La Costa d'Avorio sta andando verso un periodo di turbolenze ed è già in atto un inizio di guerra civile che non lascia presagire niente di buono. Naturalmente qui da noi non se ne sa niente e si parla solo di Paesi che hanno a che fare più direttamente con le nostre realtà, come le nazioni africane del Maghreb. Io in Costa d'Avorio ci ho vissuto sette anni, dal 1994 al 2000, quando era la terza nazione africana più ricca, prima nell'esportazione internazionale del cacao e seconda nel caffè 'robusta' mondiale. Lì avevo deciso di viverci per quei flussi strani del destino che ti portano a scegliere un luogo invece di un altro: avevo aperto la mia società di import-export, due ristorantini, continuando a fare il giornalista free lance, e mi ci sono anche sposato facendo tre figli. Nel 2000, però, all'inizio di un primo colpo di Stato, ho deciso di tornare in Italia perché non intravedevo più prospettive per me e la mia famiglia. Oggi la situazione è degenerata e si avvia verso una guerra civile, nonostante ci siano 6000 caschi blu a dividere i contendenti, che non si capisce bene cosa ci stiano a fare. Ci si avvia, forse, verso un destino come la Liberia o la Sierra Leone di qualche anno fa, se non si interviene subito per fermare segni di barbarie. C'è un etnia minoritaria, la Beté, che con il presidente non eletto Gbagbo, vuole per forza restare al potere, contro il presidente vincente Ouattara, che rappresenta più la popolazione del Nord, quello dei per lo più musulmani Djoula, e che è stato riconosciuto da tutto il mondo come il vero vincitore delle ultime elezioni. Chi ha invece il più alto numero di abitanti ed ha detenuto sempre il potere dopo l'indipendenza dalla Francia, nel 1960 con Houphouet Boigny, è il gruppo Akan, che attualmente non riesce di nuovo a tornare alla ribalta, e lascia fare per paura dei prepotenti di turno. Gli uomini di Gbagbo, che si dicono di sinistra, organizzati in squadroni della morte, hanno già ucciso donne e bambini in pacifiche manifestazioni e vanno di casa in casa ad uccidere gli oppositori, una dimensione inimaginabile solo qualche anno fa. Dalle notizie che abbiamo dai parenti di mia moglie, che sono fuggiti in un piccolo villaggio di origine all'interno del Paese (un po' come i nostri sfollati di una volta, nelle ultime guerre mondiali, che andavano dalle città nelle campagne dove i contadini avevano sempre qualcosa da mangiare nell'aia), la situazione è molto grave. Io e mia moglie stiamo cercando di organizzare qualcosa per aiutare chi possiamo nel Paese, informare in qualche modo l'opinione internazionale ed inventarci qualcosa per uscire da questo status quo. Per ora, chi vuole partecipare può fare delle donazioni sul conto corrente 40843039, intestato a Brindisi Antonio, causale 'Per la pace in Costa d'Avorio', dando così vita ad un vero e proprio Comitato, e farsi avanti per qualsiasi altra iniziativa od idea. Il 10 marzo 2011 volevo mandare i primi soldi ma non mi è stato possibile: l'unico modo per inviarli anche in zone di guerra, la famosa 'Western Union', in Costa d'Avorio ha smesso per ora di funzionare a causa della crescente insicurezza generale. Un brutto segno. Se non riuscirò ad inviare niente, forse andrò direttamente io uno di questi giorni, passando per il Ghana. Sin d'adesso ringrazio chi si farà avanti, anche solo per sensibilizzare sulla situazione in tutte le sedi possibili. La mia e-mail è ilgorgon@libero.it e il mio cellulare 3479372251. Cenni della Costa d'Avorio e della mia esperienza ad Abidjan e dintorni li potete trovare sul mio blog http://www.ilgorgon.blogspot.com/.
