni contro lo sperpero del denaro pubblico e per rafforzare la lotta alle frodi e in Italia i berluscones fanno il processo breve per garantire impunità ai colletti bianchi. In Europa approviamo risoluzioni per estendere sequestri e confische dei beni dei mafiosi in tutti i Paesi dell’Unione ed in Italia i berluscones fanno la legge che consente di venderli all’asta…per fare un po’ di soldini per la cricca e restituire gli immobili ai prestanome dei mafiosi. In Europa approviamo una risoluzione contro i paradisi fiscali per evitare il riciclaggio del denaro sporco e il finanziamento a mafie e terrorismo ed in Italia i berlusconesfanno lo scudo fiscale per alimentare economicamente la cricca di evasori, mafiosi, riciclatori, truffatori, corrotti e corruttori. In Europa approviamo provvedimenti sulla libertà di informazione ed in Italia i berluscones fanno la legge sulle intercettazioni (sempre quella che, come voluto trenta anni fa dalla P2, vuole mettere il guinzaglio e la museruola a magistrati e giornalisti) per impedire il diritto-dovere di cronaca. In Europa si approvano risoluzioni per contrastare la crisi economica edevitare che il debito pubblico cada sulle spalle sempre delle medesime categorie sociali (pensionati, lavoratori, dipendenti pubblici, operai, precari, giovani), in Italia i berluscones fanno la manovra economica che privilegia i ricchi e colpisce i poveri (basterebbe portare al 10% la somma che gli scudati debbono versare ed applicare una patrimoniale sulle classi dominanti della cricca per effettuare una finanziaria senza massacrare la povera gente…un pizzico di lotta all’evasione sarebbe anche un po’etico). In Europa l’aria è un po’ più fresca, in Italia i berluscones, fautori del puzzo del compromesso morale,debbono consolidare il loro potere mafioso e corrotto, arricchirsi sempre di più e tenere nell’ignoranza il resto del Paese, umiliandolo. Facciamo, presto e bene, una manovra, costruiamo un’alternativa politica prima che si divorano l’Italia da ogni punto di vista – vendendosi arte, cultura, storia ed anche l’anima del nostro Paese – e prima che l’Europa ci metta all’angolo da traditori rispetto ad una Comunità equa, solidale, giusta e tollerante. Ed uguale,i berluscones, infatti,non conoscono l’uguaglianza giuridica, sociale ed economica e mentre in Europa si include, i berluscones sono razzisti e xenofobi e si ispirano come modello di vita a Benito…predecessore del fondatore dei berluscones". (Luigi de Magistris)
sabato 29 maggio 2010
Golpe bianco
""Non c'è democrazia senza verità. Questo è il tempo della verità. Chi c'è dietro le stragi del '92 e '93? Chi c'è dietro le bombe contro il mio governo di allora? Il Paese ha il diritto di saperlo, per evitare che quella stagione si ripeta...". Dopo la denuncia di Piero Grasso 1, dopo l'appello di Walter Veltroni 2, ora anche Carlo Azeglio Ciampi chiede al governo e al presidente del Consiglio di rompere il muro del silenzio, di chiarire in Parlamento cosa accadde tra lo Stato e la mafia in uno dei passaggi più oscuri della nostra Repubblica.L'ex presidente, a Santa Severa per un weekend di riposo, è rimasto molto colpito dalle parole del procuratore nazionale antimafia, amplificate dall'ex leader del Pd. E non si sottrae a una riflessione e, prima ancora, a un ricordo di quei terribili giorni di quasi vent'anni fa. "Proprio la scorsa settimana ho parlato a lungo con Veltroni, che è venuto a trovarmi, di quelle angosciose vicende. E ora mi ritrovo al 100 per cento nei contenuti dell'intervista che ha rilasciato a "Repubblica". Quelle domande inevase, quel bisogno di sapere e di capire, riflettono pienamente i miei pensieri. Tuttora noi non sappiamo nulla di quei tragici attentati. Chi armò la mano degli attentatori? Fu solo la mafia, o dietro Cosa Nostra si mossero anche pezzi deviati dell'apparato statale, anzi dell'anti-Stato annidato dentro e contro lo Stato, come dice Veltroni? E perché, soprattutto, partì questo attacco allo Stato? Tuttora io stesso non so capire... ". Il ricordo di Ciampi è vivissimo. E il presidente emerito, all'epoca dei fatti presidente del Consiglio di un esecutivo di emergenza, che prese in mano un Paese sull'orlo del collasso politico (dopo Tangentopoli) e finanziario (dopo la maxi-svalutazione della lira) non esita ad azzardare l'ipotesi più inquietante: l'Italia, in quel frangente, rischiò il colpo di Stato, anche se è ignoto il profilo di chi ordì quella trama. "Il mio governo fu contrassegnato dalle bombe. Ricordo come fosse adesso quel 27 luglio, avevo appena terminato una giornata durissima che si era conclusa positivamente con lo sblocco della vertenza degli autotrasportatori. Ero tutto contento, e me ne andavo a Santa Severa per qualche ora di riposo. Arrivai a tarda sera, e a mezzanotte mi informarono della bomba a Milano. Chiamai subito Palazzo Chigi, per parlare con Andrea Manzella che era il mio segretario generale. Mentre parlavamo al telefono, udimmo un boato fortissimo, in diretta: era l'esplosione della bomba di San Giorgio al Velabro. Andrea mi disse "Carlo, non capisco cosa sta succedendo...", ma non fece in tempo a finire, perché cadde la linea. Io richiamai subito, ma non ci fu verso: le comunicazioni erano misteriosamente interrotte. Non esito a dirlo, oggi: ebbi paura che fossimo a un passo da un colpo di Stato. Lo pensai allora, e mi creda, lo penso ancora oggi... ".
Resta da capire per mano di chi. Su questo Ciampi allarga le braccia. "Non so dare risposte. So che allora corsi come un pazzo in macchina, e mi precipitai a Roma. Arrivai a Palazzo Chigi all'una e un quarto di notte, convocai un Consiglio supremo di difesa alle 3, perché ero convinto che lo Stato dovesse dare subito una risposta forte, immediata, visibile. Alle 4 parlai con Scalfaro al Quirinale, e gli dissi "presidente, dobbiamo reagire". Alle 8 del mattino riunii il Consiglio dei ministri, e subito dopo partii per Milano. Il golpe non ci fu, grazie a dio. Ma certo, su quella notte, sui giorni che la precedettero e la seguirono, resta un velo di mistero che è giunto il momento di squarciare, una volta per tutte". La certezza che esponeva ieri Veltroni è la stessa che ripete Ciampi: non furono solo stragi di mafia, ed anzi, sulla base delle inchieste si dovrebbe smettere di definirle così. Furono stragi di un "anti-Stato", ancora tutto da scoprire. E come Veltroni anche Ciampi aggiunge un dubbio: perché a un certo punto, poco dopo la nascita del suo governo, le stragi cominciano? E perché, a un certo punto, dopo gli eccidi di Falcone e Borsellino, le stragi finiscono? Perché la mafia comincia a mettere le bombe? Perché la mafia smette di mettere le bombe? È lo scenario ipotizzato dal procuratore Grasso: gli attentati servirono forse a preparare il terreno alla nascita di una nuova "entità politica", che doveva irrompere sulla scena tra le macerie di Mani Pulite. Un "aggregato imprenditoriale e politico" che doveva conservare la situazione esistente. Quell'entità, quell'aggregato, secondo questo scenario, potrebbe essere Forza Italia. Nel momento in cui quel partito si prepara a nascere, e siamo al '94, Cosa Nostra interrompe la strategia stragista. E' uno scenario credibile? Ciampi non si avventura in supposizioni: "Non sta a me parlare di tutto questo. Parlano gli avvenimenti di quel periodo. Parlano i fatti di allora, che sono quelli richiamati da Grasso. Il procuratore antimafia dice la verità, e io condivido pienamente le sue parole". Per questo, in nome di quella verità troppo a lungo negata, l'ex capo dello Stato oggi rilancia l'appello: è sacrosanto che chi sa parli. Ed è sacrosanto, come chiede Veltroni, che "Berlusconi e il governo non tacciano", perché la lotta alla mafia non è questione di parte, "ma è il tema bipartisan per eccellenza". Si apra dunque una sessione parlamentare, dedicata a far luce su quegli avvenimenti. Perché il clima che si respira oggi, a tratti, sembra pericolosamente rievocare quello del '92-'93. Ciampi stesso ne parlerà, in un libro autobiografico scritto insieme ad Arrigo Levi, che uscirà per "il Mulino" tra pochi giorni. "Lì è tutto scritto, ciò che accadde e ciò che penso. Così come lo riportai, ora per ora, sulle mie agende dell'epoca... ". Deve restare memoria, di tutto questo. Ma insieme alla memoria deve venir fuori anche la verità. "Perché senza verità - conclude l'ex presidente della Repubblica - non c'è democrazia". (La Repubblica)
Resta da capire per mano di chi. Su questo Ciampi allarga le braccia. "Non so dare risposte. So che allora corsi come un pazzo in macchina, e mi precipitai a Roma. Arrivai a Palazzo Chigi all'una e un quarto di notte, convocai un Consiglio supremo di difesa alle 3, perché ero convinto che lo Stato dovesse dare subito una risposta forte, immediata, visibile. Alle 4 parlai con Scalfaro al Quirinale, e gli dissi "presidente, dobbiamo reagire". Alle 8 del mattino riunii il Consiglio dei ministri, e subito dopo partii per Milano. Il golpe non ci fu, grazie a dio. Ma certo, su quella notte, sui giorni che la precedettero e la seguirono, resta un velo di mistero che è giunto il momento di squarciare, una volta per tutte". La certezza che esponeva ieri Veltroni è la stessa che ripete Ciampi: non furono solo stragi di mafia, ed anzi, sulla base delle inchieste si dovrebbe smettere di definirle così. Furono stragi di un "anti-Stato", ancora tutto da scoprire. E come Veltroni anche Ciampi aggiunge un dubbio: perché a un certo punto, poco dopo la nascita del suo governo, le stragi cominciano? E perché, a un certo punto, dopo gli eccidi di Falcone e Borsellino, le stragi finiscono? Perché la mafia comincia a mettere le bombe? Perché la mafia smette di mettere le bombe? È lo scenario ipotizzato dal procuratore Grasso: gli attentati servirono forse a preparare il terreno alla nascita di una nuova "entità politica", che doveva irrompere sulla scena tra le macerie di Mani Pulite. Un "aggregato imprenditoriale e politico" che doveva conservare la situazione esistente. Quell'entità, quell'aggregato, secondo questo scenario, potrebbe essere Forza Italia. Nel momento in cui quel partito si prepara a nascere, e siamo al '94, Cosa Nostra interrompe la strategia stragista. E' uno scenario credibile? Ciampi non si avventura in supposizioni: "Non sta a me parlare di tutto questo. Parlano gli avvenimenti di quel periodo. Parlano i fatti di allora, che sono quelli richiamati da Grasso. Il procuratore antimafia dice la verità, e io condivido pienamente le sue parole". Per questo, in nome di quella verità troppo a lungo negata, l'ex capo dello Stato oggi rilancia l'appello: è sacrosanto che chi sa parli. Ed è sacrosanto, come chiede Veltroni, che "Berlusconi e il governo non tacciano", perché la lotta alla mafia non è questione di parte, "ma è il tema bipartisan per eccellenza". Si apra dunque una sessione parlamentare, dedicata a far luce su quegli avvenimenti. Perché il clima che si respira oggi, a tratti, sembra pericolosamente rievocare quello del '92-'93. Ciampi stesso ne parlerà, in un libro autobiografico scritto insieme ad Arrigo Levi, che uscirà per "il Mulino" tra pochi giorni. "Lì è tutto scritto, ciò che accadde e ciò che penso. Così come lo riportai, ora per ora, sulle mie agende dell'epoca... ". Deve restare memoria, di tutto questo. Ma insieme alla memoria deve venir fuori anche la verità. "Perché senza verità - conclude l'ex presidente della Repubblica - non c'è democrazia". (La Repubblica)
venerdì 28 maggio 2010
giovedì 27 maggio 2010
mercoledì 26 maggio 2010
lunedì 24 maggio 2010
Il grande bluff
"Può sorprendere la determinazione con cui il governo spinge per approvare il disegno di legge sulle intercettazioni - in fretta, anzi subito, e con poche modifiche. Senza badare al parere dei magistrati, dell'opposizione, di molti giornalisti. Notoriamente "ostili". Senza curarsi neppure del dissenso espresso da esponenti del governo Usa e dalla maggioranza degli italiani (come emerge da alcuni sondaggi). Questo atteggiamento non si spiega solo con la volontà - dichiarata dal ministro Alfano - di tutelare la privacy dei cittadini. E di alcuni in particolare: il premier, i ministri e i leader politici. Per evitare che altri scandali rimbalzino sulla stampa. La fretta del governo riflette anche la voglia di saldare le crepe emerse nel modello di democrazia che si è affermato in Italia, da oltre 15 anni. La "democrazia del pubblico" (formula coniata da Bernard Manin, a cui facciamo spesso riferimento). Personalizzata e mediatizzata. Perché tutto è mediatico, nella "scena" politica. I partiti, in primo luogo. Poi: le istituzioni e, ovviamente, il governo. La personalizzazione è un corollario. Perché sui media vanno le persone, con le loro storie, i loro volti, i loro sentimenti. Non i partiti, le grandi organizzazioni, le istituzioni. Che fanno da scenario, ma non possono recitare da protagonisti. È un modello sperimentato altrove, anzitutto negli Usa. Ma in Italia ha assunto una definizione specifica e originale. In tempi rapidissimi. Merito (o colpa) di Silvio Berlusconi. Insieme: imprenditore mediatico dominante, leader - anzi, padrone - del partito dominante e, naturalmente, capo dell'esecutivo. Presidente "reale" - potremmo dire - di una Repubblica non presidenziale, dove il Presidente "legale" agisce da garante e autorità di controllo. La conseguenza più nota di questa tendenza è l'avvento di uno "Stato spettacolo" (titolo di un recente saggio di Anna Tonelli, pubblicato da Bruno Mondadori). Dove lo scambio tra pubblico e privato avviene in modo continuo e pervasivo. Dove il consenso si costruisce sui fatti privati. I cittadini diventano il pubblico di uno spettacolo recitato dagli attori politici che si trasformano in attori veri. È difficile "confinare" il privato, in questo modello. Perché la privacy, per prima, è risorsa usata a fini "pubblici". È la conseguenza inattesa e, in parte, indesiderata del regime mediocratico: le stesse logiche, gli stessi meccanismi che alimentano il consenso possono contribuire a eroderlo. O, addirittura, a farlo collassare.
