martedì 10 marzo 2009

Censura sul web.


La Cassazione opera un giro di vite nei confronti dei blog, dei forum on line e di tutti i «nuovi mezzi di comunicazione del proprio pensiero» sottolineando che sono off limits tutte quelle manifestazioni contrarie al buon costume. Il motivo? «I messaggi lasciati su un forum di discussione che a seconda dei casi può essere aperto a tutti indistintamente -dice la Suprema Corte- sono equiparabili ai messaggi che possono essere lasciati in una bacheca e non entrano nel concetto di stampa, sia pure in senso ampio». Applicando questo principio, la terza sezione penale (sentenza 10535) ha respinto il ricorso dell’associazione di consumatori Aduc contro la decisione del Tribunale del riesame di Catania che, lo scorso 30 giugno dopo aver revocato il sequestro di una parte del sito internet dell’Aduc aveva ordinato la rimozione delle espressioni e dei messaggi arrivati su un forum on line, inibendone l’ulteriore diffusione. Come ricostruisce la sentenza di Piazza Cavour, alcune delle frasi incriminate, oltre ad avere offeso la religione cattolica mediante il vilipendio dei suoi fedeli e dei suoi ministri «avevano travalicato limiti del buon costume alludendo espressamente a pratiche pedofile dei sacerdoti per diffondere il ’sacro seme del Cattolicesimò». Inutile il ricorso dell’Aduc in Cassazione che tra l’altro ha contestato l’illegittimità del sequestro preventivo delle pagine web perchè l’offesa ad una confessione religiosa non è contraria al buon costume. Piazza Cavour ha respinto il ricorso e ha ricordato che «gli interventi dei partecipanti al forum on line non possono essere fatti rientrare nell’ambito della nozione di stampa». Questo perchè «si tratta di una semplice area di discussione dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero, rendendolo visionabile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad accedere al forum, ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole e agli obblighi cui è soggetta la stampa». Anche perchè, annotano ancora i supremi giudici, «il semplice fatto che i messaggi e gli interventi» ospitati in un forum on line o in un blog «non fa sì che il forum stesso possa essere qualificato come un prodotto editoriale o come un giornale on line o come una testata giornalistica informatica». Il giro di vite, dunque, mette in chiaro la Cassazione riguarda tutti i nuovi mezzi di comunicazione del proprio pensiero vale a dire «newsletter, blog, forum, newsgroup, mailing list, chat, messaggi istantanei».
Dal blog di Grillo: "Dopo Levi, Cassinelli, D'Alia è arrivata anche Gabriella Carlucci. La Rete va messa sotto controllo con ogni legge, con ogni scarto umano parlamentare. La scelta su chi deve fare la proposta di legge non è casuale. Meno sanno di Internet, meglio è. Se non sanno nulla, meglio ancora. Infatti, se discutere con una persona informata è un esercizio possibile, farlo con un idiota è sconsigliabile. Chi osserva da fuori vede due idioti che farneticano.Ogni settimana un nuovo tentativo di imbavagliare, normalizzare, far sparire la Rete. E, ogni settimana, dovremmo confutare, spiegare, dimostrare, comparare, denunciare. Scusate la volgarità, ma questi hanno rotto il c...o. L'Italia ha milioni di disoccupati e i nostri dipendenti d'oro si preoccupano di applicare la censura all'unico strumento di informazione esistente. Pagati da noi, con leggi che non stanno né in cielo, né in terra. Gabry, la meno intelligente, delle sorelle Carlucci e per questo eletta nel PDL, vuole vietare a chiunque di immettere in maniera anonima in rete contenuti in qualsiasi forma. Dobbiamo discutere con quest'ammasso di pochi neuroni e cellulite? Con D'Alia che vuol far chiudere i siti d'autorità dal Ministero dell'Interno per presunti reati senza un giudizio della magistratura? Con la Carlucci che si occupa degli interessi delle corporation? Di una compagine di Governo nanotelevisiva con Mediaset che gli frana addosso giorno dopo giorno? Di Confalonieri che cita YouTube per 500 milioni di euro?Chi scrive su un muro non è rintracciabile, chi scrive in Rete quasi sempre lo è. Il suo IP lo è. Nella maggior parte dei casi la Polizia Postale è in grado di identificarlo. Questi stanno delirando. La legge Pisanu chiede la carta di identità a chi si collega in Wi Fi. Nei parchi di New York, di Londra, di Parigi, di Madrid ci si collega a decine di reti Wi Fi da una panchina o sdraiati su un prato. Siamo l'unica nazione del mondo che è riuscita a invertire l'accesso a Internet. Nessuno è stato capace di tanto. Neppure la Cina o la Birmania. Il numero di famiglie che si collegano in Italia è diminuito nell'ultimo anno. In migliaia di comuni non arriva l'Adsl o, se è presente, ha la velocità di un doppino. Abbiamo investito miliardi nel digitale terrestre, una tecnologia morta, invece di diffondere Internet nelle scuole e nella pubblica amministrazione.Se passano queste leggi mi rivolgerò all'Europa, le denuncerò per violazione dei diritti civili. Non mi fermerò. Non ci fermeranno".
