domenica 17 aprile 2011

Nigeria, election day


"Sabato 16 aprile il popolo nigeriano è stato chiamato a votare per scegliere il suo nuovo presidente. Le presidenziali seguono di una settimana le elezioni che hanno rinnovato le due camere, mentre il 23 aprile sono in programma quelle per eleggere i governatori dei singoli stati della Federazione. Nonostante lo slittamento alla settimana successiva di tutti e tre gli appuntamenti elettorali a causa di problemi logistici avesse fatto pensare a un tentativo di manipolare le operazioni di voto, sembra che le politiche del 9 aprile siano state abbastanza regolari. Anche gli episodi di violenza pre-elettorale non hanno finora raggiunto i tristi standard della tornata del 2007, tra le più fraudolente e sanguinose mai viste in Africa. Tuttavia il test più importante è rappresentato dalle presidenziali. I candidati sono dodici, di cui solamente tre in corsa per la vittoria finale: Goodluck Jonathan, presidente in carica e portabandiera del People’s Democratic Party (Pdp); Muhammadu Buhari, del Congress for Progressive Change (Cpc), politico esperto già a capo di una giunta militare dal 1983 al 1985; Nuhu Ribadu, giovane rappresentante dell’Action for Congress of Nigeria (Acn), il quale si è candidato sull’onda dei successi ottenuti dal 2003 al 2007 alla guida della commissione nazionale anti-corruzione. Jonathan resta il grande favorito, non fosse altro per il fatto di presentarsi alle elezioni da presidente in carica e di appartenere al partito che nei precedenti tre turni elettorali ha lasciato poco più che le briciole agli altri schieramenti. Tuttavia per la prima volta dal 1999 il candidato del Pdp non è sicuro della vittoria finale. La crisi interna che il partito di governo ha vissuto negli ultimi due anni ha infatti lasciato il segno, come testimoniano i risultati delle politiche, che hanno visto il Pdp ridurre la propria maggioranza parlamentare dal 77% a poco più del 50%. La perdita di consensi è l’effetto atteso delle dinamiche che si sono sviluppate conseguentemente al lungo periodo di malattia che ha colpito il predecessore di Jonathan, Umaru Yar’Adua, fino a condurlo alla morte nel maggio del 2010. Dopo la scomparsa di Yar’Adua, musulmano del Nord al suo primo mandato, e l’assegnazione della carica presidenziale all’allora vicepresidente Goodluck Jonathan, cristiano del sud, la volontà dello stesso Jonathan di candidarsi alle presidenziali del 2011 ha spezzato l’accordo interno al Pdp in base al quale la massima carica dello Stato doveva essere assegnata alternativamente tra il nord e il sud ogni due mandati. Si è arrivati a un duro scontro tra le élite musulmane del nord e i sostenitori di Jonhatan, tanto da far ritenere che il vero passaggio decisivo per il futuro del paese sia stato rappresentato dalle primarie del Pdp, nelle quali Jonathan è riuscito a battere, non senza polemiche, il candidato del fronte settentrionale, Atiku Abubakar. Come quasi sempre accade in Africa Subsahariana, alla base di ogni scenario politico vi sono i delicati equilibri etnici che caratterizzano la popolazione: lo scorso 12 novembre, il già citato candidato alla presidenza Nuhu Ribadu, in un’intervista all’Economist, dichiarava: “per la prima volta il partito di governo ha dei problemi seri. Goodluck Jonathan viene da un gruppo etnico molto piccolo...anche se fosse il miglior candidato possibile, purtroppo la Nigeria settentrionale non lo accetterebbe. Non è eleggibile”. La dichiarazione di Ribadu fotografa la complessità del contesto sociale nigeriano, caratterizzato dalla difficile coesistenza di oltre 250 etnie, le cui rivalità non si esauriscono nella frattura tra il nord prevalentemente musulmano e il sud a maggioranza cristiana. A dominare la scena sono i tre gruppi etnici più numerosi: gli Hausa-Fulani, musulmani del nord, gli Yoruba, cristiani del sud-ovest, e gli Igbo, protagonisti del tentativo di secessione della regione