Da adolescente. dopo le prime lezioni di filosofia al liceo e le prime discussioni tra noi compagni di scuola e non, ma anche per mie particolari esigenze, mi dissi che non avrei voluto vivere senza sapere il perché di questa esistenza. Mi dicevo, e dicevo ai miei amici, che non c'era alcun senso nel vivere per vivere senza conoscenza. E per un po' questo atteggiamento giustificò, anche con la mia famiglia, il fatto che nella società non combinassi granché. Poi mi sembrò di aver trovato la risposta: la bellezza, la pienezza, la grazia, aprivano al miracolo dell'apprezzamento dell'esistenza, in cambio di un progressivo oblìo di tutte le bellezze terrene, quelle fatte di odori e sapori indimenticabili, quando vita e morte sono quasi la stessa cosa, immerso nella beatitudine eterna di un respiro che mi teneva in vita sulla crosta terrestre.
Ma ora, quasi sessantenne, quella risposta non mi soddisfaceva più. Non era quella da me cercata. Quella domanda riaffiorava ancora, avvicinandomi alla mia fine, guardando i miei figli che crescevano persi nella stessa domanda, perso nel caos di una società ignorante. E riguardava solo me, senza madri, mogli, prole o amici.
Questa vita, al di là degli infiniti ciechi credo, al di là dell'oblio dell'apparente beatitudine del respiro, rimaneva un'esperienza finita, con un inizio ed una fine inesorabile, di un'inestimabile ed incomprensibile bellezza, ma sempre finita. Guardavo le tombe dei miei avi, dei miliardi di persone passate su questo pianeta in secoli e secoli, del miracolo di una Terra vivente in mezzo allo spazio alla giusta distanza dal sole. Avvertivo, avverto, qualcosa che mi sfugge e che non riesco a toccare, a comprendere. Noi, degli esseri quasi perfetti, incredibili, capaci delle più alte bellezze e delle più infime bassezze, passavamo su questo pianeta per poi sparire per sempre.
C'era, c'è, un disegno? Di chi? Perché? Cosa dovevo sapere per continuare ad esistere? Era sempre la stessa domanda che riaffiorava, qualsiasi posizione avessi occupato in questo mondo incredibile, e che non mi permetteva di essere felice fino in fondo, a meno di raccontarmi qualche frottola o mi dimenticassi in un nulla anche pieno di beatitudine.
Ed io non voglio finire senza sapere. Avrei vissuto inutilmente.
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