lunedì 31 ottobre 2011
domenica 30 ottobre 2011
sabato 29 ottobre 2011
Gorgon live
"Qualcuno o qualcosa sta mettendo le mani su Gorgona. Il 2011 ha visto un’escalation di iniziative per liberare l’isola dal carcere e dai suoi abitanti. I motivi ancora non sono chiari, ma di sicuro c’è un disegno o un regista occulto che sta cercando di accaparrarsi una delle più belle isole italiane. Gli abitanti di Gorgona, che con i suoi due chilometri quadrati a 18 miglia nautiche dalle coste livornesi è la più piccola fra le isole dell’arcipelago toscano, sono appena sessantaquattro. Ma si sentono accerchiati e, con l’aiuto del web (www.ilgorgon.eu), hanno deciso di disseppellire l’ascia di guerra. «Ogni volta che qualcuno propone di vendere i beni demaniali mettono gli occhi su Gorgona - si lamentano -. Era già successo nel 2002 quando c’era Castelli Guardasigilli. Allora si parlò di 5 milioni di euro». L’ultimo round è cominciato il 1 gennaio scorso. Prima il ministero della Giustizia (l’isola ospita una colonia penale con 70 detenuti) ha deciso l’interruzione dei collegamenti con la terraferma e ha costretto i gorgonesi a chiedere un’autorizzazione per far sbarcare parenti e amici. Poi il comune di Livorno, dopo anni di sostanziale disinteresse, ha dato il via ad un controllo capillare di tutte le residenze (senza non si può mettere piede sull’isola). Infine, nel giugno scorso, mentre si iniziava a parlare dell’imminente chiusura del carcere, qualcuno ha messo in giro la notizia che Andrew Beal, un miliardario di Dallas con la passione per il poker, vorrebbe acquistare l’isola per costruirci un casinò, nonostante il Piano del Parco nazionale dell’Arcipelago toscano approvato da Regione, Provincia e Comune di Livorno, vieti espressamente operazioni del genere. Bufale? Paure ingiustificate? Nei giorni scorsi i residenti hanno avuto l’ennesima conferma dei loro sospetti. «Il Demanio di Stato, proprietario di tutti gli immobili, ci ha inviato una lettera in cui ci spiega che le nostre abitazioni non sono più a norma e che entro il 31 dicembre 2011 dobbiamo lasciarle, spiega Antonio Brindisi, portavoce del «Comitato abitanti isola di Gorgona» -. Ci vogliono cacciare. Lo sfratto, infatti, non permetterebbe più ai gorgonesi di mettere piede sull’isola perché la colonia penale lo impedirebbe. E pensare che i lavori di manutenzione delle case ce li siamo sempre fatti da soli. Comunque, dovranno passare sui nostri cadaveri. Anzi, saremo noi a chiedere i danni. Discendiamo dai Citti e dai Dodoli, le due famiglie di agricoltori della Garfagnana che si trasferirono qui per lavorare i terreni dell’isola molti anni prima che aprissero il carcere nel 1869, e ci opporremo a questo disegno in tutte le sedi possibili». «È una cosa assurda. Non si può far scomparire un villaggio senza chiedere nulla a chi ci vive - si arrabbia Christine Koffi, originaria della Costa d’Avorio ma residente a Gorgona da più di quindici anni -. Perché ci vogliono buttare fuori?». In realtà i discendenti dei gorgonesi, in guerra, lo sono almeno da trent’anni. Da quando venne tolto il cancello che divideva la colonia agricola penale dall’antico borgo dei pescatori. «Gli agenti penitenziari cominciarono ad abitare le case abbandonate e da allora la comunità si è spaccata in due fazioni: chi sta con il sistema carcere e chi si oppone - racconta Antonio Brindisi -. Adesso, però, è il momento di tornare a fare fronte comune. Se è vero che il penitenziario non ha futuro (costa 20 milioni di euro all’anno), non possiamo permettere che l’isola finisca abbandonata o peggio nelle mani di qualche privato. Noi abitanti vorremmo ripopolarla utilizzando le strutture del carcere per farne un agriturismo controllato, mantenendo l’identità del paese e l’eredità degli antichi pescatori gorgonesi». Un progetto fattibile? Un’utopia? Dagli uffici centrali del Demanio, per il momento, non arrivano commenti. Si limitano a confermare la notizia dello sfratto: «È vero, abbiamo inviato una comunicazione agli utilizzatori degli alloggi perché devono essere messi a norma». (Francesco Moscatelli, La Stampa del 29.10.2011)
venerdì 28 ottobre 2011
giovedì 27 ottobre 2011
mercoledì 26 ottobre 2011
Le mani sull'isola di Gorgona
Qualcuno o qualcosa sta cercando di mettere le mani sull'isola di Gorgona. Il 2011 ha visto un escalation di iniziative per liberare l'isola di Gorgona dal carcere e dai suoi abitanti. I motivi ancora non sono chiari, ma di sicuro c'è un disegno o un regista occulto che sta cercando di accaparrarsi una delle più belle isole italiane.
L'ultimo scellerato scippo è un'iniziativa del Demanio di Stato, proprietario di tutti gli immobili di Gorgona, che ha inviato una lettera minatoria ai 64 residenti gorgonesi intimando loro di lasciare le case entro il 31 dicembre 2011. Un fulmine a ciel sereno, inaspettato e inaspettabile, che vedrebbe l'antico borgo dei pescatori sparire in un colpo solo.
Solo due mesi fa si è iniziato a parlare della chiusura della colonia penale, l'altra realtà che anima l'isola di Gorgona. C'è ancora un interrogazione parlamentare scritta al ministro della Giustizia per saperne la veridicità e i dettagli.
Il 1 gennaio 2011 vennero tolti improvvisamente i collegamenti marittimi, impedendo agli abitanti di poter accedere alle loro case come prescrive la legge sulla contiguità territoriale.