1. In primo luogo, ovviamente, perché il "privato esibito in pubblico" non è "reale". È fiction. Come nel Grande Fratello, dove tutti agiscono "sapendo di essere osservati". (Anche se, con il tempo, se ne dimenticano). Ben diverso è scavare nel "privato reale" attraverso, appunto, le intercettazioni oppure le indagini che entrano nella vita delle persone - dei politici - a loro insaputa. Quando si sentono "al sicuro". Quando non recitano la "commedia della vita quotidiana". Perché, allora, possono uscire segreti "scomodi". Comportamenti talora illeciti, altre volte semplicemente sgradevoli. Perché rivelano uno stile distante dal "privato esibito in pubblico". È il caso delle conversazioni telefoniche fra il premier e i dirigenti Rai. Dove Berlusconi esprime, senza mezze misure, la "sindrome del padrone" (la formula è di Edmondo Berselli). Preoccupato da comici, predicatori, conduttori, moralisti, giornalisti: tutti quelli che deturpano la sua immagine e la sua narrazione. La sua "storia". È il caso, recente, dello scandalo che ha indotto il ministro Scajola alle dimissioni. Costretto non dall'illecito, ma dall'indignazione. Dalla scoperta di un appartamento davanti al Colosseo pagato da altri. Peraltro, a insaputa del beneficiario e a prezzo stracciato. In tempi di crisi, mentre milioni di italiani pagano il mutuo della loro casa con molta fatica. Il che sottolinea la distanza tra questa stagione di inchieste sulla corruzione e Tangentopoli. Allora, nei primi anni Novanta, la corruzione intrecciava il mondo degli affari e "la" politica. E aveva, come primo (non unico) obiettivo, il mantenimento della (costosa) macchina dei partiti. Oggi, invece, lega il mondo degli affari e "i" politici. Intorno a vicende, talora, grandi e dolorose (come il terremoto). Altre volte, invece, piccole e mediocri. (Come quelle suggerite dalla "lista Anemone"). Ma, proprio per questo, altrettanto - e forse più - intollerabili, nella percezione e nel senso comune.
2. L'altra tendenza indesiderata di questo regime mediocratico, soprattutto per chi lo guida, riguarda la "svalutazione del potere" e di chi lo esercita. Rendere pubblico il privato "vero", senza finzioni: manifesta il volto mediocre della politica e di chi governa. Il confine tra i rappresentanti e i rappresentati, tra i leader e i cittadini: scompare. Anzi, i leader politici, gli uomini di governo imitano e giustificano gli istinti più bassi della società. In questo modo, però, perdono autorevolezza, ma soprattutto legittimità, credibilità, consenso. Da ciò l'ossessione di chi ha inventato e imposto, per primo, il sistema mediocratico. La tentazione e il tentativo di controllarne ogni piega. Di prevederne ogni possibile trasgressione. In modo quasi compulsivo. Perché la realtà deve funzionare come un reality; recitato secondo un copione pre-stabilito; e, comunque, orientato e modellato dalla produzione. Quando gli autori, anzi: l'Autore, mentre osserva la "casa del Grande Fratello", si scopre, a sua volta, osservato e ascoltato. E, pochi minuti dopo, si vede ripreso e riprodotto sugli stessi schermi, sulle stesse pagine, sugli stessi giornali. Il "fuori onda" messo in onda, come un'edizione permanente di "Striscia la notizia". Quando il gioco gli sfugge. Allora gli passa la voglia di giocare. E vorrebbe smettere. O meglio: fare smettere gli altri. Cambiare le regole. A dispetto dei magistrati, del governo Usa. E perfino dell'opinione pubblica.
La legge sulle intercettazioni. Serve a impedire che si spezzi la magia della "Storia italiana". L'unica biografia del paese veramente autorizzata". (Ilvo Diamanti)
1. In primo luogo, ovviamente, perché il "privato esibito in pubblico" non è "reale". È fiction. Come nel Grande Fratello, dove tutti agiscono "sapendo di essere osservati". (Anche se, con il tempo, se ne dimenticano). Ben diverso è scavare nel "privato reale" attraverso, appunto, le intercettazioni oppure le indagini che entrano nella vita delle persone - dei politici - a loro insaputa. Quando si sentono "al sicuro". Quando non recitano la "commedia della vita quotidiana". Perché, allora, possono uscire segreti "scomodi". Comportamenti talora illeciti, altre volte semplicemente sgradevoli. Perché rivelano uno stile distante dal "privato esibito in pubblico". È il caso delle conversazioni telefoniche fra il premier e i dirigenti Rai. Dove Berlusconi esprime, senza mezze misure, la "sindrome del padrone" (la formula è di Edmondo Berselli). Preoccupato da comici, predicatori, conduttori, moralisti, giornalisti: tutti quelli che deturpano la sua immagine e la sua narrazione. La sua "storia". È il caso, recente, dello scandalo che ha indotto il ministro Scajola alle dimissioni. Costretto non dall'illecito, ma dall'indignazione. Dalla scoperta di un appartamento davanti al Colosseo pagato da altri. Peraltro, a insaputa del beneficiario e a prezzo stracciato. In tempi di crisi, mentre milioni di italiani pagano il mutuo della loro casa con molta fatica. Il che sottolinea la distanza tra questa stagione di inchieste sulla corruzione e Tangentopoli. Allora, nei primi anni Novanta, la corruzione intrecciava il mondo degli affari e "la" politica. E aveva, come primo (non unico) obiettivo, il mantenimento della (costosa) macchina dei partiti. Oggi, invece, lega il mondo degli affari e "i" politici. Intorno a vicende, talora, grandi e dolorose (come il terremoto). Altre volte, invece, piccole e mediocri. (Come quelle suggerite dalla "lista Anemone"). Ma, proprio per questo, altrettanto - e forse più - intollerabili, nella percezione e nel senso comune.
2. L'altra tendenza indesiderata di questo regime mediocratico, soprattutto per chi lo guida, riguarda la "svalutazione del potere" e di chi lo esercita. Rendere pubblico il privato "vero", senza finzioni: manifesta il volto mediocre della politica e di chi governa. Il confine tra i rappresentanti e i rappresentati, tra i leader e i cittadini: scompare. Anzi, i leader politici, gli uomini di governo imitano e giustificano gli istinti più bassi della società. In questo modo, però, perdono autorevolezza, ma soprattutto legittimità, credibilità, consenso. Da ciò l'ossessione di chi ha inventato e imposto, per primo, il sistema mediocratico. La tentazione e il tentativo di controllarne ogni piega. Di prevederne ogni possibile trasgressione. In modo quasi compulsivo. Perché la realtà deve funzionare come un reality; recitato secondo un copione pre-stabilito; e, comunque, orientato e modellato dalla produzione. Quando gli autori, anzi: l'Autore, mentre osserva la "casa del Grande Fratello", si scopre, a sua volta, osservato e ascoltato. E, pochi minuti dopo, si vede ripreso e riprodotto sugli stessi schermi, sulle stesse pagine, sugli stessi giornali. Il "fuori onda" messo in onda, come un'edizione permanente di "Striscia la notizia". Quando il gioco gli sfugge. Allora gli passa la voglia di giocare. E vorrebbe smettere. O meglio: fare smettere gli altri. Cambiare le regole. A dispetto dei magistrati, del governo Usa. E perfino dell'opinione pubblica.
La legge sulle intercettazioni. Serve a impedire che si spezzi la magia della "Storia italiana". L'unica biografia del paese veramente autorizzata". (Ilvo Diamanti)
domenica 23 maggio 2010
Libri al vento
Scrivere un libro è sicuramente una fatica. Scriverne di inutili è da sciocchi. Invece si continuano a vedere autori proporne per poi essere intervistati dall' anchorman di turno. Sembra come se se non scrivi un libro non sei nessuno. Così come se non hai un partito non puoi essere rappresentato. Ma chi lo dice che dentro un libro c'è qualcosa di buono? Spesso sono insulsaggini con una firma sopra per far fare profitti all'editore, per portare avanti tesi proprie o di altri e per far dire idiozie da parte dell'autore in tv, che spesso si è fatto scrivere il libro da qualcun altro. Per capirci faccio qualche nome: Walter Veltroni (i suoi libri, dall'Africa in giù, sono delle ovvietà intrise di luoghi comuni lontano dal reale); Andrea Romano (giovane fatto passare per storico che infila un'ovvietà dopo l'altra dopo esser passato per tutte le fondazioni possibili), Bruno Vespa (lo scrivano del cavaliere mascherato che riscrive la storia a suo piacimento), Oliviero Beha (io non lo capisco di che parla) e tantissimi altri. Cari autori da strapazzo, se proprio dovete scrivere non ce lo fate sapere.
Ricordando Giovanni Falcone
"La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni" (Giovanni Falcone)
Oggi ricorre il 18° anniversario dell'attentato a in cui soltanto per un istante, Giovanni, Francesca, Antonio, Rocco, Vito, persero la vita.
La loro morte coincide con la loro rinascita nelle nostre coscienze e nei nostri cuori, nessuno potrà portare via le loro parole e i loro pensieri.
La mafia non potrà MAI sconfiggere la voglia di libertà di una intera terra, perchè noi combatteremo fianco a fianco, portando sulle spalle i loro insegnamenti.
La nostra onestà sarà il nostro scudo, le loro parole e le loro idee sono le nostre armi.
Oggi e sempre saremo tutti Giovanni Falcone". (E ora Uccideteci Tutti)
"“Sarebbe bello che questo Paese non cedesse alle commemorazioni retoriche e ipocrite, soprattutto da parte di una certa politica, perchè sono un’offesa verso le vittime di mafia e i loro familiari. Celebrare il sacrificio di Falcone e degli uomini della sua scorta significa, oggi, lasciare lavorare le Procure di Palermo e Caltanissetta perche’ accertino la verità sulla stagione dello stragismo, in particolare in merito al ruolo giocato da pezzi deviati delle istituzioni che non disdegnarono di ‘patteggiare’ con cosa nostra. Significa, poi, garantire alla magistratura la possibilità di operare in modo indipendente, non privandola di uno strumento prezioso di lotta al crimine come le intercettazioni. Significa evitare provvedimenti criminogeni, come la vendita all’asta dei beni confiscati oppure la compressione del contributo dei collaboratori di giustizia. Significa, infine, cessare di screditare il lavoro civile di scrittori come Saviano che, rischiando la vita, percorrono la pericolosa strada della denuncia sociale”". (Luigi de Magistris).
Oggi ricorre il 18° anniversario dell'attentato a in cui soltanto per un istante, Giovanni, Francesca, Antonio, Rocco, Vito, persero la vita.
La loro morte coincide con la loro rinascita nelle nostre coscienze e nei nostri cuori, nessuno potrà portare via le loro parole e i loro pensieri.
La mafia non potrà MAI sconfiggere la voglia di libertà di una intera terra, perchè noi combatteremo fianco a fianco, portando sulle spalle i loro insegnamenti.
La nostra onestà sarà il nostro scudo, le loro parole e le loro idee sono le nostre armi.
Oggi e sempre saremo tutti Giovanni Falcone". (E ora Uccideteci Tutti)
"“Sarebbe bello che questo Paese non cedesse alle commemorazioni retoriche e ipocrite, soprattutto da parte di una certa politica, perchè sono un’offesa verso le vittime di mafia e i loro familiari. Celebrare il sacrificio di Falcone e degli uomini della sua scorta significa, oggi, lasciare lavorare le Procure di Palermo e Caltanissetta perche’ accertino la verità sulla stagione dello stragismo, in particolare in merito al ruolo giocato da pezzi deviati delle istituzioni che non disdegnarono di ‘patteggiare’ con cosa nostra. Significa, poi, garantire alla magistratura la possibilità di operare in modo indipendente, non privandola di uno strumento prezioso di lotta al crimine come le intercettazioni. Significa evitare provvedimenti criminogeni, come la vendita all’asta dei beni confiscati oppure la compressione del contributo dei collaboratori di giustizia. Significa, infine, cessare di screditare il lavoro civile di scrittori come Saviano che, rischiando la vita, percorrono la pericolosa strada della denuncia sociale”". (Luigi de Magistris).
sabato 22 maggio 2010
Inter, una vera festa
Ieri sera ero contento. Capita raramente. Ho tre figli maschi, dai 10 ai 13 ani, che praticano il calcio. Sono pure interista, ma per scelta morale. Ieri sera quando l'Inter ha vinto la Coppa Europea quasi quasi mi veniva da piangere anche a me, come tutti i giocatori in campo, come il contestato (a torto) Mourinho, come il Signor presidente Moratti e la moglie vestita da interista, come quasi tutti i tifosi allo stadio e fuori dello stadio. Una vera festa, con i bambini sulle spalle, con commozione e sportività, con i rivali tedeschi perdenti che si congratulavano anche loro. E' questo il clima in cui dovrebbero svolgersi le competizioni calcistiche: con i giocatori di tutti i colori che si abbracciano (arrendetevi, la società sarà multietnica), con l'avversario che si complimenta con chi ha vinto, con un arbitro all'altezza che si ringrazia. L'unica nota stonata era il presidente del Senato Schifani: rappresenta e difende il contrario di quello che stava succedendo in quello stadio della capitale spagnola. Doveva essere il contrario: magari la prossima volta mandiamo qualcun altro.
La farsa
"E' uno di quei giorni in cui ti svegli e ti sembra di vivere in una dittatura. E' un'impressione, ma ti disturba. Sarà anche falsa, ma sembra vera come la visione di un ometto che tiene per le palle una nazione insieme ai suoi compari che ha piazzato un po' dovunque e che può ricattare quando vuole con le buone o con le cattive. Anche questa è una sensazione, ma persistente di cui non ti liberi quando rifletti su un'opposizione ridotta a una puttana che non sa neppure il significato della parola resistere. Una che la dà gratis, come le ragazzine un tempo a Porta Romana. Gode nel cedere, opporsi è contro la sua natura. E questo ti turba molto quando guardi Enrico Letta, il nipote di suo zio, che conciona in televisione o il relitto umano Uòlter Veltroni che mendica interviste sui quotidiani (e purtroppo le ottiene) per emettere il ruggito del topo (di Topo Gigio per l'esattezza). Passi le ore in preda a una visione d'altri tempi, del ventennio fascista per essere precisi, che, per quanto ti sforzi, non ti abbandona. Un popolo senza diritti, neppure di votare il suo candidato, di veder discussa in Parlamento una legge popolare come "Parlamento Pulito", di poter votare un referendum come quello sull''informazione libera respinto da Carnevale, l'ammazza processi. E' un giorno un po' così, il problema è che tutto ricomincia il giorno successivo. E allora decidi di riprenderti le 350.000 firme che hai lasciato negli scantinati del Senato. Ed è quello che farò. Quelle firme non meritano di essere abbandonate ai capricci di uno Schifani qualunque. Un uomo troppo impegnato ad assistere a nostre spese alla finale Inter- Bayern per poter discutere una legge di iniziativa popolare. Quelle firme di persone per bene che si sono rotte i coglioni di questa classe politica non possono essere lasciate marcire nei sotterranei di Palazzo Madama. E più ci pensi, più ti incazzi. Gli scatoloni sono lì, fermi dal dicembre del 2007, giorno in cui li consegnai a Marini. Quasi trenta mesi. Oggi quelle richieste sembrano innocenti, la votazione diretta, massimo di due mandati, nessun condannato in via definitiva in Parlamento. Sono passati due anni e mezzo ed è sempre uno di quei giorni che i politici se ne sbattono dei cittadini. E ascolti parole inaudite che sembrano venire dall'oltretomba della democrazia. Non proprio parole, ma stronzate, insulti alla ragione, alla decenza, che non possono essere vere: "L'Europa ha vissuto al di sopra dei propri mezzi", pronunciate da chi è vissuto al di sopra dei nostri mezzi e della nostra pazienza per vent'anni. E' tutto irreale, ma sembra autentico, vero, tangibile. L'Italia dorme, forse sogna un'anima che ha perduto. Verrà l'economia e avrà i suoi occhi. (dal blog di Beppe Grillo)
venerdì 21 maggio 2010
giovedì 20 maggio 2010
E allora sbatteteci tutti in galera. Noi non ci fermeremo
Quando una trentina di anni fa mi avvicinai all'Espresso Antonio Padellaro era vicedirettore e ora è direttore-fondatore del Fatto. Mi offrivo per piccole collaborazioni sulle pagine degli Esteri, la mia storia personale mi portava lì dove non sono mai riuscito ad entrare, spesso d'estate quando c'era poca concorrenza. Avevo iniziato a fare il giornalista con 'Il Messaggero', come corrispondente delle pagine provinciali, ma il mio punto di riferimento era 'La Repubblica' di Scalfari. Ero riuscito a diventare professionista tra mille traversie e senza nessuna raccomandazione. Infatti non sono andato molto lontano, ma non ho mai fatto marchette, come ironizza un certo Tremorti. E come hanno fatto tanti miei colleghi e colleghe con i quali abbiamo iniziato insieme e ora vedo piazzati nei posti migliori, magari alla rai. Non sono diventato famoso, nè ho avuto lauti guadagni come un Santoro o un Vespa. Condivido i commenti qui di seguito di Padellaro e Tinti sulla nuova legge vergogna delle intercettazioni di questo governo e parlamento di ominicoli. Aggiungo: oggi non posso fare il giornalista come avevo sognato un tempo, un po' anche per colpa mia, ma sono pronto ad andare in galera pur di poterlo fare ancora, come l'ho sognato all'inizio, magari anche attraverso un piccolo blog, con la schiena diritta come ho sempre fatto. La minaccia di pene, di ammende (a me di soldi ne prenderebbero pochi...) e di restrizioni personali non fa paura.
