giovedì 7 febbraio 2008

La mia Africa/9. Niamey-Tambacounda su un treno merci


Frascati-Dakar 1990. Il viaggio attraverso il Sahara aveva distrutto le balestre della mia Nissan. Dopo migliaia di chilometri sulle piste dalla Tunisia all'Africa nera, eravamo arrivati finalmente a Niamey, la capitale del Mali, io e Andrea. Dopo una visita al Parco naturale del W, ai confini con il Burkina Faso (con elefanti e babbuini e anche una bella diarrea africana), avevamo deciso di terminare l'ultima tappa del nostro viaggio reportage iniziato a Frascati, tra fine gennaio e gli inizi di aprile del 1990, per verificare l'impatto ambientale della Parigi-Dakar (un servizio che poi ci vendemmo all'Espresso). Da Niamey dovevamo passare attraverso la savana, via Tambacounda, e raggiungere la capitale del Senegal, Dakar, per poi imbarcarci alla volta dell'Italia. Dopo 200 km di pista le balestre della jeep non ressero e, dopo una notta all'addiaccio tra leoni e ululati vari chiusi per la paura dentro la macchina, con una riparazione posticcia di una gomma rimediata dal meccanico di un villaggio sperduto attorcigliata attorno all'unica foglia di balestra rimasta, ritornammo indietro a Niamey. Come arrivare fino a Dakar, 1000 e passa chilometri senza strade asfaltate, con la macchina che nessuno sapeva riparare e senza balestre nuove (per farle arrivare ci sarebbe voluto un mese e tantissimi soldi)?
Dopo due giorni tra la visita al famoso zoo e la frequentazione di localini notturni a Niamey, visto che esisteva un treno che partiva una volta alla settimana per il Senegal, decidemmo di imbarcare la jeep su un carro merci con noi sopra. Pagammo una cifra esorbitante e il viaggio durò tre giorni.
Non era un vero e proprio treno merci come si intende da noi, ma piuttosto una tratta senza fermate che, andando lentissimo, imbarcava gente di ogni tipo un po' dappertutto. Ogni tanto si fermava per ore senza che noi ne capissimo il perchè, poi ripartiva lentamente. Per fortuna ogni tanto sbucavano dalla savana donne e bambini con frutti e cibo, così da poterci sfamare. La notte era fredda e faceva un po' paura.
Arrivammo a Tambacounda, la prima città del Senegal dove iniziava la strada asfaltata, la mattina del terzo giorno stremati. Ci volle una giornata e una paccata di soldi per far scendere la jeep dal vagone merci.
Poi ripartimmo alla volta di Dakar, dove restammo una settimana in albergo a riposarci, con Andrea febbricitante e io che me ne andavo in giro per locali la sera. La jeep la mettemmo in un container per Livorno e noi tornammo in aereo con l'Aeroflot, con un viaggio di due giorni e una notte passata a dormire in uno spartano albergo a Mosca.
Alla fine del viaggio avevo perso 20 chili ed ero un figurino. Eravamo riusciti a portare la bambola frascatana con tre tette da Frascati a Dakar, anche se in verità un po' sbriciolata. Il sindaco sarebbe stato contento.
Fu da questo viaggio che tornò in me l'amore per l'Africa. Nel 1994 mi trasferei in Costa d'Avorio.

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