Qualcuno o qualcosa sta tentando di mettere le mani sull'isola di Gorgona. Gli abitanti si opporranno con tutte le loro forze a questo disegno, in tutte le sedi possibili.
martedì 25 ottobre 2011
lunedì 24 ottobre 2011
domenica 23 ottobre 2011
sabato 22 ottobre 2011
venerdì 21 ottobre 2011
giovedì 20 ottobre 2011
mercoledì 19 ottobre 2011
martedì 18 ottobre 2011
lunedì 17 ottobre 2011
domenica 16 ottobre 2011
sabato 15 ottobre 2011
venerdì 14 ottobre 2011
giovedì 13 ottobre 2011
mercoledì 12 ottobre 2011
martedì 11 ottobre 2011
lunedì 10 ottobre 2011
domenica 9 ottobre 2011
sabato 8 ottobre 2011
venerdì 7 ottobre 2011
giovedì 6 ottobre 2011
Ciao Steve!
Ciao Steve Jobs. Non voglio unirmi al coro mediatico e di moda che sta dandoti l'ultimo addio. In realtà non ho mai troppo seguito le tue gesta e le tue innovazioni, anche se ho usato un tuo computer e i tuoi programmi e anche se so che hai condizionato - e non poco - il nostro modo di vivere. Quello che mi ha particolarmente colpito è la data della tua nascita -1955, come la mia - e la tua vita di bambino abbandonato e poi adottato, dell'amore per l'Oriente e le tue preferenze. Insomma, mi sono anch'io un po' riconosciuto nella tua vita, non troppo dissimile dalla mia in fondo, se non per una questione di non poco conto: tu almeno hai inciso in qualche modo sul nostro stile di vita, mentre a me sembra di non aver fatto quasi niente di significativo, anzi forse la mia vita è stata ed è un mezzo fallimento... . Forse non è così, perché ogni vita dà qualcosa, anche se non amplificato dai media o da una grande impresa, ma l'amaro un po' resta... . Ciao Steve.
"Ieri pomeriggio un velo di tristezza ha attraversato la Silicon Valley non appena la notizia della morte di Steve Jobs si è diffusa via internet. Si è divulgata in pochi minuti; pochi minuti, e non c’era nessuno nella Valle che non sapesse. Non c’era nessuno che non ne facesse cenno, timidamente, in punta di piedi. Gli ingegneri di Facebook hanno continuato a lavorare, ma in silenzio, per un po’. La notizia era attesa e temuta allo stesso tempo.
Un gigante come Jobs significa cose diverse per persone diverse. Per chi abita la Valle, Jobs era innanzitutto uno della Valle. Era nato qui (a San Francisco), era cresciuto qui, aveva frequentato le scuole (poche) qui. E qui aveva aperto le sue due aziende, Apple Computer (dal 2007, solo Apple) a Cupertino e NextStep in Redwood City. Con l’unica eccezione di un semestre in Oregon al college e qualche visita alla Pixar, che sta ad Emeryville, dall’altra parte della Baia di San Francisco, tutta la vita di Jobs si è consumata nella striscia di terra che scorre tra due autostrade, la 101 e la 280. Il suo testamento d’amore alla Valle Jobs l’ha recitato pochi mesi fa, quando inaspettatamente comparve al consiglio comunale di Cupertino per presentare il progetto dei nuovi uffici di Apple. Tenne un breve discorso, in cui ricordò quando da teenager andava a bottega da Bill Hewlett (uno dei due fondatori di Hewlett-Packard), lo stesso che decenni dopo gli avrebbe venduto il terreno su cui ora la Apple costruirà i nuovi uffici.
Malgrado ci sia chi pensi il contrario, Jobs non è 'il' prototipo dell’imprenditore tecnologico, almeno quanto Roberto Baggio non è il prototipo del calciatore moderno. È stato ed ha rappresentato 'un' prototipo dell’imprenditore tecnologico: quello che combina etica ed estetica. Per lui, e per alcuni (ma non ovviamente tutti) imprenditori tecnologici di Silicon Valley, la tecnologia è allo stesso tempo una forza etica, perché permette di trasformare il mondo per il meglio, ed estetica, perché lo può rendere più bello. La tecnologia è - con Jobs - il crocevia in cui si incontrano le due grandi culture che hanno animato la Baia di San Francisco nell’ultimo mezzo secolo: quella degli hippie, che volevano cambiare il mondo, e quella degli ecologisti, che lo volevano salvare. C’è, alla base della sua filosofia, l’idea che la tecnologia sia una forza positiva, che arricchisce il mondo. La tecnologia è una forza del bene. Chi ha vissuto a pane e Guerre Stellari sa cosa intendo. La tecnologia è una forza salvifica perché rende il mondo più bello e ricco, e questo migliora lo spirito e ovviamente le condizioni pratiche di vita. Jobs è passato attraverso tutte le peripezie che conosciamo, ma è rimasto, malgrado tutto, un ragazzo degli anni Sessanta: non aveva più la barba lunga, come ai tempi del garage con Steve Wozniak, ma manteneva lo stesso fuoco che animava i contestatori di Berkeley e la stessa passione che spingeva gli hippie a cercare il senso della vita nelle strade intorno ad Haight-Ashbury, a San Francisco.
