mercoledì 6 novembre 2013

L'ennesima bufala della vecchietta ultima abitante dell'isola. Firma per salvare Gorgona!



Da diversi mesi ormai, insieme all'organizzazione internazionale Avaaz, abbiamo dato vita a due nuove ed importanti petizioni. Spero vorrete  firmarle convidendole con i vostri amici e conoscenti.
La prima si chiama: "Chiudiamo il carcere dell'Isola di Gorgona".
 La seconda: "No al rigassificatore nel mare del Santuario dei Cetacei".
Forse non tutti sanno che in Italia esiste un'isola chiamata Gorgona, a sole 19 miglia da Livorno, dove coesistono una colonia penale ed un paese che sta scomparendo a causa del carcere.
Chiudere questa dispendiosissima prigione a cielo aperto è diventata per gli ultimi abitanti ormai una priorità. O il carcere o i gorgonesi è ormai l'unica scelta da fare per non disperdere per sempre la storia e il patrimonio del villaggio degli antichi pescatori. 
La secolare convivenza tra colonia penale ed abitanti è ormai carta straccia. Questo significa la morte di Gorgona e dei gorgonesi, per farne un'altra isola desertificata e senza un'anima, come è già successo per Pianosa e l'Asinara.
 Per ora siamo a 99 firme.


Per firmare clicca qui sotto:



Intanto è già arrivato a Livorno, non lontano dall'isola di Gorgona, un enorme rigassificatore che hanno piazzato in mezzo al mare, proprio all'interno del Santuario dei Cetacei e del Parco dell'Arcipelago Toscano. Inutile dire che tutti gli enti preposti alla salvaguardia di questo territori non hanno alzato un dito per fermare questa ignominia. Anzi, hanno fatto di tutto per incentivare l'arrivo di questo ecomostro, i cui guadagni andranno in tasca ai promotori e le spese saranno pagate invece sulle bollette Enel di tutti i contribuenti italiani.
Il rigassificatore va fermato a tutti i costi perché darebbe un colpo mortale all'ambiente e alla bellezza del Santuario dei Cetacei, oltre ad essere un pericolo per eventuali esplosioni e per l'utilizzo di sostanze chimiche. 
Siamo a 83 firme.

Per firmare clicca qui sotto:

http://www.avaaz.org/it/petition/No_al_rigassificatore_nel_mare_del_Santuario_dei_Cetacei/?launch



LA BUFALA DELL'ULTIMA ABITANTE DI GORGONA

Continua l'ennesima bufala dei quotidiani sull'ultima abitante dell'isola di Gorgona. Questi pseudogiornalisti e pseudo media, una mattina si svegliano, vanno in archivio, e ripropongono il solito stereotipo che gira ormai da decenni. La vecchietta in questione, citata nell'articolo, si è ormai costruita questa etichetta che piace tanto ai media e al ministero di Giustizia, quella dell'ultima abitante di Gorgona, che così - una volta deceduta - potranno fare man bassa dell'isola visto che non ci sarebbe più nessun gorgonese a popolarla,  come è già successo alla vicina Pianosa, ora in mano ad una cooperativa di detenuti e qualche ex secondino. In questo ultimi anni, infatti, è stato fatto di tutto per ostacolare che altri gorgonesi, dei 67 residenti attuali, di cui una diecina stabilmente, potessero rifar nascere l'antico borgo dei gorgonesi. Addirittura in questo momento, inventandosi delle accuse assurde, la colonia penale impedisce ad alcuni abitanti di andare alla propria casa sull'isola. Alla morte naturale del paese hanno dato il loro contributo tutti gli enti che gravitano sull'isola, dal Comune di Livorno, al Parco dell'Arcipelago Toscano, fino alla Regione Toscana. L'ignara zietta, chre si atteggia ad ultima abitante non avendo né arte né parte, cosciente o meno, sta aiutando proprio questo obiettivo: far sparire dall'isola i gorgonesi per lasciarla in mano alla burocrazia senz'anima. Ecco qui di seguito il mieloso e ripetuto articolo che ne fa ancora una volta 'Il Tirreno', che probabilmente non ha niente da raccontare sul suo quotidiano, ripetendo peridicamente la stessa litania  dell'ultimo abitante di Gorgona, ma guardandosi bene di fare qualche articolo per non far morire il paese di Gorgona. La vecchietta isolata e un po' svampita fa probabilmente più notizia, infilando una dietro l'altra inesattezze e storielle più o meno inventate. Anche questo è un modo per fare disinformazione e far sparire un'altra realtà italiana.