"Molti di noi hanno cominciato a fare i giornalisti spinti da un’ideale giovanile. Dicevamo a noi stessi: troverò le notizie che gli altri non hanno, racconterò le verità che gli altri non raccontano e, se ne vale la pena, rischierò pure la pelle. Come tutti gli ideali coltivati a vent’anni non sempre sono durati abbastanza e qualche volta la vita con le sue necessità materiali ha reso più astratto il nostro sogno di perfezione. Non è stato così per Fabio Polenghi il fotoreporter italiano caduto a Bangkok. Lui, come centinaia di altri giornalisti uccisi in prima linea, mentre cercavano di cogliere quella immagine o raccontare quella scena che nessun altro avrebbe pubblicato. L’infamia di una legge sulle intercettazioni voluta da un tirannello borioso per nascondere certe sue vergogne e votata da parlamentari che si nascondono come ladri nella notte, consiste certamente nella violazione del diritto dei cittadini di sapere e del dovere dei giornali di informare, come ha detto Ezio Mauro nell’intervista a Silvia Truzzi. Ma c’è qualcosa che è forse peggio della soppressione di una libertà ed è la spinta alla rassegnazione, all’accettazione supina di un arbitrio. Negli anni abbiamo imparato a conoscere il personale di cui si serve il premier per le sue malefatte. Si tratta di gente che in cambio di denaro e poltrone si è venduta dignità e reputazione. Sono gli eunuchi del sultano, manutengoli sazi e appagati ma con il cruccio che non tutti siano ridotti come loro. Per esempio. Ci sono dei giornalisti che vogliono raccontare le risate degli sciacalli del terremoto o come un senatore si è venduto ai boss o l’affaire di un ministro a cui comprarono la casa sul Colosseo? Spezziamogli la penna, mettiamogli paura finché si convincano che l’unica informazione possibile in questo Paese è quella autorizzata dall’alto. Naturalmente, è una violenza che non può essere accettata. Naturalmente, se la legge infame passerà, assieme ai tanti giornalisti liberi che ancora ci sono, noi del “Fatto” ricorreremo a tutte le forme possibili di disobbedienza civile. Lo diciamo ai nostri lettori ed è bene che lo sappiano gli eunuchi di Palazzo: non gli daremo tregua. Se per una fotografia c’è chi si fa ammazzare, per una notizia si può anche rischiare un po’ di galera". (Antonio Padellaro)
"Tanti anni fa Sofocle scrisse di Antigone, di suo fratello Polinice, morto in battaglia, della legge emanata dal reggente di Tebe, Creonte, che vietava di seppellirlo: nemico dello Stato, doveva restare preda dei corvi. Ma Antigone lo seppellì e, processata e condannata, spiegò a Creonte che quella era una legge degli uomini e che però ci sono altre leggi, a queste superiori; e che lei di quelle temeva il giudizio e a quelle aveva obbedito. Nei miei anni di magistrato ho vissuto spesso questo conflitto; e sono felice di non doverlo vivere ora, chiamato ad applicare una legge vergognosa, emanata da una classe dirigente arrogante e tremebonda, impegnata in una lotta disperata per l’impunità e la sopravvivenza.
Sono felice di essere libero di non rispettare la legge, di poter dire al giudice che mi processerà per aver raccontato ai cittadini i delitti commessi da quelli stessi che vogliono impedirmi di raccontarli, che sì, è vero, ho violato la legge di B, di Alfano, di Ghedini, dei tanti volenterosi protettori di capi e sottocapi colti con le mani nel sacco; ma che questa legge è ingiusta. Sono felice di poter chiedere al mio giudice di non condannarmi, perché la legge-bavaglio è contraria ai principi della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Sono felice di potergli chiedere il rinvio della legge alla Corte costituzionale perché, ancora una volta, sia evidente il disprezzo di B&C per i principi fondamentali del nostro ordinamento. Sono felice di poter chiedere alla Corte europea dei diritti dell’uomo, se mai sarà necessario (prima dovrei essere condannato), di dichiarare che questa legge è contraria alla Carta dei Diritti. E, alla fine, sarò felice anche se fossi condannato; perché con me saranno condannati centinaia di giornalisti, di direttori, di editori. E sarà questa la prova più evidente di quella verità ostinatamente negata da B&C anche dopo la pubblicazione (la pubblicazione, vedete?) delle intercettazioni di Trani, quando B. spiegava che a lui (a lui) non piaceva Annozero e che quindi nessuno (nessuno) avrebbe più dovuto vedere questa trasmissione: è una dittatura quella in cui Antigone deve ancora scegliere tra leggi dello Stato e leggi a queste superiori. Forse da qui inizierà il cambiamento". (Bruno Tinti)
"Molti di noi hanno cominciato a fare i giornalisti spinti da un’ideale giovanile. Dicevamo a noi stessi: troverò le notizie che gli altri non hanno, racconterò le verità che gli altri non raccontano e, se ne vale la pena, rischierò pure la pelle. Come tutti gli ideali coltivati a vent’anni non sempre sono durati abbastanza e qualche volta la vita con le sue necessità materiali ha reso più astratto il nostro sogno di perfezione. Non è stato così per Fabio Polenghi il fotoreporter italiano caduto a Bangkok. Lui, come centinaia di altri giornalisti uccisi in prima linea, mentre cercavano di cogliere quella immagine o raccontare quella scena che nessun altro avrebbe pubblicato. L’infamia di una legge sulle intercettazioni voluta da un tirannello borioso per nascondere certe sue vergogne e votata da parlamentari che si nascondono come ladri nella notte, consiste certamente nella violazione del diritto dei cittadini di sapere e del dovere dei giornali di informare, come ha detto Ezio Mauro nell’intervista a Silvia Truzzi. Ma c’è qualcosa che è forse peggio della soppressione di una libertà ed è la spinta alla rassegnazione, all’accettazione supina di un arbitrio. Negli anni abbiamo imparato a conoscere il personale di cui si serve il premier per le sue malefatte. Si tratta di gente che in cambio di denaro e poltrone si è venduta dignità e reputazione. Sono gli eunuchi del sultano, manutengoli sazi e appagati ma con il cruccio che non tutti siano ridotti come loro. Per esempio. Ci sono dei giornalisti che vogliono raccontare le risate degli sciacalli del terremoto o come un senatore si è venduto ai boss o l’affaire di un ministro a cui comprarono la casa sul Colosseo? Spezziamogli la penna, mettiamogli paura finché si convincano che l’unica informazione possibile in questo Paese è quella autorizzata dall’alto. Naturalmente, è una violenza che non può essere accettata. Naturalmente, se la legge infame passerà, assieme ai tanti giornalisti liberi che ancora ci sono, noi del “Fatto” ricorreremo a tutte le forme possibili di disobbedienza civile. Lo diciamo ai nostri lettori ed è bene che lo sappiano gli eunuchi di Palazzo: non gli daremo tregua. Se per una fotografia c’è chi si fa ammazzare, per una notizia si può anche rischiare un po’ di galera". (Antonio Padellaro)
"Tanti anni fa Sofocle scrisse di Antigone, di suo fratello Polinice, morto in battaglia, della legge emanata dal reggente di Tebe, Creonte, che vietava di seppellirlo: nemico dello Stato, doveva restare preda dei corvi. Ma Antigone lo seppellì e, processata e condannata, spiegò a Creonte che quella era una legge degli uomini e che però ci sono altre leggi, a queste superiori; e che lei di quelle temeva il giudizio e a quelle aveva obbedito. Nei miei anni di magistrato ho vissuto spesso questo conflitto; e sono felice di non doverlo vivere ora, chiamato ad applicare una legge vergognosa, emanata da una classe dirigente arrogante e tremebonda, impegnata in una lotta disperata per l’impunità e la sopravvivenza.
Sono felice di essere libero di non rispettare la legge, di poter dire al giudice che mi processerà per aver raccontato ai cittadini i delitti commessi da quelli stessi che vogliono impedirmi di raccontarli, che sì, è vero, ho violato la legge di B, di Alfano, di Ghedini, dei tanti volenterosi protettori di capi e sottocapi colti con le mani nel sacco; ma che questa legge è ingiusta. Sono felice di poter chiedere al mio giudice di non condannarmi, perché la legge-bavaglio è contraria ai principi della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Sono felice di potergli chiedere il rinvio della legge alla Corte costituzionale perché, ancora una volta, sia evidente il disprezzo di B&C per i principi fondamentali del nostro ordinamento. Sono felice di poter chiedere alla Corte europea dei diritti dell’uomo, se mai sarà necessario (prima dovrei essere condannato), di dichiarare che questa legge è contraria alla Carta dei Diritti. E, alla fine, sarò felice anche se fossi condannato; perché con me saranno condannati centinaia di giornalisti, di direttori, di editori. E sarà questa la prova più evidente di quella verità ostinatamente negata da B&C anche dopo la pubblicazione (la pubblicazione, vedete?) delle intercettazioni di Trani, quando B. spiegava che a lui (a lui) non piaceva Annozero e che quindi nessuno (nessuno) avrebbe più dovuto vedere questa trasmissione: è una dittatura quella in cui Antigone deve ancora scegliere tra leggi dello Stato e leggi a queste superiori. Forse da qui inizierà il cambiamento". (Bruno Tinti)
mercoledì 19 maggio 2010
martedì 18 maggio 2010
Polizia deviata
"I giudici della Terza sezione della Corte d'Appello di Genova hanno ribaltato la sentenza di primo grado 1 per i disordini e l'irruzione alla scuola Diaz del luglio 2001 a Genova. Tutti i vertici della polizia che erano stati assolti hanno subito condanne comprese tra 3 anni e 8 mesi e 4 anni unitamente all'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Nel complesso le pene superano gli 85 anni. In totale sono stati condannati 25 imputati sui 27.Il capo dell'anticrimine Francesco Gratteri è stato condannato a quattro anni, l'ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini a cinque anni, l'ex vicedirettore dell'Ucigos Giovanni Luperi (oggi all'Agenzia per le informazioni e la sicurezza interna) a quattro anni, l'ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola (ora vicequestore vicario a Torino) a tre anni e otto mesi, l'ex vicecapo dello Sco Gilberto Caldarozzi a tre anni e otto mesi.Altri due dirigenti della Polizia, Pietro Troiani e Michele Burgio, accusati di aver portato le molotov nella scuola, sono stati condannati a tre anni e nove mesi. Non sono stati dichiarati prescritti i falsi ideologici e alcuni episodi di lesioni gravi. Sono invece stati dichiarati prescritti i reati di lesioni lievi, calunnie e arresti illegali. Per i 13 poliziotti condannati in primo grado le pene sono state inasprite.Il procuratore generale, Pio Macchiavello, aveva chiesto oltre 110 anni di reclusione per i 27 imputati. In primo grado furono condannati 13 imputati e ne furono assolti 16, tutti i vertici della catena di comando. I pubblici ministeri Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini avevano chiesto in primo grado 29 condanne per un ammontare complessivo di 109 anni e nove mesi di carcere. In primo grado furono assolti Francesco Gratteri, ex direttore dello Sco e oggi capo dell'Antiterrorismo, Giovanni Luperi; Gilberto Caldarozzi e Spartaco Mortola". (La Repubblica)
domenica 16 maggio 2010
Rappresentati da cialtroni
"Il pesce puzza dalla testa e la testa è il Parlamento. Deputati e senatori non servono il loro Paese, ma il loro signore, il loro benefattore. L'Italia è un sistema vassallatico-democratico. Tutti i deputati e i senatori sono stati nominati dai padroni dei partiti. Coloro che comandano in Parlamento, e quindi nel Paese, si contano sulle dita di una sola mano. Pdl e Pdmenoelle hanno instaurato una dittatura parlamentare.Nessun deputato o senatore chiede la revisione immediata della legge elettorale che impedisce la nomina diretta del candidato da parte dei cittadini. Nessuno di loro si dimette dalla vergogna. Nessuna Istituzione interviene, men che meno Morfeo Napolitano. Eppure, con questa legge elettorale, nuove elezioni politiche sono inutili. Una presa per il culo e uno spreco di denaro pubblico. Non ha senso andare a votare con una legge incostituzionale (a proposito perché non si esprime la Divina Corte Costituzionale?). In caso di fine della legislatura è più semplice e corretto che Casini, Berlusconi, Bersani e gli altri si riuniscano in concilio, decidano le liste elettorali e le comunichino al popolo. Il risultato sarebbe uguale senza scomodare decine di milioni di italiani.Siamo ritornati ai vassalli e ai servi della gleba, come nel Medio Evo. "Il vassallaggio era un rapporto di tipo personale che si instaurava nel sistema vassallatico-beneficiario. Si trattava di "contratto" privato tra due persone, il vassallo e il signore: il primo si dichiarava "homo" dell'altro, durante la cerimonia dell'"omaggio", ricevendo, in cambio della propria fedeltà e del servizio, protezione dal signore. Il sistema feudale prevedeva l'immunità, il privilegio di non subire, nei confini della signoria feudale, controlli da parte dell'autorità pubblica." Il sistema vassallatico-democratico italiano è identico, anche nel privilegio dell'immunità parlamentare. Ma forse oggi è peggio. Io ho un sospetto, pur non avendone le prove, che l'attuale "contratto" tra vassallo e "homo" per rivestire una carica parlamentare possa essere economico. Un milione di euro o una cifra importante in cambio di un posto assicurato in Parlamento. Non sarebbe strano, né improbabile. Chi dispone dei seggi li può vendere o mettere all'asta. Il seggio è un bene tangibile, centinaia di migliaia di euro all'anno, pensione assicurata, visibilità, benefit di ogni tipo. E' il miglior investimento possibile, meglio dei fondi o dei titoli di Stato. Molti sarebbero disponibili a pagare.Il Parlamento è diventato una risorsa economica, va trasformato in una Lotteria Elettorale. Si vince un soggiorno di cinque anni a Palazzo Madama o a Montecitorio. Il primo premio è la Presidenza del Consiglio. Le casse dello Stato migliorerebbero e anche la democrazia". (dal blog di Beppe Grillo)