sud-orientale nel 1967 (da cui la guerra del Biafra). Jonathan appartiene invece agli Ijaw, etnia maggioritaria nella regione meridionale del Delta del Niger, ma fortemente minoritaria a livello nazionale. Molti accostano l’ascesa di Goodluck Jonathan più al significato del suo nome di battesimo che alle sue reali doti politiche: zoologo di professione, nel 2003 assume la carica di vicegovernatore dello stato di Bayelsa, nel Delta del Niger, per poi nel 2005 diventarne il primo cittadino in seguito alle dimissioni dell’allora governatore, accusato di corruzione. Nel 2007 il Pdp lo sceglie quale vicepresidente a fianco di Yar’Adua, fino a quando la sorte che ha colpito quest’ultimo non ha consegnato a Jonathan la poltrona presidenziale. Sempre al posto giusto al momento giusto, Goodluck si è quindi ritrovato alla guida del più popoloso paese africano senza mai essere stato eletto. I principali sfidanti sono entrambi originari delle regioni settentrionali e appartenenti all’etnia dominante degli Hausa-Fulani. Per questo, Buhari e Ribadu hanno tentato fino all’ultimo di formare un unico fronte per opporre un solo uomo del nord a Jonathan. Il tentativo è però fallito di fronte al rifiuto di Ribadu di lasciare il campo libero al più esperto Buhari. Ciò a fronte della maggiore percentuale di voti raggiunta dal suo Acn alle rappresentative (20%), rispetto a quella ottenuta dal Cpc di Buhari (14%). Tuttavia Buhari è da molti ritenuto l’uomo politico più popolare nelle regioni settentrionali, in grado di raccogliere intorno a sé il consenso di quella parte del paese che riteneva di dover esprimere il candidato presidente del Pdp. Inoltre ha già tentato la corsa alla massima carica dello stato nel 2003 e nel 2007 uscendone sconfitto. È però opinione abbastanza diffusa che senza le irregolarità universalmente rilevate nei precedenti turni elettorali Buhari avrebbe potuto seriamente insidiare le vittorie di Obasanjo (2003) e di Yar’Adua (2007). Il mancato accordo tra i due sfidanti potrebbe quindi spianare la strada a Jonathan. Qualora sopra la testa del nuovo presidente ci fosse ancora quel cappello, simbolo Ijaw, dal quale Jonathan mai si separa, questo potrebbe peggiorare la situazione soprattutto nel nord del paese. E’ sempre attiva, infatti, la setta di estremisti islamici del Boko Haram, mentre nello stato centrale di Plateau continuano gli scontri tra cristiani di etnia Beron e musulmani appartenenti al gruppo etnico Fulani. Tali episodi di violenza vanno interpretati proprio alla luce della competizione politica, andando quindi oltre il contrasto religioso. D’altra parte, dopo le bombe fatte esplodere ad Abuja lo scorso primo ottobre durante le celebrazioni del cinquantenario dell’indipendenza dai ribelli del Mend, il Delta del Niger sembra in attesa del risultato delle elezioni. Laddove Jonathan fosse sconfitto, sono in molti a scommettere che la relativa pacificazione raggiunta attraverso il programma di amnistia promosso da Yar’Adua e implementato dall’attuale presidente svanirebbe nel nulla, lasciando spazio a una nuova fase di intensa ribellione contro il potere centrale. La Nigeria da troppo tempo è in attesa di realizzare le proprie enormi potenzialità: nonostante le risorse energetiche (primo produttore di petrolio in Africa, quinto fornitore degli Stati Uniti) e umane (oltre 150milioni di abitanti e un’età inferiore ai 19 anni), il 70% della popolazione vive ancora sotto la soglia di povertà, mentre lo Human Poverty Index colloca il paese solo in 142° posizione sui 169 presi in considerazione. Il compito principale del nuovo presidente sarà quindi quello di realizzare una politica di distribuzione della ricchezza più equa e consapevole, che sradichi le dinamiche alla base del reclutamento dei giovani nei gruppi armati che ancora caratterizzano lo scenario politico e sociale nigeriano". (Davide Matteucci-Limes)

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