Ormai in Italia siamo ad una svolta decisiva. Va fatta adesso, da parte di noi tutti sedicenti italiani, una scelta di campo. La scelta è se continuare a dare qualche credibilità a questa banda di lanzichenecchi che occupa il potere nella nostra Penisola o se opporci in tutti i modi, anche attraverso forme di disobbedienza civile e anche di guerra civile. La nostra attuale democrazia è taroccata perché il voto è stato taroccato, il parlamento svuotato, le banche occupate, le nuove generazioni ridotte alla fame. Siamo chiaramente in mano alla mafia e chi ci guida la rappresenta. Il vaso è più che colmo e la situazione è inaccettabile. Io, da oggi, non mi riconosco più in questo Stato e mi ritengo libero di agire in nome del mio benessere e di quello di altri italiani.
Ecco, qui di seguito alcune motivazioni, solo da alcune note odierne, della realtà di quel Paese che continuiamo a chiamare Italia:
Gentiluomi del Papa...: "Nelle stanze della finanza vaticana più "oscura" non c'è solo il caso di Angelo Balducci, figura chiave del sistema Anemone e degli affari sporchi con la politica: se si scava più a fondo si scopre che il club più esclusivo del mondo, quello dei Gentiluomini di sua Santità, nasconde altre inquietanti verità, che portano a chiedersi come mai Ratzinger, a distanza ormai di cinque anni dall'inizio del suo pontificato, non abbia fatto pulizia negli oscuri meandri della finanza off-shore che prospera all'ombra dello Ior, dell'Apsa (Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica), di Propaganda Fide e di molte società partecipate dal Vaticano. Raztinger, infatti, ha portato alla guida dello Ior un banchiere dell'Opus Dei, Ettore Gotti Tedeschi, inquisito (e poi prosciolto) per il caso Parmalat e molto legato a Gianmario Roveraro, centrale nella quotazione di Parmalat e ucciso poi da strani killer, e il Vaticano sta coprendo una serie di situazioni ancora più strane, che hanno radici lontane ma che presentano analogie col caso Balducci.
Per parlarne bisogna illuminare una figura molto legata con San Pietro, il "re" della finanza off-shore in Liechtenstein, Herbert Batliner, un anziano professionista, classe 1928, a sua a volta figlio d'arte. Batliner è il massimo esperto di fiduciarie off-shore, ma anche l'uomo nell'ombra della finanza vaticana. Per avere una fotografia nitida da cui partire per raccontare questa strana storia bisogna fissare una data, il 9 settembre 2006.Una giornata importante, per papa Ratzinger e per Herbert Batliner, presidente di una fondazione con sede in Liechtenstein, la Peter Kaiser Gedächtnisstiftung, che ha come scopo statutario la difesa dei valori cristiani in Europa. Quel giorno lo "gnomo degli gnomi" avrebbe incontrato papa Ratzinger, a Ratisbona,in Baviera, per regalargli un prezioso organo a canne del valore di 730mila euro destinato proprio alla chiesa di Ratisbona.Era una giornata di gloria che l'avvocato di Vaduz attendeva da tempo, dopo gli anni difficili e le intricate vicende che ne avevano infangato il nome. Per decenni Herbert Batliner, nominato gentiluomo di Sua Santità già da Giovanni Paolo II, aveva operato dietro le quinte, silenziosamente, per il bene dell'Europa cristiana.Ma poi era stato qualificato da un rapporto del Servizio segreto tedesco Bnd e da Der Spiegel come il "re dei fiduciari", la "centrale del lavaggio di denaro sporco", "l'amico di evasori e gangster". Eppure Herbert Batliner - pochi lo sanno - era e resta un autentico uomo di fiducia del Vaticano da oltre 30 anni. E per questo, quel 9 settembre 2006, era venuto a Ratisbona, per donare quel prezioso organo a Benedetto XVI. Mentre Batliner compiva questa buona azione, tuttavia, qualcuno si stava interessando a