"Le indagini della Procura della Repubblica di Perugia evidenziano – in una spaventosa espansione – che la criminalità organizzata è divenuta pezzo di Stato e la corruzione stile di vita. Per alcuni di noi non è una novità. Una coltre fitta di decadenza morale tale da far dichiarare all’ex Ministro Scajola, con un candore indecente, che egli non sa dire chi gli abbia pagato la casa; tanto da far tenere a Bertolaso una conferenza stampa – in cui proclama la sua innocenza celando fatti inquietanti che lo riguardano - da far rimpiangere il Cile di Pinochet e la Romania di Ceausescu. Sta emergendo l’intreccio più pericoloso, mortale per la democrazia, tra gestione del denaro pubblico e criminalità dei colletti bianchi. Un vero e proprio governo occulto della cosa pubblica. Le istituzioni vengono utilizzate per consolidare il potere, trarre profitti e garantirsi copertura legale. E’ il piduismo che assume sembianze di Stato. Più o meno è lo stesso sistema che avevo ricostruito da pubblico ministero in Calabria e che la ragnatela masso-mafiosa, presente nelle istituzioni, tessendo le sue fila – con complicità di altissimo livello – ha massacrato me e tutte le persone che prestavano servizio per lo Stato, in solitudine, mentre i tessitori gelatinosi - tra una ristrutturazione di una abitazione di lusso e un’altra - lavoravano per demolire indagini e servitori dello Stato. Eppure l’attuale governo – comunica la propaganda di regime – è quello che maggiormente avrebbe operato per contrastare la criminalità organizzata. E’ esattamente il contrario. E’ una maggioranza di governo che sta approvando leggi e provvedimenti che il crimine lo proteggono, lo favoriscono e lo alimentano. La legge sulle intercettazioni per impedire che la magistratura ricostruisca la nuova tangentopoli ed individui i mafiosi si stato. La legge sul legittimo impedimento per costruire lo scudo immunitario al sultano di Stato. Il processo breve per garantire impunità ai colletti bianchi. La legge che consegna i beni confiscati ai prestanomi dei boss che si recano indisturbati nelle aste. La legge che toglie ai pm il diritto-dovere di indagare di propria iniziativa sottoponendoli ai desiderata del governo. La legge che cancella il contributo dei collaboratori di giustizia. In Europa stiamo cercando di porre un argine a questo progetto eversivo dello stato di diritto. Una nuova normativa sulla corruzione; nuove regole per l’utilizzo dei fondi pubblici; rafforzamento delle strutture investigative europee; il pubblico ministero dell’Unione. L’Europa ci può aiutare, concretamente; in Italia, le complicità istituzionali di cui gode il nuovo piduismo sono agghiaccianti e destano anche preoccupazione se si pensa alle collusioni con ambienti apicali dei servizi di sicurezza e con personaggi preposti a ruoli importanti negli organi di garanzia, magistratura compresa". (Luigi De Magistris)
"Le indagini della Procura della Repubblica di Perugia evidenziano – in una spaventosa espansione – che la criminalità organizzata è divenuta pezzo di Stato e la corruzione stile di vita. Per alcuni di noi non è una novità. Una coltre fitta di decadenza morale tale da far dichiarare all’ex Ministro Scajola, con un candore indecente, che egli non sa dire chi gli abbia pagato la casa; tanto da far tenere a Bertolaso una conferenza stampa – in cui proclama la sua innocenza celando fatti inquietanti che lo riguardano - da far rimpiangere il Cile di Pinochet e la Romania di Ceausescu. Sta emergendo l’intreccio più pericoloso, mortale per la democrazia, tra gestione del denaro pubblico e criminalità dei colletti bianchi. Un vero e proprio governo occulto della cosa pubblica. Le istituzioni vengono utilizzate per consolidare il potere, trarre profitti e garantirsi copertura legale. E’ il piduismo che assume sembianze di Stato. Più o meno è lo stesso sistema che avevo ricostruito da pubblico ministero in Calabria e che la ragnatela masso-mafiosa, presente nelle istituzioni, tessendo le sue fila – con complicità di altissimo livello – ha massacrato me e tutte le persone che prestavano servizio per lo Stato, in solitudine, mentre i tessitori gelatinosi - tra una ristrutturazione di una abitazione di lusso e un’altra - lavoravano per demolire indagini e servitori dello Stato. Eppure l’attuale governo – comunica la propaganda di regime – è quello che maggiormente avrebbe operato per contrastare la criminalità organizzata. E’ esattamente il contrario. E’ una maggioranza di governo che sta approvando leggi e provvedimenti che il crimine lo proteggono, lo favoriscono e lo alimentano. La legge sulle intercettazioni per impedire che la magistratura ricostruisca la nuova tangentopoli ed individui i mafiosi si stato. La legge sul legittimo impedimento per costruire lo scudo immunitario al sultano di Stato. Il processo breve per garantire impunità ai colletti bianchi. La legge che consegna i beni confiscati ai prestanomi dei boss che si recano indisturbati nelle aste. La legge che toglie ai pm il diritto-dovere di indagare di propria iniziativa sottoponendoli ai desiderata del governo. La legge che cancella il contributo dei collaboratori di giustizia. In Europa stiamo cercando di porre un argine a questo progetto eversivo dello stato di diritto. Una nuova normativa sulla corruzione; nuove regole per l’utilizzo dei fondi pubblici; rafforzamento delle strutture investigative europee; il pubblico ministero dell’Unione. L’Europa ci può aiutare, concretamente; in Italia, le complicità istituzionali di cui gode il nuovo piduismo sono agghiaccianti e destano anche preoccupazione se si pensa alle collusioni con ambienti apicali dei servizi di sicurezza e con personaggi preposti a ruoli importanti negli organi di garanzia, magistratura compresa". (Luigi De Magistris)
Lonely
Mia madre è una sgualdrina e mio padre uno stronzo. La prima si è venduta ad un secondo incontro su un autobus a Napoli, il secondo ne ha approfittato per tutta la vita. Per entrambi un ingombro: per lei, beghina ipocrita, un pacco da smaltire negli orfanotrofi di tutta Italia; per lui, ingegnere da strapazzo, un nulla da dimenticare insieme alla sua nuova famiglia. Per entrambi un incidente di una vita fatta di rimorsi da lasciare all'oblio. Per me, una vita solitaria, senza affetti e senza amori, senza nonni per i miei figli, senza stampelle su cui appoggiarmi. Da 55 anni anni ho anche tre fratelli che non conosco; un quarto, figlio di marines, si è suicidato all'età di 23 anni. La notte ho paura, un buco d'angoscia squarcia il mio animo, venduto per anni al primo che passava. Grazie mamma e papà.
sabato 15 maggio 2010
Io sono Nessuno
"Un piccolo imprenditore si è dato fuoco per disperazione a Oderzo. E' il ventesimo di una catena di suicidi nel Veneto. Una signora è morta dissanguata a Napoli, vendeva il suo sangue per vivere. Solo pochi anni (mesi? giorni?) fa queste notizie sarebbero state lette in modo distratto e attribuite a Paesi lontani. Bangladesh, Cambogia, Bolivia. O al dopoguerra. Orrori distanti nello spazio e nel tempo. Oggi sono fatti normali per l'Italia. Cose che possono succedere. Cose così.L'assuefazione al degrado sociale è avvenuta un passo alla volta. Gli italiani sono conigli ipnotizzati da un serpente, dalla paura del futuro. Rimangono immobili in attesa dell'inevitabile. Il Paese si è trasformato in un gioco del Monopoli con i dadi truccati. Per un cittadino è inevitabile un soggiorno in Prigione, il pagamento della Tassa patrimoniale o la maledizione di un Imprevisto. I partiti hanno occupato i servizi pubblici, la Società Elettrica, le Stazioni, le Società di Acqua Potabile e tutte le zone edificabili. Bersani vive nelle modeste caselle di Vicolo Corto e di Vicolo Lungo. Tutto il resto è nelle mani di Anemone e del Governo. Berlusconi possiede Parco della Vittoria e Viale dei Giardini, rinominati Villa di Arcore e Palazzo Grazioli.Lo sventurato giocatore che transiti in un qualunque terreno aumenta la sua quota di debito. Per giocare, ogni italiano deve indebitarsi con lo Stato di 30.000 euro dalla nascita. Le banconote di diversi e allegri colori sono distribuite all'inizio in parti uguali tra i giocatori, ma finiscono inevitabilmente dopo due o tre lanci nelle tasche dei monopoli d'Italia. Il banco vince sempre e il banco possiede l'intero gioco.L'Italia non è più fondata sul lavoro da un pezzo, ma sul capitale. Capitale meo, mors tua. Lo Stato sociale e la solidarietà sono diventate parole criminogene, capaci di generare odio. Al Monopoli italiano puoi giocare se hai un reddito, un lavoro, dei risparmi, se hai ancora dei soldi. Senza non sei più nulla, carne da bruciare, sangue da vendere. Lo Stato è morto nel Bel Paese del Monopoli. Lo Stato è solidarietà sociale o non è". (dal blog di Beppe Grillo)
venerdì 14 maggio 2010
Indifferenza civile
"Il primo problema del Parlamento italiano è la Rete. Da anni vengono sfornati leggi, decreti, progetti, emendamenti per bloccarla. L'accanimento con cui Pdl e Pdmenoelle si occupano di Internet è impressionante. Nell'agenda dei problemi del Paese è prioritaria. L'ultimo attacco alla libertà di informazione e alla Rete è l'obbligo di rettifica nei siti entro 48 ore. I blog vengono equiparati ai giornali con multe di 12.000 euro per infrazione. Tutti i blog sono a rischio chiusura.Altre volte il blog ha lanciato campagne contro la legge Levi/Prodi o contro la legge D'Alia con successo. Questa volta mi rifiuto. Approvino le leggi che vogliono. Ne pagheranno le conseguenze. Anzi, suggerisco al duo Berlusconi/Bersani di osare di più. Legiferare in modo risolutivo, tombale e chiudere Internet. Io non voglio mettermi a discutere ogni mese con degli idioti internettiani, farei la figura anch'io dell'idiota. Quindi, chiudete, filtrate, oscurate, hackerate. Fate il cazzo che vi pare. Sarete voi a pagarne le conseguenze perché chiudere l'ultima valvola di confronto democratico presenta dei rischi molto alti. La pentola a pressione può esplodere in anticipo.Il blog comunque rimarrà indifferente alle leggi contro la Rete. Il blog continuerà fino a quando mi sarà possibile. Non è disubbidienza civile. Per disubbidire ci vogliono delle Autorità con la facoltà legittima di esercitare un pubblico potere e in questo Parlamento di condannati, di locatari di abitazioni regalate, di servi nominati dai partiti e non dai cittadini non vedo alcun principio di autorità. Quindi indifferenza civile, non disubbidienza civile, ma a viso aperto, pronto a pagarne le conseguenze. Fate pure 100 leggi al mese per chiudere la Rete, io non le applicherò e se faranno lo stesso i milioni di italiani che scrivono e comunicano in Rete, le vostre leggi diventeranno carta da cesso". (dal blog di Beppe Grillo)
La cloaca
“A leggere l’elenco della ‘lista Anemone’ non posso che provare, purtroppo, un amaro sentimento di soddisfazione ex post. Molti dei cognomi odierni – da Nebbioso, capogabinetto del ministro Alfano, a Poletti, ex generale della Gf oggi nei servizi segreti, passando per l'imprenditore Carducci e tanti altri ancora - sono gli stessi in cui mi sono imbattuto nelle mie inchieste, in particolare Why Not. E’ la prova che in Italia esiste una cloaca di collusione fra politica, istituzioni e ‘prenditoria’ economica che è stata costruita negli anni per divorare i finanziamenti pubblici e che fa impallidire Tangentopoli, perché nessuno spazio del sistema Paese ne sembra esente: da parte della politica e del Governo alle Forze dell’ordine, dalla magistratura alla Protezione Civile. Siamo al governo occulto della cosa pubblica, soprattutto nel settore degli appalti edili e infrastrutturali, all'apoteosi della borghesia mafiosa. La vigilanza democratica deve essere altissima perché questa ‘rete’ dimostra di avere coperture istituzionali di altissimo livello. Il nome del vicepresidente del Csm Mancino, presente nella lista Anemone, tra gli altri, appare sinistro e inquietante, in particolare per chi da pm si è visto da lui attivamente contrastato proprio quando si occupava di inchieste relative a questa cloaca cancerogena per il Paese”. Lo afferma in una nota Luigi de Magistris, eurodeputato Idv". (Luigi De Magistris)
giovedì 13 maggio 2010
Pagati per pestarci
"Il “manganello facile” è da stato di Polizia, ovvero di regime. E questo non è tollerabile in un Paese democratico. Maroni butti fuori dalla Polizia chi non è degno di farne parte e chi abusa del suo ruolo . Negli ultimi tempi le forze dell’ordine, per colpa di alcuni, salgono sul banco degli imputati per aver picchiato cittadini senza che ve ne fosse alcun bisogno o con reazioni oggettivamente spropositate. Episodi che si ripetono con una preoccupante frequenza. L’ultimo è quello del giovane, detenuto nel carcere di Regina Coeli e scarcerato dopo sette giorni, pestato da poliziotti mentre transitava in motorino fuori allo stadio Olimpico di Roma al termine della finale di Coppa Italia. Nel momento in cui nelle strade era in corso una violenta guerriglia tra ultras e Polizia. Un filmato amatoriale lascerebbe pochi dubbi sull’estraneità del malcapitato agli scontri. Spetta ora ai magistrati incaricati accertare la verità. Per molti anni ho avuto al mio fianco uomini che sacrificano tutto, dagli affetti al tempo libero, per dedicarsi con grande impegno al loro lavoro; per combattere la criminalità e le illegalità, rischiando anche la vita. Poliziotti, Carabinieri, Finanzieri a cui va tutta la mia stima e riconoscenza e, ne sono certo, quella degli italiani onesti. Per questo non è ammissibile che taluni infanghino la divisa che indossano e che, dai cittadini, vengano considerati quali nemici da temere. Modi di agire violenti e inauditi, spesso dettati da incapacità all’autocontrollo e alla gestione di situazioni difficili. Comportamenti che gettano fango su tutto il Corpo a cui essi appartengono. Come avvenne per la “perquisizione” alla scuola Diaz di Genova durante il G8 nel 2001, e che si tramutò in una vera e propria “macelleria” tante e tali furono le violenze fisiche su alcuni giovani manifestanti, feriti anche gravemente dopo un’irruzione della Polizia. Fatti d’inaudita gravità quelli di Genova, ai quali non vorremmo più assistere. La sentenza, in primo grado, ha riconosciuto gravi responsabilità e colpe, e ha condannato diversi funzionari di Polizia (molti di essi promossi poi, inspiegabilmente, a incarichi superiori). In alcuni passaggi della stessa il giudizio è particolarmente duro. I giudici scrivono: «...la perquisizione venne disposta in presenza dei presupposti di legge. Ciò che invece avvenne non solo al di fuori di ogni regola e di ogni previsione normativa ma anche di ogni principio di umanità e di rispetto delle persone è quanto accadde all’interno della Diaz Pertini. …in uno stato di diritto non è invero accettabile che proprio coloro che dovrebbero essere i tutori dell’ordine e della legalità pongano in essere azioni lesive di tale entità, anche se in situazioni di particolare stress ». Gli scontri di quei giorni, in cui perse la vita il giovane Carlo Giuliani, e la vicenda della scuola Diaz hanno segnato una delle pagine più brutte per la Polizia e per le istituzioni democratiche del Paese. Anche per l’inquietante presenza nella sala operativa della Questura di Genova, mentre nelle strade avvenivano gli scontri tra manifestanti e polizia, di un’alta carica del Governo Berlusconi di allora; per le tante ed evidenti manovre allo scopo di depistare le indagini con prove false, costruite ad arte; per le dichiarazioni anch’esse false rese al fine di coprire gli abusi e le responsabilità individuali. Bisogna perciò intervenire subito, affinché si pongano le condizioni per evitare il ripetersi di episodi terribili come quello di Genova, della caserma Raniero di Napoli, del giovane Stefano Gugliotta a Roma e di tanti altri. Le Forze dell’Ordine non possono essere macchiate dalle “labilità” di pochi". (Luigi De Magistris)
mercoledì 12 maggio 2010
Per la Donna
Mentre urli alla tua Donna c'è un uomo che desidera parlarle all'orecchio. Mentre umili, offendi, insulti e sminuisci la tua Donna c'è un uomo che la corteggia e le ricorda che è una gran Donna. Mentre la violenti c'è un uomo che desidera fare l'amore con lei. Mentre la fai piangere c'è un uomo che le ruba sorrisi. Copialo sulla tua bacheca, come protesta contro la violenza sulle Donne.
