sabato 7 settembre 2013

Firma per chiudere la colonia penale dell'isola di Gorgona e per bloccare il rigassificatore nel Santuario dei Cetacei



Da qualche mese, insieme all'organizzazione internazionale Avaaz, sono partite due nuove ed importanti petizioni. Spero vorrete  firmarle convidendole con i vostri amici e conoscenti.
La prima si chiama: "Chiudiamo il carcere dell'Isola di Gorgona".
 La seconda: "No al rigassificatore nel mare del Santuario dei Cetacei".
Forse non tutti sanno che in Italia esiste un'isola chiamata Gorgona, a sole 19 miglia da Livorno, dove coesistono una colonia penale ed un paese che sta scomparendo a causa del carcere.
Chiudere questa dispendiosissima prigione a cielo aperto è diventata per gli ultimi abitanti ormai una priorità. O il carcere o i gorgonesi è ormai l'unica scelta da fare per non disperdere per sempre la storia e il patrimonio del villaggio degli antichi pescatori. 
La secolare convivenza è ormai carta straccia grazie all'attuale direttrice del carcere Maria Grazia Giampiccolo che, abusando dell'autorità che gli concede il ministero di Giustizia, è arrivata addirittura ad impedire lo sbarco ad alcuni gorgonesi che abitano stabilmente sull'isola. 
Questo, insieme ad altre mille prevaricazioni ed ingiustizie della colonia penale sul paese, significa la morte di Gorgona e dei suoi abitanti originari, per farne un'altra isola desertificata e senza un'anima, come è già successo per Pianosa e l'Asinara.
 Per ora siamo a 94 firme.


Per firmare clicca qui sotto:


Intanto è arrivato a Livorno, non lontano dall'isola di Gorgona, un enorme rigassificatore che vogliono piazzare in mezzo al mare, proprio all'interno del Santuario dei Cetacei e del Parco dell'Arcipelago Toscano. Inutile dire che tutti gli enti preposti alla salvaguardia di questo territorio, e che magari vietano di pescare con la canna agli abitanti delle isole, non hanno alzato un dito (tutti stipendiati da noi: Parco dell'Arcipelago Toscano, Comune di Livorno, Provincia di Livorno, Regione Toscana, ministero dell'Ambiente, Governo). Anzi, hanno fatto di tutto per incentivare l'arrivo di questo ecomostro, i cui guadagni andranno in tasca ai promotori e le spese saranno pagate invece dalle bollette di tutti i contribuenti italiani... .
Questa iniziativa va fermata a tutti i costi perché darebbe un colpo mortale all'ambiente e alla bellezza di questi posti, oltre ad essere un pericolo per eventuali esplosioni o per l'utilizzo di sostanze chimiche. 
Siamo a 80 firme.

Per firmare clicca qui sotto:

http://www.avaaz.org/it/petition/No_al_rigassificatore_nel_mare_del_Santuario_dei_Cetacei/?launch


DALLE ORIGINI ALL'INSEDIAMENTO DEI BENEDETTINI 

I reperti archeologici rinvenuti e i documenti disponibili indicano che l'isola di G. fu sicuramente frequentata ed abitata dall'uomo sin da tempi remoti. In proposito A.M. Radmilli riferisce che nessun resto ritrovato su di essa è riconducibile al neolitico. Ad epoca più recente dovremmo pertanto attribuire un'antica scritta ad inchiostro e monili vari che sono venuti alla luce durante gli scavi che il Regnoli fece nella grotta di S. Gorgonio. Il materiale sfuso, che andò a costituire un piccolo ma prezioso museo archeologico situato all'epoca all'interno della torre nuova, oggi è andato completamente disperso (sembra durante l'ultima guerra). Il Biamonti ne cita l'esistenza nel 1873. Nonostante le ricerche effettuate di recente, anche dell'iscrizione non rimane traccia se non sempre nel libretto del Biamonti ed in altri manoscritti immediatamente successivi. Questa iscrizione, risalente in modo approssimativo al 395 a.C., è stata attribuita al periodo degli Osei o a quello degli Etruschi. 

Malgrado l' odierna conoscenza dell' alfabeto etrusco, la scritta non appare di facile decifrazione tanto che è più ragionevole ritenere che sia addirittura antecedente a quella civiltà. La permanenza accertata degli Etruschi sull' isola deriverebbe dall' avvenuto ritrovamento di due teschi che il prof. Vogt attribuì ai medesimi. Sono inoltre presenti chiari segni del successivo dominio romano al quale dobbiamo fare riferimento per conoscere i nomi vari che furono attribuiti a G . Plinio in proposito (Hist. nat. lib. VI, c.6) riferisce che i Greci la chiamarono dapprima Urgo, poi Urgon e quindi Orgonda Pomponio Mela (De situ orbis, lib.II, 7) e quindi Gorgon da Rutilio Numaziano e Tolomeo (Geographia lib.III). Rimanendo in tema, secondo alcuni scritti di Baronio, nel periodo cristiano allorché l'isola divenne sede di perseguitati, questi le cambiarono il nome che divenne Margarlta, Margurita, Marmorica, Normorica. In epoca più recente Vigo riferì di aver rinvenuto anche i nomi di Mannovia e Mannorica. Sempre intorno al significato del nome attribuito all'isola, di estremo interesse appare la ricostruzione glottologica fatta da C. Schick secondo il quale la parola Gorgona deriverebbe, attraverso diversi passaggi etimologici, dal fatto che su di essa erano state osservate alcune capre selvatiche. Tornando al periodo imperiale, in questi anni l' intero arcipelago toscano suscitò un vivo interesse in alcuni facoltosi patrizi che iniziarono a costrurivi delle ville.

Da Numiziano si legge: 

"Assurgit Ponti medio circumflua Gorgon
Inter Pisanum, Cymiacumque latus.
Adversus scopulos, damni monimenta recentis
Perditus hic vivo funere civis erat.
Noster eni nuper Iuvenis majoribus amplis,
Nec censu inferior, coniugiove minor.
Impulsus furiis homines, divosque reliquit;
Et turpem latebram credulus exulavit.
Infelix putat illuvie coelestia pasci,
Seque premit loesis sevior ipse Deis.
Num, rogo, deterior circoesis secta venenis
Tunc mutabantur corpora, nunc animo." 


