venerdì 30 luglio 2010
mercoledì 28 luglio 2010
lunedì 26 luglio 2010
domenica 25 luglio 2010
sabato 24 luglio 2010
Lo squallore
"Promemoria per l'estate. Mentre Berlusconi parla di "calunnie" e "campagne furibonde" contro il governo, c'è in realtà un metodo nel lavoro e nella ragione sociale della cosiddetta P3, che è venuto alla luce con chiarezza e non ha bisogno di passaggi giudiziari per avere una sua evidente rilevanza politica. È fatto di affari privati legati al comando pubblico, di istituzioni statali usate a fini personali, di relazioni privilegiate intorno a uomini potenti (Denis Verdini lo è, almeno fino ad oggi, e Marcello Dell'Utri altrettanto), di personaggi influenti arruolati per premere su personalità decisive - soprattutto nella giustizia - e infine di faccendieri svelti di mano e pronti a tutto, anche a essere bollati dal Premier come "pensionati sfigati" quando la rete è scoperta. Ma per riuscire, il metodo ha bisogno di qualcosa in più: infangare, delegittimare, distruggere.La macchina del fango che secondo i magistrati è stata messa in atto contro il candidato del Pdl alla guida della Campania, Stefano Caldoro, è agghiacciante e su "Repubblica" l'ha svelata Roberto Saviano. Si tratta della fabbricazione di un dossier pieno di allusioni sessuali, per creare un caso Marrazzo-bis in Campania, buttare fuori dalla corsa da Governatore Caldoro e favorire Nicola Cosentino.Ancora più agghiacciante è che questa fabbrica del fango capace di distruggere una persona nasca dentro il Pdl, contro un candidato del Pdl, a vantaggio di un altro uomo del Pdl.Nelle intercettazioni si parla apertamente di un "rapporto" su Caldoro, si evocano "i trans", si accenna ai "pentiti", si trasmettono "dossier" con "date e luoghi", si fa uscire il tutto su siti regionali e alla fine il capo locale del partito si complimenta per l'operazione. Ma c'è di più: chi fa capire a Caldoro che deve tremare ("ci sono carte che parlano di te in un certo modo") è addirittura il coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini, che lo convoca a Montecitorio, si apparta con lui nel corridoio della "Corea" e gli dice apertamente che sta per informare della vicenda Berlusconi. In realtà, come ha spiegato Saviano, Verdini "sa tutto" del dossier perché gli uomini che ci lavorano sono gli stessi che riceve ripetutamente a casa sua per "aggiustare" la sentenza della Consulta sul Lodo Alfano, a beneficio esclusivo di "Cesare". E attraverso Verdini, naturalmente anche "Cesare" sa "cosa sta facendo la banda del fango". E lascia fare, anche se Caldoro è un suo pupillo, "perché Cosentino è più potente, più utile e sa molte cose", e il Premier vuole capire se la diffamazione di Caldoro può oscurare le accuse di mafia che hanno costretto il sottosegretario a dimettersi. Il fango costruito dalla P3 dentro il Pdl lavora indisturbato, Caldoro rischia di essere distrutto, Verdini tiene informato il Premier che assiste silenzioso ad un'operazione di selezione delle élite basata su dossier, carte false, ricatti. Tutto questo avviene in un Paese democratico, in mezzo all'Europa, in pieno 2010, dentro un partito che si chiama "Popolo delle libertà" ma che il leader, intimamente, preferisce chiamare "Partito dell'Amore".I giornali conoscono questa vicenda, ma non risultano denunce indignate, editoriali. Gli intellettuali tacciono: siamo in piena estate. E invece è obbligatorio porsi una prima domanda, elementare: se questi sono i metodi usati con i compagni di partito, con gli "amici", che succederà con i "nemici", o sarebbe meglio dire con i critici, i dissidenti? O forse è meglio domandarsi che cosa sta già succedendo. Perché nessuno sa fin dove arrivi la rete di ricatti, di minacce e di intimidazioni che questo potere può stendere sulla società politica, sul sistema istituzionale, sul mondo dell'informazione. Possibile che tutte quelle firme così preoccupate dalla privacy da accettare allegramente una mutilazione del controllo di legalità e della libertà di informazione (quando poi, come si è visto, la proposta di "Repubblica" del 2008 era la più adatta a tutelare la riservatezza dei cittadini) non abbiano nulla da dire su questo caso esemplare di privacy violentemente deturpata, con metodo e intenzione, come un normale strumento di azione politica?In realtà se non siamo ciechi o conniventi, dunque complici, dobbiamo ammettere che quel metodo lo abbiamo già visto all'opera, in Italia, e con successo. Lo ha usato e teorizzato proprio il Presidente del Consiglio, nel momento più infuocato dello scandalo sul "ciarpame politico" che gli ha arroventato la scorsa estate. Proviamo a ricordare. Il giornale di proprietà della famiglia del Premier cambia improvvisamente direzione nel mese di agosto, e il direttore uscente scrive che se ne va a malincuore dopo aver fatto tutte le battaglie meno una: rovistare "nel letto di editori e direttori di altri giornali". Evidentemente era quel che si voleva. E infatti il 27 agosto quel giornale opportunamente reindirizzato pubblica un falso documento giudiziario che accusa di omosessualità il direttore del quotidiano dei vescovi, Dino Boffo, colpevole soltanto di aver ospitato le critiche al Premier della Chiesa di base.Boffo viene killerato mediaticamente, la Santa Sede ne approfitta per regolare i conti con la Cei, aggiungendo miseria vaticana a vergogna italiana, e tutto avviene senza che la