martedì 11 maggio 2010
Regime
"Qual è la magistratura e l’informazione che la maggioranza, autoritaria ed illiberale, vuole imporre al Paese? I tratti salienti di questo progetto si trovano nel piano di rinascita democratica della P2: la sottoposizione del pubblico ministero al potere esecutivo ed il controllo dei mezzi di comunicazione. In un Paese in cui è sofferente la dialettica democratica parlamentare tra maggioranza ed opposizione da dove può provenire la conoscenza dei fatti? Chi può raccontare storie e vicende scongiurando la scomparsa dei fatti? La conoscenza impedisce la narcotizzazione delle coscienze, consente un pensiero libero e, quindi, critico. La libertà di pensiero è il principale antidoto ai totalitarismi, soprattutto quelli che si fondano sul legalismo illegale ed amorale. Solo una magistratura libera, autonoma ed indipendente. Solo un’informazione indipendente, libera e pluralista. Solo loro possono, nell’ambito dei loro differenti ruoli, raccontare quello che accade e che altrimenti non si saprebbe. Non sfugge, certo, che una parte della magistratura è già prona ai poteri sui quali dovrebbe esercitare l’attività di controllo. E’ conformista, burocrate, opportunista, servente ad interessi forti, talvolta criminali. E’ questa la magistratura che sogna chi detiene il potere e che non tollera controlli sul proprio operato. Non sfugge nemmeno che una parte dell’informazione è megafono e propaganda di un sistema di potere che assume sempre più i tratti di un regime. Sono quelli che si autocensurano per essere graditi al potere.Adesso il sistema – di chiara derivazione piduista – vuole definitivamente sottomettere – anche sul piano formale – la magistratura ed i mass-media.L’ordine giudiziario sottomesso al potere politico significa che nei confronti dei corrotti, dei colletti bianchi, della mafia contemporanea, dei truffatori e ladri di stato, dei riciclatori ed evasori ci sarà il processo lampo, invisibile. Nel senso che non verranno mai più espletate indagini preliminari nei confronti di questi criminali. La giustizia, invece, riprenderà a funzionare, avrà risorse, vi saranno i processi brevi, senza garanzie, nei confronti di categorie di pericolosi sovversivi: ad esempio, gli immigrati clandestini (quelli che vengono puniti non perché hanno commesso un reato, ma solo in quanto clandestini); i giornalisti che si ostinano ad essere cani da guardia del regime e non barboncini da salotto (si andrà giù duro con azioni giudiziarie fino a fiaccarli); i servitori dello stato che non si arrendono e non piegano la schiena al regime (saranno schiacciati da procedimenti penali e fatti passare per mitomani, squilibrati, pazzi o sovversivi); i politici e gli opinionisti che difendono Costituzione, Stato di diritto e Stato sociale di diritto (eversivi da incriminare per reati gravissimi, da corte d’assise).La magistratura diverrà il braccio togato di un corpo autoritario e sovversivo dell’ordine democratico. La stampa dovrà far apparire tutto questo come normale, la normalizzazione dell’autoritarismo divenuto regime.Dimenticavo un’altra grave emergenza criminale che il potere costituito dovrà affrontare: i procedimenti penali aventi ad oggetto i sequestri delle carriole dei cittadini del L’Aquila che osano manifestare per chiedere trasparenza e legalità nella gestione dei fondi pubblici per il terremoto e verità giudiziaria. Sono matti! Come si fa a mettere in dubbio che tutti i soldi sono stati spesi in modo esemplare? Il sistema gelatinoso della protezione civile connection spa – un intreccio tra corruzione e borghesia mafiosa - è solo un’invenzione di quegli ultimi magistrati e giornalisti che si ritenevano ancora liberi prima che i detentori del potere – usando la legge - sottomettessero stampa e magistratura ai loro comandi". (Luigi De Magistris)
lunedì 10 maggio 2010
domenica 9 maggio 2010
sabato 8 maggio 2010
Er Patata
"Ma chi è Totti? Il sorriso da bravo ragazzo che traspare negli spot in cui lui e la moglie ripropongono Casa Vianello in versione meno alfabetizzata? Oppure il ghigno da posseduto che oscura lo schermo, mentre la regia lavora di replay sul calcione a tradimento con cui ha appena steso un avversario? E non un avversario qualsiasi, ma Balotelli, altra icona double-face: provocatore strafottente (un nero che grida «romani di m...» con accento bresciano è un sintomo inoppugnabile di integrazione) e però anche vittima emblematica del razzismo strisciante. Chi è dunque Totti? È la prova di quanto un puledro di razza possa essere azzoppato dalle due maledizioni dell’identità italiana: la famiglia iperprotettiva e lo spirito di fazione. A trentaquattro anni, il miglior calciatore del nostro Paese resta un pupo di mamma e di curva, incapace di reggere alle pressioni del ruolo di capobranco a cui è stato issato più dal talento che dal carattere. Ingozzato di coccole, nella vita ha sofferto troppo poco per essere un leader, al punto che ogni volta che è chiamato a diventarlo sbraca. La salvezza, per lui, sarebbe stata emigrare ad almeno mille chilometri dalle sottane della sua Roma. Perché solo lontano da quell’amore che lo vizia e lo giustifica avrebbe potuto diventare finalmente adulto. Ha scelto di non rischiare, cioè di non crescere. Ed è rimasto fermo. Fermo allo sputo con cui rinfrescò le guance del danese Poulsen agli Europei del 2004. Anche allora era stato provocato. Ma i campioni vengono sempre provocati, per definizione. Quanti insulti intimi riceverà Messi in ogni partita? L’eroe è tale se sa dominare le sue emozioni. È l’auriga di se stesso, che mette le redini ai cavalli dell’ego. Totti invece è il prodotto di una società isterica, dominata da un senso malinteso dell’onore. Ancora ieri, prima di chiedere genericamente scusa (senza mai nominare Balotelli né Milito, colpito a freddo all’inizio del secondo tempo) aveva spiegato che la sua era stata una reazione a «offese dirette a infangare una città e un popolo intero». Un popolo offeso dal barbaro invasore, capite? Per chi non lo sapesse, si sta parlando di una partita di pallone. Ma il capitano della Roma ha preso molto sul serio il ruolo attribuitogli dai tifosi. Lui è il Gladiatore di Russell Crowe, «a un mio cenno scatenate l’inferno». La differenza è che l’eroe cinematografico incarnava i valori trasmessigli da Marco Aurelio, non da Er Patata". (Massimo Gramellini)
L'Italia imbavagliata
"Se la legge sulle intercettazioni verrà approvata nel testo in discussione al Senato, sarà fatto un passo pericoloso verso un mutamento di regime. I regimi non cambiano solo quando si è di fronte ad un colpo di Stato o ad una rottura frontale. Mutano pure per effetto di una erosione lenta, che cancella principi fondativi di un sistema. Se quel testo diverrà legge della Repubblica, in un colpo solo verranno pregiudicati la libertà di manifestazione del pensiero, il diritto di sapere dei cittadini, il controllo diffuso sull'esercizio dei poteri, le possibilità d'indagine della magistratura. Ci stiamo privando di essenziali anticorpi democratici. La censura come primo passo concreto verso l'annunciata riforma costituzionale, visto che si incide sulla prima parte della Costituzione, quella dei principi e dei diritti, a parole dichiarata intoccabile? Se così sarà, dovremo chiederci se viviamo ancora in uno Stato costituzionale di diritto.Questa operazione sostanzialmente eversiva si ammanta del virtuoso proposito di tutelare la privacy. Ma, se questo fosse stato il vero obiettivo, era a portata di mano una soluzione che non metteva a rischio né principi, né diritti. Bastava prevedere che, d'intesa tra il giudice e gli avvocati delle parti, si distruggessero i contenuti delle intercettazioni relativi a persone estranee alle indagini o comunque irrilevanti; si conservassero in un archivio riservato le informazioni di cui era ancora dubbia la rilevanza; si rendessero pubblicabili, una volta portati a conoscenza delle parti, gli atti di indagine e le intercettazioni rilevanti.Su questa linea vi era stato un largo consenso, che avrebbe permesso una approvazione a larga maggioranza di una legge così congegnata.
Ma l'obiettivo era diverso. La tutela della privacy è divenuta il pretesto per aggredire l'odiata magistratura, l'insopportabile stampa. Non si vuole che i magistrati indaghino sul "mostruoso connubio" tra politica e affari, sull'illegalità che corrode la società. Si vuole distogliere l'occhio dell'informazione non dal gossip, ma da vicende che inquietano i potenti, dal malaffare. Se quella legge fosse stata approvata, non sarebbe stato possibile dare notizie sul caso Scajola, perché si introduce un divieto di pubblicazione che non riguarda le sole intercettazioni.In un paese normale proprio quest'ultima vicenda avrebbe dovuto indurre alla prudenza. Sta accadendo il contrario. Al Senato si vuole chiudere al più presto. E questo è coerente con l'affermazione del presidente del Consiglio, secondo il quale in Italia "c'è fin troppa libertà di stampa". Quale migliore occasione per porre rimedio a questo eccesso di una bella legge censoria?Scajola, infatti, è stato costretto a dimettersi solo dalla forza dell'informazione. Una situazione apparsa intollerabile. Ecco, allora, il bisogno di arrivare subito ad una legge che interrompa fin dall'origine il circuito informativo, riducendo le informazioni che la magistratura può raccogliere, impedendo che le notizie possano giungere ai cittadini prima d'essere state sterilizzate dal passare del tempo. Non si può tollerare che i cittadini dispongano di informazioni che consentano loro di non essere soltanto spettatori delle vicende politiche, ma di divenire opinione pubblica consapevole e reattiva.Si arriva così all'infinito silenzio stampa, all'opinione pubblica impotente perché ignara dei fatti, visto che nulla può esser detto su qualsiasi fatto delittuoso fino all'udienza preliminare, dunque fino a un tempo che può essere lontano anni dal momento in cui l'indagine era stata aperta. Che cosa resterebbe della democrazia, che non vuol dire soltanto "governo del popolo", ma pure governo "in pubblico"? In tempi di corruzione dilagante si abbandona ogni ritegno e trasparenza, si dimentica il monito del giudice Brandeis: in democrazia "la luce del sole è il miglior disinfettante". Stiamo per essere traghettati verso un regime di miserabili arcana imperii, di un segreto assoluto posto a tutela di simoniaci commerci di qualsiasi bene, di corrotti e corruttori, di faccendieri e di veri criminali.Questo regime non avvolgerebbe soltanto in un velo oscuro proprio ciò che massimamente avrebbe bisogno di chiarezza. Creerebbe all'interno della società un grumo che la corromperebbe ancor più nel profondo. Le notizie impubblicabili, infatti non sarebbero custodite in forzieri inaccessibili. Sarebbero nelle mani di molti, di tutte le parti, dei loro avvocati e consulenti che ricevono le trascrizioni delle intercettazioni, gli atti d'indagine, gli avvisi di garanzia, i provvedimenti di custodia cautelare. Questo materiale scottante alimenterebbe i sentito dire, la circolazione di mezze notizie, le allusioni, la semina del sospetto. Renderebbe possibili pressioni sotterranee, o veri e propri ricatti. Creerebbe un clima propizio ad un "turismo delle notizie", alla pubblicazione su qualche giornale straniero di informazioni "proibite" che poi rimbalzerebbero in Italia.Accade sempre così quando ci si allontana dalla via retta della democrazia e dei diritti. Dal diritto d'informazione in primo luogo, che non è privilegio dei giornalisti, ma diritto fondamentale d'ogni persona, la premessa della sua cittadinanza attiva, del suo "conoscere per deliberare". Ce lo ricordano le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, dov'è sempre ripetuto che "la libertà d'informazione ha importanza fondamentale in una società democratica". In una sentenza del 2007, che riguardava due giornalisti francesi autori d'un libro sulle malefatte di un collaboratore di Mitterrand, la Corte ha ritenuto che la notorietà della persona e l'importanza della vicenda rendevano legittima la pubblicazione anche di notizie coperte dal segreto. In una sentenza del 2009 si è messo in evidenza che eccessivi risarcimenti del danno a carico di giornalisti e editori possono costituire una forma di intimidazione che viola la libertà d'informazione: che cosa dovremmo dire quando, da noi, il testo all'esame del Senato impugna come una clava le sanzioni pecuniarie con chiaro intento intimidatorio? E guardiamo anche agli Stati Uniti, al fermo discorso di Hillary Clinton sul nesso tra democrazia e libertà di espressione su Internet, alle ultime sentenze della Corte Suprema che, pure di fronte a casi sgradevoli e imbarazzanti, ha riaffermato la superiorità del Primo Emendamento, appunto della libertà di espressioneUn velo d'ignoranza copre gli occhi del legislatore italiano. Ma non è il benefico velo che lo mette al riparo da pressioni, da influenze improprie. È l'opposto, è la resa alla imposizione di chi non vuole che si guardi al mondo quale veramente è. Nasce così un'anomalia culturale, prima ancora che giuridico-istituzionale. Ci allontaniamo dai territori della civiltà giuridica, e ci candidiamo ad esser membri a pieno titolo del club degli autoritari Certo la nostra Corte costituzionale prima, e poi quella di Strasburgo, potranno ancora salvarci. Intanto, però, la voce dei cittadini può farsi sentire, e non è detto che rimanga inascoltata". (Stefano Rodotà)