440 I monaci gorgonesi si sarebbero recati in Corsica e avrebbero trafugato il corpo di S. Giulia, la giovane martire cartaginese crocifissa dai vandali nel 439 , secondo almeno quanto riferisce il Baronio nei suoi " Annales". 
493 I monaci elessero loro superiore il vecchio e saggio Eudossio che a sua volta era stato discepolo di S. Agostino (Vivoli). 
591 A partire dal 566, a seguito delle invasioni longobarde, oltre ad eremiti ed ecclesiatici si trasferirono in G. interi nuclei familiari. Sembra addirittura che vi giungessero anche donne di "facili costumi" con le quali i monaci scambiarono "parole e fatti…”. 
595 Per verificare il ritorno alla completa osservanza della fede da parte dei religiosi, S. Gregorio Magno mandò sull’isola S. Venanzio vescovo di Luni con il quale mantenne un lungo rapporto epistolare. 
776 Flavio Desiderio re dei Longobardi, su pressione della figlia Angelberga all' epoca badessa presso il monastero di Brescia, fece trasferire le spoglie di S. Giulia dalla G. a questa città, presso la chiesa del SS. Salvatore o in un monastero vicino. 
Fine 800 Intanto il ripetersi più insistente delle incursioni saracene che avevano sempre un effetto devastante sulle comunità rivierasche, indusse interi nuclei familiari a trasferirsi nell' interno poiché in tal modo erano maggiormente al sicuro. 
962 Le isole di G. e Capraia, che in questo periodo dovevano essere presumibilmente deserte o quasi, furono nel frattempo concesse ai Pisani dall' imperatore Ottone I. 
1024 Con l' inizio dell 'XI secolo, quello che era un villaggio cominciò ad estendersi e ad acquisire una connotazione più riconducibile ad un agglomerato urbano. 
1048 Il monaco Bono Visconti camaldolese, abate fondatore del monastero di S. Michele in Borgo, trovatosi in evidente disaccordo con i propri concittadini per motivi che restano ignoti, si vide costretto a fuggire e riparò in G. presso il monastero di S. Maria. 
1051 A seguito della politica espansionistica adottata dai Pisani, tesa anche ad acquisire il dominio sulle isole dell'arcipelago toscano, il papa Leone IX ribadì con fermezza che l' isola di G. doveva rimanere sotto la giurisdizione della Santa Sede. apprezzarne le bellezze naturali andandovi a costruire sontuose residenze estive. Per quanto riguarda Gorgona, sembra che l'antico monastero situato in località Villa Margherita di cui oggi non rimangono che ridottissimi resti, sia stato edificato su quanto rimase di una villa romana. Nei pressi dello scalo esiste tuttora una porzione murarla realizzata con la tecnica dell ' opus reticulatum che sicuramente va attribuita ai romani. Successivamente con l' avvento del Cristianesimo ed a seguito delle persecuzioni effettuate dai romani, in G. giunsero i primi cristiani che la colonizzarono trasformandola in sede di raccoglimento e di preghiera. Nelle letture di S. Girolamo si legge infatti che già alla fine del IV secolo le isole toscane, fra cui anche G., furono frequentate ed abitate da monaci che fecero dell'isolamento ascetico la loro ragione di vita.

1070 Da Lucca e in data 16 agosto, il pontefice Alessandro II emise una bolla che confermava al monastero della G. il possesso di tutti i suoi beni.
1074 La contessa Matilde di Toscana fece visita ai cenobiti e, come tanti altri prima di lei, elargì cospicue donazioni all'eremo di S Gorgonio allora diretto dall'abate Lanfranco.
I saraceni però tornarono per l' ennesima volta a saccheggiare le misere cose della G. e i pochi monaci presenti si videro costretti di nuovo alla fuga (Riparbelli). Con loro venne via anche il padre Adamo che all'epoca era l 'abate di questa piccola comunità monastica.
1118 All ' inizio del XII secolo i monaci raggiunsero di nuovo un' invidiabile condizione finanziaria che permise loro di trasformare ancora una volta l' isola in una sede di riferimento mistico e spirituale. Ben altri erano gli interessi del mondo esterno. Motivi strategici e militari indussero infatti i Pisani a prendere possesso dell' isola e a distaccarvi in modo stabile un presidio di soldati.
1166 Malgrado le premesse non siano state incoraggianti, fra la repubblica pisana e i monaci gorgonesi venne a consolidarsi una situazione di distensione e di reciproco rispetto poiché la cosa, come spesso succede, giovava ad entrambi.
1184 In un clima di accesa conflittualità fra le repubbliche marinare e fra loro ed i saraceni che continuavano ad infestare le nostre coste, le tre repubbliche di Pisa Firenze e Lucca stipularono un trattato con il re di Majorca nel quale venne riconosciuto ai Pisani il loro dominio sull'Elba, Pianosa, Montecristo, Gorgona, Giglio e Capraia. Venutasi a trovare isolata, Genova si affrettò a concludere un trattato di pace con Pisa.
1267 Il guelfo Carlo D' Angiò, nel corso della guerra che nel frattempo era scoppiata contro i Pisani, mandò le sue truppe in Toscana. Nel corso di questi scontri Livorno venne completamente devastata e rasa al suolo, tanto che è citato negli Annali " Nulla rimase " (An. Meozzi).
1282 In uno scenario storico che non accennava a modificarsi in quanto Genova e Pisa erano perennemente in guerra l'una contro l'altra, i Padri benedettini di G. approfittarono del decadimento della seconda per aumentare il loro già consistente patrimonio.
1283 Il persistere del conflitto fra le città di Genova e Pisa indusse quest'ultima, sempre per motivi strategici, a riprendere il possesso di G. che nel frattempo era tornata di nuovo nelle mani dei monaci.
1284 La flotta genovese e quella pisana si affrontarono davanti a Livorno in una battaglia rimasta famosa. I pisani, come sappiamo, ne uscirono sconfitti.
1288 Per conseguire una resa onorevole con i Genovesi, i Pisani offrirono quale compenso di guerra anche il castello di G. (l'attuale Torre Vecchia).
1292 I Pisani affidarono quindi il comando dell'esercito a Guido da Montefeltro che riuscì in breve a risollevare le sorti della repubblica. Successivamente gli stessi Pisani, pensando forse che questo generale aspirasse al governo assoluto della città, ne disposero il suo allontanamento. Vistosi messo in disparte e andando via da Pisa, Guido da Montefeltro, nel canto XXIII dell'Inferno ricorda l'episodio ripetendo a Dante il famoso anatema lanciato contro la città ingrata.

. . .Ahi Pisa, vituperio delle genti
del bel paese là dove 'l sì sona
poi che i vicini a te punir son lenti,
muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Armo in su la foce,
sì ch'elli annieghi in te ogni persona!. . .
Nella maledizione dantesca viene auspicato lo spostamento delle isole di Capraia e Gorgona verso la foce dell' Armo in modo tale da provocarne l'ostruzione e la conseguente morte per inondazione di tutti i Pisani.

