venerdì 8 aprile 2011
In prigione Gbagbo. Il presidente Ouattara, vincitore delle ultime elezioni, si insedia in Costa d'Avorio. Si va verso la normalizzazione
"Il presidente uscente della Costa D'Avorio Laurent Gbagbo è stato arrestato dalle forze del capo di stato Alassane Ouattara e condotto, insieme alla moglie Simone, al Golf Hotel, quartier generale del presidente riconosciuto dalla comunità internazionale. Lo ha precisato l'ambasciatore francese ad Abidjan, Jean-Marc Simon, smentendo che l'arresto sia stato eseguito dalle forze speciali francesi, come riferito in precedenza da diversi media.Diversi tank sono entrati oggi nella residenza di Gbagbo ad Abijdan, capitale economica del Paese, dove da giorni si era asserragliato. I numerosi tentativi di arrivare ad un accordo per la sua resa, nelle ultime settimane, non sono andati a buon fine. Il ministero della difesa francese, citato da Le Monde, ha precisato che le forze di Ouattara hanno operato l'arresto con il sostegno della missione Onu e di quella francese Licorne. Mezzi blindati francesi e Onu erano infatti stati dispiegati lungo la strada che conduce alla residenza di Gbagbo, "parzialmente distrutta" dai bombardamenti lanciati la scorsa notte dalle forze Onu e francesi. Da Parigi, la presidenza francese aveva sottolineato in precedenza che "l'intervento militare è stato richiesto dall'Onu per proteggere la popolazione" e che la missione della Francia "non è quella di deporre Gbagbo per via militare". Il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, ha confermato di aver chiesto l'attacco e ha ribadito le accuse del palazzo di vetro nei confronti di Gbagbo, che la scorsa settimana "ha riunito le sue forze e ha dispiegato nuovamente l'artiglieria pesante".Gli scontri fra le forze fedeli al leader uscente e quelle di Alassane Ouattara, vincitore delle ultime elezioni presidenziali e sostenuto dalla comunità internazionale, ma considerato da Gbagbo un usurpatore, hanno provocato centinaia di vittime nel Paese e una situazione umanitaria tragica, come hanno denunciato diverse organizzazioni umanitarie". (La Repubblica-11-4-2011)) "Dopo una lunga resistenza contro l’assedio delle Forze repubblicane supportate dal deciso intervento della Francia e delle Nazioni Unite, Laurent Gbagbo si è arreso ai soldati francesi, che lo hanno consegnato al presidente riconosciuto dalla comunità internazionale Alassane Ouattara. La situazione era precipitata dopo che Gbagbo aveva rifiutato la proposta di un governo di unità nazionale formulata dall’Unione Africana: a questo punto le forze di Quattara hanno lanciato un’intensa offensiva militare che si è rapidamente sviluppata dal nord verso il sud del paese, fino a raggiungere agevolmente Abidjan. Nella capitale economica c'è stata un’intensa lotta armata, terminata solo grazie all’intervento delle truppe della missione Onuci e dal decisivo contributo del contingente francese Liocorne, presente in Costa d’Avorio sin dal 2002. L’uso di “ogni mezzo necessario” alla protezione dei civili era stato autorizzato dalla risoluzione 1975 delle Nazioni Unite, presentata congiuntamente da Francia e Nigeria e approvata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza il 30 marzo. Contemporaneamente Parigi rafforzava la propria missione richiamando 450 soldati di stazza in Gabon e prendendo possesso dell’aereoporto di Abidjan. L’intervento delle forze internazionali si è materializzato nella serata di lunedì 3 aprile, quando il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha chiesto e ottenuto il supporto francese per attaccare e distruggere l’artiglieria pesante in mano a Gbagbo. Gli elicotteri della Liocorne hanno inoltre colpito le antenne della Rti, la rete televisiva attraverso cui il regime aveva avviato un’intensa campagna mediatica contro i propri avversari. Ban Ki-Moon ha subito precisato che le Nazioni Unite non sono parte del conflitto e che le azioni intraprese hanno avuto il solo scopo di prevenire ulteriori ritorsioni contro la popolazione. Tuttavia la Russia ha parlato di ingerenza in un conflitto interno, sollevando dubbi sul rispetto della neutralità prevista dal mandato Onu. Anche il presidente di turno dell’Unione Africana, Teodoro Obiang, capo di Stato della Guinea Equatoriale, ha preso le distanze dall’intervento armato, mentre le reazioni dei singoli paesi africani hanno rispecchiato le posizioni assunte prima che la situazione precipitasse: Sudafrica e Angola hanno espresso perplessità sulle modalità di intervento; la Comunità Economica dell’Africa Occidentale con in testa la Nigeria, favorevole all’intervento fin dall’inizio della crisi, ha invece approvato gli attacchi. L’opportunità di colpire le basi militari dalle quali Gbagbo non aveva esitato a lanciare razzi contro la popolazione durante gli ultimi episodi di repressione non è in discussione. Con l’oscuramento della rete televisiva e gli attacchi diretti contro residenza presidenziale, l’Onuci e la Francia si sono però spinti oltre il solo obiettivo di proteggere i civili, decidendo di fatto le sorti del conflitto. Già subito dopo la distruzione del proprio potenziale militare e il conseguente assedio da parte delle Forze repubblicane di Quattara, Gbagbo, barricato nel suo bunker, aveva cominciato a negoziare la resa. Tuttavia le trattative erano state interrotte di fronte al rifiuto del presidente uscente di riconoscere per iscritto la vittoria elettorale di