Ma l'obiettivo era diverso. La tutela della privacy è divenuta il pretesto per aggredire l'odiata magistratura, l'insopportabile stampa. Non si vuole che i magistrati indaghino sul "mostruoso connubio" tra politica e affari, sull'illegalità che corrode la società. Si vuole distogliere l'occhio dell'informazione non dal gossip, ma da vicende che inquietano i potenti, dal malaffare. Se quella legge fosse stata approvata, non sarebbe stato possibile dare notizie sul caso Scajola, perché si introduce un divieto di pubblicazione che non riguarda le sole intercettazioni.In un paese normale proprio quest'ultima vicenda avrebbe dovuto indurre alla prudenza. Sta accadendo il contrario. Al Senato si vuole chiudere al più presto. E questo è coerente con l'affermazione del presidente del Consiglio, secondo il quale in Italia "c'è fin troppa libertà di stampa". Quale migliore occasione per porre rimedio a questo eccesso di una bella legge censoria?Scajola, infatti, è stato costretto a dimettersi solo dalla forza dell'informazione. Una situazione apparsa intollerabile. Ecco, allora, il bisogno di arrivare subito ad una legge che interrompa fin dall'origine il circuito informativo, riducendo le informazioni che la magistratura può raccogliere, impedendo che le notizie possano giungere ai cittadini prima d'essere state sterilizzate dal passare del tempo. Non si può tollerare che i cittadini dispongano di informazioni che consentano loro di non essere soltanto spettatori delle vicende politiche, ma di divenire opinione pubblica consapevole e reattiva.Si arriva così all'infinito silenzio stampa, all'opinione pubblica impotente perché ignara dei fatti, visto che nulla può esser detto su qualsiasi fatto delittuoso fino all'udienza preliminare, dunque fino a un tempo che può essere lontano anni dal momento in cui l'indagine era stata aperta. Che cosa resterebbe della democrazia, che non vuol dire soltanto "governo del popolo", ma pure governo "in pubblico"? In tempi di corruzione dilagante si abbandona ogni ritegno e trasparenza, si dimentica il monito del giudice Brandeis: in democrazia "la luce del sole è il miglior disinfettante". Stiamo per essere traghettati verso un regime di miserabili arcana imperii, di un segreto assoluto posto a tutela di simoniaci commerci di qualsiasi bene, di corrotti e corruttori, di faccendieri e di veri criminali.Questo regime non avvolgerebbe soltanto in un velo oscuro proprio ciò che massimamente avrebbe bisogno di chiarezza. Creerebbe all'interno della società un grumo che la corromperebbe ancor più nel profondo. Le notizie impubblicabili, infatti non sarebbero custodite in forzieri inaccessibili. Sarebbero nelle mani di molti, di tutte le parti, dei loro avvocati e consulenti che ricevono le trascrizioni delle intercettazioni, gli atti d'indagine, gli avvisi di garanzia, i provvedimenti di custodia cautelare. Questo materiale scottante alimenterebbe i sentito dire, la circolazione di mezze notizie, le allusioni, la semina del sospetto. Renderebbe possibili pressioni sotterranee, o veri e propri ricatti. Creerebbe un clima propizio ad un "turismo delle notizie", alla pubblicazione su qualche giornale straniero di informazioni "proibite" che poi rimbalzerebbero in Italia.Accade sempre così quando ci si allontana dalla via retta della democrazia e dei diritti. Dal diritto d'informazione in primo luogo, che non è privilegio dei giornalisti, ma diritto fondamentale d'ogni persona, la premessa della sua cittadinanza attiva, del suo "conoscere per deliberare". Ce lo ricordano le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, dov'è sempre ripetuto che "la libertà d'informazione ha importanza fondamentale in una società democratica". In una sentenza del 2007, che riguardava due giornalisti francesi autori d'un libro sulle malefatte di un collaboratore di Mitterrand, la Corte ha ritenuto che la notorietà della persona e l'importanza della vicenda rendevano legittima la pubblicazione anche di notizie coperte dal segreto. In una sentenza del 2009 si è messo in evidenza che eccessivi risarcimenti del danno a carico di giornalisti e editori possono costituire una forma di intimidazione che viola la libertà d'informazione: che cosa dovremmo dire quando, da noi, il testo all'esame del Senato impugna come una clava le sanzioni pecuniarie con chiaro intento intimidatorio? E guardiamo anche agli Stati Uniti, al fermo discorso di Hillary Clinton sul nesso tra democrazia e libertà di espressione su Internet, alle ultime sentenze della Corte Suprema che, pure di fronte a casi sgradevoli e imbarazzanti, ha riaffermato la superiorità del Primo Emendamento, appunto della libertà di espressioneUn velo d'ignoranza copre gli occhi del legislatore italiano. Ma non è il benefico velo che lo mette al riparo da pressioni, da influenze improprie. È l'opposto, è la resa alla imposizione di chi non vuole che si guardi al mondo quale veramente è. Nasce così un'anomalia culturale, prima ancora che giuridico-istituzionale. Ci allontaniamo dai territori della civiltà giuridica, e ci candidiamo ad esser membri a pieno titolo del club degli autoritari Certo la nostra Corte costituzionale prima, e poi quella di Strasburgo, potranno ancora salvarci. Intanto, però, la voce dei cittadini può farsi sentire, e non è detto che rimanga inascoltata". (Stefano Rodotà)
venerdì 7 maggio 2010
giovedì 6 maggio 2010
Zombies
"Il politico infestante è lo spirito di un defunto che non sa di esserlo e vaga nei luoghi in cui è vissuto. Così come le case infestate sono abitate da fantasmi di trapassati, lo Stato italiano è infestato dagli spiriti dei politici che furono. Le entità che occupano le case si manifestano con apparizioni, rumori, spostamenti di oggetti e attraverso i medium, persone in grado di parlare con l'aldilà. Il politico trapassato usa i media che ne propagano l'ectoplasma attraverso l'etere. Fede, Floris, Minzolini estraggono dal magma indistinto dei non morti le voci, i volti di Berlusconi, Lupi, D'Alema, Fini, Bersani, Casini, Gasparri e le proiettano nella realtà percepita dagli italiani. Ologrammi di un mondo che da tempo ha cessato di esistere.La realtà e la realtà percepita si sovrappongono, si fondono, diventano una cosa sola nella mente degli italiani. Per molti Berlusconi esiste davvero e governa il Paese e Bersani e Fini fanno opposizione. Gli italiani sono psichicamente deboli, la loro volontà è stata minata. Si registrano così casi di possessione da parte degli spiriti dei politici più perniciosi di milioni di persone inermi che ne riconoscono il viso sui manifesti elettorali e li votano ad ogni elezione. Gli spiriti dei politici defunti inducono in casi eccezionali una totale assenza di volontà in alcuni soggetti che hanno lo scopo di servirli, sono casi di autentica possessione, di unità tra vivi e morti, rivelati dalle parole di esseri letargici come Bondi o Scajola nelle sedute spiritiche televisive. La possessione da parte dei disincarnati può produrre effetti tali da evocare presenze demoniache evidenti nel caso di La Russa.Se i medium per comunicare con i defunti entrano in uno stato di trance, i media per ridare vita apparente agli spiriti dei politici inducono una trance negli italiani. Una condizione non percepibile da chi ne subisce gli effetti, ma solare per chi osserva l'Italia dall'estero che però non ne capisce le cause e sottovaluta le possibilità di contagio. Gli italiani sono un popolo che crede agli spiriti, come i bambini credono nel babau. Un popolo che la televisione ha trasformato in zombie, ridotto in uno stato catatonico, simile in questo alle droghe usate dai sacerdoti haitiani. Quando da piccoli sentivamo, credevamo di sentire, degli orribili rumori provenire dall'armadio e vedevamo, credevamo di vedere, delle terribili ombre ingrandirsi e muoversi verso di noi, avevamo due scelte, ignorarle o nasconderci sotto le coperte. Nella stanza non c'è nessuno spirito oltre a noi. Per esserne sicuri è sufficiente accendere la luce e spegnere la televisione". (dal blog di Beppe Grillo)
martedì 4 maggio 2010
lunedì 3 maggio 2010
Il sistema
Ormai è chiaro: noi non abbiamo più una classe politica che ci dirige, ma un'associazione a delinquere che si fa gli affari propri con i nostri soldi e le nostre vite. La realtà è evidente, ma sembra che una buona parte della popolazione non se ne renda conto, rassegnata a vivere sotto il sistema politico-affaristico del momento. Ecco, infatti, di cosa si occupano da qualche anno il nostro Governo e la burocrazia del nostro Stato, con Vaticano al seguito, cioè gli organismi principe del nostro benessere e delle nostre coscienze di italiani:
-le leggi ad personam per il premier (innumerevoli, a partire dalle leggi tv, fino a quelle per bloccare i processi e salvare gli amici dalla galera)e l'impunità per i suoi ministri (vedi Matteoli per favoreggiamento, Fitto per peculato e così continuando)
-acquistare in nero appartamenti da parte dei ministri & co., con i soldi di chi vince poi gli appalti, con la benedizione del Vaticano (vedi Caso Scajola, Mastella e via dicendo)
-accappararsi appalti e consulenze in Rai e in tutti gli enti possibili da parte di politici, parenti ed amanti; (innumerevoli, tra cui suocere e conviventi di Fini, Bocchino, Berlusca, eccetera)
-spartirsi gli appalti pubblici tra chi dovrebbe assicurare trasparenza , magari con qualche massaggio delle ballerine del cacao meravigliao (Bertolaso & co.), magari utilizzando la banca deol coordinatore politico (vedi Verdini del pdl) per poi riciclare i soldi attraverso lo scudo fiscale di Tremonti;
-piazzare escort e veline nelle varie giunte e palinsesti tv (un po' tutti, a destra e sinistra);
-utilizzare auto blu a piacimento. senza perdere i punti patente, e magari facendosi accompagnare a puttane e a trans (Marrazzo docet);
- spartirsi le poltrone appena entrati nelle giunte regionali, magari spiando illegalmente gli altri (Polverini e Formigoni in testa, ed ex come Francesco Storace condannato recentemente);
-affidare autostrade e concessioni pubbliche a parenti ed amici (vedi Benetton & co.)
-nascondere i soldi rubati nelle chiese, utilizzandole come bancomat, per poi far seppellire boss, come quelli della magliana, in cripte di canoniche esclusive al prezzo di 500 milioni di vecchie lire (caso Anemone e De Pedis);
-senatori al soldo della mafia e truffatori dei contributi sull'editoria (vedi Di Girolamo,Ciarrapico e, addirittura il presidente di Palazzo Madama Schifani che poi ce lo vediamo anche alla Coppa Italia);
-deputati eletti con i voti della camorra (vedi caso Cosentino)
-sputtanare suoi giornali amici i propri nemici rivelando aspetti privati della loro vita (vedi il gionale di Feltri con il caso Boffo e tanti altri);
Ditemi se questa è una classe politica dirigente seria o un bordello?
"Egregio ministro Scajola,
forse la stupirò: io non chiedo le sue dimissioni, e nemmeno chiedo che lei vada in Parlamento a discolparsi. Anzi, le chiedo il contrario, non ci vada. Lo spettacolo di Lei che balbetta la Sua versione davanti a pochi oppositori mogi che leggono il giornale, almeno quello, me lo risparmi. E mi risparmi (sono sicuro che lo farà) un gesto clamoroso come le dimissioni: le diede già una volta. e il Suo potere è rinato più forte di prima. Quel che vorrei comunicarLe anzi è il messaggio di tener duro, di resistere. Ministro Scajola, resti al suo posto. Con la sua casa di 180 metri quadri vista Colosseo che sostiene di aver pagato un terzo del prezzo di mercato, la sua presenza in questo governo del fare non è soltanto giusta, ma necessaria, direi addirittura didattica, esemplare. Per parafrasare certi western e certi film di spionaggio, caro ministro, Lei ci serve vivo, al suo posto, ben visibile. L’ottanta per cento degli italiani ha una casa in proprietà. Sa cosa vuol dire andare dal notaio, versare assegni, firmare un rogito. La proprietà di quelle case è stata strappata con i denti a forza di sacrifici, e mutui, e tassi esosi, e banche bastarde, e aiuti delle famiglie che hanno messo da parte due soldi quando Voi non c’eravate ancora. Gli italiani saranno anche smemorati e ipnotizzati dalla propaganda del Suo Capo, ma sanno che quella casa lì, sua o della sua figliola, non so bene, non la paga 610.000 euro nemmeno la Madonna di Medjugorje, che il mercato sarà scemo – io ne sono certo – ma non così scemo. Resti al suo posto, ministro. Lei è l’emblema vivente di quanto sa osare l’inosabile questa cricca che ci governa, fitta di favori, di scorciatoie, di furbizie private, di trucchi contabili, di soldi facili. Lei è prezioso ministro. E ancor più prezioso è quando piagnucola sull’attacco alla Sua famiglia. La famiglia, il grande valore della destra italiana. La famiglia, bene morale supremo a cui intestare appartamenti, patrimonio di affetti per cui chiedere compiacenze, raccomandazioni, piazzamenti di favore, assunzioni, prebende, candidature, contratti. Dietro le Vostre famiglie, signor ministro, ci sono le nostre famiglie, che trovano i posti migliori – che magari meriterebbero per merito – sempre occupati, perché le Vostre illustri casate sono arrivate prima, col lampeggiante e la corsia preferenziale. Mai che si trovi qualcuno di Voialtri, ministro, il cui figliuolo fa il manovale nel nord-est, o il precario stagionale, o la sciampista alla Magliana. La vostra rete di potere – dico vostra perché in questi giorni Lei ne è l’emblema – è questo mix medievale di privilegi e sprezzo del popolo, parola con cui vergognosamente Vi baloccate. La figlia di Scajola, i figli di Berlusconi, il figlio di Bossi, il genero di Letta, il pargolo di Pinco, la moglie di Pallino, quell’altro che vuol fare l’attore, i cognati con appalto al seguito, le nuore prestanome: il vostro amore per la famiglia è questo, signor ministro. Tanto che assistiamo in questi giorni sui giornali della destra a un fitto rimproverarsi contratti (pubblici) per mogli e suocere, tutto all’ombra del più grande conflitto d’interessi che il mondo ricordi. Il pubblico ignaro scambia questo clima da basso impero per un effetto collaterale della Vostra politica, ma si sbaglia: esso è la vostra politica, pura e semplice. Resti al suo posto, ministro Scajola. Lei ci serve per parlare con i nostri amici francesi, inglesi, tedeschi, americani (ne abbiamo, sa?) per spiegare cosa siamo diventati quaggiù. Ci è prezioso per raccontare anche ai vostri entusiasti elettori chi hanno votato veramente. Continui, la prego, a dire di aver comprato 180 metri quadri con vista sul Colosseo a 610.000 euro. Qui non si reclama la giustizia, non si chiamano i carabinieri, non si chiede aiuto alla magistratura, non si fa appello al buon senso, al buon gusto o all’onestà. Tenga duro ministro, non molli. Siamo un po’ confusi tutti, i concetti astratti non ci piacciono più, ci piacciono invece gli esempi concreti. Ogni volta che penseremo a come è immobile, bloccato, arretrato e triste questo Paese penseremo al Suo salotto, al Suo condominio signorile, ai Suoi infissi di pregio acquistati al prezzo di un trilocale marcio in periferia. E’ bello che lo spessore morale di una classe dirigente abbia una faccia, e questa volta – perdoni – è la Sua.
Cordialmente".(Alesandro Robocchini)
Purtroppo si è dimesso...