Jobs ha impiegato l’intera sua vita a trasformare un’idea, la tecnologia è una forza per il bene e il bello, in un business mondiale. Quando l’America ha voltato pagina, agli inizi degli anni Ottanta, l’idealismo è stato sostituito dall’egoismo esplicito ed acclamato, e le manifestazioni contro la guerra in Vietnam e Richard Nixon sono state sostituite dalle avventure di Gordon Gekko, i valori che Jobs incarnava sono diventati obsoleti; per sopravvivere, Apple ha dovuto cambiare strada e Jobs si è trovato senza lavoro. Il suo capolavoro, come uomo e come imprenditore, è stato quello di compiere l’attraversata del deserto, dagli anni di Reagan a quelli di Bill Clinton, senza perdere un grammo del suo idealismo e senza accettare compromessi. Quando la Valle è entrata nell’era delle dot.com, Jobs era perfettamente posizionato per incarnarne la rinascita.
È ancora tutta da studiare la dinamica che ha portato l’idea di Jobs a trionfare nel primo decennio del XX secolo, quando la setta dei milioni di fedeli di Apple si è improvvisamente trasformata in un movimento d’opinione composto da centinaia di milioni di nuovi, entusiasti adepti. È comunque un fatto incontrovertibile che da quando l'azienda è entrata nel mondo dei prodotti di consumo di massa, l’idea che la tecnologia produce bene e bellezza è diventata una verità acclarata. E così Jobs ha avuto il trionfo che meritava". (Limes)
"Succede. Ti svegli al mattino e la prima notizia riguarda la morte di qualcuno. Ieri è morto Steve Jobs. Ti senti un po' giù come se fosse morto un amico che non vedevi da tempo, ma al quale ogni tanto pensavi. Rifletti che se lui non è riuscito a sconfiggere la morte non ci riuscirà nessuno. E ti senti più fragile. E' un pensiero così in una mattina di ottobre così. Addio Jobs.
Discorso ai neolaureati della Stanford University, il 12 giugno 2005:"È per me un onore essere qui con voi, oggi, alle vostre lauree in una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. Anzi, per essere onesto, questa è l’esperienza più vicina ad una laurea che mi sia mai capitata. Oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie.La prima storia: unire i puntini. Lasciai il Reed College dopo il primo semestre, ma continuai a frequentare in maniera ufficiosa per circa 18 mesi prima di abbandonare definitivamente. Perché mollai?Tutto cominciò prima che nascessi. Mia madre biologica era una giovane studentessa di college non sposata e decise di darmi in adozione. Credeva fortemente che avrei dovuto essere cresciuto da persone laureate e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare alla nascita da un avvocato e da sua moglie. Quando arrivai al mando, però, loro decisero all’ultimo minuto che preferivano una bambina. Così i miei genitori, che erano in lista d’attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte: “C’è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete?”. Loro risposero: “Certamente”. Solo dopo, mia madre biologica scoprì che mia madre non si era mai laureata e che mio padre non aveva neanche finito il liceo. Rifiutò di firmare le ultime carte per l’adozione. Accettò di farlo mesi dopo, solo quando i miei genitori promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college.Diciassette anni dopo andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno costoso tanto quanto Stanford e tutti i risparmi dei miei genitori finirono nelle tasse universitarie. Dopo sei mesi, non riuscivo a vederci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, a spendere tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando una vita intera. Così decisi di mollare e avere fiducia che tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi. Era piuttosto spaventoso all’epoca, ma guardandomi indietro è stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’attimo stesso in cui abbandonai il college, smisi di seguire i corsi che non mi entusiasmavano e cominciai invece a frequentare quelli che trovavo più interessanti.Non fu tutto rose e fiori. Non avevo più una camera nel dormitorio ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Riportavo al negozio le bottiglie di Coca Cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e poter comprare da mangiare. E tutte le domeniche camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente l’unico buon pasto della settimana all’Hare Krishna. Adoravo tutto questo. E quello che trovai seguendo la mia curiosità e la mia intuizione risultò, solo dopo, essere senza prezzo.Vi faccio subito un esempio. Il Reed College all’epoca offriva probabilmente la migliore formazione del Paese in calligrafia. In tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con grafie bellissime. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito il corso di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai i caratteri serif e sans serif, la differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, quello che rende eccezionale un’eccezionale stampa tipografica. Era bello, storico, artistico e raffinato in un modo che la scienza non è in grado di offrire e io ne ero completamente affascinato.Nessuna di queste cose però aveva alcuna speranza di trovare un’applicazione pratica nella mia vita. Ma dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, tutto quello che avevo imparato mi tornò utile. E lo utilizzammo tutto per il Mac. E’ stato il primo computer dotato di una bellissima tipografia. Se non avessi mai lasciato il college e non avessi mai partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto caratteri tipografici differenti o font spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non avrei mai frequentato quel corso di calligrafia e i personal computer potrebbero non avere quelle stupende capacità tipografiche che ora hanno. Chiaramente, quando ero al college, era impossibile unire i puntini guardando al futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardarmi indietro.Di nuovo, non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi indietro. Dovete aver fiducia che, in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete credere in qualcosa – il vostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e ha sempre fatto la differenza nella mia vita.
