venerdì 27 settembre 2013
La mia Africa. Blood diamond
La prima volta che arrivai in Liberia traversai il fiume Cavally, tra la Costa d'Avorio e il territorio liberiano, su una chiatta galleggiante sorvegliata dai colonnelli di Charles Taylor, che comandava i bambini soldati sull'altra sponda del fiume dove vivevano gli scimpanzé. Per curiosità mi ero accompagnato ad un avventuriero italiano di Bari, che viveva in Costa d'Avorio e si diceva trafficasse in diamanti ed armi con Taylor e le sue mogli. Andavamo a vedere una grande quantità di cautchiù che i guerriglieri volevano venderci. Non se ne fece nulla perché era tutto bruciato, ma facemmo finta che ci interessava altrimenti non uscivamo vivi di lì. La seconda volta andammo in aereo a Monrovia. Parlammo anche con Taylor al Parlamento per far uscire valigie piene di dollari che se ne andavano in Svizzera. La terza volta andammo in auto, passando dal Nord della Costa d'Avorio. Monrovia era piena di check point e la sera c'era il coprifuoco. Le auto camminavano senza gomme e non c'era la luce elettrica. Taylor era il padrone della Liberia dopo che avevano tentato di farlo fuori politicamente. Aveva scatenato una guerra civile con le etnie locali ed aveva messo il Paese a ferro e fuoco.
"È il primo ex capo di Stato ancora in vita condannato da un Tribunale internazionale per crimini di guerra dalla Seconda Guerra Mondiale. L’ultimo era stato Karl Dönitz , ammiraglio tedesco che guidò la Germania nazista dopo il suicidio di Adolf Hitler. Charles Taylor, 65 anni, presidente della Liberia dal 1997 al 2003, considerato uno dei più spietati dittatori dell’Africa, ieri è stato giudicato colpevole dalla Corte Penale dell’Aja per la Sierra Leone, che ha confermato in appello la pena a 50 anni di carcere. Taylor era stato condannato ad aprile 2012 per aver fornito assistenza finanziaria, materiale (armi e munizioni) e tattica ai ribelli del Ruf (Fronte rivoluzionario unito) nella guerra civile che tra il 1991 e il 2002 sconvolse la Sierra Leone. Era la guerra dei «diamanti insanguinati». Taylor voleva conquistare maggiore influenza nella zona e ritagliarsi la fetta più grossa di un commercio che fruttava milioni di dollari. Il prezzo da pagare aveva poca importanza: bambini soldati, villaggi saccheggiati e terrorizzati, stupri, mutilazioni, esecuzioni sommarie. Taylor accumula una fortuna, frequenta il jet set internazionale, incontra uomini d’affari e personaggi da copertina. Persino la top model Naomi Campbell che riceve, secondo l’attrice Mia Farrow, anche un set di diamanti in regalo. La modella sarà poi chiamata a testimoniare all’Aja anche se negherà sempre di sapere da chi venissero. «La condanna di Taylor rappresenta un momento storico per il popolo della Sierra Leone e dell’intera regione», ha commentato il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, che ha poi definito il giudizio di appello una «pietra miliare nella giustizia penale internazionale». Secondo Elise Keppler, attivista di Human Rights Watch, si tratta di «un messaggio forte a tutti gli alti ufficiali che in questi anni si sono macchiati di crimini gravi». Sulla stessa linea Steven Rapp, ambasciatore per i crimini di guerra del dipartimento di Stato Usa ed ex procuratore del tribunale per la Sierra Leone. «La sentenza – ha detto - è un chiaro avvertimento ai dittatori di tutto il mondo: prima o poi arriva la resa dei conti». L’ex leader liberiano, che aveva studiato al Bentley College, negli Usa, e che poi, negli Anni 80, era stato addestrato alla guerriglia dal Colonnello Gheddafi, ha ascoltato impassibile la lettura del verdetto che lo condannava a vita in una carcere di massima sicurezza del Regno Unito. La difesa aveva provato a ottenere una riduzione di pena, cercando di dimostrare che Taylor, al momento della guerra in Sierra Leone, non era consapevole delle atrocità commesse dai ribelli del Ruf ai danni della popolazione. Per i giudici, però, «l’ex presidente è sempre stato complice, e per questo colpevole». La Corte ha inoltre sottolineato come «Taylor non abbia mai dimostrato rimorso per le sue azioni»". (da La Stampa.it)
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