"Lo sguardo preoccupato di tutto il mondo è concentrato da settimane sugli eventi in Nord Africa. Questo purtroppo sta facendo passare quasi inosservata la tragedia che si sta vivendo nella parte più occidentale del continente, in Costa d'Avorio, dove ancora una volta la popolazione sta pagando con il sangue la lotta forsennata per il potere di due uomini politici, il presidente uscente, Laurent Gbagbo, che non se ne vuole andare, nonostante il suo sfidante, Alassane Dramane Ouattara, abbia vinto - almeno sulla carta - le ultime elezioni. All'UNHCR 1(l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) non resta dunque che contare i 370mila sfollati, ad Abidjan e nell'ovest del paese, oltre che i 76.956 rifugiati già in Liberia. In tutto, oltre 500mila persone costrette a scappare dal loro paese, per sfuggire alle violenze scatenate dalle due fazioni. Scarse risposte all'appello. Lo scorso 14 gennaio, l'Agenzia dell'Onu ha lanciato alla comunità internazionale un appello per 46 milioni di dollari necessari a far fronte al flusso di rifugiati in Liberia. Finora di milioni ne sono arrivati solo 5. Altri 13 milioni sono stati promessi dai donatori, ma al momento solo promessi. La situazione sta però inducendo l'UNHCR a lanciare un nuovo appello per la prossima settimana, nella speranza che stavolta la risposta dei governi e dei donatori internazionali sia più generosa. La capitale sempre meno sicura. Continuano
intanto a deteriorarsi le condizioni di sicurezza ad Abidjan. Di 30 feriti e 3 morti è il bilancio degli scontri del 6 marzonel distretto di Abobo e del giorno successivo nel distretto di Cocody. Posti di blocco presidiati da uomini armati continuano a rendere pericolosi gli spostamenti intorno alla principale città del paese, un danno per tutta la popolazione. Dove possibile, l'UNHCR continua a prestare assistenza, spesso attraverso le Ong locali. Intorno alla città sono stati individuati finora 20 luoghi dove si sono concentrati ingenti quantità di sfollati. In alcune di queste località, il numero e le necessità della popolazione sono ancora in corso di accertamento, ma è certo che c'è urgente necessità di cibo e farmaci. La violenza dilaga in tutto il Paese. Divampata nelle regioni occidentali e sembra estendersi anche a quelle centrali e sud-orientali. Si hanno testimonianze, tra la gente in fuga, di tentativi di impedire questi spostamenti e di abusi fisici, stupri. Come ha raccontato agli operatori UNHCR una ragazza di 21 anni, riuscita a fuggire in Liberia con suo figlio di due anni, dopo essere stata picchiata dai ribelli per aver resistito a un tentativo di stupro. E sono sempre di più i rifugiati arrivati in Liberia che riferiscono di essere stati coinvolti in scontri a fuoco durante la fuga. Alcuni di loro sono stati costretti a trovare riparo e a trascorre la notte nella boscaglia. Con questi nuovi flussi l'UNHCR aggiorna i piani per le sue operazioni in Liberia e adegua il budget per prepararsi ad assistere fino a 150mila rifugiati. Le cause all'origine deIla crisi. ll presidente uscente Laurent Gbagbo il 7 marzo scorso, ha emanato un decreto per la nazionalizzazione dell'intera filiera del cacao (di cui la Costa d'Avorio è il primo produttore mondiale). La decisione nel tentativo di rispondere a quella che Gbagbo definisce "l'asfissia finanziaria", imposta dal suo rivale insediatosi al governo del Paese. Manovre, queste di Ouattara, con le quali il nuovo presidente, sostenuto da gran parte della comunità internazionale, tenta di costringere Gbagbo a lasciare il potere. Finora - appoggiato dall'Onu, l'Unione Africana, l'Unione Europea e gli Stati Uniti - Ouattara è riuscito a mettere in difficoltà Gbagbo imponendo, fino al prossimo 15 marzo, il divieto di esportare caffè e cacao, da cui lo Stato ivoriano ricava gran parte delle entrate in valute estere.La reazione delle cooperative del cacao. Il divieto è stato complessivamente rispettato dagli esportatori, la maggior parte dei quali sono società multinazionali (Cargill, Cemoi, Saco). Ma ha provocato reazioni molto energiche soprattutto da parte delle cooperative di produzione del cacao, che vantano una produzione annuale di circa 1,3 milioni di tonnellate. Per arginare gli effetti politici ed economici di questo divieto, l'amministrazione Gbagbo ha deciso di conferire allo Stato l'esclusiva sulle operazioni di acquisto - presso i circa 700 mila produttori