lunedì 21 marzo 2011
Truman show all'amatriciana. La claque a pagamento entra in tribunale
"L'Italia è un paese immerso nello show da parecchi anni, ma la scena che si è vista ieri al tribunale di Milano era ancora inedita: la claque in un aula di giustizia. Era già capitato, in passato, di udire strepiti e invettive levarsi dal ridotto pubblico che assiste ai processi: ma in genere si trattava di parenti degli imputati o delle vittime, scossi da qualche sentenza.Altre manifestazioni, alcune molto civili altre meno, si erano dipanate attorno ai palazzi di Giustizia, che sono diventati, loro malgrado, un palcoscenico non secondario del lungo sfacelo di una classe dirigente. Ma quella di Milano è stata una piccola premiere: tifosi organizzati, con volti e linguaggio da studio televisivo del pomeriggio, hanno pensato che il processo fosse un ottima occasione per dare corpo, sia pure in miniatura, al loro amore per "Silvio".Le parole e i concetti espressi davanti all'occhio crudele delle telecamere non facevano pensare a un'adunata politica: per lo meno non in senso classico. Piuttosto, replicavano il giubilo emotivo dei fan di un cantante o di un attore, quei crocchi di teen-ager o di massaie che cingono d'assedio l'Ariston quando c'è il Festival, o i mega-store dove si firmano gli autografi. La star non c'era ("ci fosse stato Lui saremmo stati il doppio", ha dichiarato una delle creature presenti), ma c'erano i suoi avvocati, portati in trionfo come body guard che vegliano sulla Sua incolumità.Naturalmente, anche una folla di giuristi e costituzionalisti schiamazzanti, benché più autorevole e ferrata in materia, sarebbe stata cortesemente allontanata dalle forza dell'ordine. Ma l'idea di totale incongruenza politico-giuridica che eruttava dalle parole e dal comportamento dei Silvio-boys (and girls) rimanda direttamente allo sfascio strutturale del discorso pubblico di questo Paese, affidato alle viscere, ai moti affettuosi e/o ringhiosi, alle affermazioni più rudimentali ("io sto con lui qualunque cosa abbia fatto", "lasciatelo lavorare", "smettetela di prendervela con lui"). Chiunque, e in qualunque veste, abbia assistito a un processo importante, ne conosce la grave, quasi inquietante solennità. Poiché si parla di colpa e di innocenza, e si decidono destini umani, si suole ascoltare e tacere, e a volte tremare o impietosirsi. Si sente, si capisce che nessun pregiudizio può mettere in secondo piano, nella drammaturgia processuale, il giudizio. E questo può piacere o non piacere (più spesso: non piacere), ma appartiene alle convenzioni di una comunità civile. Tanto è vero che nei film e telefilm di genere, quando l'arringa è pronunciata o la sentenza emessa, il giudice, severo e autorevole, invita a sgomberare l'aula al primo mormorio irriverente. E perfino nei vari para-processi televisivi nei quali magistrati in pensione dirimono le liti tra figuranti, nessuno si è ancora sognato di introdurre un pubblico vociante.Benché ingozzati di televisione fino a stordirsene, i berluscones affluiti ieri a Palazzo di Giustizia non hanno messo a profitto queste solide tradizioni. Fiocco azzurro sul petto, volevano dare voce al loro ardore contro le toghe rosse e le astruse congiure (ah, quei difficili articoli di legge, ah quei faldoni più opprimenti di un libro) ai danni del loro "Silvio", che ha ragione in quanto Silvio, e in quanto Silvio è al di sopra di ogni banale impiccio giuridico. Ora si spera che animosi di opposto sentire non vogliano costituire una claque colpevolista. Ai processi, se non si è avvocati o giudici o imputati, si ascolta e si tace. Simbolicamente, fare sgomberare l'aula processuale serve anche a ricordare che non tutto, nella vita, è applausi e fischi. Per quanto stupefacente, è una notizia che in qualche maniera, o prima o dopo, riuscirà ad arrivare anche alle orecchie dei settori meno avveduti dell'audience nazionale". (Michele Serra)
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