maggioranza dei giornali sveli l'operazione in tutta la sua ferocia politica, semplicemente indicando il movente, illuminando il mandante, invece di soffermarsi sull'irrilevanza del killer, che infatti dovrà poi chiedere scusa. La barbarie si compie, anche nei suoi effetti pedagogici, perché l'invito ai giornalisti di girare al largo dalle vicende del Premier è esplicito. Il metodo è al lavoro: è già toccato a Veronica Lario, la moglie che ha osato ribellarsi e che si è vista denudata sui giornali della cantoria berlusconiana, messa alla berlina a seno nudo, accusata di avere un amante. Tocca subito dopo a Fini, che muove i primi passi nel dissenso e viene ammonito sul foglio di famiglia a mettersi in regola con l'opinione dominante, pena il riemergere "di vecchi scandali a luci rosse".Si cerca cioè, in poche parole, di coartare la libertà politica e personale della terza carica dello Stato: semplicemente, se fosse stato ricattabile, sarebbe stato ricattato, l'intimidazione preventiva era l'ultimo avvertimento, ecco il Paese in cui viviamo.Poi finisce nel tritacarne il giudice Mesiano, colpevole di aver scritto una sentenza civile favorevole alla Cir e contraria a Fininvest, e quindi messo allo zimbello dalle telecamere di proprietà del Premier, deriso, fatto passare poco meno che per matto: salvo le scuse, a operazione conclusa. Ma non è finita. Mentre sui suoi giornali si inseguono gli attacchi a Tremonti, a Casini, a "Repubblica", il Premier è personalmente impegnato ad acquisire e visionare il video che ucciderà la carriera politica di Piero Marrazzo: un video che finisce nelle sue mani senza che nessuno gliene chieda conto, in modo che "Cesare" possa avvertire il governatore (di sinistra), tenendolo in pugno invece di spingerlo a svelare e sventare il ricatto. Lo stesso copione, miserabile, avviene con i nastri della telefonata tra Fassino e Consorte che il Premier riceve direttamente dall'imprenditore Favata ad Arcore, insieme con suo fratello, sorridendo compiaciuto: "Come posso sdebitarmi per questo prezioso regalo"? E infatti, il valore d'uso politico di quei nastri è così urgentemente prezioso che il giornale di proprietà della famiglia del Premier li pubblicherà sette giorni dopo il "regalo".Ora, è impossibile non vedere che qualcosa di terribile lega questo metodo insistito e ripetuto, queste vicende che replicano lo stesso copione da parte di un potere che non riconosce limiti controllando insieme servizi e polizie statali, e strutture private (o associazioni segrete come la P3) di fabbricazione autonoma dei dossier: terribile per la democrazia, oltre che per i destini personali dei soggetti coinvolti, con l'unica colpa di essere ex alleati ribelli, partner autonomi, avversari politici, giornalisti critici. Cioè persone che intendono sottrarsi al dominio pieno e incontrollato e ci provano, facendo il loro mestiere come accade nei Paesi normali. Dove i leader, carismatici o no, si difendono e attaccano quando è il caso, ma non hanno giornali di proprietà della loro famiglia o variamente appaltati per uccidere mediaticamente gli avversari con dossier che arrivano da chissà dove, e colpiscono la persona per zittire la funzione. E non controllano l'universo televisivo, usando le telecamere per regolare i conti privati del Premier, dopo aver ogni sera ricostruito con i suoi colori di comodo il paesaggio italiano di fondo. Come ha scritto nel pieno di queste vicende Giuseppe D'Avanzo, nell'ottobre scorso, è un "rito di degradazione, un sistema di dominio, una tecnica di intimidazione che minaccia l'indipendenza delle persone, l'autonomia del loro pensiero e delle loro parole, la libertà di chi dissente e di chi si oppone".Quanti attori del discorso pubblico, concludeva quell'articolo, sono oggi in questa condizione di sottomissione? Quanti possono esserlo domani? Il problema riguarda con ogni evidenza la "democrazia reale", perché un Paese moderno e democratico non può essere governato dentro una rete di ricatti e di intimidazioni, azionati o tollerati da un potere debole, più spaventato che spaventoso. Se questa è l'estate italiana che ci aspetta, bisogna dire fin d'ora che il Paese - nella sua pubblica opinione, nelle sue autorità di garanzia, negli spazi autonomi della politica di destra o di sinistra - dovrà ribellarsi ai dossier e alle minacce, rigettandoli e denunciandoli, insieme coi loro autori, i beneficiari e i mandanti. Dimostrando così che la libertà è più forte della paura". (Ezio Mauo-La Repubblica)
venerdì 23 luglio 2010
giovedì 22 luglio 2010
mercoledì 21 luglio 2010
martedì 20 luglio 2010
lunedì 19 luglio 2010
domenica 18 luglio 2010
sabato 17 luglio 2010
Il dissociato
