martedì 20 novembre 2012

Isola di Gorgona. Inquinamento ed abbandono



"Mentre le piogge devastano la Toscana, su un’isola dell’arcipelago toscano si muore di sete da oltre un mese: l’acqua del mare, debitamente depurata, non si può più consumare e allora tocca sopravvivere con le scorte mandate dal Comune di Livorno e dal ministero della Giustizia.
L’isola di cui stiamo parlando si chiama Gorgona, ed è balzata alle cronache nazionali negli ultimi mesi per uno dei più disastrosi incidenti ambientali degli ultimi anni: la perdita, poco lontano dalle sue coste, di quasi 200 barili di rifiuti tossici. Centonovantotto fusti per la precisione, smarriti esattamente dieci mesi fa, il 17 dicembre scorso, dall’Eurocargo Venezia, mentre, nonostante la tempesta, aveva intrapreso il suo cammino da Catania a Genova, con destinazione Lussemburgo. 
All’appello ancora oggi mancano 86 barili zeppi di cobalto, molibdeno e nichel. Barili che adesso – a quanto ha dichiarato a fine settembre il colosso partenopeo Grimaldi, proprietario dell’imbarcazione – non verranno più cercati. Non verranno più cercati perché, usando le stesse parole del gruppo partenopeo, dopo una campagna per la ricerca già costata «sei milioni di euro, facendola diventare l’unico caso simile nella storia della navigazione in Europa», «abbiamo fatto tutto quello che era possibile fare». 
Evidentemente, però, non è abbastanza. Soprattutto oggi che l’acqua di Gorgona - quella che viene filtrata attraverso i due depuratori messi sull’isola, e che rifornisce tanto gli undici abitanti civili stabili, quanto il carcere – si riscopre inquinata. Un’ordinanza del Comune, firmata dal sindaco di Livorno Alessandro Cosimi, ne ha infatti vietato l’uso per l’alimentazione e le analisi dell’Asl 6 parlano chiaro: alcuni parametri chimici sono fuori limite rispetto alla normativa vigente, la presenza dei metalli pesanti è eccessiva, e quindi l’acqua può essere usata unicamente per scopi igienici (pulizia degli ambienti e personale), ma non si può né bere né può essere utilizzata per cucinare. 
La notizia, completamente ignorata dai media nostrani, indica quindi che qualcosa nel mare intorno a Gorgona sta accadendo. A mettere in fila i fatti, però, diventa quasi naturale immaginare una connessione, pur con tutti i naturali dubbi dovuti a situazioni così delicate, fra i 40 quintali di catalizzatori esausti a base di monossido di cobalto e molibdeno contenuti nei fusti smarriti nel cuore di questo pezzo di mare e il recente divieto fatto alla popolazione. Una cautela non condivisa da Antonio Brindisi, portavoce del Comitato Abitanti di Gorgona: «Visto che non possiamo usare l’acqua dei depuratori per quasi due settimane ci hanno dato una bottiglia da un litro e mezzo d’acqua naturale. Adesso, complice il tempo, non stiamo ricevendo più niente. Come pensano che possiamo andare avanti?». E, poi: «Qui qualcosa non torna. Noi gorgonesi siamo furiosi perché i barili se ne stanno ancora in fondo al mare, e ogni giorno diventa più complesso immaginare che vengano portati via».
Brindisi è l’unico che di Gorgona vuole parlare. Sessant’anni, capelli bianchi e camicia a quadrettoni da boyscout, ci incontriamo a Frascati, dove lui vive per metà dell’anno con i tre figli che qui frequentano la scuola. Qualche mese fa, Brindisi aveva dichiarato che la prassi in caso di foschia era scaricare al largo delle acque di Gorgona rifiuti tossici, denunciando come la storia dell’isola fosse costellata da una serie di buchi neri. «Adesso la tensione è alle stelle – racconta - . E non capisco perché l’Italia continui a ignorarci. Il problema dei depuratori è soltanto l’ultima goccia. A Gorgona la situazione negli ultimi mesi è molto peggiorata, e ormai vivere qui è come sopravvivere in un pezzo d’Italia dimenticata da tutti. Le nostre croci quotidiane sono le residenze, i trasporti, l’inquinamento e il carcere. Ci sentiamo abbandonati». 
Vista la situazione, pare difficile dargli torto. Di Gorgona adesso non vuole parlare nessuno. Non il sindaco di Livorno, Alessandro Cosimi, al secondo mandato con il Pd, che alza le mani davanti a tutte le domande: «È nel nostro comune, ma praticamente tutto è demandato al carcere». Né Maria Grazia Giampiccolo, direttrice del carcere che si trova sull’isola e di quello di Volterra. Non ne vuole parlare neppure il Gruppo Grimaldi. 
Sull’isola non si può mettere piede perché a causa del carcere vige il divieto di avvicinamento a tre miglia dalla costa e così si è costretti a guardare soltanto le rocce, gli alberi, il porticciolo antico, le case accatastate l’una sopra l’altra, bianche e beige. Nient'altro. «Per arrivare e partire dall’isola – continua Brindisi - ci sono solo due traghetti la settimana, tutti appannaggio della compagnia Toremar. Ci fanno sbarcare a qualche centinaia di metri dalla riva, e poi c’è una vedetta della guardia carceraria che fa la spola. Il problema, però, se continuiamo così non si presenterà più: dal 1998 abitiamo in case che hanno la concessione governativa scaduta. La nostra è di nemmeno 60 metri quadrati. Continuiamo a pagare circa mille euro l’anno, ma è una situazione di precarietà assoluta». È una fortuna, allora, che gli abitanti stabili di Gorgona siano solo undici: sette della famiglia Brindisi e quattro dei Marangon-Brozzi. Le altre 56 persone che conservano qui la residenza non ci sono quasi mai, ma intanto mantengono la casa, da usare casomai per le vacanze, a prezzi stracciati. 