L'IMPULSO DEI MONACI CERTOSINI 

1402 Dopo essere appartenuta alla repubblica pisana sin dal 1103, la città di Livorno fu venduta dai Fiorentini, che nel frattempo erano subentrati ai Pisani, a Giovanni Galeazzo Visconti duca di Milano.
Quattro anni più tardi la repubblica pisana doveva capitolare in modo definitivo e sottomettersi a quella di Firenze. Con la città di Pisa anche G. passò sotto la diretta influenza dei Fiorentini.
1410 Numerosi corsari africani approdarono in G. e qui trovarono poco più di quaranta monaci. Dopo aver saccheggiato quanto si presentò sulla loro strada fecero prigionieri alcuni anacoreti sulla fine dei quali non si seppe più niente.
1420 1421 e 1423 Si verificarono nuove e decisive incursioni saracene che provocarono la completa distruzione della chiesa e della cappella di S. Gorgonio e gravi danni al monastero ed anche alla torre vecchia nella quale i dieci monaci rimasti avevano trovato rifugio.
1424 Non sussistendo le condizioni per rimanere ancora nell'isola, i certosini decisero di abbandonarla riparando presso la Certosa Calci.
1449 La repubblica fiorentina era entrata nel frattempo in guerra con Alfonso d' Aragona re di Napoli che avanzava minacciosamente verso la Toscana. Essendo divenuta concreta la possibilità che gli Aragonesi s'impadronissero di un posto strategico importante come la G., i Fiorentini si rivolsero al papa affinché ordinasse il ritorno sull' isola dei certosini o di altro ordine monastico.
1509 Cessato ormai da tempo il dominio pisano, e venuta meno anche la presenza fisica di una rappresentanza ecclesiastica sull'isola, finirono per indebolirsi anche i diritti dei certosini sulla proprietà.
1518 Sotto il papa Leone X, lo Stato Pontificio, volendo ristabilire la sua secolare influenza su G., fece annullare i precedenti contratti stipulati e affidò a Firenze la giurisdizione politica e alla Chiesa quella spirituale.
1583 I saraceni sbarcarono di nuovo sull'isola e ancora una volta saccheggiarono quanto trovarono lungo la loro strada. Si ha notizia anche della distruzione della torre nuova fatta erigere in precedenza da Cosimo I. Stando ad una lettera dell' allora governatore Giovanni Volterra, Livorno contava 530 abitanti (1591).
1593 Per l'area pisana-livornese fu questa una data importante ai fini dell'incremento demografico della zona. Con la "Livornina" del 10.7.1593 furono infatti emanate disposizioni che prevedevano privilegi per chiunque intendesse trasferirvisi.
1606 Al vecchio Capitanato che i Genovesi avevano comprato nel 1421 al Bonciquaut (14 miglia di lato terrestre) seguì, grazie alla volontà del granduca Ferdinando I dei Medici, la istituzione di un nuovo Capitanato con un'estensione perimetrale di 45 miglia di cui 28 di lato terrestre e 17 di litorale con agli estremi Stagno a nord e il fiume Fine a Sud. Livorno aveva all' epoca 6000 abitanti.
I vecchi confini non si addicevano più ad un agglomerato urbano che si era esteso molto al di fuori delle mura e all’interno del quale ormai si svolgevano, con ritmo incalzante e frenetico, molteplici attività artigianali e soprattutto commerciali. Con apposita legge del 14 Aprile Livorno assunse la veste di città granducale e l’isola di Gorgonia, congiuntamente alle secche della Meloria, fu inserita nell’ambito delle sue competenze territoriali.


1629-1630 Il morbo della peste si era ormai diffuso in tutt' ltalia.
1633 Dopo secoli contraddistinti da un tipo di vita improntata su esperienze di fede e di ascetismo eremitico, in questi anni l' isola finì per divenire esclusivamente un presidio militare.
1634,1648,1649 Il ripresentarsi in questo periodo della peste nel Granducato di Toscana fece nel Capitanato di Livorno 616,773, 1514 vittime nei tre anni indicati.
1700 La coabitazione in uno spazio così ristretto di castellani, soldati, pescatori e monaci, si dimostrò fin dall' inizio di estrema difficoltà tant' è vero che ben presto intervennero seri contrasti di non facile soluzione.
1705 A seguito del parere espresso dai componenti della Consulta di Stato, Cosimo III concluse un accordo con il priore Alessandro Fedeli. Il contratto venne rogato a Firenze presso il notaio Francesco Maria Di Girolamo Giuntini.
1706 Si poté finalmente dare il via a quei lavori ritenuti dai certosini indispensabili e non più rinviabili nel tempo. Attraverso l'incarico affidato ad un muratore di nome Antonio Zolla di Varese furono costruiti:

- una chiesa nei pressi dello scalo (oggi esistente)
- un convento sopra la cala dello scalo
- un magazzino
- un magazzino in cala Martina
- un pozzo in cala Martina
1716 Gli aumentati interessi economici che scaturirono dalla pesca delle acciughe, acuirono di nuovo i contrasti fra i granduchi ed i certosini che a loro volta intendevano continuare a disporre dell'isola come se fosse rimasta di loro proprietà.
1723 Pur perdurando una situazione di incompatibilità, i certosini proposero al Granducato di fortificare l' isola nei pressi della collina antistante la cala Scirocco poiché secondo loro si sarebbe migliorato l'assetto difensivo.
1737 Nel frattempo morì Giovanni Gastone, ottavo ed ultimo sovrano I della dinastia medicea. La città di Livorno risultava costituita da cinque i quartieri: S. Giovanni (5434) abitanti, S. Cosimo (4120), S. Giulia (4059), S. Francesco (3847) e Venezia Nuova (2689) (Piombanti).
1749 I tentativi fatti dai certosini per ricomporre tutte le vertenze caddero nel vuoto ed anzi, l'impossibilità di amministrare l'esistente sia in Gorgona che in Corsica fece esclamare ad uno di essi la frase seguente:
"....La Gorgona e la Corsica ci faranno morire prima del tempo!...”
177l Ancora interessato al problema specifico della Gorgona ed alle possibili entrate che potevano derivare da un'oculata gestione delle sue risorse, accogliendo la richiesta dei certosini, il Granducato restituì al priore Maggi le preesistenti proprietà che furono affittate ad altri mezzadri nel 1772 e 1774. Viste le numerose ed insormontabili difficoltà che avevano incontrato nel corso della loro permanenza, anche questi agricoltori abbandonarono l'isola.