Ecco cosa fanno all'estero: "Un tasto speciale, "ctrl", ovvero "control", riprodotto in maniera ossessiva su tutta la tastiera del computer. Reporter senza Frontiere presenta con questa immagine la nuova campagna contro la censura su Internet. Il "controllo" è quello totale e assoluto esercitato dai regimi dittatoriali sulle informazioni circolanti in rete. Ma, secondo quanto denuncia l'organizzazione internazionale per la difesa della libertà di stampa, anche alcuni paesi democratici hanno adottato misure preoccupanti. Per questo Rsf, oltre a denunciare le gravissime violazioni della libertà da parte dei dodici "nemici di Internet" (Arabia Saudita, Birmania, Cina, Corea del Nord, Cuba, Egitto, Iran, Uzbekistan, Siria, Tunisia, Turkmenistan e Vietnam), ha deciso di mettere "sotto vigilanza" altri undici governi, nel timore che gli abusi si possano estendere in altre aree del mondo. Le democrazie sotto osservazione sono quella australiana e la sud-coreana. Nel gennaio 2008, il Parlamento australiano ha esaminato un progetto di legge che esige che i provider di Internet creino sempre due collegamenti in ogni casa, uno per gli adulti e un altro per i bambini, entrambi sottomessi a un filtro rigido e segreto. Il progetto è considerato da Rsf come un grave attentato alla confidenzialità della corrispondenza privata, perché viene presentato in un momento in cui la legislazione contro il terrorismo permette già a un'agenzia indipendente del governo di intercettare qualunque messaggio e-mail sospetto e di compiere indagini sugli internauti anche in assenza di un'autorizzazione giudiziaria.
Anche in Corea del Sud, secondo Reporter senza Frontiere, sono state adottate misure "sproporzionate" per regolare l'acesso alla rete. Il 7 gennaio scorso è stato arrestato un blogger con l'accusa di aver messo in pericolo "gli scambi economici sui mercati", così come "la credibilità della nazione" con la pubblicazione di alcuni articoli su uno dei forum di dibattito più importanti del paese. Attualmente, denuncia l'organizzazione per la libertà di stampa, nel mondo ci sono 69 ciberdissidenti in carcere: in vetta alla lista nera, ancora una volta, la Cina, seguita da Vietnam e Iran. I dodici paesi indicati come "nemici di Internet" secondo Rsf hanno trasformato le loro reti in Intranet, impedendo agli internauti di accedere a quelle informazioni che i governi considerano "indesiderabili". Oltre a censurare, i regimi dimostrano anche grande efficacia nella repressione, spesso giustificata con la necessità di difendere la "sicurezza nazionale". Accusate di aver collaborato spesso con i regimi censori - anche loro malgrado, per le fortissime pressioni dei governi - alcune delle grandi imprese globali di Internet hanno reagito con coraggio nei mesi scorsi: Google, Yahoo e Microsoft hanno aderito alla fine del 2008 ai principi del "Global Network Initiative", affermando pubblicamente la volontà di rispettare la libertà di espressione dei loro clienti in tutto il mondo. Una dichiarazione di principio che si spera possa diventare realtà. Per questo nei giorni scorsi Rsf ha lanciato insieme ad Amnesty International un appello ai direttori generali delle tre compagnie, chiedendo che oggi, giornata mondiale contro la cyber-censura, diano un segnale forte a difesa della libertà d'espressione".
E cosa fanno in Egitto, in particolare, da un articolo di "Le Monde": "E’ un video sconvolgente. C’è un giovane di 21 anni, Imad El-Kebir, che piange e urla di dolore, piegato in due, nudo dalla vita in giù. Qualcuno gli tiene i piedi sospesi in aria lo tortura con un lungo bastone nero. E’ la scena di un interrogatorio in un commissariato del Cairo che, grazie a Internet, milioni di egiziani hanno potuto vedere. Nel suo rapporto 2008 sui diritti dell’uomo, Amnesty International spiegava che in Egitto «continuano a essere sistematiche le torture, le botte, le sevizie, l’elettroshock, l’isolamento, gli abusi sessuali e le minacce di morte». Anche il rapporto annuale del Dipartimento di Stato americano sui diritti dell’uomo dice le stesse cose. Due dei quattro torturatori di Imad El-Kebir, un taxista che aveva cercato di bloccare dei poliziotti che picchiavano per strada un suo cugino, sono stati