Seconda storia: l’amore e la perdita. Io sono stato fortunato: ho trovato molto presto quello che amo fare. Io e Woz fondammo la Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Lavorammo duramente e in 10 anni Apple, da quell’azienda fatta di noi due e un garage, si è trasformata in una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. L’anno prima realizzavamo la nostra migliore creazione – il Macintosh – e io compivo 30 anni. L’anno seguente fui licenziato. Come si fa ad essere licenziati dall’azienda che tu stesso hai creato? Facile: quando Apple divenne più grande, assunsi qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l’azienda insieme a me e per il primo anno le cose andarono molto bene. Ma poi le nostre visioni del futuro cominciarono a divergere e alla fine arrivammo ad uno scontro. Quando questo successe, la commissione dei direttori si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni, io ero fuori. E in maniera piuttosto plateale. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era perso e io devastato.Per alcuni mesi non seppi assolutamente che cosa fare. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me – come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Incontrai David Packard e Bob Noyce e tentai di scusarmi per aver rovinato tutto così malamente. Fu talmente un fallimento pubblico che presi anche in considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley. Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me: amavo ancora quello che avevo fatto. Ciò che era successo alla Apple non aveva cambiato di un bit questo amore. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo.Non me ne resi conto allora, ma essere licenziato dalla Apple era stata la miglior cosa che mi potesse capitare. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti consentendomi di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita.Durante i cinque anni successivi fondai un’azienda chiamata NeXT, un’altra azienda chiamata Pixar e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe poi diventata mia moglie. Pixar produsse il primo film d’animazione digitale, Toy Story, e adesso è lo studio di animazione più famoso al mondo. In un significativo susseguirsi di eventi, la Apple comprò NeXT, io ritornai alla Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è ora il cuore dell’attuale rinascita di Apple. E io e Laureen abbiamo una meravigliosa famiglia.Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato dalla Apple. Fu una medicina molto amara, ma credo che il paziente ne avesse bisogno. Qualche volta la vita ci colpisce come un mattone in testa. Ma non perdete la fede. Sono convinto che l’unica cosa che mi trattenne dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quello che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita e l’unico modo per essere realmente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se ancora non l’avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie, diventerà sempre più bello con il passare degli anni. Perciò continuate a cercare finché non lo avrete trovato. Non vi accontentate.
La terza storia: la morte Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: “Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, sicuramente una volta avrai ragione”. Mi colpì molto e da allora, per gli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni qualvolta la risposta era “no” per troppi giorni di fila, capivo che c’era qualcosa che doveva essere cambiato.Ricordarmi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai trovato per fare le grandi scelte della mia vita. Perché quasi tutte le cose – tutte le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutte le paure di imbarazzi o fallimenti – svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore per non cadere nella trappola di pensare che abbiamo qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore.Circa un anno fa mi fu diagnosticato un cancro. Alle sette e mezzo del mattino feci la scansione che mostrava chiaramente un tumore al pancreas. Non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile e che avrei avuto si e no 3 mesi di vita. Mi dissero di andare a casa e sistemare le mie faccende (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa che dovevo prepararmi a dire ai miei figli, in pochi mesi, tutto quello che pensavo di avere ancora una vita per dire. Significa che dovevo essere sicuro che tutto fosse organizzato in modo tale che per la mia famiglia fosse il più semplice possibile. Significa che dovevo dire i miei “addii”.Vissi con il responso di quella diagnosi per tutto il giorno. Quella sera mi fecero una biopsia, in cui ti infilano un endoscopio giù per la gola, attraverso lo stomaco fino all’intestino per inserire un ago nel pancreas e prelevare alcune cellule del tumore. Io ero sotto anestesia, ma mia moglie – che era lì – mi raccontò che quando i medici videro le cellule al microscopio iniziarono a piangere, perché avevano appena scoperto che avevo una forma di cancro molto rara e curabile con un intervento chirurgico. Mi sottoposi all’intervento chirurgico e adesso sto bene.Quella fu la volta in cui mi avvicinai di più alla morte e spero che, per qualche decennio, sia anche l’ultima. Essendoci passato, posso parlarvi adesso con un po’ più di certezza di quando la morte fosse per me solo un concetto astratto.Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso non vogliono morire per andarci. Ma comunque la morte è la meta che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è come deve essere, perché molto probabilmente la morte è la più grande invenzione della vita. E’ l’agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. Ora, il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati via. Mi dispiace essere così drammatico, ma è la pura verità.Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e le vostre intuizioni. In qualche modo loro sanno che cosa volete veramente. Tutto il resto è secondario.Quando ero ragazzo esisteva una meravigliosa rivista che si chiamava The Whole Earth Catalog, che era una delle bibbie della mia generazione. Fu creata da Stewart Brand non molto lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart ci mise dentro tutto il suo tocco poetico. Era la fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer e dell’editoria elettronica, quindi la rivista era interamente creata con macchine da scrivere, forbici e polaroid. Era una specie di Google in versione cartacea, 35 anni prima che Google fosse inventato: era idealistica, traboccante di strumenti chiari e concetti meravigliosi.Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di The Whole Earth Catalog e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono il numero finale. Era più o meno la metà degli anni Settanta e io avevo la vostra età. Nell’ultima pagina di questo numero c’era una fotografia di una strada di campagna al mattino presto, quel tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l’autostop se siete abbastanza avventurosi. Sotto la foto erano scritte queste parole: “Stay Hungry. Stay Foolish”, siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish. Io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per cominciare una nuova vita, lo auguro a voi. Stay Hungry. Stay Foolish. Grazie a tutti". (Steve Jobs-dal blog di Beppe Grillo)
"Ieri pomeriggio un velo di tristezza ha attraversato la Silicon Valley non appena la notizia della morte di Steve Jobs si è diffusa via internet. Si è divulgata in pochi minuti; pochi minuti, e non c’era nessuno nella Valle che non sapesse. Non c’era nessuno che non ne facesse cenno, timidamente, in punta di piedi. Gli ingegneri di Facebook hanno continuato a lavorare, ma in silenzio, per un po’. La notizia era attesa e temuta allo stesso tempo.
Un gigante come Jobs significa cose diverse per persone diverse. Per chi abita la Valle, Jobs era innanzitutto uno della Valle. Era nato qui (a San Francisco), era cresciuto qui, aveva frequentato le scuole (poche) qui. E qui aveva aperto le sue due aziende, Apple Computer (dal 2007, solo Apple) a Cupertino e NextStep in Redwood City. Con l’unica eccezione di un semestre in Oregon al college e qualche visita alla Pixar, che sta ad Emeryville, dall’altra parte della Baia di San Francisco, tutta la vita di Jobs si è consumata nella striscia di terra che scorre tra due autostrade, la 101 e la 280. Il suo testamento d’amore alla Valle Jobs l’ha recitato pochi mesi fa, quando inaspettatamente comparve al consiglio comunale di Cupertino per presentare il progetto dei nuovi uffici di Apple. Tenne un breve discorso, in cui ricordò quando da teenager andava a bottega da Bill Hewlett (uno dei due fondatori di Hewlett-Packard), lo stesso che decenni dopo gli avrebbe venduto il terreno su cui ora la Apple costruirà i nuovi uffici.