"Un invito a cena da parte di due amici. Entro e subito esco dal locale, schifato. Era presente Fiorani, quello che rubava ai morti, che mi tende la mano e con orgoglio, con voce ferma, si presenta: "Fiorani!". Fiorani, mi dicono, è oggi nel business del fotovoltaico mentre la "cricca" si occupa dell'eolico. Le energie pulite sono già sporche. Fiorani è riabilitato, abbronzato, ricco e fiero. Quando è comparso nessuno si è alterato, nessuno ha alzato un sopracciglio. Fiorani, e quello che rappresenta, non li riguardava. In un altro Paese farebbe la fila alla mensa dei poveri.Fuori mi sono accorto, camminando verso casa, che i miei amici di un tempo neppure troppo lontano non mi telefonano più, evitano di farsi vedere insieme a me. Persone frequentate per dieci/vent'anni che all'improvviso spariscono dalla tua vita. Tengono famiglia, contratti, status. Sono parte del Sistema, anche se non lo ammetteranno mai. La mia presenza li mette in imbarazzo perché dovrebbero forse domandarsi cosa fanno per il loro Paese. Vivono separati dalla realtà, come la maggioranza degli italiani (una maggioranza che aumenta a vista d'occhio), vegetano in un mondo a parte, disinteressati a tutto quello che non li tocca direttamente. Disturbati da qualunque cosa che possa mettere in pericolo il loro piccolo o grande benessere. Ti senti dissociato e ti vengono dei dubbi su quello che fai. L'inerzia di un popolo che delega a dei cialtroni il suo futuro, dal più piccolo Comune alla cloaca del Parlamento, ha una sua forza propria quasi invincibile. Un insieme di fatalismo e di menefreghismo sociale. E' come essere in riva al mare con un secchiello e volerlo svuotare. Il "tengo famiglia" di una volta si è allargato a "tengo tutto quello che possiedo", non si vuole rischiare di perdere... . (dal blog di Beppe Grillo)
venerdì 16 luglio 2010
giovedì 15 luglio 2010
Formicaio
"La Terra vista dallo spazio, da un comodo cratere lunare, da una luna di Giove, nel suo divenire in questi ultimi cento anni, un fotogramma dopo l'altro, apparirebbe come un insieme di invasati in accelerazione. Un nido di formiche impazzite in corsa in ogni direzione dopo la distruzione del formicaio. Un fatto incomprensibile per un gioviano, ma anche per una qualunque persona dotata di buon senso.Se un tempo le domande sul nostro destino erano: "Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?" (*), ora , nel tempo del Trasporto Obbligatorio di merci e esseri umani, la domanda è diventata unica: "Perché ci muoviamo?". Il tempo e il denaro impiegato per gli spostamenti sono gli investimenti principali, ma anche i più rischiosi, delle nostre vite. Guidare l'auto è come partire per la guerra con la moglie che agita il fazzoletto sulla porta di casa. Un milione di morti ogni anno nel mondo. 120.000 in Europa. Siamo come un aereo in rotta per casa di Dio con il pilota automatico manovrato da petrolieri, fabbricanti di auto e banchieri. Non si vive più per lavorare, ma per trasportare. Il Wto ha creato un meccanismo infernale con merci che volano, navigano, viaggiano come ossesse intorno al pianeta. Il pomodoro cinese, il cesto messicano, il maiale belga, il gamberetto scozzese saranno i nuovi astronauti quando in futuro useranno immensi aerei cargo nella stratosfera per il loro trasporto.Ci deve essere un motivo profondo, superiore a quello economico, per questa biblica autodistruzione in movimento, una fornace, un moloch moderno a cui sacrifichiamo la Terra e il nostro tempo. Un problema più da Sigmund Freud che da Adam Smith. Investiamo in strade e non in connettività. Le organizzazioni industriali hanno la stessa struttura dell'Ottocento. Il telelavoro attraverso la Rete è possibile da tempo, ma si rimanda sempre a domani. Internet è lavoro a chilometri zero. Le aziende che decentrano dovrebbero essere incentivate. Il teletrasporto non è più fantascienza, si possono costruire oggetti a distanza, direttamente nel salotto di casa. Internet è il nuovo trasporto, delle idee e non delle merci. Esiste un'alternativa al movimento, si chiama pensiero". (dal blog di Beppe Grillo)
Apocalypse now
"Per sopravvivere, il vascello fantasma del governo Berlusconi getta i corpi in mare. Sono i corpi dei feriti dagli scandali, politici o affaristici, consumati alla corte del Premier e spesso nel suo interesse, e sacrificati quando sale l'onda dell'opinione pubblica e della vergogna istituzionale. Prima Scajola, poi Brancher, oggi Cosentino. Due ministri e un sottosegretario. Il Cavaliere che se ne disfa, sommerso dal malaffare che lo circonda, è in realtà l'uomo che li ha scelti, li ha nominati, se n'è servito fino in fondo. Lo scandalo riguarda lui, e la sua responsabilità.Per quindici anni, davanti ad ogni crisi, Berlusconi reagiva attaccando, cercando uno scontro e una forzatura, alzando la posta, in modo da creare nel fuoco dell'emergenza soluzioni prepotenti, da cui il suo comando uscisse rafforzato, non importa se abusivamente. Oggi deve rassegnarsi all'impotenza, incassando una sconfitta dopo l'altra e certificando così che gli scandali non sono difendibili.In più, su Brancher come su Cosentino il Premier perde una partita con l'opposizione del Pd, ma soprattutto con l'antagonista interno Fini. Si scopre che anche nel mondo monolitico del berlusconismo è possibile dire no, fare discorsi di normale legalità e di ovvio rispetto istituzionale, e si può vincere politicamente, al di là dei numeri.In questo quadro diventa ancora più grave la vergogna delle intercettazioni. È umiliante vedere un intero governo impegnato a boicottare il controllo di legalità e la libertà di informazione quando si squaderna ogni giorno di più lo scandalo P3, che riporta a "Cesare" e ai suoi interessi, con la cupola che cerca di corrompere la Consulta per il Lodo Alfano. "Cesare" a questo punto vada in Parlamento, e parli della P3 e dei suoi uomini disseminati in quel mondo parallelo, tra Stato e affari, come all'epoca della P2. Con la differenza che allora c'era l'intercapedine della politica, oggi è saltata, e quel mondo è direttamente al potere: ma oggi come allora, "comandano per rubare, rubano per comandare". (Ezio Mauro-La Repubblica)