identificati e condannati a tre anni di carcere. Alla vittima, tre mesi per «resistenza alle forze dell’ordine». L’uomo che ha diffuso questa storia su Internet è uno dei più celebri blogger d’Egitto: Waël Abbas. «Il più bravo e il più coraggioso di noi», ci dirà Shahinaz Adbel Salem, una giovane blogger, ingegnere delle telecomunicazioni. Abbas ci ha dato appuntamento accanto alla Borsa del Cairo, il quartiere alla moda, diventato il quartier generale dei blogger della capitale: «Non tradirà nessun segreto se scrive che la polizia più o meno sa tutto di noi. E’ così: sa chi siamo, dove abitiamo, quando ci incontriamo».L’Egitto non è l’Iraq di Saddam Hussein. Non si uccidono gli oppositori, non si arrestano - sarebbero troppi - tutti i critici dell’autocrate militare ottuagenario che da 27 anni governa il Paese, Hosni Mubarak. Ma esercito e forze di sicurezza mettono la museruola agli oppositori - laici o islamici -, impediscono gli scioperi, le manifestazioni, l’organizzazione politica e la libera espressione. Nelle carceri marciscono 18 mila prigionieri «amministrativi», cioè incarcerati senza processo. Ovvio che in un Paese dove l’articolo 179 del codice penale vieta qualunque critica diretta del raïs, i media - compresi i tre o quattro giornali detti indipendenti - siano prudentissimi. Praticamente muti sulla corruzione, i brogli elettorali, gli abusi di ogni genere. E’ in questo contesto - occorre saperlo per capire il coraggio che ci vuole - che Waël Abbas e i suoi amici ribelli si danno alla loro pericolosa attività. Ciascuno ha i suoi motivi. «E’ un movimento nato dalla frustrazione, senza capi né strutture», spiega la star della blogosfera. «Eravamo stufi di obbedire ai nostri genitori, ai professori, ai poliziotti, allo Stato, a Mubarak, senza poter mai dire la nostra», dice Shahinaz, l’ingegnere. Così si apre un blog. In un Egitto che ormai conta 80 milioni di abitanti, una buona metà dei quali analfabeta, circa 12 milioni di persone navigano regolarmente, sui loro computer o negli Internet Caffè. Duecentomila hanno aperto un blog. Meno del 5 per cento, cioè circa diecimila, possono essere considerati politicamente impegnati. I più famosi possono contare su una media di 30 mila lettori regolari. E’ più di quanti ne abbiano certi giornali di governo. O anche di opposizione.Mustafa Naggar, un dentista di 29 anni, è diventato famoso attaccando «l’arcaismo» dei Fratelli musulmani», la principale opposizione, teoricamente proibita, praticamente e sporadicamente tollerata, almeno fino a un certo limite. Membro attivo della confraternita, Naggar si è battuto sul suo blog per «una rinascita islamica moderata, aperta agli altri e lontana dai valori estremisti del waabismo».Con altri «fratelli» famosi della rete, come Abdumonen Mahmud, il pioniere che nel 2004 osò mettere in rete un blog intitolato «sono un fratello musulmano», Naggar è riuscito a lanciare un dibattito interno alla confraternita sul posto della donna nell’islam, che vogliono «uguale a quello dell’uomo», la separazione tra Stato e religione - che vogliono «totale» - e la necessità di istituire «una vera democrazia». Nulla però è cambiato Idem nel campo laico, piuttosto di sinistra, al quale appartiene la maggioranza dei blogger. Waël Abbas è un po’ depresso: «Ho l’impressione che ultimamente siamo meno attivi. I giornali, anche i più indipendenti, hanno sempre più paura di pubblicare quello che noi scriviamo sui nostri blog. C’è stanchezza, disillusione, anche paura». Secondo l’avvocato Gamal Eid, anche lui blogger e difensore di tutti i «fratelli di rete», nel 2008 sono stati interrogati più di 500 blogger e giornalisti. Dal 2002 è attiva un’unità di polizia con 18 ufficiali specializzati nel controllo di Internet. «Leggono circa il 15 per cento di quello che scriviamo», dice l’avvocato Eid. A volte si impuntano su uno e gli piombano addosso: arresto, confisca del computer, interrogatorio feroce. Mettono paura. Ma stimolano anche la resistenza."

3 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Non ho capito (colpa mia) in cosa consiste il giro di vite.

ilgorgon ha detto...

Non è un giro di vite. Ma questa sentenza della Cassazione rende più facile la censura su ogni tipo di contenuto sul web che non aggradi a qualcuno. Se invece fosse protetto dalle leggi sulla stampa, oscurare un sito o un blog sarebbe molto più difficile e le garanzie sarebbero maggiori.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Sai, l'ho capito solo dopo il significato, l'ho messo anche sul mio blog.
E' una sentenza pericolosa, che anticipa e prepara il 'giro di vite' legislativo.
Va sempre peggio.