agricoli, la maggior parte dei quali nel sud del paese - e di esportazione del cacao e del caffè, sequestrando anche gli stock (tra 250 e 500 mila tonnellate) bloccati nei porti di Abidjan e San Pedro. Le banche chiudono gli sportelli. Alcune banche hanno chiuso i loro sportelli "per motivi di sicurezza", operazione condivisa da molti altri istituti finanziari. Il risultato è che l'intero sistema finanziario ivoriano, risulta sempre più isolato dal contesto internazionale, rendendo ancor più difficile la vita di molte famiglie. Si tratta di cittadini che, tra l'altro, non riescono più a ricevere aiuti dall'estero tramite il servizio di money transfer". (La Repubblica-11.3.2011)
intanto a deteriorarsi le condizioni di sicurezza ad Abidjan. Di 30 feriti e 3 morti è il bilancio degli scontri del 6 marzonel distretto di Abobo e del giorno successivo nel distretto di Cocody. Posti di blocco presidiati da uomini armati continuano a rendere pericolosi gli spostamenti intorno alla principale città del paese, un danno per tutta la popolazione. Dove possibile, l'UNHCR continua a prestare assistenza, spesso attraverso le Ong locali. Intorno alla città sono stati individuati finora 20 luoghi dove si sono concentrati ingenti quantità di sfollati. In alcune di queste località, il numero e le necessità della popolazione sono ancora in corso di accertamento, ma è certo che c'è urgente necessità di cibo e farmaci. La violenza dilaga in tutto il Paese. Divampata nelle regioni occidentali e sembra estendersi anche a quelle centrali e sud-orientali. Si hanno testimonianze, tra la gente in fuga, di tentativi di impedire questi spostamenti e di abusi fisici, stupri. Come ha raccontato agli operatori UNHCR una ragazza di 21 anni, riuscita a fuggire in Liberia con suo figlio di due anni, dopo essere stata picchiata dai ribelli per aver resistito a un tentativo di stupro. E sono sempre di più i rifugiati arrivati in Liberia che riferiscono di essere stati coinvolti in scontri a fuoco durante la fuga. Alcuni di loro sono stati costretti a trovare riparo e a trascorre la notte nella boscaglia. Con questi nuovi flussi l'UNHCR aggiorna i piani per le sue operazioni in Liberia e adegua il budget per prepararsi ad assistere fino a 150mila rifugiati. Le cause all'origine deIla crisi. ll presidente uscente Laurent Gbagbo il 7 marzo scorso, ha emanato un decreto per la nazionalizzazione dell'intera filiera del cacao (di cui la Costa d'Avorio è il primo produttore mondiale). La decisione nel tentativo di rispondere a quella che Gbagbo definisce "l'asfissia finanziaria", imposta dal suo rivale insediatosi al governo del Paese. Manovre, queste di Ouattara, con le quali il nuovo presidente, sostenuto da gran parte della comunità internazionale, tenta di costringere Gbagbo a lasciare il potere. Finora - appoggiato dall'Onu, l'Unione Africana, l'Unione Europea e gli Stati Uniti - Ouattara è riuscito a mettere in difficoltà Gbagbo imponendo, fino al prossimo 15 marzo, il divieto di esportare caffè e cacao, da cui lo Stato ivoriano ricava gran parte delle entrate in valute estere.La reazione delle cooperative del cacao. Il divieto è stato complessivamente rispettato dagli esportatori, la maggior parte dei quali sono società multinazionali (Cargill, Cemoi, Saco). Ma ha provocato reazioni molto energiche soprattutto da parte delle cooperative di produzione del cacao, che vantano una produzione annuale di circa 1,3 milioni di tonnellate. Per arginare gli effetti politici ed economici di questo divieto, l'amministrazione Gbagbo ha deciso di conferire allo Stato l'esclusiva sulle operazioni di acquisto - presso i circa 700 mila produttori agricoli, la maggior parte dei quali nel sud del paese - e di esportazione del cacao e del caffè, sequestrando anche gli stock (tra 250 e 500 mila tonnellate) bloccati nei porti di Abidjan e San Pedro. Le banche chiudono gli sportelli. Alcune banche hanno chiuso i loro sportelli "per motivi di sicurezza", operazione condivisa da molti altri istituti finanziari. Il risultato è che l'intero sistema finanziario ivoriano, risulta sempre più isolato dal contesto internazionale, rendendo ancor più difficile la vita di molte famiglie. Si tratta di cittadini che, tra l'altro, non riescono più a ricevere aiuti dall'estero tramite il servizio di money transfer". (La Repubblica-11.3.2011)
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