mercoledì 14 luglio 2010
lunedì 12 luglio 2010
domenica 11 luglio 2010
sabato 10 luglio 2010
Noi siamo italiani
"“Chi nasce in Italia deve essere italiano. Chi non lo permette è razzista. Mi impegno quindi affinché tutte le bambine e i bambini nati in Italia da genitori non italiani possano godere da subito di pieni diritti politici e di cittadinanza.La Giunta promuoverà una proposta di legge e, insieme ad almeno altre quattro Regioni, si impegnerà affinché anche il Parlamento, come previsto dalla normativa nazionale, discuta e approvi questa legge di civiltà”. Enrico Rossi, presidente di Regione Toscana, ha presentato questa proposta oggi a Livorno, intervenendo all'assemblea dei migranti all'interno del Meeting Antirazzista.“In Toscana su 33 mila nuovi nati all'anno, ben 8 mila sono figli di stranieri” - ha continuato Rossi. “Questa legge è il minimo che possiamo fare per risolvere i tanti problemi legati al diritto di cittadinanza. Non scordiamoci che ogni anno gli immigrati in Toscana pagano ben 915 milioni di euro di tasse mentre ne ricevono per servizi solo 315”.L'assemblea ha accolto con un applauso il presidente Rossi: il senegalese Diop Mbaye, presidente del Coordinamento Stranieri di Livorno, lo ha ringraziato per la sua presenza, ma anche perché impegnato a garantire il bene di tutti i toscani “migranti compresi”.Le richieste sul tavolo vertono su una rapida approvazione del regolamento della legge regionale sull'immigrazione, sul rifiuto dei Cie e sulla evoluzione del diritto di cittadinanza per quanti hanno scelto il nostro Paese per vivere e lavorare.Per Rossi la questione immigrazione “è un fenomeno globale e ineluttabile, non si risolve con i respingimenti né costruendo muri e frontiere inaccettabili. Sono contrario alla legge Bossi-Fini e sono contro i Cie disumani descritti dai rapporti di Medici senza frontiere – ha detto il presidente regionale – ma siamo e rimaniamo una istituzione che deve agire nella legalità e quindi, se il Governo ci chiederà di aprire un Cie in Toscana, affronteremo la questione ponendo il rispetto dei diritti umani al centro di ogni azione”.Rossi ha concluso soffermandosi su alcune delle altre proposte che la Regione Toscana sta portando avanti: “Vorremmo permettere agli immigrati regolari residenti in Toscana, di votare alle elezioni amministrative; purtroppo l'iter legislativo, già a buon punto la scorsa legislatura, dovrà ripartire da capo. Allo stesso modo continueremo a sostenere un ruolo sempre più attivo dei Consigli e delle consulte, comunali e provinciali, degli stranieri”. (dal sito della Regione Toscana)
venerdì 9 luglio 2010
Giornalisti complici
"La stampa italiana, da sempre con la museruola, oggi si è messa anche il bavaglio. Lo ha fatto per protestare contro la legge bavaglio. E' come se uno stupratore protestasse con uno stupro in piazza. Un serali killer con un omicidio plurimo. Un ladro con una rapina in banca. E' una bella giornata di luglio. L'aria è più leggera senza carta inchiostrata di balle a ogni angolo di strada, non trovate? Sono così d'accordo con questo sciopero che lo replicherei 365 giorni all'anno. I giornali sono finanziati dalle nostre tasse, senza chiuderebbero. E' quindi corretto che al giorno di sciopero corrisponda una trattenuta di un 365simo del finanziamento anno. A cosa servono i giornali? A influenzare l'opinione pubblica per conto dei loro proprietari e a inviare messaggi mafiosi alla bisogna. I giornali non vanno confusi con l'informazione. Giornali e informazione sono incompatibili. Dove ci sono i primi, non c'è la seconda. La vera informazione in questi anni l'hanno fatta i blogger, la Rete, i siti di controinformazione, non certo la Repubblica di Scalfari o il Corriere di De Bortoli o l'Unità del pdimenoelle. I giornali sono superati dalla Rete, come a suo tempo il pony express dal telegrafo. Per pubblicare un articolo bisogna mettere d'accordo gli interessi degli azionisti espressione delle lobby, il consiglio di amministrazione, la direzione, il comitato di redazione, il capo redattore e poi si digita sulla tastiera il nulla (nel migliore dei casi) o un testo promozionale. Dov'è la libertà di espressione? Qualcuno nel gruppo l'Espresso ha mai fatto un'inchiesta sul fallimento dell'Olivetti imputabile a Carlo De Benedetti? O sul Corriere della Serva è mai apparso un'editoriale contro Tronchetti Provera mentre era presidente di Telecom Italia? I giornali stanno morendo come le mosche d'inverno, sopravvivono solo grazie al calore del finanziamento pubblico. Libero, il Foglio o il Riformista sparirebbero in una notte senza le nostre tasse. Il massimo attacco politico a Berlusconi sono state 10 domande sulla sua vita sessuale. Al processo Mills, Bassolino, Dell'Utri alla prima udienza c'era solo un blogger, Daniele Martinelli, i giornali erano in silenzio ossequioso. L'informazione la fanno i cittadini. L'albo dei giornalisti va abolito. Tutti siamo giornalisti. Un albo creato da Mussolini per controllare la stampa di regime oggi non è più necessario, ogni giornalista in carriera ha (già di suo) un ferreo autocontrollo. Dov'eravate, giornalisti dei miei stivali quando il blog denunciava gli omicidi Aldrovandi, Rasman, Bianzino, Gatti anni prima che ne scriveste in modo timido e riservato? Eravate forse sotto la scrivania del direttore a fargli un servizio alla Levinski invece di sostenere il referendum per l'abolizione della legge Gasparri del secondo Vday? Lo sciopero di oggi mi ricorda il suicidio di massa dei lemmings, incrociamo le dita. speriamo che abbia un grande successo. Con l'eccezione del Fatto Quotidiano che ha rifiutato i finanziamenti pubblici. (dal blog di Beppe Grillo)