"C'è del metodo nella follia che si abbatte sul governo con lo scandalo Scajola, costringe il ministro alle dimissioni, e colpisce con uno sfregio il tabernacolo del potere berlusconiano, di cui l'ex titolare delle Attività Produttive fa parte fin dall'inizio, sedici anni fa.Dopo che 'Repubblica' aveva dato la notizia dell'inchiesta sulla casa del ministro pagata da un costruttore, il mondo berlusconiano ha tentato di far valere per alcuni giorni anche per Scajola lo specialissimo scudo di dissimulazione, banalizzazione, vittimizzazione che il Premier impiega abitualmente per difendere se stesso, quando spunta un'ipotesi di reato. Ma questa volta si è capito che lo scudo del potere è sbrecciato: di fronte all'evidenza dei fatti, alle testimonianze convergenti, all'incapacità di mettere in campo obiezioni concrete e fondate, la strategia del vittimismo, della "campagna mediatica", del "fango" non ha retto. Il ministro ha dovuto dimettersi davanti alla pubblica opinione prima ancora che davanti ai rilievi dei magistrati e alle domande del Parlamento, dimostrando che Berlusconi alla fine sa proteggere soltanto se stesso, e che i cittadini attraverso i giornali possono far valere le buone ragioni di chi chiede conto al potere dei suoi comportamenti. Si capisce perfettamente che il presidente del Consiglio, con l'immagine del governo deturpata dalle dimissioni obbligate del ministro, si lamenti dei giornali e del loro ruolo, come fa ogni volta che uno scandalo lo sovrasta. "C'è fin troppa libertà di stampa", ha detto ieri, e non si capisce se è una denuncia o un programma. Effettivamente, la libertà di stampa che il Premier vorrebbe ridurre con la legge sulle intercettazioni ha portato alla luce lo scandalo, ha costretto il ministro a infilare una serie di contraddizioni e di spiegazioni impossibili, ha prodotto documenti e testimonianze di altri attori di questa vicenda, e infine ha indotto Scajola a firmare le sue dimissioni, per la seconda volta in pochi anni: a conferma, almeno statisticamente, dell'imperizia del Cavaliere nella scelta dei suoi collaboratori. Ma il metodo è altrove, oltre la coazione a ripetere di Scajola, oltre la tentazione a coprire gli scandali del Cavaliere. Questa storia, infatti, promette di essere soltanto all'inizio, pronta ad allargarsi pericolosamente. Vediamo. Il ministro è accusato di essersi fatto comprare (per due terzi) una casa da un costruttore che è nel giro degli appalti di Stato, è al centro del turbine vorticoso della Protezione Civile, è pronto a trasformarsi - dicono le carte dei magistrati - in sbrigafaccende per i potenti che ruotano intorno a Palazzo Chigi. Scajola nega di aver avuto soldi da questo Anemone, ammette che qualcuno a sua insaputa potrebbe aver pagato in parte quell'appartamento a suo nome, parla di intimidazioni nei suoi confronti, fa intendere manovre politiche ai suoi danni, per farlo fuori. Ma non rivela nessun elemento che possa dar corpo ad una operazione orchestrata ai suoi danni, né fa i nomi dei manovratori che - forse nel suo partito - agirebbero contro di lui.Resta in campo dunque soltanto l'ipotesi di una casa pagata coi soldi di un costruttore: tanto che sotto il peso di questa unica ipotesi, il ministro si deve dimettere. Ma un minuto dopo l'evidenza di questo peso giudiziario e politico, nasce una domanda obbligatoria, a cui Scajola - e non solo lui - deve rispondere anche dopo le dimissioni: perché un costruttore sborsa 900 mila euro per comperare la casa a un ministro? Qual è la ragione, quale la logica, quale il tornaconto? In sostanza: cosa ha fatto quel ministro, cosa ha fatto il governo di cui fa parte, per ottenere quella ricompensa? A quale obbligo di riconoscenza rispondeva il costruttore, per sdebitarsi così generosamente (e imprudentemente) con uno degli uomini più in vista, oggi come ieri, del governo Berlusconi? Questa è una domanda che non può restare senza risposta. Le dimissioni risolvono un imbarazzo istituzionale ma non sciolgono il nodo di quel favore, la ragione politica, governativa, quindi pubblica, che sta dietro quell'operazione di mutuo soccorso di cui la pubblica opinione conosce soltanto un elemento, i 900 mila euro del costruttore per la casa del ministro. Ma in cambio di che cosa? Di quale favore evidentemente non confessabile, se ha un prezzo così alto e così intimo? Di quale promessa economicamente rilevante, se l'anticipo è di queste dimensioni? Di quale meccanismo di scambio collaudato e sicuro, se lo si olia con 900 mila euro? Il punto politico è proprio qui, dove comincia il metodo. Scajola sembra essere soltanto uno degli attori di questa vicenda in cui si incontrano il governo, gli appalti, la Protezione Civile, la propaganda, l'emergenza, i grand commis profittatori, i magistrati compiacenti, i costruttori beneficati e benefattori. Un insieme che è stato chiamato la "cricca" impropriamente, perché non è il cast di un film dei Vanzina: è un vero e proprio "sistema" politico-affaristico, con gli appalti di Stato che in nome dell'emergenza sfuggono a ogni regola e a tutti i controlli, movimentano miliardi e producono un ritorno in favori d'ogni genere, dai massaggi alle ristrutturazioni delle case, dagli appartamenti pagati ai conti degli alberghi, alle prostitute, alle assunzioni dei parenti.Nelle carte dell'inchiesta sulla Protezione Civile, questo sistema è descritto nei dettagli, disegnato con ritratti precisi ed espliciti. Anche se oggi si prova a dimenticarlo, quel "sistema" è venuto in parte alla luce, è sotto gli occhi di chi vuol vederlo, e qualcuno dovrà renderne conto. Proviamo a inserire Scajola e gli ottanta assegni dentro il perimetro di quel sistema e tutto diventa coerente, e comprensibile. Il ministro, probabilmente, non si riteneva immune personalmente, come il suo Capo: ma pensava e sapeva di far parte del "sistema", perché conosceva i meccanismi di funzionamento, il nome e il cognome dei beneficati, le garanzie reciproche di sicurezza che legano gli appalti e i favori, all'ombra del governo. Che ha da dire il governo, su questo? L'onorevole presidente del Consiglio? Chi spiega ai cittadini perché, e in cambio di che cosa, quel costruttore doveva comprare una casa al ministro? La domanda resta in campo, senza risposta fino ad oggi. La responsabilità penale è certamente personale: ma quella politica è più ampia, e il governo Berlusconi deve risponderne insieme con Scajola". (Ezio Mauro)
"Cari lettori – come si dice target del mio stesso target – scrivo qui per annunciarvi personalmente che Draquila è pronto e vi attende nelle sale. Dura un’ora e mezza ed è la sintesi di un anno di lavoro iniziato a maggio dell’anno scorso, quando mi sono arrivate all’orecchio strane voci su quello che stava succedendo nella zona terremotata. Ho fatto un po’ di ricerche, ho aspettato che passasse il G8 e sono partita. Dopo aver parlato con tanti cittadini mi è sembrato che L’Aquila fosse una porzione di realtà ideale per raccontare l’Italia di oggi. C’erano tutti gli elementi: la speculazione più cinica, l’assenza della politica, la propaganda sempre più spudorata, l’autoritarismo, la corruzione e l’alito della criminalità organizzata. Ho mollato quello che stavo facendo e ho cominciato a girare con una piccola troupe fatta di cinque persone, me compresa. Siamo stati a L’Aquila tantissime volte da luglio a marzo e abbiamo girato più di 700 ore di materiale. Il film è la sintesi dei racconti e dei ragionamenti che ho ascoltato e tutti gli incontri fatti sono serviti al progetto anche se non li ho montati. Quindi ringrazio ancora una volta tutti quelli che ci hanno concesso il loro tempo e le loro documentazioni.
Mentre scrivo apprendo che Bertolaso ha dichiarato che portiamo a Cannes un’immagine sbagliata dell’Italia e che il mio è solo un punto di vista. Un punto di vista comunque abbastanza condiviso visto che quando ho chiesto agli utenti del blog di aiutarmi a trovare il titolo del film sono arrivate centinaia di proposte tutte dallo stesso punto di vista: Dove osano gli sciacalli, Lo specchio del reame, Anteprima dell’inferno, The marchigian candidate, I cacciatori di aquilani, Sciacalli in attesa di giudizio, Sciacallo pubblico, Qualcuno rubò sul nido de L’Aquila, Iene ridens a L’Aquila, Aquilopoli, Transilviania, Delinquo ergo sum, Le macerie della democrazia, In campeggio con Silvio, Sciacalli S.p.a., Protezione incivile, Sesso senza protezione, Feccia in libertà, Il conato della terra, Sanguisuga party, Grosso guaio a new town, Miraculo. E naturalmente Draquila il titolo che poi abbiamo scelto fra quelli proposti. Per il resto che dire dell’inchiesta? Per scoprire cos’è diventata la Protezione civile c’è voluta una buona dose di intuito e talento investigativo. In pratica ho chiesto alla prima persona che ho incontrato e me lo ha spiegato. Ho chiesto conferme a destra e a manca e ne ho trovate a destra e a manca. Ho chiesto a quelli della Protezione civile e mi hanno risposto in modo da far cadere ogni sospetto, che me ne avrebbero parlato volentieri ma che se lo avessero fatto sarebbero stati licenziati in tronco o spediti in qualche magazzino fuori dal raccordo anulare a osservare il soffitto fino alla fine dei loro giorni. Immagino che il motivo per cui nessuno parlava della faccenda, nemmeno a sinistra dove un paio di senatori solitari si dibattevano nel vuoto, fosse la presenza nel Pd di Rutelli e il fatto che il partito fosse commissariato da Ruini. La difficoltà più importante che ho fronteggiato è stata riuscire a credere che quello che vedevo stesse succedendo veramente; credere che ci sia in giro tanta gente così spietata e tanta gente così semplice , che così tanti siano disposti a vendere quello che non si deve e che lo vendano per così poco; tanta gente così fanatica, gente così eroica gente così acrobatica. Gli italiani sono cambiati, sono cambiati tanto e questo nel film si vede. Se dovessi descrivere come siamo cambiati con le parole non saprei da dove cominciare. Allora scrivendo per voi del Fatto non trovando una conclusione sono scesa al bar di sotto dove era accesa la televisione. Sgrano gli occhi per lo sgomento vedo i politici, uno ad uno, che sullo sfondo del Parlamento fanno un sermone sul pallone. Ho chiesto agli avventori se avevo un’allucinazione, se era Halloween o uno scherzo o che diavolo fosse successo. Mi hanno risposto coi volti scuri e il mio sorriso allora si è spento, mi sono messa ad ascoltare il signore che per primo ha iniziato a parlare: dice è successa una cosa mai vista, mai a memoria d’uomo, una cosa sconvolgente per quanto è meschina, per quanto è fetente. Fin da quando il mondo è mondo sempre si è combattuto: gli zenoti contro i romani, i semiti con gli indorai, i franchi contro i provenzali, i longobardi e i bizantini, i comuni italiani contro i comuni italiani, la Spagna cattolica contro figli dell’islam, gli indiani della prateria contro gli indiani dei grandi laghi, i francesi contro gli inglesi, i bretoni contro i sassoni, riforma e controriforma, Stanlio & Ollio, bionde contro more, gatto e topo, indù e musulmani, Annibale e Fabio Massimo, muto e sonoro, Apollo e Dioniso, Napoleone e gli aristocratici. Figurativi ed astrattisti e potrei andare avanti e lo sapete. Ma un popolo contro se stesso – continuava l’uomo del bar – questo non è mai avvenuto. Mai era accaduta una cosa del genere. Un fatto epocale, apocalittico senza precedenti: I tifosi laziali facevano la ola quando l’Inter segnava contro loro medesimi. Senza casa né amore né poesia ahimè non si è più niente. Nessun sunnita applaude se uno sciita fa un discorso anche valido. E continuavano: non si è mai visto! Gli Shogun contro i cinesi; i Mongoli contro Kiev e Mosca, I Gesuiti contro i Francescani, i Suicidi e gli omicidi, non s’è mai visto. Di battaglie, di guerre se ne sono viste tante ma non si è mai visto qualcuno andare apertamente contro se stesso. E così sia pure con una grossa semplificazione ho trovato le parole per la conclusione. Come spiegare in poche parole questo declino totale? È come se un intero popolo di colpo fosse diventato laziale". (Sabina Guzzanti)
-le leggi ad personam per il premier (innumerevoli, a partire dalle leggi tv, fino a quelle per bloccare i processi e salvare gli amici dalla galera)e l'impunità per i suoi ministri (vedi Matteoli per favoreggiamento, Fitto per peculato e così continuando)
-acquistare in nero appartamenti da parte dei ministri & co., con i soldi di chi vince poi gli appalti, con la benedizione del Vaticano (vedi Caso Scajola, Mastella e via dicendo)
-accappararsi appalti e consulenze in Rai e in tutti gli enti possibili da parte di politici, parenti ed amanti; (innumerevoli, tra cui suocere e conviventi di Fini, Bocchino, Berlusca, eccetera)
-spartirsi gli appalti pubblici tra chi dovrebbe assicurare trasparenza , magari con qualche massaggio delle ballerine del cacao meravigliao (Bertolaso & co.), magari utilizzando la banca deol coordinatore politico (vedi Verdini del pdl) per poi riciclare i soldi attraverso lo scudo fiscale di Tremonti;
-piazzare escort e veline nelle varie giunte e palinsesti tv (un po' tutti, a destra e sinistra);
-utilizzare auto blu a piacimento. senza perdere i punti patente, e magari facendosi accompagnare a puttane e a trans (Marrazzo docet);
- spartirsi le poltrone appena entrati nelle giunte regionali, magari spiando illegalmente gli altri (Polverini e Formigoni in testa, ed ex come Francesco Storace condannato recentemente);
-affidare autostrade e concessioni pubbliche a parenti ed amici (vedi Benetton & co.)
-nascondere i soldi rubati nelle chiese, utilizzandole come bancomat, per poi far seppellire boss, come quelli della magliana, in cripte di canoniche esclusive al prezzo di 500 milioni di vecchie lire (caso Anemone e De Pedis);
-senatori al soldo della mafia e truffatori dei contributi sull'editoria (vedi Di Girolamo,Ciarrapico e, addirittura il presidente di Palazzo Madama Schifani che poi ce lo vediamo anche alla Coppa Italia);
-deputati eletti con i voti della camorra (vedi caso Cosentino)
-sputtanare suoi giornali amici i propri nemici rivelando aspetti privati della loro vita (vedi il gionale di Feltri con il caso Boffo e tanti altri);
Ditemi se questa è una classe politica dirigente seria o un bordello?