Ouattara. Nella serata di ieri (domenica 10 aprile) gli elicotteri internazionali si sono quindi nuovamente alzati in volo per colpire la residenza presidenziale e distruggere ciò che restava dell’artiglieria pesante di Gbagbo. I raid sono andati avanti per tutta la notte causando seri danni alla residenza presidenziale, tanto da far temere che il suo inquilino fosse rimasto ucciso. Quando però nel corso della mattinata di lunedì si sono diffuse le notizie dell’avanzata dei soldati francesi verso la residenza di Gbagbo, i contorni della vicenda hanno cominciato a schiarirsi: dopo quattro mesi di inutili tentativi di mediazione il presidente sconfitto alle elezioni è stato arrestato e consegnato alle Forze repubblicane di Ouattara. Nel frattempo un mercantile sudafricano sarebbe attraccato nel porto di Abidjan con il compito di ripartire solo con Gbagbo a bordo. La comunità internazionale ha già chiesto a Ouattara di impegnarsi nell’opera di ricostruzione e riconciliazione nazionale per la quale sarà indispensabile formare un governo di unità nazionale, mentre l’Unione Europea ha accolto la richiesta di ritirare le sanzioni economiche formulata dal nuovo presidente. Il futuro del paese appare tuttavia pieno di incognite. Un primo elemento di fragilità è rappresentato dalle accuse di violazioni del diritto internazionale umanitario rivolte contro alcune frange delle milizie di Ouattara, sospettate di aver massacrato centinaia di persone durante la presa della città occidentale di Duekoue. Le responsabilità sono ancora tutte da accertare, ma qualora fosse dimostrato che le truppe del presidente riconosciuto dalla comunità internazionale si sono macchiate di crimini di guerra, questo costituirebbe un inizio non certo promettente per il nuovo esecutivo. Ouattara dovrà prendere le distanze dalle componenti più violente del proprio schieramento, affidando a una commissione d’inchiesta il compito di accertare i fatti. Nello stesso tempo sarà necessario promuovere una politica di riconciliazione nei confronti di quanti hanno finora sostenuto Gbagbo, inclusi coloro che hanno partecipato alle azioni armate. Fondamentale sarà la fase di disarmo dei diversi gruppi armati irregolari o il loro ricollocamento nelle file del nuovo esercito nazionale. Tali operazioni saranno probabilmente coordinate dai caschi blu dell’Onuci, il cui mandato, in scadenza il prossimo 30 giugno, dovrà necessariamente essere prolungato. Inoltre il ruolo decisivo giocato dall’intervento francese potrebbe ritorcersi contro lo stesso Ouattara, minandone la legittimità agli occhi di una popolazione che rimane profondamente divisa. Non tutti coloro che si sono ribellati contro Gbagbo possono essere infatti automaticamente considerati sostenitori di Quattara. Le stesse fondamenta della vittoria elettorale di quest'ultimo ottenuta a novembre appaiono tutt’altro che solide: va ricordato infatti che al primo turno Gbagbo aveva raggiunto la maggioranza relativa con il 38% dei voti, mentre Ouattara si era fermato al 32%; il terzo candidato, l’ex capo di Stato Henri Konan Bédié, aveva raccolto il 25% delle preferenze. Solo grazie all’inaspettata alleanza con Bédié Ouattara è riuscito a superare Gbagbo al secondo turno, raggiungendo il 54% dei voti. Inoltre ben il 95% dei voti raccolti dal neopresidente al primo turno era concentrato nelle regioni settentrionali. Un dato che rivela la persistenza delle divisioni territoriali riconducibili all’incendiaria politica dell’ivoirité, per la quale veniva considerato cittadino ivoriano solo chi poteva vantare entrambi i genitori nati in Costa d’Avorio. L’ivoirité si è sviluppata negli anni Novanta sotto la presidenza Bédié e per ragioni socio-economiche era discriminatoria principalmente nei confronti della popolazione del nord. Tale politica ha condotto il paese alla guerra civile nel 2002, oltre ad aver impedito a Ouattara, originario del Burkina Faso, di partecipare alle elezioni presidenziali del 2000. Sarà quindi fondamentale che il nuovo esecutivo coinvolga esponenti di entrambi gli schieramenti, promuovendo una convinta politica di riconciliazione nazionale. La ricostruzione del paese dovrà essere concretamente sostenuta da tutta la comunità internazionale. Diversamente il rischio che l’unica soluzione alla crisi possa essere rappresentata dal ripetersi di quanto successo in Sudan, con la separazione del paese in due nuovi Stati indipendenti, appare concreto. Qualora anche i confini della Costa d’Avorio dovessero saltare, il diffuso timore che il processo di divisione sudanese possa avviare un effetto domino capace di sconvolgere l’intero continente africano comincerebbe pericolosamente a materializzarsi". (da Limes) Il Comitato per la pace in Costa d'Avorio sta raccogliendo fondi e cercando di sensibilizzare gli organismi internazionali affinché cessi la guerra civile nel Paese e tutto ritorni nella normalità. Chi vuole partecipare può farsi avanti scrivendo a questo sito e versando liberamente sul conto corrente postale 40843039 (iban it10m0760103200000040843039), intestato a Brindisi Antonio, causale 'Comitato per la pace in Costa d'Avorio'. Noi poi gireremo questi soldi alle persone che conosciamo e che sappiamo essere in difficoltà. Possiamo anche fare da tramite per inviare somme di denaro, per avere o tenere contatti e per darvi informazioni su quello che sta realmente accadendo.
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