1777 La situazione di incertezza e d'impotenza manifestatasi all'interno della comunità certosina e lo stato di completo abbandono in cui ormai si trovavano gli immobili e le infrastrutture che erano ancora di loro pertinenza, indusse il granduca Pietro Leopoldo ad approfittare del momento favorevole per acquistare ad un prezzo conveniente i beni esistenti in G. Il rinnovato interesse che i granduchi dimostrarono nei confronti di questa isoletta non fu certo dovuto a motivi umanitari ma anzi, com'era da attendersi, da ragioni di tipo commerciale legate alla pesca delle acciughe che poteva ancora fruttare nuove e consistenti entrate. Questa attività poteva inoltre contare su un mercato, quello livornese, che ormai divenuto fiorente e sviluppato era in grado di gestire in regime di monopolio l'intero settore.
1778 Durante la sua permanenza, il Ferrari dovette abbandonare 1 'idea di ingrandire il porticciolo poiché i sistemi costruttivi dell' epoca erano tali da richiedere elevate risorse finanziarie che avrebbero avuto uno scarso ritorno dall' esercizio della pesca. Dopo tanti propositi di ampliamento e di ammodernamento dell' esistente, il comandante del presidio militare si trovò nella condizione di dover ridimensionare le sue ipotesi progettuali e limitarsi alla sola realizzazione dei seguenti immobili ed infrastrutture viarie:
-Un magazzino per lo stoccaggio del sale che avrebbe impedito.ai pescatori di doversene approvvigionare ogni volta sulla terraferma;
-Un insediamento sufficientemente g.rande in grado di ospitare in quarantena gente infetta;
-Una strada praticabile che rendesse più rapidi i collegamenti fra la torre vecchia e quella nuova per fronteggiare con maggiore rapidità eventuali incursioni saracene;
-Varie abitazioni e fabbriche per i residenti;
-Un mulino per la macina del grano.
Non è noto quanta parte delle idee si tradussero in fatti concreti. È certo invece che le agevolazioni contenute nell' editto del 1777 non ottennero gli effetti sperati. Per di più il Granducato veniva ad assumersi eccessivi oneri finanziari a fronte di scarsi profitti.
1785 Subito dopo la pace conclusasi fra gl' Inglesi ed i "ribelli" americani, si presentarono le migliori condizioni per avviare proficui scambi commerciali con il "Nuovo mondo". Fu a seguito di questi radicali cambiamenti che il Granducato di Toscana si adoperò per stipulare, fra i primi, un vantaggioso trattato economico con gli Stati Uniti. L 'interesse del granduca a ricercare nuovi orizzonti di mercato furono però osteggiati dai Livornesi che vedevano messo in pericolo il loro secolare rapporto commerciale con gli Inglesi. In altre parole essi temevano che i nuovi indirizzi diplomatici e gli accordi intervenuti avrebbero in qualche modo potuto interferire con la vendita all'Inghilterra delle acciughe che provenivano dalla pesca nelle acque di G.. Fu proprio in questo periodo che il Granducato, forse spinto da altri interessi, suggerì al governatore di Livorno di adoperarsi per promuovere in G. attività diverse da quelle della pesca. In questa occasione venne appunto suggerito di studiare un progetto con lo scopo di impiantare un allevamento di fagiani e di pernici. L 'idea probabilmente non ebbe seguito e i conigli selvatici rimasero gli indisturbati dominatori del sottobosco gorgonese. Ormai Napoleone era alle porte.
1808 Dapprima annessa all'impero francese, G. fu in seguito fatta confluire nel Dipartimento del Mediterraneo con capoluogo Livorno. 

1808 Dapprima annessa all'impero francese, Gorgona fu in seguito fatta confluire nel Dipartimento del Mediterraneo con capoluogo Livorno, quartiere Venezia, a cui appartiene tuttora.
1815 Con il trattato di Vienna che pose fine all' era napoleonica, G. tornò di nuovo al restaurato Granducato di Toscana retto per l' occasione da Ferdinando III.

1816 Una nuova pestilenza colpì la città di Livorno.
1827 Trascorso il periodo napoleonico senza che fossero avvenuti nell' isola fatti significativi, e tali comunque da essere riportati dalla bibliografia, il neo Granducato di Toscana emise un bando attraverso il quale si proponeva , di darla in affitto per un periodo di sei anni.
1833 Scaduto il termine contrattuale l'isola fu ceduta di nuovo in enfiteusi a nuovi acquirenti, i fratelli Giovan Battista e Francesco Baldini, per un canone annuo di 1650 lire fiorentine. Malgrado gli avvicendamenti ed i passaggi da un proprietario all' altro, la modesta economia dell’ isola non subì sostanziali miglioramenti. La pesca delle acciughe, che era rimasta l' unica attività di un certo rilievo, consentiva ridotti incassi che pur tuttavia permisero ai 70 residenti di condurre una vita decorosa sia pure in mezzo a mille difficoltà di vario tipo. Repetti in proposito cita che a questa pesca, che rimarrà fiorente fino al 1860, partecipavano circa 600 barche di pescatori toscani, genovesi e napoletani che facevano sempre riferimento alla G. per la salagione e la conservazione del pescato nei magazzini adibiti allo scopo nei pressi dello scalo. Le acciughe di G., confezionate in barilotti da 900 libbre, erano ancora le più ricercate per qualità.
1835 La città di Livorno venne dichiarata "porto franco" da Leopoldo II.
1842 Sull’isola risultavano facenti parte della parrocchia di S. Gorgonio,presieduta dall' abate Bruno Titoni di Calci nominato nel 1839 ,69 persone così suddivise (Vivoli): due ecclesiastici e sette famiglie di cui 52 erano i maschi e solo 151e femmine. La città di Livorno contava all'epoca 79.752 residenti.
1848 Ebbero inizio i primi tumulti insurrezionali che fecero decadere nell'anno successivo il Granduca Leopoldo.
1859/60 Con la costituzione del Regno d’Italia venne meno in Toscana il governo degli Asburgo Lorena. È pertanto lecito ritenere che i gorgonese abbiano sperato in un progressivo e sostanziale miglioramento del loro tenore di vita. Le probabili ed umane aspettative andarono però ben presto deluse dalla decisione, che all’ epoca prevalse, di destinare questa parte di demanio in sede di pena per condannati. Alla primordiale libera scelta degli anacoreti fece pertanto seguito una situazione di involontaria e forzata emarginazione da parte della piccola comunità residente alla quale fu imposto di coabitare con la peggiore feccia del momento. Alle diatribe fra certosini e castellani che avevano contraddistinto il periodo storico precedente, subentrò una nuova condizione di coesistenza "pacifica" alla quale rimarrà associato uno stato di latente sofferenza e di disagio diffuso. Livorno contava 83.000 abitanti.
1861 Dal censimento effettuato, gli abitanti di G. risultarono in totale 40. Essi erano così distribuiti (Canessa): Maschi 26 (18 celibi, 7 coniugati, 1 vedovo); Femmine 14 (7 celibi e 7 coniugate).