"Egregio ministro Scajola,
forse la stupirò: io non chiedo le sue dimissioni, e nemmeno chiedo che lei vada in Parlamento a discolparsi. Anzi, le chiedo il contrario, non ci vada. Lo spettacolo di Lei che balbetta la Sua versione davanti a pochi oppositori mogi che leggono il giornale, almeno quello, me lo risparmi. E mi risparmi (sono sicuro che lo farà) un gesto clamoroso come le dimissioni: le diede già una volta. e il Suo potere è rinato più forte di prima. Quel che vorrei comunicarLe anzi è il messaggio di tener duro, di resistere. Ministro Scajola, resti al suo posto. Con la sua casa di 180 metri quadri vista Colosseo che sostiene di aver pagato un terzo del prezzo di mercato, la sua presenza in questo governo del fare non è soltanto giusta, ma necessaria, direi addirittura didattica, esemplare. Per parafrasare certi western e certi film di spionaggio, caro ministro, Lei ci serve vivo, al suo posto, ben visibile. L’ottanta per cento degli italiani ha una casa in proprietà. Sa cosa vuol dire andare dal notaio, versare assegni, firmare un rogito. La proprietà di quelle case è stata strappata con i denti a forza di sacrifici, e mutui, e tassi esosi, e banche bastarde, e aiuti delle famiglie che hanno messo da parte due soldi quando Voi non c’eravate ancora. Gli italiani saranno anche smemorati e ipnotizzati dalla propaganda del Suo Capo, ma sanno che quella casa lì, sua o della sua figliola, non so bene, non la paga 610.000 euro nemmeno la Madonna di Medjugorje, che il mercato sarà scemo – io ne sono certo – ma non così scemo. Resti al suo posto, ministro. Lei è l’emblema vivente di quanto sa osare l’inosabile questa cricca che ci governa, fitta di favori, di scorciatoie, di furbizie private, di trucchi contabili, di soldi facili. Lei è prezioso ministro. E ancor più prezioso è quando piagnucola sull’attacco alla Sua famiglia. La famiglia, il grande valore della destra italiana. La famiglia, bene morale supremo a cui intestare appartamenti, patrimonio di affetti per cui chiedere compiacenze, raccomandazioni, piazzamenti di favore, assunzioni, prebende, candidature, contratti. Dietro le Vostre famiglie, signor ministro, ci sono le nostre famiglie, che trovano i posti migliori – che magari meriterebbero per merito – sempre occupati, perché le Vostre illustri casate sono arrivate prima, col lampeggiante e la corsia preferenziale. Mai che si trovi qualcuno di Voialtri, ministro, il cui figliuolo fa il manovale nel nord-est, o il precario stagionale, o la sciampista alla Magliana. La vostra rete di potere – dico vostra perché in questi giorni Lei ne è l’emblema – è questo mix medievale di privilegi e sprezzo del popolo, parola con cui vergognosamente Vi baloccate. La figlia di Scajola, i figli di Berlusconi, il figlio di Bossi, il genero di Letta, il pargolo di Pinco, la moglie di Pallino, quell’altro che vuol fare l’attore, i cognati con appalto al seguito, le nuore prestanome: il vostro amore per la famiglia è questo, signor ministro. Tanto che assistiamo in questi giorni sui giornali della destra a un fitto rimproverarsi contratti (pubblici) per mogli e suocere, tutto all’ombra del più grande conflitto d’interessi che il mondo ricordi. Il pubblico ignaro scambia questo clima da basso impero per un effetto collaterale della Vostra politica, ma si sbaglia: esso è la vostra politica, pura e semplice. Resti al suo posto, ministro Scajola. Lei ci serve per parlare con i nostri amici francesi, inglesi, tedeschi, americani (ne abbiamo, sa?) per spiegare cosa siamo diventati quaggiù. Ci è prezioso per raccontare anche ai vostri entusiasti elettori chi hanno votato veramente. Continui, la prego, a dire di aver comprato 180 metri quadri con vista sul Colosseo a 610.000 euro. Qui non si reclama la giustizia, non si chiamano i carabinieri, non si chiede aiuto alla magistratura, non si fa appello al buon senso, al buon gusto o all’onestà. Tenga duro ministro, non molli. Siamo un po’ confusi tutti, i concetti astratti non ci piacciono più, ci piacciono invece gli esempi concreti. Ogni volta che penseremo a come è immobile, bloccato, arretrato e triste questo Paese penseremo al Suo salotto, al Suo condominio signorile, ai Suoi infissi di pregio acquistati al prezzo di un trilocale marcio in periferia. E’ bello che lo spessore morale di una classe dirigente abbia una faccia, e questa volta – perdoni – è la Sua.
Cordialmente".(Alesandro Robocchini)
Purtroppo si è dimesso...
"C'è del metodo nella follia che si abbatte sul governo con lo scandalo Scajola, costringe il ministro alle dimissioni, e colpisce con uno sfregio il tabernacolo del potere berlusconiano, di cui l'ex titolare delle Attività Produttive fa parte fin dall'inizio, sedici anni fa.Dopo che 'Repubblica' aveva dato la notizia dell'inchiesta sulla casa del ministro pagata da un costruttore, il mondo berlusconiano ha tentato di far valere per alcuni giorni anche per Scajola lo specialissimo scudo di dissimulazione, banalizzazione, vittimizzazione che il Premier impiega abitualmente per difendere se stesso, quando spunta un'ipotesi di reato. Ma questa volta si è capito che lo scudo del potere è sbrecciato: di fronte all'evidenza dei fatti, alle testimonianze convergenti, all'incapacità di mettere in campo obiezioni concrete e fondate, la strategia del vittimismo, della "campagna mediatica", del "fango" non ha retto. Il ministro ha dovuto dimettersi davanti alla pubblica opinione prima ancora che davanti ai rilievi dei magistrati e alle domande del Parlamento, dimostrando che Berlusconi alla fine sa proteggere soltanto se stesso, e che i cittadini attraverso i giornali possono far valere le buone ragioni di chi chiede conto al potere dei suoi comportamenti. Si capisce perfettamente che il presidente del Consiglio, con l'immagine del governo deturpata dalle dimissioni obbligate del ministro, si lamenti dei giornali e del loro ruolo, come fa ogni volta che uno scandalo lo sovrasta. "C'è fin troppa libertà di stampa", ha detto ieri, e non si capisce se è una denuncia o un programma. Effettivamente, la libertà di stampa che il Premier vorrebbe ridurre con la legge sulle intercettazioni ha portato alla luce lo scandalo, ha costretto il ministro a infilare una serie di contraddizioni e di spiegazioni impossibili, ha prodotto documenti e testimonianze di altri attori di questa vicenda, e infine ha indotto Scajola a firmare le sue dimissioni, per la seconda volta in pochi anni: a conferma, almeno statisticamente, dell'imperizia del Cavaliere nella scelta dei suoi collaboratori. Ma il metodo è altrove, oltre la coazione a ripetere di Scajola, oltre la tentazione a coprire gli scandali del Cavaliere. Questa storia, infatti, promette di essere soltanto all'inizio, pronta ad allargarsi pericolosamente. Vediamo. Il ministro è accusato di essersi fatto comprare (per due terzi) una casa da un costruttore che è nel giro degli appalti di Stato, è al centro del turbine vorticoso della Protezione Civile, è pronto a trasformarsi - dicono le carte dei magistrati - in sbrigafaccende per i potenti che ruotano intorno a Palazzo Chigi. Scajola nega di aver avuto soldi da questo Anemone, ammette che qualcuno a sua insaputa potrebbe aver pagato in parte quell'appartamento a suo nome, parla di intimidazioni nei suoi confronti, fa intendere manovre politiche ai suoi danni, per farlo fuori. Ma non rivela nessun elemento che possa dar corpo ad una operazione orchestrata ai suoi danni, né fa i nomi dei manovratori che - forse nel suo partito - agirebbero contro di lui.Resta in campo dunque soltanto l'ipotesi di una casa pagata coi soldi di un costruttore: tanto che sotto il peso di questa unica ipotesi, il ministro si deve dimettere. Ma un minuto dopo l'evidenza di questo peso giudiziario e politico, nasce una domanda obbligatoria, a cui Scajola - e non solo lui - deve rispondere anche dopo le dimissioni: perché un costruttore sborsa 900 mila euro per comperare la casa a un ministro? Qual è la ragione, quale la logica, quale il tornaconto? In sostanza: cosa ha fatto quel ministro, cosa ha fatto il governo di cui fa parte, per ottenere quella ricompensa? A quale obbligo di riconoscenza rispondeva il costruttore, per sdebitarsi così generosamente (e imprudentemente) con uno degli uomini più in vista, oggi come ieri, del governo Berlusconi? Questa è una domanda che non può restare senza risposta. Le dimissioni risolvono un imbarazzo istituzionale ma non sciolgono il nodo di quel favore, la ragione politica, governativa, quindi pubblica, che sta dietro quell'operazione di mutuo soccorso di cui la pubblica opinione conosce soltanto un elemento, i 900 mila euro del costruttore per la casa del ministro. Ma in cambio di che cosa? Di quale favore evidentemente non confessabile, se ha un prezzo così alto e così intimo? Di quale promessa economicamente rilevante, se l'anticipo è di queste dimensioni? Di quale meccanismo di scambio collaudato e sicuro, se lo si olia con 900 mila euro? Il punto politico è proprio qui, dove comincia il metodo. Scajola sembra essere soltanto uno degli attori di questa vicenda in cui si incontrano il governo, gli appalti, la Protezione Civile, la propaganda, l'emergenza, i grand commis profittatori, i magistrati compiacenti, i costruttori beneficati e benefattori. Un insieme che è stato chiamato la "cricca" impropriamente, perché non è il cast di un film dei Vanzina: è un vero e proprio "sistema" politico-affaristico, con gli appalti di Stato che in nome dell'emergenza sfuggono a ogni regola e a tutti i controlli, movimentano miliardi e producono un ritorno in favori d'ogni genere, dai massaggi alle ristrutturazioni delle case, dagli appartamenti pagati ai conti degli alberghi, alle prostitute, alle assunzioni dei parenti.Nelle carte dell'inchiesta sulla Protezione Civile, questo sistema è descritto nei dettagli, disegnato con ritratti precisi ed espliciti. Anche se oggi si prova a dimenticarlo, quel "sistema" è venuto in parte alla luce, è sotto gli occhi di chi vuol vederlo, e qualcuno dovrà renderne conto. Proviamo a inserire Scajola e gli ottanta assegni dentro il perimetro di quel sistema e tutto diventa coerente, e comprensibile. Il ministro, probabilmente, non si riteneva immune personalmente, come il suo Capo: ma pensava e sapeva di far parte del "sistema", perché conosceva i meccanismi di funzionamento, il nome e il cognome dei beneficati, le garanzie reciproche di sicurezza che legano gli appalti e i favori, all'ombra del governo. Che ha da dire il governo, su questo? L'onorevole presidente del Consiglio? Chi spiega ai cittadini perché, e in cambio di che cosa, quel costruttore doveva comprare una casa al ministro? La domanda resta in campo, senza risposta fino ad oggi. La responsabilità penale è certamente personale: ma quella politica è più ampia, e il governo Berlusconi deve risponderne insieme con Scajola". (Ezio Mauro)
"Cari lettori – come si dice target del mio stesso target – scrivo qui per annunciarvi personalmente che Draquila è pronto e vi attende nelle sale. Dura un’ora e mezza ed è la sintesi di un anno di lavoro iniziato a maggio dell’anno scorso, quando mi sono arrivate all’orecchio strane voci su quello che stava succedendo nella zona terremotata. Ho fatto un po’ di ricerche, ho aspettato che passasse il G8 e sono partita. Dopo aver parlato con tanti cittadini mi è sembrato che L’Aquila fosse una porzione di realtà ideale per raccontare l’Italia di oggi. C’erano tutti gli elementi: la speculazione più cinica, l’assenza della politica, la propaganda sempre più spudorata, l’autoritarismo, la corruzione e l’alito della criminalità organizzata. Ho mollato quello che stavo facendo e ho cominciato a girare con una piccola troupe fatta di cinque persone, me compresa. Siamo stati a L’Aquila tantissime volte da luglio a marzo e abbiamo girato più di 700 ore di materiale. Il film è la sintesi dei racconti e dei ragionamenti che ho ascoltato e tutti gli incontri fatti sono serviti al progetto anche se non li ho montati. Quindi ringrazio ancora una volta tutti quelli che ci hanno concesso il loro tempo e le loro documentazioni.
Mentre scrivo apprendo che Bertolaso ha dichiarato che portiamo a Cannes un’immagine sbagliata dell’Italia e che il mio è solo un punto di vista. Un punto di vista comunque abbastanza condiviso visto che quando ho chiesto agli utenti del blog di aiutarmi a trovare il titolo del film sono arrivate centinaia di proposte tutte dallo stesso punto di vista: Dove osano gli sciacalli, Lo specchio del reame, Anteprima dell’inferno, The marchigian candidate, I cacciatori di aquilani, Sciacalli in attesa di giudizio, Sciacallo pubblico, Qualcuno rubò sul nido de L’Aquila, Iene ridens a L’Aquila, Aquilopoli, Transilviania, Delinquo ergo sum, Le macerie della democrazia, In campeggio con Silvio, Sciacalli S.p.a., Protezione incivile, Sesso senza protezione, Feccia in libertà, Il conato della terra, Sanguisuga party, Grosso guaio a new town, Miraculo. E naturalmente Draquila il titolo che poi abbiamo scelto fra quelli proposti. Per il resto che dire dell’inchiesta? Per scoprire cos’è diventata la Protezione civile c’è voluta una buona dose di intuito e talento investigativo. In pratica ho chiesto alla prima persona che ho incontrato e me lo ha spiegato. Ho chiesto conferme a destra e a manca e ne ho trovate a destra e a manca. Ho chiesto a quelli della Protezione civile e mi hanno risposto in modo da far cadere ogni sospetto, che me ne avrebbero parlato volentieri ma che se lo avessero fatto sarebbero stati licenziati in tronco o spediti in qualche magazzino fuori dal raccordo anulare a osservare il soffitto fino alla fine dei loro giorni. Immagino che il motivo per cui nessuno parlava della faccenda, nemmeno a sinistra dove un paio di senatori solitari si dibattevano nel vuoto, fosse la presenza nel Pd di Rutelli e il fatto che il partito fosse commissariato da Ruini. La difficoltà più importante che ho fronteggiato è stata riuscire a credere che quello che vedevo stesse succedendo veramente; credere che ci sia in giro tanta gente così spietata e tanta gente così semplice , che così tanti siano disposti a vendere quello che non si deve e che lo vendano per così poco; tanta gente così fanatica, gente così eroica gente così acrobatica. Gli italiani sono cambiati, sono cambiati tanto e questo nel film si vede. Se dovessi descrivere come siamo cambiati con le parole non saprei da dove cominciare. Allora scrivendo per voi del Fatto non trovando una conclusione sono scesa al bar di sotto dove era accesa la televisione. Sgrano gli occhi per lo sgomento vedo i politici, uno ad uno, che sullo sfondo del Parlamento fanno un sermone sul pallone. Ho chiesto agli avventori se avevo un’allucinazione, se era Halloween o uno scherzo o che diavolo fosse successo. Mi hanno risposto coi volti scuri e il mio sorriso allora si è spento, mi sono messa ad ascoltare il signore che per primo ha iniziato a parlare: dice è successa una cosa mai vista, mai a memoria d’uomo, una cosa sconvolgente per quanto è meschina, per quanto è fetente. Fin da quando il mondo è mondo sempre si è combattuto: gli zenoti contro i romani, i semiti con gli indorai, i franchi contro i provenzali, i longobardi e i bizantini, i comuni italiani contro i comuni italiani, la Spagna cattolica contro figli dell’islam, gli indiani della prateria contro gli indiani dei grandi laghi, i francesi contro gli inglesi, i bretoni contro i sassoni, riforma e controriforma, Stanlio & Ollio, bionde contro more, gatto e topo, indù e musulmani, Annibale e Fabio Massimo, muto e sonoro, Apollo e Dioniso, Napoleone e gli aristocratici. Figurativi ed astrattisti e potrei andare avanti e lo sapete. Ma un popolo contro se stesso – continuava l’uomo del bar – questo non è mai avvenuto. Mai era accaduta una cosa del genere. Un fatto epocale, apocalittico senza precedenti: I tifosi laziali facevano la ola quando l’Inter segnava contro loro medesimi. Senza casa né amore né poesia ahimè non si è più niente. Nessun sunnita applaude se uno sciita fa un discorso anche valido. E continuavano: non si è mai visto! Gli Shogun contro i cinesi; i Mongoli contro Kiev e Mosca, I Gesuiti contro i Francescani, i Suicidi e gli omicidi, non s’è mai visto. Di battaglie, di guerre se ne sono viste tante ma non si è mai visto qualcuno andare apertamente contro se stesso. E così sia pure con una grossa semplificazione ho trovato le parole per la conclusione. Come spiegare in poche parole questo declino totale? È come se un intero popolo di colpo fosse diventato laziale". (Sabina Guzzanti)
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