Malgrado ci sia chi pensi il contrario, Jobs non è 'il' prototipo dell’imprenditore tecnologico, almeno quanto Roberto Baggio non è il prototipo del calciatore moderno. È stato ed ha rappresentato 'un' prototipo dell’imprenditore tecnologico: quello che combina etica ed estetica. Per lui, e per alcuni (ma non ovviamente tutti) imprenditori tecnologici di Silicon Valley, la tecnologia è allo stesso tempo una forza etica, perché permette di trasformare il mondo per il meglio, ed estetica, perché lo può rendere più bello. La tecnologia è - con Jobs - il crocevia in cui si incontrano le due grandi culture che hanno animato la Baia di San Francisco nell’ultimo mezzo secolo: quella degli hippie, che volevano cambiare il mondo, e quella degli ecologisti, che lo volevano salvare. C’è, alla base della sua filosofia, l’idea che la tecnologia sia una forza positiva, che arricchisce il mondo. La tecnologia è una forza del bene. Chi ha vissuto a pane e Guerre Stellari sa cosa intendo. La tecnologia è una forza salvifica perché rende il mondo più bello e ricco, e questo migliora lo spirito e ovviamente le condizioni pratiche di vita. Jobs è passato attraverso tutte le peripezie che conosciamo, ma è rimasto, malgrado tutto, un ragazzo degli anni Sessanta: non aveva più la barba lunga, come ai tempi del garage con Steve Wozniak, ma manteneva lo stesso fuoco che animava i contestatori di Berkeley e la stessa passione che spingeva gli hippie a cercare il senso della vita nelle strade intorno ad Haight-Ashbury, a San Francisco.
Jobs ha impiegato l’intera sua vita a trasformare un’idea, la tecnologia è una forza per il bene e il bello, in un business mondiale. Quando l’America ha voltato pagina, agli inizi degli anni Ottanta, l’idealismo è stato sostituito dall’egoismo esplicito ed acclamato, e le manifestazioni contro la guerra in Vietnam e Richard Nixon sono state sostituite dalle avventure di Gordon Gekko, i valori che Jobs incarnava sono diventati obsoleti; per sopravvivere, Apple ha dovuto cambiare strada e Jobs si è trovato senza lavoro. Il suo capolavoro, come uomo e come imprenditore, è stato quello di compiere l’attraversata del deserto, dagli anni di Reagan a quelli di Bill Clinton, senza perdere un grammo del suo idealismo e senza accettare compromessi. Quando la Valle è entrata nell’era delle dot.com, Jobs era perfettamente posizionato per incarnarne la rinascita.
È ancora tutta da studiare la dinamica che ha portato l’idea di Jobs a trionfare nel primo decennio del XX secolo, quando la setta dei milioni di fedeli di Apple si è improvvisamente trasformata in un movimento d’opinione composto da centinaia di milioni di nuovi, entusiasti adepti. È comunque un fatto incontrovertibile che da quando l'azienda è entrata nel mondo dei prodotti di consumo di massa, l’idea che la tecnologia produce bene e bellezza è diventata una verità acclarata. E così Jobs ha avuto il trionfo che meritava". (Limes)
"Succede. Ti svegli al mattino e la prima notizia riguarda la morte di qualcuno. Ieri è morto Steve Jobs. Ti senti un po' giù come se fosse morto un amico che non vedevi da tempo, ma al quale ogni tanto pensavi. Rifletti che se lui non è riuscito a sconfiggere la morte non ci riuscirà nessuno. E ti senti più fragile. E' un pensiero così in una mattina di ottobre così. Addio Jobs.
Discorso ai neolaureati della Stanford University, il 12 giugno 2005:"È per me un onore essere qui con voi, oggi, alle vostre lauree in una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. Anzi, per essere onesto, questa è l’esperienza più vicina ad una laurea che mi sia mai capitata. Oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie.La prima storia: unire i puntini. Lasciai il Reed College dopo il primo semestre, ma continuai a frequentare in maniera ufficiosa per circa 18 mesi prima di abbandonare definitivamente. Perché mollai?Tutto cominciò prima che nascessi. Mia madre biologica era una giovane studentessa di college non sposata e decise di darmi in adozione. Credeva fortemente che avrei dovuto essere cresciuto da persone laureate e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare alla nascita da un avvocato e da sua moglie. Quando arrivai al mando, però, loro decisero all’ultimo minuto che preferivano una bambina. Così i miei genitori, che erano in lista d’attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte: “C’è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete?”. Loro risposero: “Certamente”. Solo dopo, mia madre biologica scoprì che mia madre non si era mai laureata e che mio padre non aveva neanche finito il liceo. Rifiutò di firmare le ultime carte per l’adozione. Accettò di farlo mesi dopo, solo quando i miei genitori promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college.Diciassette anni dopo andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno costoso tanto quanto Stanford e tutti i risparmi dei miei genitori finirono nelle tasse universitarie. Dopo sei mesi, non riuscivo a vederci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, a spendere tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando una vita intera. Così decisi di mollare e avere fiducia che tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi. Era piuttosto spaventoso all’epoca, ma guardandomi indietro è stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’attimo stesso in cui abbandonai il college, smisi di seguire i corsi che non mi entusiasmavano e cominciai invece a frequentare quelli che trovavo più interessanti.Non fu tutto rose e fiori. Non avevo più una camera nel dormitorio ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Riportavo al negozio le bottiglie di Coca Cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e poter comprare da mangiare. E tutte le domeniche camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente l’unico buon pasto della settimana all’Hare Krishna. Adoravo tutto questo. E quello che trovai seguendo la mia curiosità e la mia intuizione risultò, solo dopo, essere senza prezzo.Vi faccio subito un esempio. Il Reed College all’epoca offriva probabilmente la migliore formazione del Paese in calligrafia. In tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con grafie bellissime. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito il corso di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai i caratteri serif e sans serif, la differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, quello che rende eccezionale un’eccezionale stampa tipografica. Era bello, storico, artistico e raffinato in un modo che la scienza non è in grado di offrire e io ne ero completamente affascinato.Nessuna di queste cose però aveva alcuna speranza di trovare un’applicazione pratica nella mia vita. Ma dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, tutto quello che avevo imparato mi tornò utile. E lo utilizzammo tutto per il Mac. E’ stato il primo computer dotato di una bellissima tipografia. Se non avessi mai lasciato il college e non avessi mai partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto caratteri tipografici differenti o font spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non avrei mai frequentato quel corso di calligrafia e i personal computer potrebbero non avere quelle stupende capacità tipografiche che ora hanno. Chiaramente, quando ero al college, era impossibile unire i puntini guardando al futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardarmi indietro.Di nuovo, non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi indietro. Dovete aver fiducia che, in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete credere in qualcosa – il vostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e ha sempre fatto la differenza nella mia vita.