giovedì 8 luglio 2010
L'Inter con Emergency nel Congo
"L'Inter affianca e sostiene Emergency. Lo fa attraverso il simbolo vincente della Uefa Champions League 2009-2010, che verrà esposta al pubblico nella Sala delle Colonne della Banca Popolare di Milano che, anche in quest'occasione e nel solco di una tradizione di consolidata attenzione a temi di responsabilità etica, offre ospitalità a questa importante iniziativa. Dall'8 al 21 luglio weekend inclusi, dalle ore 10 alle 21 (il 14 luglio fino alle ore 17), e in anteprima mercoledì 7 dalle 15.30, i tifosi potranno scattare la loro foto ricordo con la Coppa dei Campioni d'Europa e al tempo stesso donare il proprio contributo a favore della costruzione di un Centro pediatrico per offrire assistenza sanitaria ai bambini fino a 14 anni di età a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, in un'area dove la guerra ha portato 500 mila profughi. Il Centro, che fa parte della Rete regionale di pediatria e cardiochirurgia che Emergency sta costruendo in Africa, sarà attrezzato anche con un ambulatorio cardiologico per lo screening dei pazienti affetti da cardiopatie congenite e acquisite, da trasferire per l'intervento al Centro Salam di cardiochirurgia di Khartoum, aperto da Emergency nel 2007. Bastano 5 euro per contribuire a questo progetto, 10 se si desidera che la foto venga scattata e stampata da un fotografo professionista a disposizione del pubblico nella Sala delle Colonne. Ogni altra offerta sarà il segno della generosità di chi sa ripensare una vittoria sportiva alla luce di quello che di positivo può portare in una dimensione di vita molto lontana sia da Milano sia da Madrid, teatro di quella notte indimenticabile.
Per sostenere il Centro pediatrico di Emergency a Goma:
Inter for Emergency
Dall'8 al 21 luglio. Tutti i giorni, dalle 10 alle 21 - il 7 luglio dalle ore 15.30 e il 14 luglio fino alle ore 17. Esposizione della Coppa della Champions League. Sala delle Colonne della Banca Popolare di Milano, via San Paolo 12, Milano.
Conto corrente bancario intestato a EMERGENCY presso Banca Popolare di Milano n. 63500
IBAN IT37 O 05584 01600 000000063500
BIC BPMIITMM300" (La Repubblica)
Per sostenere il Centro pediatrico di Emergency a Goma:
Inter for Emergency
Dall'8 al 21 luglio. Tutti i giorni, dalle 10 alle 21 - il 7 luglio dalle ore 15.30 e il 14 luglio fino alle ore 17. Esposizione della Coppa della Champions League. Sala delle Colonne della Banca Popolare di Milano, via San Paolo 12, Milano.
Conto corrente bancario intestato a EMERGENCY presso Banca Popolare di Milano n. 63500
IBAN IT37 O 05584 01600 000000063500
BIC BPMIITMM300" (La Repubblica)
mercoledì 7 luglio 2010
domenica 4 luglio 2010
Io sto con la D'Addario
"A piazza Navona c'era la D'Addario e c'erano i puttani del giornalismo e della politica italiana. La prima ha praticato la professione più antica del mondo, ma non la peggiore. I secondi si sono prostituiti per decenni e hanno trasformato l'informazione e la politica in un bordello. Il bavaglio è per loro una seconda natura e, se lo contestano, è perché sanno che sono arrivati al capolinea. Gli artefici dell'ascesa di Berlusconi, i suoi veri protettori, e qualche volta anche magnaccia, erano in piazza a pontificare. L'arrivo della D'Addario ha provocato un corto circuito.La prima pietra l'ha lanciata Roberto Natale, presidente della Federazione Nazionale Stampa (FNSI): "Non è gradita". Parte del popolo dei "No alla legge bavaglio" l'ha fischiata e accolta al grido di: "Escort di merda". Una lapidazione pubblica della meretrice. La sua presenza era, per i padri nobili della sinistra e per i giornalisti a novanta gradi, (la loro posizione professionale preferita) un'offesa alla dignità. Il segretario della FNSI Franco Siddi ha declamato dal palco: "La libertà è soprattutto conoscenza. La Fnsi si opporrà con tutte le sue forze, oggi con la piazza e domani ricordando sui giornali, con articoli e servizi, i pericoli che stiamo correndo. Da parte nostra non ci fermeremo e siamo pronti, se il provvedimento fosse varato, a rivolgerci alla Corte Ue per i diritti dell'Uomo che certamente ci darebbe ragione". Alla D'Addario, sulle cui intercettazioni i giornali ci hanno campato un'intera estate, questa libertà è stata negata. Anche il pregiudicato pidmeoellino Enzo Carra si è alterato: "Sono qui per la libertà di informazione e trovo davvero squalificante che un evento così importante e imponente venisse monopolizzato dal protagonismo della signorina D’Addario". Lui può dirlo. A differenza della "signorina" ha frequentato le patrie galere che per questi politici sono come una medaglia al valore. Benedetta Buccellato dell'Associazione per il teatro italiano ha aggiunto: "Mi sembra eccessivo che una escort sia venuta qui nel retropalco a fare la sua conferenza stampa, è la vergogna della nazione". La vergogna della nazione, da non confondersi con la D'Addario, erano i giornalisti presenti imbavagliati dalla nascita e i politici che hanno permesso ogni legge ad personam, ogni conflitto di interessi e consegnato