GLI ANNI DELL'ISOLAMENTO 

1863 Con l'approvazione della L. Fica dal nome del suo promotore, a partire dal 15 aprile furono adottate misure repressive per combattere e circoscrivere il dilagante fenomeno del brigantaggio che costituiva una fra le piaghe più gravi che il giovane governo fu chiamato a risolvere. Fu proprio a seguito di questa necessità che la G ., per il suo naturale isolamento geografico, venne indicata quale sede fra le più adatte ad accogliere un istituto di pena.
1869 Dopo una fase iniziale di sistemazioni infrastrutturali e di lavori edilizi per adattare l' esistente alle nuove esigenze penitenziarie, furono inviati sull'isola i primi detenuti ed il personale addetto alla loro custodia.
1871 Con l'avvenuto distacco amministrativo della colonia penale di G. da quella di Pianosa dalla quale appunto dipendeva in precedenza, arrivò sull'isola il primo direttore e per fortuna "il buongiorno si vide dal mattino". Il funzionario Angelo Biagio Biamonti, uomo di squisito ingegno e dotato di una non comune attitudine organizzativa, dovette affrontare le numerose difficoltà che gli si presentarono giorno dopo giorno. Biamonti si adoperò sin dall' inizio per rendere compatibile l' attività della comunità carceraria con quella preesistente. Fece infatti tutto il possibile per evitare e stemperare sul nascere ogni emergente situazione di probabile scontro e di conflittualità fra le parti.
1872 A distanza di quasi due anni dalla sua venuta in G., il Biamonti scrisse un piccolo ma importante libretto dal titolo." Cenni storici, geologici e botanici sull'isola di Gorgona." che oggi costituisce un importante riferimento per comprendere come l' isola sia andata trasformandosi ed adattandosi gradatamente a luogo di pena. Oltre ad indubbie capacità di comando e di persuasione nei confronti dei detenuti, il Biamonti fu anche uomo di cultura e di scienza. Dalla lettura del suo libretto infatti si può facilmente dedurre che questa persona ebbe anche conoscenze in campo agronomico, storico, geologico, archeologico e naturalistico. Tornando all'opuscoletto cosi come lo definì l'autore, in esso Biamonti riferisce essere 250 i detenuti della colonia che, sommati ai circa 100, fra civili e personale addetto alla custodia, portarono ad un totale di circa 350 le persone presenti sull’isola. Ma veniamo ad alcuni interessanti aspetti di carattere agronomico e di coltivazione ed uso del suolo contenuti nel testo. Tenendo conto delle caratteristiche agropedologiche del terreno, delle varie possibilità di esposizione e della dotazione idrica che fu ritenuta sufficiente a coprire nuovi fabbisogni, il direttore seppe individuare i siti più idonei per la coltivazione di alcune specie arboree che pertanto ebbero buone possibilità di attecchimento. La valle dello scalo, in località denominata "Le Capanne", fu ritenuta adatta alla crescita dei vari tipi di agrumi che, sempre secondo Biamonti, avrebbero sicuramente trovato un mercato favorevole nella città di Livorno i cui abitanti li andavano ad acquistare in Corsica e Liguria. Il sito cosi individuato, a sua volta al riparo dai venti freddi di tramontana I e da quelli impetuosi di libeccio, si rivelò idoneo anche alla piantumazione ed alla crescita dell'olivo e di altri alberi da frutto ed anche alla coltivazione di una vasta gamma di ortaggi ed erbe aromatiche. Anche l' apicoltura ebbe in questo impluvio naturale uno sviluppo redditizio. Oggi, seppure spostata più in alto in località "Ferro di cavallo", questo tipo di attività è ancora praticata dai detenuti che si avvalgono di consulenti esterni.