Seconda storia: l’amore e la perdita. Io sono stato fortunato: ho trovato molto presto quello che amo fare. Io e Woz fondammo la Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Lavorammo duramente e in 10 anni Apple, da quell’azienda fatta di noi due e un garage, si è trasformata in una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. L’anno prima realizzavamo la nostra migliore creazione – il Macintosh – e io compivo 30 anni. L’anno seguente fui licenziato. Come si fa ad essere licenziati dall’azienda che tu stesso hai creato? Facile: quando Apple divenne più grande, assunsi qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l’azienda insieme a me e per il primo anno le cose andarono molto bene. Ma poi le nostre visioni del futuro cominciarono a divergere e alla fine arrivammo ad uno scontro. Quando questo successe, la commissione dei direttori si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni, io ero fuori. E in maniera piuttosto plateale. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era perso e io devastato.Per alcuni mesi non seppi assolutamente che cosa fare. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me – come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Incontrai David Packard e Bob Noyce e tentai di scusarmi per aver rovinato tutto così malamente. Fu talmente un fallimento pubblico che presi anche in considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley. Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me: amavo ancora quello che avevo fatto. Ciò che era successo alla Apple non aveva cambiato di un bit questo amore. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo.Non me ne resi conto allora, ma essere licenziato dalla Apple era stata la miglior cosa che mi potesse capitare. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti consentendomi di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita.Durante i cinque anni successivi fondai un’azienda chiamata NeXT, un’altra azienda chiamata Pixar e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe poi diventata mia moglie. Pixar produsse il primo film d’animazione digitale, Toy Story, e adesso è lo studio di animazione più famoso al mondo. In un significativo susseguirsi di eventi, la Apple comprò NeXT, io ritornai alla Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è ora il cuore dell’attuale rinascita di Apple. E io e Laureen abbiamo una meravigliosa famiglia.Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato dalla Apple. Fu una medicina molto amara, ma credo che il paziente ne avesse bisogno. Qualche volta la vita ci colpisce come un mattone in testa. Ma non perdete la fede. Sono convinto che l’unica cosa che mi trattenne dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quello che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita e l’unico modo per essere realmente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se ancora non l’avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie, diventerà sempre più bello con il passare degli anni. Perciò continuate a cercare finché non lo avrete trovato. Non vi accontentate.
La terza storia: la morte Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: “Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, sicuramente una volta avrai ragione”. Mi colpì molto e da allora, per gli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni qualvolta la risposta era “no” per troppi giorni di fila, capivo che c’era qualcosa che doveva essere cambiato.Ricordarmi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai trovato per fare le grandi scelte della mia vita. Perché quasi tutte le cose – tutte le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutte le paure di imbarazzi o fallimenti – svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore per non cadere nella trappola di pensare che abbiamo qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore.Circa un anno fa mi fu diagnosticato un cancro. Alle sette e mezzo del mattino feci la scansione che mostrava chiaramente un tumore al pancreas. Non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile e che avrei avuto si e no 3 mesi di vita. Mi dissero di andare a casa e sistemare le mie faccende (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa che dovevo prepararmi a dire ai miei figli, in pochi mesi, tutto quello che pensavo di avere ancora una vita per dire. Significa che dovevo essere sicuro che tutto fosse organizzato in modo tale che per la mia famiglia fosse il più semplice possibile. Significa che dovevo dire i miei “addii”.Vissi con il responso di quella diagnosi per tutto il giorno. Quella sera mi fecero una biopsia, in cui ti infilano un endoscopio giù per la gola, attraverso lo stomaco fino all’intestino per inserire un ago nel pancreas e prelevare alcune cellule del tumore. Io ero sotto anestesia, ma mia moglie – che era lì – mi raccontò che quando i medici videro le cellule al microscopio iniziarono a piangere, perché avevano appena scoperto che avevo una forma di cancro molto rara e curabile con un intervento chirurgico. Mi sottoposi all’intervento chirurgico e adesso sto bene.Quella fu la volta in cui mi avvicinai di più alla morte e spero che, per qualche decennio, sia anche l’ultima. Essendoci passato, posso parlarvi adesso con un po’ più di certezza di quando la morte fosse per me solo un concetto astratto.Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso non vogliono morire per andarci. Ma comunque la morte è la meta che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è come deve essere, perché molto probabilmente la morte è la più grande invenzione della vita. E’ l’agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. Ora, il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati via. Mi dispiace essere così drammatico, ma è la pura verità.Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e le vostre intuizioni. In qualche modo loro sanno che cosa volete veramente. Tutto il resto è secondario.Quando ero ragazzo esisteva una meravigliosa rivista che si chiamava The Whole Earth Catalog, che era una delle bibbie della mia generazione. Fu creata da Stewart Brand non molto lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart ci mise dentro tutto il suo tocco poetico. Era la fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer e dell’editoria elettronica, quindi la rivista era interamente creata con macchine da scrivere, forbici e polaroid. Era una specie di Google in versione cartacea, 35 anni prima che Google fosse inventato: era idealistica, traboccante di strumenti chiari e concetti meravigliosi.Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di The Whole Earth Catalog e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono il numero finale. Era più o meno la metà degli anni Settanta e io avevo la vostra età. Nell’ultima pagina di questo numero c’era una fotografia di una strada di campagna al mattino presto, quel tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l’autostop se siete abbastanza avventurosi. Sotto la foto erano scritte queste parole: “Stay Hungry. Stay Foolish”, siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish. Io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per cominciare una nuova vita, lo auguro a voi. Stay Hungry. Stay Foolish. Grazie a tutti". (Steve Jobs-dal blog di Beppe Grillo)
mercoledì 5 ottobre 2011
Mettetemi pure in carcere!