l'informazione nelle mani di Berlusconi.In piazza c'erano Enrico Letta (il nipote di suo zio), Walter Veltroni, Piero Fassino, Anna Finocchiaro, Paolo Cento e persino il desaparecidos Bertinotti. Veltroni e Bertinotti, va ricordato, sono i due signori che hanno fatto cadere il primo e il secondo governo Prodi riconsegnando l'Italia a Berlusconi. Bersani ha rammentato la sofferenza di Morfeo Napolitano: "Il presidente della Repubblica ha ricordato con qualche amarezza che i suoi consigli non sono stati seguiti. Loro hanno voluto forzare calendarizzando il ddl sulle intercettazioni. A questo punto io sono perché il ddl venga ritirato. Lui si aspettava delle modifiche che a dire il vero ci aspettavamo tutti".Due anni fa ci fu il secondo Vday. Libera informazione in libero Stato. Un milione e mezzo di firme per l'abolizione della legge Gasparri, dell'ordine dei giornalisti di mussoliniana memoria e del finanziamento pubblico ai giornali. Il giorno successivo la Repubblica attaccò la manifestazione con un editoriale in prima pagina, il Corriere della Sera lo citò appena, preferendo un'ampia intervista al politologo Dell'Utri e le televisioni lo ignorarono.A piazza Navona erano presenti i puttani della Seconda Repubblica. Tutti nostri dipendenti, giornalisti e i parlamentari finanziati dalle nostre tasse. La D'Addario avrà i suoi difetti, ma almeno non è mantenuta da noi". (dal blog di Beppe Grillo)
venerdì 2 luglio 2010
Lo Stato dei lestofanti
"Quando uno Stato arriva a tagliare 256 euro al mese per la pensione di un disabile e 450 euro per l’accompagno, così come sancito da un emendamento governativo alla manovra, allora lo Stato, inteso come organo che tutela la comunità, cessa di esistere. Quando uno Stato taglia la cultura e l’istruzione al punto tale che le scuole pubbliche devono ricorrere a collette private per imbiancare un muro, allora lo Stato cessa di esistere. Quando uno Stato lascia in mezzo ad una strada un terzo dei giovani in età lavorativa, e intanto vuole approvare una vergognosa legge sulle intercettazioni, ha già approvato quella sul legittimo impedimento e vuole estendere il lodo d’impunità anche ai ministri, come già fatto per il Presidente del Consiglio, allora lo Stato cessa di esistere. Quando uno Stato non incentiva le imprese italiane a produrre nel nostro Paese ma con una pressione fiscale insopportabile del 43,2% (più una serie di dazi, oboli, ive e gabelle che non rientrano in questo computo), le costringe a delocalizzarsi, allora lo Stato cessa di esistere.
Quando potere politico ed economico si saldano per interessi che esulano dal bene dello Stato e dei suoi cittadini, allora lo Stato cessa di esistere. Quando un’azienda privata come Mediaset, di proprietà del Presidente del Consiglio, dichiara un’esplosione di utili nel primo semestre 2010, grazie all’affossamento del concorrente pubblico, cioè la televisione di Stato, e grazie al conseguente travaso di investimenti pubblicitari che ne deriva, allora lo Stato cessa di esistere. Quando l’informazione e gli organi di controllo (Antitrust, Consob, Agcom) non garantiscono più gli equilibri democratici e di mercato all’interno dello Stato, allora lo Stato cessa di esistere.
In Italia non c’è più la concezione di Stato e dell’ordinamento giuridico politico che esercita il potere sovrano su un determinato territorio e sui soggetti a esso appartenenti. Siamo in mano ad un governo che si è organizzato in cricche al fine di operare a scopo di lucro personale; che ha snaturato il sistema dell’informazione italiana ridotta a produrre esclusivamente propaganda per mano di burattini privi di professionalità catapultati nei punti nevralgici dell’informazione pubblica e privata. Ma quando lo Stato cessa di esistere, quando lo Stato non tutela più i propri cittadini, allora ognuno è libero di interpretare le regole come meglio crede, di pagare le tasse nella misura che ritiene equa in relazione ai servizi che riceve, di andare in edicola e agguantare una copia di un quotidiano che già paga tramite i finanziamenti pubblici, di non pagare il canone Rai finché c’è Minzolini. Ma questa non è la strada da prendere. L’Italia dei Valori vuole costruire un’alternativa che possa salvare il nostro Paese. Nel frattempo, chiunque voglia tutelare il futuro dei propri figli, eviti di investire in pubblicità o di fare affari con le aziende del Presidente del Consiglio, almeno finché questi non avrà affrontato tutti i processi che riguardano lui e le sue aziende. Berlusconi decida cosa vuol fare da grande, se il Presidente del Consiglio o il faccendiere di famiglia. Ora sta facendo l’imprenditore e utilizza il suo ruolo istituzionale per fini personali". (dal blog di Antonio Di Pietro)
Quando potere politico ed economico si saldano per interessi che esulano dal bene dello Stato e dei suoi cittadini, allora lo Stato cessa di esistere. Quando un’azienda privata come Mediaset, di proprietà del Presidente del Consiglio, dichiara un’esplosione di utili nel primo semestre 2010, grazie all’affossamento del concorrente pubblico, cioè la televisione di Stato, e grazie al conseguente travaso di investimenti pubblicitari che ne deriva, allora lo Stato cessa di esistere. Quando l’informazione e gli organi di controllo (Antitrust, Consob, Agcom) non garantiscono più gli equilibri democratici e di mercato all’interno dello Stato, allora lo Stato cessa di esistere.