«Qualcuno pensa che sia pazza perché sono rimasta l'unica a vivere stabilmente nel borgo, e magari ritiene che l'unica vera reclusa di quest'isola sia io. Ma coloro che pensano questo non capiscono che cosa significhi amare la propria terra, le mura dove sei nato e dove pure hai vissuto tanti drammi; non sanno cosa significhi non poter fare a meno del verde di questi pini, dei colori del mare, del profumo che ti avvolge ogni giorno quando cammini per i viottoli sconnessi che s'inerpicano per la mia Gorgona. Non sanno, queste persone, cosa significhi poter andare lassù in cima, nel cimitero dove riposano babbo e mamma, i fratelli, i parenti e tutti i nostri avi che vennero qui all'inizio dell'800 da Lugliano, un paesino della Lucchesia, per fare i contadini ma divennero tutti pescatori…».
. Guardie e detenuti. Luisa Citti, 86 anni, è la regina dell'isola più piccola, più settentrionale e pure più aspra, ma anche più fascinosa delle sette dell'Arcipelago Toscano, dove si può arrivare solo su autorizzazione del ministero di Grazia e Giustizia perché è un’isola carcere. Lei, qui, è una istituzione: guardie penitenziarie e detenuti le mostrano rispetto e affetto e la domenica mattina alle 11 quando tutti si radunano per andare a messa nella chiesa di San Gorgonio nessuno osa entrare se Luisa non è la prima. Nessuno prega né canta se non inizia lei. Luisa ama il presente e custodisce il passato, vive nei ricordi ma si emoziona ancora per il volo di un gabbiano, se stacca una mora o un fico, se si porta al naso un rametto di rosmarino, di finocchio o menta.
Il miracolo e Ablondi. Luisa è gentile, educata, è una dolce highlander gorgonese, col tempo che le è scivolato sulla pelle senza lasciare traccia, né una ruga. «Un giorno il vescovo di Livorno, monsignor Ablondi, dopo che gli raccontai cosa mi era successo mi disse "Non ci sono dubbi, Luisa, lei deve ritenersi miracolata, solo un miracolo ha permesso che sopravvivesse…". Sì perché - aggiunge - io qui sono scampata a una terribile alluvione, una cosa mai vista prima in Gorgona. Era l'inverno di una decina d'anni fa, mi trovavo in casa dopo una giornata di pioggia torrenziale quando una valanga d'acqua e fango viene giù dalla collina, sfonda le porte d'ingresso, m'investe facendomi volare da una delle finestre della parte opposta, quelle che si affacciano sul porto. Piombai giù da quattro metri, svenni, riportai varie fratture alle braccia e sprofondai nel fango che mi entrò nelle vie respiratorie soffocandomi. Mi tirò fuori un vicino, l'unico che c'era. Da quel giorno amo ancora di più la mia terra. E guardi che i miei figli mi avrebbero voluto con loro, a Firenze. Sì, una visitina ogni tanto la faccio ma il mio posto è qui».
Il padre e la tragedia. Luisa vive nel ricordo del padre, Giovanni, guardiano dei fari e pescatore. «Un bell'uomo, distinto, sempre allegro e con una bella voce che sapeva incantare quando si metteva la chitarra a tracolla. Io ero l'ultima di cinque fratelli, la più coccolata. Quella che aveva meno appetito e solo lui riusciva a farmi mangiare perché mi portava con sé ogni giorno quando doveva fare il giro a cambiare le bombole di gas che alimentavano i tre fari dell'isola; e dopo tanto camminare su queste colline, che per me sono incantate come allora, mi veniva una fame incredibile. Ma la favola - s'intristisce Luisa - per me finì presto. Era la Pasqua del 1936, io avevo nove anni, la sera avevamo festeggiato in piazza il fidanzamento dell'altra mia sorella, passata all'aldilà da pochi giorni, e in paese ci fu davvero una bella festa. Poi al tramonto mio padre e mio zio decisero di andare a pesca e con loro si unirono i miei tre fratelli. Ma qualche ora dopo sentimmo grida disperate che provenivano dal porto: un'onda aveva scaraventato la barca sugli scogli rovesciandola e per una tragica fatalità uno scalmo dei remi aveva trafitto mio padre al collo; morì anche mio zio, si salvarono solo i fratelli, uno dei quali, Matteo, a 18 anni, diventò capofamiglia. La Marina gli dette l'incarico di farista che era del babbo e così avemmo ancora sostentamento…».