«Se continuiamo così, l’isola presto diventerà disabitata. Gorgona sta facendo la fine di Pianosa, che lentamente si trasformò esclusivamente in carcere, e poi venne espropriata ai suoi stessi abitanti. È abbandonata a se stessa e a un ministero di Giustizia che impedisce ai cittadini di godere delle bellezze dell'Arcipelago. Questo è quello che temiamo, oltre alle continue vessazioni quotidiane» aggiunge Brindisi. Vessazioni che, nel suo caso, sembrano essere piuttosto specifiche. «A Gorgona si può arrivare solo se invitati dagli abitanti, ma alla mia famiglia dalla metà di agosto hanno proibito di avere ospiti. Cinque mesi prima hanno chiuso il sito internet dove pubblicavo e commentavo la vita dell’isola per diffamazione. E poi mi è stato detto, o meglio fatto intuire, che la mia concessione è in forse». 
Di certo, deve essere alquanto complicata la routine su un’isola affollata di carcerati, dove si impara presto a tollerare gli incidenti, come quando nel 2004, a distanza di meno di due mesi, due detenuti vennero uccisi violentemente. Allora la proposta, che si ripresenta ciclica nel tempo, fu quella di chiudere tutto. «Ma il carcere è rimasto - continua Brindisi - e i settanta reclusi che vivono qui hanno la pena in scadenza. Escono dalla casa circondariale alle sette del mattino e rientrano alle 19. Fanno lavori utili alla manutenzione dell’isola, o lavorano nell’azienda agricola i cui prodotti sono venduti allo spaccio locale. Noi abitanti siamo a stretto contatto con loro. Condividiamo poi alcuni servizi, come la guardia medica che, a quanto mi risulti, guadagna 500 euro al giorno». Cifre da dimostrare, anche per le recenti polemiche che invece sottolineino come né a Porto Azzurro né a Gorgona sia presente un’adeguata assistenza sanitaria. Sempre da dimostrare anche l’altra pesante accusa che Brindisi fa al sistema carcerario: «In tutto, sull’isola lavorano circa sessanta dipendenti. D’estate però, e io l’ho visto con i miei occhi, ce n’erano solo dieci in attività».
Troppi problemi per un pugno di terra al centro del Tirreno. Troppi problemi per un’isola che non viene considerata dalla stampa nazionale se non quando, come a fine agosto, una balenottera venne ritrovata morta poco distante le sue coste, nel cuore di quello che è stato ribattezzato Il Santuario dei Cetacei. Sembra assurdo, ma il cadavere del mammifero ha richiamato l’attenzione della stampa molto più dei 198 barili e dell’annuncio da parte della Grimaldi – che ha appena lanciato 14 nuove rotte mediterranee – di sospendere le ricerche. 
Qualcuno direbbe «è la stampa, bellezza!». Qualcuno forse rilancerebbe l’atavica sfortuna dell’isola che, abitata sporadicamente da etruschi prima e monaci certosini dopo, divenne deserta ai tempi dei pirati per poi essere ripopolata all’epoca del Granduca di Toscana Ferdinando II, e diventare in parte colonia penale all’aperto nel 1869. 
Forse, più semplicemente, Gorgona oggi si riscopre quello che è: provincia profonda e dimenticata di un’Italia incapace di reagire all’ennesimo, scandaloso, disastro ambientale che ne distrugge le coste e l’ambiente. Provincia vittima di due estremi: 4000 firme - quelle faticosamente racimolate dalla petizione «Togliete quei bidoni!» a Livorno e fra i pochi abitanti dell’isola per eliminare i fusti inquinanti - e i 198 barili persi da uno dei più importanti colossi del mare, la Grimaldi, che ha deciso di sospendere univocamente qualsiasi ricerca. Intanto, il decreto anti inchini – quello varato dal Governo dopo un’altra tragedia che ha sconvolto l’arcipelago, quella della Costa Concordia, e realizzato dal ministro dei Trasporti Corrado Passera insieme al ministro dell’Ambiente Corrado Clini – all’articolo due sottolinea la necessità di ulteriori misure per la protezione di aree particolarmente vulnerabili: secondo la nuova norma le navi che trasportano su ponti scoperti sostanze inquinanti, pericolose o anche rimorchi, container, camion e così via «devono adottare sistemi di ritenuta del carico che ne garantiscano la massima tenuta e stabilità in ogni condizione meteomarina, al fine di prevenire e impedire perdite accidentali dei carichi». Se qualcuno ci avesse pensato prima non sarebbe stato male. Soprattutto perché è ancora da capire come la Capitaneria di Porto farà in modo che questo venga rispettato". (Flavia Piccinni - http://www.linkiesta.it/gorgona-acqua-inquinata#ixzz2ClSr4scw)

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