Per quanto riguarda invece la valle di Cala Martina che è situata più a sud, la consistenza calcarea del suolo e la sua elevata permeabilità, congiuntamente alla migliore esposizione della medesima, orientarono il direttore ad utilizzarla con successo per la coltura della vite. Furono cosi messe a dimora circa tremila piante. Sempre in Cala Martina, presso la Villa Margherita, in una casa attribuita i certosini e tuttora esistente venne attivata la concia delle pelli, mentre il fabbricato attiguo fu destinato all’allevamento di circa 200 fra galline e tacchini. Allo scopo di assicurare derrate alimentari alla comunità, e più che mai convinto della necessità di rendere il penitenziario autosufficiente in virtù dei difficoltosi collegamenti via mare, il direttore fece introdurre anche alcuni bovini e suini, rimandando ad un secondo momento l' idea di impiegare anche gli ovini. Per lo stesso motivo egli fece costruire anche una conigliera che poteva contenere fino a mille conigli. La nuova necessità di usufruire di terre da adibire a pascolo e foraggio non distolse il Biamonti dall' opportunità di mantenere intatta la macchia e di salvaguardare le zone boschive per i numerosi vantaggi che derivavano dalla loro presenza. Egli sapeva infatti che la flora spontanea avrebbe permesso una maggiore stabilità dei versanti e che gli alberi di alto fusto rappresentavano una valida barriera ai venti inclementi ed impetuosi che venivano da ogni direzione. Il fitto sottobosco consentiva inoltre l' assorbimento di buona parte delle acque meteoriche che altrimenti sarebbero ritornate al mare dilavando e portando via ogni cosa. Si pensi inoltre alla condensa e ad "altri molti benefizi" come lui stesso ebbe ad affermare A lui dobbiamo anche la realizzazione di circa quindici chilometri di sentieri sterrati che permisero spostamenti più rapidi all'interno dell'isola ed un più agevole e comodo trasporto di quanto si rendeva necessario.
1875 Per gli indigeni preesistenti all' arrivo della comunità penitenziaria non tutto il male venne per nuocere. Anche se dovettero sopportare la presenza di persone sgradite e subirne le conseguenze che avevano prodotto un radicale cambiamento delle loro abitudini e del loro tenore di vita, i gorgonesi godettero anche di indiscutibili vantaggi. La nuova realtà che si era consolidata era infatti tale da sopperire, sia pure in parte, a quasi ogni loro necessità ed esigenza. Esaminiamo alcuni di questi aspetti che, sia pure in modo non esaustivo, furono tali da mitigare molte sofferenze che avevano caratterizzato la loro permanenza negli anni precedenti:
-I generi alimentari. I detenuti furono messi in grado di produrre in loco farinacei, latticini, ortaggi, vino, olio, miele, frutta, e soprattutto prodotti carnei di vario tipo che, presumibilmente venduti a buon prezzo, impedirono ai gorgonesi di doversi recare periodicamente sulla terraferma per farne rifornimento;
-I servizi. Dal momento del suo insediamento, la comunità penitenziaria garantì in modo continuo tutta una vasta gamma di interventi e di servizi che rima di allora erano stati saltuari, scadenti, onerosi, e comunque tali da non soddisfare appieno i numerosi bisogni della popolazione.
Venne assicurata ad esempio la presenza di un medico che, oltre a dedicarsi alla cura dei detenuti e agli agenti di custodia, estese le proprie prestazioni anche ai pochi gorgonesi rimasti. ...
ggetti gestori e il Comune di Livorno continuano le visite settimanali sull'isola.
Può oggi sembrare assurdo ma all’ epoca alla quale si fa riferimento, e più che mai nel passato remoto, anche un banale malessere costituiva motivo di preoccupazione poiché era difficoltoso acquistare i farmaci necessari in tempi ragionevolmente brevi. Si pensi inoltre ai vari servizi che oggi si sono concretizzati a completa cura del Ministero di Grazia e Giustizia: rete acquedottistica, elettrificazione, rete telefonica, antincendio etc. È ragionevole pensare che le famiglie gorgonesi non sarebbero riuscite da sole a garantirsi tutto ciò e soprattutto a mantenere ogni cosa in piena efficienza. 
-La manutenzione degli immobili. Gran parte dei fabbricati esistenti ebbero ben presto bisogno di interventi di manutenzione. Quali erano i motivi per cui si era venuta a determinare questa situazione di crescente e diffuso degrado edilizio? Vediamo di rispondere a questa domanda: 
-Problemi di vetustà. Molti immobili erano stati costruiti in epoca remota e pertanto, più degli altri, abbisognavano di interventi di consolidamento e di restauro; 
-Lo stato di abbandono. Alcune abitazioni erano state abbandonate da diversi anni per il trasferimento altrove dei nuclei familiari che vi avevano risieduto. Erano cioè venuti meno anche quei lavori di ordinaria manutenzione che abitualmente si fanno all' interno delle nostre case. 
-La proprietà. Alle case affittate ai pescatori non vennero eseguiti sostanziali interventi migliorativi poiché essi, non essendone i proprietari non si sentirono obbligati a farlo. E se anche lo fossero stati? La loro modestia economica e la scarsità di mezzi tecnici e operativi non avrebbe comunque permesso loro di far fronte a tutte le necessità. Torniamo ai fatti dell' epoca. Ne1875, il Volpini descrisse al professore di Liceo Ottaviano Targioni Tozzetti gli esiti di una sua visita effettuata in G. In questa lettera egli evidenziò all' amico quanto di positivo era scaturito dalla guida illuminata del direttore del carcere che aveva conosciuto in quella circostanza. La nota, nonostante la sua brevità ed anche se imbevuta di esagerata enfasi e di sproporzionato coinvolgimento emotivo, costituisce insieme al libretto del Biamonti un ulteriore e prezioso tassello che consente di fotografare ancora più nel dettaglio la realtà di quel preciso momento. Approdato sull'isola dopo due ore di navigazione, il Volpini rimase colpito dall' architettura del "bel fabbricato" (non è chiaro se si riferisse all' ex ospizio della Certosa oppure ai magazzini situati in prossimità dello scalo) e dalla lussureggiante bellezza della valle dello scalo. In questa valle erano state messe a dimora numerose piante di vite e di olivo ed era praticata, sia pure in ridotti appezzamenti di terreno, la coltivazione del grano, del lino, della canapa e di tutta una vasta gamma di ortaggi che venivano consumati all'interno della colonia. Se andiamo a confrontare la tipologia delle colture di allora con l' attuale carta di uso del suolo ci rendiamo conto che, ad esclusione dell' area riservata alla orticoltura, la situazione nel suo complesso appare profondamente mutata. Il Volpini, come pure il Biamonti, riferì di aver visto l'antica iscrizione etrusca, come pure il piccolo museo archeologico. L' autore della lettera constatò anche l' esistenza di alcune acque sorgive che, se opportunamente imbrigliate e canalizzate, sarebbero state tali da soddisfare ancora meglio la domanda locale. Oggi le sorgenti rimaste sono quattro e non sono certo sufficienti a coprire l'accresciuto fabbisogno, tant'è vero che in epoca recente (1970) è stato deciso di emungere in profondità.
Queste quattro sorgenti sono ubicate una a Cala Martina e le altre nell'impluvio di Cala Scirocco. Veniamo quindi alle altre attività non collegate con l' agricoltura. Senza entrare nel merito della concia delle pelli, attività già peraltro evidenziata da Biamonti, Volpini constatò che erano anche praticate diverse .lavorazioni artigianali i cui prodotti venivano in parte riutilizzati nel carcere ed in parte erano venduti con profitto nei mercati di Livorno. All’ interno di una fornace si fabbricavano mattoni, venivano fatti artigianalmente cappelli in lana e pelo di coniglio, oltre alla calcina, al sapone e ad altri prodotti di importanza minore. Altre attività erano collegate alla zootecnia: l'allevamento, la macellazione e la conservazione dei vari prodotti carnei, la raccolta, la distribuzione e la lavorazione del latte e dei suoi derivati. Notizie ulteriori riguardano l' esistenza di una biblioteca molto fornita di testi di zootecnia, apicoltura, agricoltura, edilizia, botanica, zoologia, igiene, tecnica forestale, geologia, e molti altri volumi che oggi possiamo reperire, al i sotto di uno spesso strato di polvere, all’ interno di un armadio situato nel salone della direzione. Tutto questo materiale cartaceo costituì quindi oggetto di consultazione ed approfondimento per il Biamonti che se ne servì per far decollare la colonia. Biamonti non privilegiò solo ed esclusivamente le attività manuali, ma anche una serie di iniziative che avevano lo scopo di acculturare i suoi detenuti. Riuscì parzialmente nell’ intento grazie anche al valido contributo del cappellano che si prestò ben volentieri a fare un tipo di lavoro che certamente esulava dalle sue conoscenze di uomo di chiesa. All'interno di un piccolo locale adibito a sede scolastica, il cappellano Leopoldo Baronti s'intrattenne a lungo con i reclusi impartendo loro lezioni di italiano, di matematica e, ovviamente, di religione e stile di vita. Essendo inoltre un buon estimatore e conoscitore di musica, l’ ecclesiatico riuscì addirittura nell'intento di costituire una piccola fanfara d'improvvisati suonatori. A conclusione della sua lettera, forse per gratitudine nei confronti delle persone che lo avevano accompagnato in questa sua visita, il Volpini rivolse loro un affettuoso apprezzamento. I personaggi che oggi troviamo con altro nome sono gli stessi di allora: il direttore, il tenente, il medico, il contabile ed ovviamente l' onnipresente cappellano.
1879 Nonostante che le varie colonie carcerarie dell' arcipelago (Pianosa, Capraia, Montecristo, Gorgona) riuscissero a provvedere parzialmente al loro fabbisogno, già a quel tempo in sede parlamentare nacquero le prime aspre polemiche sui costi troppo elevati che la gestione di questi istituti di pena comportava per lo Stato. Il Fonseca, ex deputato, fece in proposito un' accurata analisi del problema riuscendo a dimostrare con dati alla mano che il gioco non valeva la candela e che era doveroso apportare sostanziali modifiche all’ assetto penitenziario dell'arcipelago toscano. Secondo i calcoli prodotti dal parlamentare, la spesa media individuale giornaliera per detenuto era per G. di lire 68 e 13 centesimi, per Pianosa di lire 35 e 94 centesimi e per Capraia di lire 53 e 55 centesimi. La denuncia ebbe l'effetto di una bomba e costituì la premessa alla soppressione della colonia di Montecristo che poco tempo dopo confluì su Pianosa.
1898 Seguirono anni avari di avvenimenti di rilievo ma non certo privi di spunti emotivi di preoccupazione per 1 'intera comunità. Nuove piccole storie di vita vissuta, anche se all'apparenza banali ed insignificanti, finirono per fiaccare i residenti e per farli sentire ancor più perseguitati dalla sorte che li teneva segregati dal resto del mondo.Per motivi ignoti, e per un periodo rimasto imprecisato, venne a mancare anche la presenza del conforto sacerdotale. Sia pure provvisoria, l’ assenza di un uomo di chiesa suscitò nei popolani indignazione ed un profondo sconforto poiché si vedevano privati anche della presenza di una persona di fede in grado d’ infondere loro fiducia e coraggio nell' affrontare le difficoltà quotidiane. 