La mina dei tedeschi. In Gorgona la vita non è mai stata facile «però noi bambini, che eravamo tanti, siamo stati sempre sereni. Ricordo ancora la maestra Ersilia delle elementari: una donna piccola ma garbata e anche brava. Solo che la mia famiglia sembrava bersagliata dalla malasorte. Sull'isola c'era anche una postazione tedesca e mio fratello Salvatore che venne a trascorrere qualche giorno a casa in licenza non sapeva che c'era un campo minato: sentimmo l'esplosione, lo portarono giù con le gambe sfracellate, morì dopo due ore di stenti. Guardì qui che ragazzo era…» e Luisa si commuove nel mostrarci la foto. Ma foto appese alle pareti di questa abitazione, la prima che venne eretta nel 1773 quando il Granduca volle popolare l'isola e da Lugliano arrivarono i Citti e i Dodoli, ce ne sono a decine. E dietro ognuna, una storia. E talvolta anche una disgrazia.
«A mia sorella Lina era nato un figlio sofferente di cuore. Visite, consulti, ma quelli erano anni in cui si poteva fare poco. Gianni aveva solo sei anni quando mi morì tra le braccia. Venne per la merenda, gli feci pane e pomodoro poi mi disse "zia Isa respiro male…" lo portai proprio qui a prendere un po' d'aria fresca e fece appena in tempo a vedere sua madre che avevo chiamato urlando. Anche lui, poverino, riposa lassù nel cimitero e mia sorella che poi ha vissuto a Livorno aveva lasciato detto che avrebbe voluto stare con il suo Gianni».
Mitragliatrice e amore. Ma dopo tante lacrime, anche i sorrisi, l'amore, i progetti. Luisa ci racconta del suo colpo di fulmine, dell'amore della sua vita. Sul dietro del cimitero, c'è una stanzetta con una finestra quasi a strapiombo sul mare. «Guardì là - dice - lo vede quel pino grande? Bene, là nel 1944 c'era una piazzola con una mitragliatrice. Un giorno venni qui e vidi il giovane tenente che la comandava insieme a un buon numero di soldati. Io vidi lui, lui vide me… Ci sposammo che avevo appena sedici anni. Da quel matrimonio nacquero Paola due anni più tardi e poi Renzo, ora cinquantasettenne, diplomato al conservatorio, bravissimo maestro di violino. Il marito di Luisa, Vinicio Corsini, fiorentino, dopo la guerra diventò un conosciuto industriale del settore della moda, ma morì giovane. E Luisa tornò qui. Sui suoi sentieri dove raccoglie il mirto e ne fa un liquore squisito che ci offre, dove raccoglie more, castagne e funghi, dove cammina ancora con passo spedito conoscendo metro per metro, sassi, radici e avvallamenti.
La ricetta gorgonese. Ogni giorno, per lei, una scoperta, come quando bambina, trotterellava dietro a babbo Giovanni, il farista, il pescatore, il musicista. "Poi al rientro a casa _ ricorda aprendosi in un bel sorriso _ in tavola trovavamo una delle più vecchie ricette gorgonesi. Da voi c'è il cacciucco, noi invece mangiavamo il bagnetto con le acciughe, con tanto pomodoro e pane».
Finestra sul mondo. Versa un altro bicchierino di mirto mentre sfoglia l'album di famiglia, mentre prende la licenza originale per la bottega di alimentari del bisnonno Salvatore, datata 1863. E ci confida: «Lo sa che oltre alla Gorgona, Livorno e Firenze ho visto solo la Sardegna. Quando sento il desiderio di distrami mi metto a questa finestra, il gatto mi segue e da qui vedo la costa di Livorno, i traghetti in arrivo e le navi in transito. Oppure i nostri pescatori in barca…". (di Sandro Lulli, del 'Tirreno' di Livorno)

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