Già da adesso annuncio che non intendo rispettare alcuna legge riguardante la morte della libera informazione, soprattutto quelle ricattatorie e liberticide. Preventivamente, sono pronto ad andare in carcere anche adesso pur di dire e scrivere quello che penso, così come non rettificherò alcunché che non sia veritiero.
"Da quanto tempo non leggete sul giornale la notizia che una donna è stata scippata della borsetta e che, magari, cadendo si è rotta il femore ? Credete che non avvengano più scippi? No, accadono come prima e le donne continuano a cadere e a fratturarsi, solo che non se ne parla più. E non perchè, come si dice in gergo, i giornalisti hanno “alzato la soglia della notizia”, cioè non riferiscono più avvenimenti minori, ma perchè sono gli organi di polizia a non darne più notizia. Così si diffonde la sensazione che la sicurezza dei cittadini è migliorata. Ma cosa impedisce che siano taciute ai giornalisti anche cose più gravi, sequestri od omicidi ? Vedete, si parla sempre di libertà d’informazione, ma è un concetto astratto ed è difficile misurarla. Ci si accorge che non c’è quando viene meno. Negli ultimi anni si sono rincorse le segnalazioni internazionali sul fatto che la libertà d’informazione in Italia è gravissima, in diminuzione, che siamo scesi al 43/mo posto nella classifica mondiale, o al 72/mo secondo altri parametri. Ma anche questi sono concetti difficili da afferrare. C’è invece un modo evidente di farlo. Nel centro di Washington c‘è un grande Museo dedicato all’informazione. Al secondo piano su una enorme parete è rappresentato tutto il mondo a colori: il verde che indica la piena libertà di stampa contraddistingue il Nord America, l’Australia e quasi tutta l’Europa, poi c’è il rosso, che indica l’assenza di libertà, e colora tutta l’Africa, la Russia e quasi tutta l’Asia. Infine c’è il giallo, libertà di stampa compromessa. Oltre al al Sud America, all’India e qualche stato africano e asiatico, il giallo è riservato anche all’Italia. Per vederlo anche voi potete andare sul sito del museo www.newseum.org Se passasse la legge sulle intercettazioni in discussione quanti posti perderemmo nelle graduatorie internazionali, e di che colore sarebbe il nostro Paese ? Fino ad ora siamo riusciti a respingere i ripetuti tentativi di approvare una legge che impedisce che voi sappiate cosa accade, questa volta il tentativo è più subdolo perchè la maggioranza evita di fare dichiarazioni muscolari e così non si crea il necessario allarme nell’opinione pubblica. Necessario perchè, chiariamolo una volta per tutte, il diritto all’informazione non è dei giornalisti, è di voi cittadini che dovete sapere quello che accade per poter valutare e decidere i vostri comportamenti. Ai giornalisti compete il dovere di informarvi in modo corretto, completo e tempestivo". (Guido Columba)
"Anche per chi pubblica le intercettazioni considerate irrilevanti scatterà il carcere fino a 3 anni. E' quanto prevede un emendamento che ha ricevuto il parere favorevole del governo e che è stato approvato in Comitato dei Nove della Commissione Giustizia della Camera. L'emendamento, firmato da Manlio Contento, introduce nella norma del ddl intercettazioni che riforma l'art. 617 del Codice di procedura penale anche le intercettazioni cosiddette "irrilevanti". Nel testo, ora all'esame dell'Aula, si prevedeva già il carcere da 6 mesi a 3 anni per chiunque avesse pubblicato atti di cui era stata ordinata la distruzione o che dovevano essere espunti, o intercettazioni contenute nell'archivio segreto. Contento propone di inserire e in questa previsione anche le intercettazioni considerate irrilevanti. Ma su questo l'opposizione ha già annunciato battaglia". (ANSA)
"Da quanto tempo non leggete sul giornale la notizia che una donna è stata scippata della borsetta e che, magari, cadendo si è rotta il femore ? Credete che non avvengano più scippi? No, accadono come prima e le donne continuano a cadere e a fratturarsi, solo che non se ne parla più. E non perchè, come si dice in gergo, i giornalisti hanno “alzato la soglia della notizia”, cioè non riferiscono più avvenimenti minori, ma perchè sono gli organi di polizia a non darne più notizia. Così si diffonde la sensazione che la sicurezza dei cittadini è migliorata. Ma cosa impedisce che siano taciute ai giornalisti anche cose più gravi, sequestri od omicidi ? Vedete, si parla sempre di libertà d’informazione, ma è un concetto astratto ed è difficile misurarla. Ci si accorge che non c’è quando viene meno. Negli ultimi anni si sono rincorse le segnalazioni internazionali sul fatto che la libertà d’informazione in Italia è gravissima, in diminuzione, che siamo scesi al 43/mo posto nella classifica mondiale, o al 72/mo secondo altri parametri. Ma anche questi sono concetti difficili da afferrare. C’è invece un modo evidente di farlo. Nel centro di Washington c‘è un grande Museo dedicato all’informazione. Al