Diciamolo però con franchezza. In realtà “le larghe intese” non sono mai nate e ci stiamo avvicinando semplicemente alla conclusione di qualcosa che è rimasto solo a livello embrionale: un aborto terapeutico, insomma. Certo, che una sentenza possa far cadere una legislatura è di nuovo una "anomalia", ma è difficile pensare che una volta estromesso Berlusconi dal Parlamento i suoi ministri possano restare ancora al Governo.
Insomma, il matrimonio voluto da Napolitano sembra andare inevitabilmente verso un divorzio certo non consensuale (altro che pacificazione nazionale!). La crisi di Governo, lo voglia o meno riconoscere il Presidente della Repubblica, pare inevitabile. Le “larghe intese” sono servite solo a prolungare l’agonia del Paese. In un Paese normale si prenderebbe atto dell’impossibilità di continuare l’esperienza di Governo e della necessità di ritornare al voto perché è diventato ora del tutto evidente che questo Governo è il risultato artificiale di una maggioranza non corrispondente all’ultimo risultato elettorale.
Le recenti dichiarazioni di Letta non fanno che confermare tutto ciò: "Il mio è un governo parlamentare di grande coalizione – ha dichiarato il Premier in visita in Austria – e deve la sua fiducia al Presidente della Repubblica e al Parlamento e lavorerà finché avrà la fiducia del presidente della Repubblica e del Parlamento". Cosa significa? Significa che solo formalmente il suo è un Governo parlamentare: è la fiducia di Napolitano ciò da cui dipende la stabilità e la tenuta del Governo. Del resto, anche se dovesse perdere la fiducia del Parlamento, questo Governo resterà in carica per gli affari correnti fino a che lo vorrà Napolitano (come ci ha insegnato l’esperienza Monti). E ancora: davvero il Governo Letta ha la fiducia della maggioranza parlamentare? Certo, ma una fiducia cui Pd e Pdl sono stati obbligati dal Capo dello Stato, a partire dalla sua rielezione e dalle condizioni da lui imposte per proseguire il suo mandato. Napolitano avrebbe, allora, dovuto da tempo prendere atto del fallimento della sua ipotesi di governo e rassegnare lui le dimissioni come richiesto dal capo del M5S. Avrebbe potuto limitarsi – per non gettare il Paese in una crisi istituzionale senza precedenti – a giustificare il proprio atto con la stanchezza dovuta all’età avanzata: tutti avrebbero compreso il suo farsi da parte. Diverso, invece, è minacciare le proprie dimissioni per salvare il governo: sarebbe inaccettabile, equivarrebbe ad un ricatto. Napolitano si esporrebbe a molte critiche se, oggi, dovesse decidere di rassegnare le proprie dimissioni al solo scopo di impedire le elezioni. Insomma: non c’è neppure più tempo per una fine anticipata del mandato del Capo dello Stato.
Si potrebbe forse pensare di dare un mandato esplorativo al MoVimento 5 Stelle: ne avrebbe il diritto, dopo essere stato messo nell’angolo privilegiando le larghe intese. Ma che servirebbe in fondo? Solo a perdere tempo: e, ormai, tempo non ne abbiamo più. Inoltre Pd e Pdl stanno rovinandosi da soli, ed al M5S conviene lasciarli cuocere da soli, nella loro acqua: come si dice a Napoli, "O purpo se coce dint’ all’acqua soja". Il Presidente della Repubblica è dell’idea che non si possa andare a votare con questa legge elettorale ed è sicuramente un’argomentazione forte, tenendo presente che all’inizio di dicembre la Corte Costituzionale sarà chiamata ad esprimersi sull’illegittimità della medesima. Ma il problema è: questa accozzaglia di partiti non è riuscita negli ultimi otto anni a cambiare questa legge elettorale. Dovrebbero mettersi d’accordo ora? E cosi siamo allo stallo. Il Presidente della Repubblica che cercherà in ogni modo di bloccare le elezioni, ed un Parlamento che non sarà in grado di fare la legge elettorale. E intanto il Paese brucia." (Paolo Becchi, da www.beppegrillo.it)
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