1900 Con gli inizi del secolo la O., che contava circa 200 persone (Piombanti), ebbe anche la sua prima scuola elementare.
1904 Malgrado gli antichi buoni propositi manifestati dal Granducato di estendere nel 1840 alle isole un'indagine tesa ad aggiornare il catasto dei terreni e dei fabbricati, si è dovuto attendere il 1904 per usufruire di dati in tal senso. Questo catasto, per lo meno da quanto si è potuto reperire dai documenti e dalle pubblicazioni consultate, costituisce un valido resoconto della reale consistenza immobiliare dell'isola agli inizi del secolo.
1914 A questa data la Bolina riferisce che i detenuti assommavano a circa 300 e che alloggiavano in parte ancora nella torre nuova ed in parte presso l’edificio denominato "Casa colonica".
1927-32 Il padre Romiti, che dietro sua specifica richiesta divenne cappellano della parrocchia di S. Gorgonio a partire dall' agosto
1927 fino al marzo 1929, fu un prezioso cronista di alcuni particolari storici e di altrettante vicende che rivestono una certa importanza nell’ambito dei rapporti esistenti fra la comunità religiosa e quella penitenziaria. La chiesa fu riaperta al culto il 15 dicembre 1927. Il 30 marzo dell' anno successivo giunse dalla fonderia Luigi Magni & Figlio la campana maggiore che aveva incisa la seguente scritta: "Chiamo i vivi e piango i morti". Essa fu collocata su una trave davanti alla cappellina di S. Antonio da Padova e venne suonata per la prima volta il7 aprile de1928. Il 3 aprile del 1929 giunse da Lucca la quarta campana che reca tuttora le effigi di quattro santi che in vario modo sono legati alla storia di G.: S. Giuseppe, S. Brunone certosino, S. Caterina da Siena e S. Giulia. 1933 Nell'anno di inizio dei lavori per la costruzione del molo nella cala dello scalo (Foresi) tornarono di nuovo i padri cappuccini che, a turno, ripresero il servizio spirituale interrotto nel corso degli anni precedenti. Il 1 giugno dello stesso anno il patrimonio insulare che fino a quel momento era rimasto parte inalienabile del Demanio dello Stato, venne trasferito al ramo Grazia e Giustizia. L' ulteriore aggiornamento delle parti le relative ai fabbricati, messo a confronto con l'accatastamento precedente del 1904, pone in evidenza sostanziali differenze non tanto nella destinazione d'uso di detti immobili che rimase più o meno inalterata quanto invece nella nuova suddivisione interna degli stessi. La remota dimora di solitari anacoreti, trasformatasi successivamente in umile borgo di pescatori, appariva già all' epoca nelle vesti di una consolidata ed attrezzata colonia agricola penale all' interno della quale molto scarsi erano i margini di esistenza per una collettività di tipo civile.
1940-45 Mussolini non aveva ancora terminato il suo discorso dal Palazzo Venezia che su Livorno cominciarono a cadere le prime bombe. Sia pure di riflesso, durante la seconda guerra mondiale gli abitanti di G. risentirono delle privazioni e delle sofferenze che sempre accompagnano un evento bellico. Il rifornimento dalla terraferma dei generi di prima necessità e di uso comune, già peraltro difficoltoso in tempi di pace, divenne ancora più saltuario e pericoloso per la popolazione residente che, abituata com' era a fare di ogni necessità virtù, dovette arrangiarsi ancora una volta e provvedere con maggiori sacrifici al proprio sostentamento quotidiano. Ad aggravare ulteriormente la loro già precaria esistenza contribuì inoltre la decisione repentina del MGG di trasferire altrove la comunità penitenziaria. Con compiti di governatore venne allora mandato sull’isola un tenente medico Durante uno dei numerosi bombardamenti che ridussero Livorno in un ammasso di rovine (per primi i Francesi, dal 1941 al giugno del 1944 gli Americani e gli Inglesi, il 26 luglio 1944 i Tedeschi), presso la Villa Margherita cadde una bomba che, per fortuna degli abitanti, non esplose.