secondo piano su una enorme parete è rappresentato tutto il mondo a colori: il verde che indica la piena libertà di stampa contraddistingue il Nord America, l’Australia e quasi tutta l’Europa, poi c’è il rosso, che indica l’assenza di libertà, e colora tutta l’Africa, la Russia e quasi tutta l’Asia. Infine c’è il giallo, libertà di stampa compromessa. Oltre al al Sud America, all’India e qualche stato africano e asiatico, il giallo è riservato anche all’Italia. Per vederlo anche voi potete andare sul sito del museo www.newseum.org Se passasse la legge sulle intercettazioni in discussione quanti posti perderemmo nelle graduatorie internazionali, e di che colore sarebbe il nostro Paese ? Fino ad ora siamo riusciti a respingere i ripetuti tentativi di approvare una legge che impedisce che voi sappiate cosa accade, questa volta il tentativo è più subdolo perchè la maggioranza evita di fare dichiarazioni muscolari e così non si crea il necessario allarme nell’opinione pubblica. Necessario perchè, chiariamolo una volta per tutte, il diritto all’informazione non è dei giornalisti, è di voi cittadini che dovete sapere quello che accade per poter valutare e decidere i vostri comportamenti. Ai giornalisti compete il dovere di informarvi in modo corretto, completo e tempestivo". (Guido Columba)
"Anche per chi pubblica le intercettazioni considerate irrilevanti scatterà il carcere fino a 3 anni. E' quanto prevede un emendamento che ha ricevuto il parere favorevole del governo e che è stato approvato in Comitato dei Nove della Commissione Giustizia della Camera. L'emendamento, firmato da Manlio Contento, introduce nella norma del ddl intercettazioni che riforma l'art. 617 del Codice di procedura penale anche le intercettazioni cosiddette "irrilevanti". Nel testo, ora all'esame dell'Aula, si prevedeva già il carcere da 6 mesi a 3 anni per chiunque avesse pubblicato atti di cui era stata ordinata la distruzione o che dovevano essere espunti, o intercettazioni contenute nell'archivio segreto. Contento propone di inserire e in questa previsione anche le intercettazioni considerate irrilevanti. Ma su questo l'opposizione ha già annunciato battaglia". (ANSA)
martedì 4 ottobre 2011
lunedì 3 ottobre 2011
domenica 2 ottobre 2011
sabato 1 ottobre 2011
Prima che sia troppo tardi
"Il regime delle cricche e dei prosseneti, delle macerie e delle menzogne, ha deciso l’assalto finale contro le libertà repubblicane e l’abc di ogni convivenza democratica: l’autonomia del giornalismo e della magistratura. Il compagno di merende di Gheddafi ha dettato anche i tempi per il golpe che vuole imporre guinzaglio alle procure e mordacchia all’informazione: non più di quaranta giorni. In un mese o giù di lì – se quanto resta di civile in Italia non saprà reagire con immediata e vincente vitalità – diventerà legge dello Stato la picconata anticostituzionale che renderà l’Italia sempre più assuefatta alla tossina totalitaria. Berlusconi ha dalla sua un Parlamento ormai omertoso (è l’unico aggettivo adeguato, dopo il voto che ha salvato un ministro in odore di mafia), e l’assuefazione, appunto. Dell’opinione pubblica e delle cariche istituzionali che dovrebbero, in una liberaldemocrazia, “fare equilibrio”.Infatti, solo l’impegno eccezionale e tuttavia inesausto, e soprattutto congiunto e intransigente, dei cittadini nelle piazze e sul web, delle testate giornalistiche refrattarie o alla corriva “equidistanza” che manda il regime in brodo di giuggiole, delle più alte istituzioni di garanzia – Presidenza della Repubblica e Presidenza della Camera – può fermare uno sfregio che ci piomberebbe nella melma del fascismo soft.E invece, la gravità del rischio non sembra essere percepita. Al punto che il ministro Nitto Palma, che Berlusconi ha voluto come suo complice alla Giustizia, può spiegare sul Messaggero che la legge contro magistrati e giornalisti dovrebbe essere ancora più dura. E può permettersi ammiccanti riferimenti a immaginarie preoccupazioni del Quirinale per le intercettazioni (non per la cloaca che rivelano: un premier che propizia nomine e appalti miliardari, fino a regalare motovedette armate a Stati esteri, secondo i desiderata di Lavitola e Tarantini, in cambio del procacciamento di prostitute e relativo silenzio o spergiuro) e a un’opposizione che giudicherebbe il suo operato “serio ed equilibrato”.Opposizione che farebbe bene a riconoscere come imperdonabile errore la proposta di legge sulle intercettazioni avanzata dal governo Prodi tramite il ministro Mastella. Altrimenti la contrarietà alla legge berlusconiana sarà svilita dal tanfo dell’opportunismo.Il regime putiniano di Arcore punta sulla stanchezza della “guardia” repubblicana: cittadini, giornalismo, cariche istituzionali. Prima che sia troppo tardi, ognuno faccia la sua parte per dimostrare che ha sbagliato i conti". (Paolo Flores d'Arcais)
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