In Italia non c’è più la concezione di Stato e dell’ordinamento giuridico politico che esercita il potere sovrano su un determinato territorio e sui soggetti a esso appartenenti. Siamo in mano ad un governo che si è organizzato in cricche al fine di operare a scopo di lucro personale; che ha snaturato il sistema dell’informazione italiana ridotta a produrre esclusivamente propaganda per mano di burattini privi di professionalità catapultati nei punti nevralgici dell’informazione pubblica e privata. Ma quando lo Stato cessa di esistere, quando lo Stato non tutela più i propri cittadini, allora ognuno è libero di interpretare le regole come meglio crede, di pagare le tasse nella misura che ritiene equa in relazione ai servizi che riceve, di andare in edicola e agguantare una copia di un quotidiano che già paga tramite i finanziamenti pubblici, di non pagare il canone Rai finché c’è Minzolini. Ma questa non è la strada da prendere. L’Italia dei Valori vuole costruire un’alternativa che possa salvare il nostro Paese. Nel frattempo, chiunque voglia tutelare il futuro dei propri figli, eviti di investire in pubblicità o di fare affari con le aziende del Presidente del Consiglio, almeno finché questi non avrà affrontato tutti i processi che riguardano lui e le sue aziende. Berlusconi decida cosa vuol fare da grande, se il Presidente del Consiglio o il faccendiere di famiglia. Ora sta facendo l’imprenditore e utilizza il suo ruolo istituzionale per fini personali". (dal blog di Antonio Di Pietro)
giovedì 1 luglio 2010
Anc forever
"È trascorso poco più di un anno dalle elezioni che hanno portato al potere Jacob Zuma, presidente del Sudafrica e dell’African National Congress (Anc). E mentre i tanto attesi mondiali di calcio sembrano avviarsi senza troppi problemi verso la conclusione, la domanda diventa adesso quello che succederà dopo. “Ci sono troppi contrasti all’interno della coalizione al potere. Inoltre dopo la Coppa del Mondo molti perderanno il lavoro, c’è il rischio di attacchi xenofobi nel paese e ci sarà una conferenza dell’Anc dove Zuma sarà criticato. Non credo si tirerà indietro, ma per lui diventerà più difficile tenere il potere”. A parlare è Jeremy Gordin, giornalista con un passato da codirettore del Sunday Indipendent e autore della più famosa biografia di Zuma. Una storia interessante, quella del presidente sudafricano. Poligamo, zulu, con un passato di processi per corruzione e stupro, Zuma è nato in una famiglia povera del KwaZuluNatal. Sua mamma era una donna delle pulizie, suo padre, un poliziotto, è morto quando lui aveva soltanto quattro anni. La sua vita è stata il partito in cui è entrato a soli 17 anni per finire giovanissimo in prigione a Robben Island, la vera scuola dei leader post-apartheid. Dieci anni di carcere e di lezioni. “Grazie agli sforzi dei prigionieri politici sembrava a volte di essere non in prigione, ma in una scuola di politica di alto livello”, si legge nella biografia. Poi l’esilio, con responsabilità di coordinazione e di intelligence e, dopo la liberazione nel 1994, una carriera politica velocissima e di successo, nonostante gli scandali: un’accusa di corruzione che lo ha costretto alle dimissioni dalla vicepresidenza e una per stupro di una donna sieropositiva. Un processo quest’ultimo da cui è stato pienamente assolto, ma soltanto dopo aver fatto una gaffe per molti imperdonabile in un paese con quasi sei milioni di sieropositivi. “Mi sono fatto una doccia dopo il rapporto per avere meno possibilità di contrarre il virus”, ha affermato davanti ai giudici.Signor Gordin, come giudica il presidente Zuma?Dal punto di vista personale è un uomo estremamente astuto, affascinante, paziente. È famoso per le sue doti da mediatore, eppure viene da una famiglia povera, non ha studiato. Capisce molto bene le politiche dell’Anc e si sente a suo agio con i meccanismi sottili e contorti che muovono la coalizione. È molto diverso dal suo predecessore Thabo Mbeki che era un buon tecnocrate, ma duro e freddo. Da un punto di vista politico nell’ultimo anno Zuma è molto cambiato. I suoi alleati volevano liberarsi di Thabo Mbeki e lui è diventato l’uomo giusto al posto giusto. Era un membro senior dell’Anc, aveva ricoperto il ruolo di vicepresidente. Ma per lui quest’anno è stato difficile: c’è molta lotta all’interno dell’alleanza.Quali sono le ragioni del dissenso interno?