Poco tempo dopo gli alleati sbarcarono sull'isola. Superati i primi momenti di imbarazzo e di paura, i gorgonesi iniziarono a familiarizzare con i nuovi venuti. I cinque americani che vi si stabilirono presero possesso del “semaforo”della Marina Militare che ben si prestava per tenere sotto controllo le principali rotte di navigazione aeronavale. I militari venivano riforniti dalle loro vedette ogni quindici giorni: per i residenti questo giorno diventava occasione di festa perche anch'essi ne traevano enorme beneficio. Gli Americani infatti si dimostrarono sempre generosi e, divenuti ormai ospiti a.bituali delle famiglie dei Citti e dei Dodoli, elargirono loro senza parsimonia caffè, latte, zucchero, cioccolata e numerosi altri generi di consumo. Purtroppo, così come in passato la furia dei saraceni si era abbattuta sulla comunità certosina, qualcosa di analogo avvenne dopo lo sbarco improvviso di un contingente di Tedeschi. A parte le donne e i bambini che si precipitarono nel rifugio, tutti gli uomini sia civili che militari si nascosero nella macchia. Per fortuna degli isolani ai Tedeschi interessava soltanto disattivare la postazione trasmittente che era occupata dagli Americani, ed infatti fu con loro che avvennero alcuni scontri a fuoco risoltisi con l'uccisione di tre statunitensi. Avvenuta la liberazione di Livorno, anche gli Americani abbandonarono l’isola e ad essi subentrarono gli Inglesi. A differenza di coloro che li avevano preceduti, questi militari non lasciarono un buon ricordo del loro breve soggiorno. Freddi e distaccati, gl’Inglesi non familiarizzarono con i civili ne li rifornirono di derrate alimentari come invece avevano fatto gli Americani.
1946 Nell'immediato dopoguerra gli indici di criminalità raggiunsero valori molto elevati. Ben presto l' inadeguatezza e la fatiscenza di alcuni penitenziari, associate ad aspetti di sovraffollamento numerico, sfociarono nelle clamorose rivolte di Regina Coeli a Roma, delle Nuove a Torino e di S. Vittore a Milano. Non fu quindi difficile rivolgere di nuovo l'attenzione su G. nel senso di andarvi a ricostituire una realtà carceraria che avrebbe sicuramente alleggerito la situazione non più sostenibile che si era creata presso alcune sedi di pena del continente. Con alla testa un direttore livornese di nome Duceschi, i gorgonesi accolsero i detenuti (inizialmente una trentina), che avevano ormai imparato ad accettare e, in casi non infrequenti, ad apprezzare. Dopo soli cinque anni la comunità divenne di 228 persone (Censimento 1951).
1960 1113 giugno del 1958 venne sull'isola il cappellano padre Alvaro Candido Benvenuti (chiamato don Candido) che rimase in G. ininterrottamente per ventidue anni. Nel maggio del 1980 si ritirò infatti per sopraggiunti limiti di età (80 anni). Sempre nello stesso anno, forse stimolato da un comitato livornese interessato ad un tipo di valorizzazione diversa dell’isola, il periodico Epoca del 14 agosto pose fra i primi l’ accento sull’ incongruenza del mantenimento in G. dei detenuti che, sempre secondo la stessa fonte, potevano trovare altre collocazioni. Per la prima volta si sosteneva infatti con una certa decisione che L’ allontanamento di questi reclusi avrebbe consentito un positivo riscontro di tipo naturalistico e turistico.
1961 Intanto il nuovo censimento indicò essere 135 le persone presenti sull’isola.
1963 Un’ulteriore testimonianza di uno stato di sofferenza e di disagio degli abitanti per le condizioni di reclusione in cui anch’essi si trovavano, lo si desume in un articolo apparso sulla Nazione del 2 marzo nel quale si fa esplicito riferimento ad una petizione. Gli ottanta residenti la trasmisero sia alla Capitaneria di Porto di Livorno sia al MGG. Essi chiesero che venisse modificata un’ordinanza della C P del 24 giugno 1961 N°67 che disponeva il divieto di sosta a natanti forestieri entro i 500 m dalla linea costiera. 
In altri termini i pescatori volevano che il divieto venisse revocato solo nella parte antistante il porticciolo per consentire loro la vendita del pescato in eccedenza a turisti occasionali di passaggio. Poteva infatti verificarsi che il maltempo, e quindi la mancata vendita sui mercati livornesi del pesce non consumato presso la colonia, determinasse l' avvio al macero del prodotto avanzato. A conferma di tale interesse, il Ministro del Turismo si fece promotore di un intervento presso il MGG che a sua volta rimandò l' esame della questione nell'ambito di un riordinamento carcerario già programmato (Telegrafo 15.3.63). 
1964 La presenza del carcere e l' impossibilità di accedervi senza l' apposita autorizzazione ministeriale non impedirono ugualmente il saccheggio di numerosi reperti archeologici celati nelle acque marine che lambiscono le coste. Per quanto è reperibile in bibliografia, non esiste nei documenti alcun riferimento relativo all’avvenuto naufragio di navi romane nei pressi dell' isola. È quindi ragionevole dedurre che le prime scoperte siano state accidentali e che dei frammenti antichi siano venuti alla luce nel corso della pesca praticata dagli abitanti di G. o dai loro colleghi liguri che erano soliti veleggiare in queste acque. Rimbalzate successivamente sulla terraferma, le notizie dei ritrovamenti di anfore e monete romane avrebbero sollecitato interessi speculativi che si tradussero in una ricerca sistematica dei preziosi reperti. Malgrado non ve ne sia bisogno, la presenza di relitti romani nelle immediate vicinanze delle coste di G. confermerebbe ulteriormente che essa non fu solo meta occasionale e saltuaria dei traffici marittimi della Roma imperiale ma che anzi siano intercorsi collegamenti frequenti per approvvi- gionare del necessario le numerose ville patrizie disseminate nell' intero arcipelago. Tornando ai reperti, Zecchini in proposito riferisce che a circa due miglia ad est di cala Marcona furono recuperate numerose monete romane del III e IV secolo d.C. Molte di esse oggi sono conservate presso la Soprintendenza di Firenze. Anche a sud, di fronte alla cala dei Giunchi e ad una profondità di 55 m, ci sarebbe un' altra nave romana depredata a più riprese che già allora non costituiva più oggetto di interesse archeologico. Oggi le ricerche nsono state riprese in più punti e a diverse profondità. Per il momento, e malgrado le sofisticate attrezzature dell'equipe subacquea intervenuta, la scarsità dei reperti venuti alla luce hanno tradito le aspettative degli esperti che hanno curato l'iniziativa e con essi le speranze dei livornesi. Le cronache degli ultimi trent’anni sono dense di avvenimenti e progetti portati spesso fino al compimento, ma mai realizzati. E’ degli anni ’80 la possibile dismissione del carcere, che doveva seguire il destino di quello capraiese; a cui si contrappose l’idea di farne un villaggio penitenziario. Quest’ultimo progetto ebbe persino una conclusione pochi anni più tardi con la firma nel 1990 di una convenzione tra gli Enti Locali, il Ministero di G. e G. e la regione Toscana, ma non fu mai realizzato. Autonomamente gli Enti Locali assunsero dei provvedimenti per la salvaguardia dell’isola. Ai sensi della legge 978/82 il Comune di Livorno richiese al Ministero dell’Ambiente un decreto per l’istituzione di una riserva marina. La Provincia di Livorno estese il vincolo idrogeologico all’intera isola. Oggi l’isola è inserita nel Parco Nazionale dell’Arcipelago ma è ancora occupata dal carcere. In accordo con ambedue i soggetti gestori e il Comune di Livorno continuano le visite settimanali sull'isola.

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