È una coalizione troppo ampia. Da un lato ci sono gli imprenditori, che alcuni considerano esponenti del capitalismo più opportunista. C’è il partito comunista che vuole più azioni a favore dei lavoratori. E c’è poi l’unione dei sindacati, Cosatu. Il suo segretario generale, Zwelinzima Vavi, prima era molto vicino a Zuma, ma ora si sta distaccando a causa dell’approccio considerato troppo conservatore dell’attuale ministro del tesoro Pravin Gordhan e di Trevor Manuel, ex ministro delle Finanze e attuale ministro alla Pianificazione. Zuma direbbe che è molto salutare, che è bene che ci sia dibattito e che non c’era prima con Mbeki. Quando Zuma è stato eletto nell’aprile 2009 con il 65,9% dei voti aveva promesso misure contro povertà, disoccupazione, crimine e corruzione. Si era anche impegnato a migliorare il sistema sanitario e scolastico nazionale. Quanto è stato fatto in un anno?Praticamente non è stato fatto niente. Io credo che il governo stia andando nella direzione giusta, ma è lentissimo, molto burocratico ed è veramente difficile notare dei miglioramenti. Anche la crisi economica ha influito: Zuma non è certo salito al potere nel momento migliore.Parlando di crisi economico-finanziaria degli ultimi due anni, il governo Zuma l’ha gestita bene?Non ha fatto molto. Il sistema bancario sudafricano è sempre stato forte grazie al lavoro dell’ex ministro delle Finanze Trevor Manuel. I problemi qui sono piuttosto investimenti e occupazione. Il governo ha tentato di intervenire su questi punti, ma stiamo ancora aspettando di vedere dei risultati.Julius Malema, il contestato leader della Lega Giovanile dell’Anc, si è fatto portavoce della necessità di nazionalizzare le miniere e ha lodato la ridistribuzione delle terre in Zimbabwe, sostenendo che l’Anc lavorerà su questi punti. Zuma condivide le sue posizioni?Alcune affermazioni di Malema sicuramente sono condivise dall’Anc, ma gli esponenti più realisti del partito sanno che la nazionalizzazione delle miniere non è possibile: provocherebbe la fuga degli investimenti stranieri. Zuma tende molto a lasciar correre, non crede nel “fermare” le persone, ma non vuol dire per questo che ne condivida le opinioni. Ad oggi, comunque, la forte relazione con Malema si è spezzata. Zuma è stato molto astuto in questo: non lo ha attaccato pubblicamente, ma ha organizzato un procedimento disciplinare che, da un punto di vista politico, è stato la fine di Malema. Da allora il leader della Lega Giovanile non rilascia più interventi pubblici provocatori come in passato.Molti hanno accolto la presa di potere di Zuma come una svolta a sinistra del potere in Sudafrica. È davvero così?Assolutamente no. Il governo Zuma non è più di sinistra di quanto fosse quello di Thabo Mbeki. È un concetto che viene spesso ribadito, ma che è falso. Zuma è stato spesso criticato per la sua vita privata. Oltre venti figli, tre mogli, uno scandalo recente per un possibile tradimento di MaNtuli, la seconda moglie. Un altro per aver ammesso a inizio anno di aver avuto l’ennesimo figlio fuori dal vincolo matrimoniale.La poligamia danneggia la sua immagine nel paese?Probabilmente sì, ma a lui non importa. Per Zuma la poligamia è una cosa seria, la considera un suo privilegio e si arrabbia molto con coloro che criticano questa tradizione zulu. Bisogna sempre ricordare che il presidente non viene da una famiglia ricca, non era un capo tribù, ma un semplice paesano. È compiaciuto per quello che ha raggiunto, ha fatto un buon lavoro. Dice spesso che ci sono molti politici con tante amanti e bambini da nascondere. Lui preferisce essere aperto: ama tutte le sue mogli ed è orgoglioso dei suoi figli.Le accuse di corruzione sono state fatte cadere per possibili implicazioni politiche, lasciando un alone di dubbio sulla sua reale innocenza. Lei cosa crede?Credo che ci siano pochi dubbi sul fatto che Zuma abbia accettato soldi da amici. Molti lo fanno, fa parte della cultura sudafricana. Ha vinto però tutte le cause legali che sono state intraprese contro di lui e io in fondo penso che se lo sia meritato. Ha preso quei soldi, ma non a danno del paese. Ha lo stesso atteggiamento di molti ex combattenti tornati dall’esilio: voleva soldi, macchine di lusso, case e spendeva molto più di quanto guadagnasse. Credo però che abbia imparato la lezione dopo i processi, che sia un po’ cambiato.Per le elezioni del 2012, Zuma si è già proposto per un secondo mandato, ma stanno già spuntando i nomi di possibili candidati alternativi. Lei pensa che verrà confermato?No, non penso. C’è troppo dissenso e ci sono troppe altre persone che vogliono diventare presidenti. Penso anche che non voglia veramente un secondo mandato. Ha 68 anni, anche se molti lo dimenticano, e fare il presidente del Sudafrica è un lavoro difficile.Zuma ha detto che l’Anc terrà il potere in Sudafrica almeno fino a quando Gesù tornerà sulla terra. È d’accordo?Non so dire di Gesù, ma sicuramente per i prossimi 15-20 anni l’Anc terrà il potere anche se continua a deludere le persone. La maggior parte dei sudafricani è passiva: per loro l’Anc è il partito della liberazione e non smetteranno di votarlo. Forse la prossima generazione inizierà a votare in base ai risultati. Forse.Quale scenario politico si immagina dopo la fine della Coppa del Mondo?Dopo i mondiali di calcio molte persone si troveranno senza lavoro e si sarà una conferenza dell’Anc dove il presidente sarà probabilmente criticato dagli alleati. Ogni settore domanderà di più e la posizione di Zuma diventerà difficile. Ma lui non si ritirerà, continuerà a fare il presidente, con una leadership però sempre più debole. La verità è che servirebbe un nuovo leader, un nuovo Nelson Mandela. Una figura che, per il momento, non sembra apparire all’orizzonte". (Roberta Giaconi-Limes)
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