lui. Era il Dipartimento 35 della Procura di Bochum, fiore all'occhiello dello stato tedesco nella lotta all'evasione fiscale. Lì, a Bochum, il nome di Batliner era scritto a caratteri cubitali su più di 400 fascicoli aperti a partire dal 2000, ovvero l'anno in cui un dipendente "infedele" del noto avvocato aveva consegnato al fisco tedesco un cd-rom pieno di dati segreti dello studio Batliner.In quel momento si aprì un mondo fino a quel momento completamente sconosciuto, per gli 007 del fisco tedesco. Gli 007 arrivarono a definire il "sistema Batliner" come un meccanismo perfetto che per anni aveva sottratto al fisco tedesco almeno 250 milioni di euro di imponibile. Ed era certo una stima per difetto. Il ruolo di Batliner risultò subito centrale: creava di persona le società paravento, le Anstalt, le Stiftung; e poi le gestiva a nome di clienti di tutto il mondo che cercavano l'anonimato assoluto in Liechtenstein. Il 9 settembre 2006, chi osservò Batliner muoversi nella "Piccola Cappella" di Ratisbona potè notare in lui un certo nervosismo. Ogni tanto il notissimo professionista girava la testa, come per accertarsi se qualcuno lo aspettasse fuori, per capire se la polizia in divisa e gli agenti in borghese si trovavano lì per proteggere il Papa, e non per occuparsi di lui. Le sue paure non erano infondate. Era infatti un vero miracolo che Herbert Batliner potesse incontrare papa Ratzinger: in quel momento, pur risiedendo in Lichtenstein, era formalmente ricercato in Germania.Com'era riuscito Batliner a ottenere di incontrare personalmente Papa Ratzinger? Dopo mesi di serrate trattative e grazie alla "moral suasion" degli ambienti vaticani, la Procura di Bochum aveva ceduto a forti pressioni, garantendo al gentiluomo del Papa un "salvacondotto" per quell'incontro e consentendogli un percorso dal confine austriaco-tedesco fino a Ratisbona e ritorno. La motivazione ufficiale, che poi si è rivelata risibile, era che Batliner era gravemente malato. Solo grazie a questo artificio fu evitato lo scandalo dell'arresto in chiesa di un gentiluomo del Papa: appena un anno dopo, nell'estate del 2007, Batliner ammetteva le sue colpe e scendeva a patti con lo Stato tedesco, accettando il pagamento di una sanzione di due milioni di euro.Il salvacondotto concesso a Batliner per l'incontro con Benedetto XVI destò un vero scandalo in Germania. E ci fu chi ironizzò sulla vicenda accostandola alla storia del predicatore medioevale Tetzel che, durante il papato di Giulio II, vendeva lettere di indulgenza papale per la remissione dei peccati in cambio di denaro che serviva a finanziare la costruzione della basilica di San Pietro: una protesta che aveva segnato nel 1517 l'inizio della Riforma, guidata da Martin Lutero. La cattiva fama di Batliner superò in seguito i confini della Germania e del Liechtenstein. E nel 1999 il Presidente della repubblica austriaca Thomas Klestil rifiutò un assegno di beneficenza di 56 mila franchi perché proveniente proprio da Batliner. Tre anni dopo, la Suprema Corte del Liechtenstein confermò, in una sentenza, che Batliner già nel 1990 era il fiduciario dell'ecuadoriano Hugo Reyes Torres, indicato come boss della droga, nel frattempo condannato. Per conto del barone della droga, segnala The Independent, Batliner avrebbe riciclato 15 milioni di euro.Il gentiluomo di sua santità, il "più noto e discusso fiduciario del Liechtenstein", come lo definisce il settimanale svizzero Weltwoche, sponsor dell'Hockey Club di Davos, forte di un patrimonio stimato in 200 milioni di euro, era diventato noto per la prima volta in Germania all'inizio degli anni Novanta nell'ambito dello scandalo delle casse nere della Democrazia Cristiana tedesca, la Cdu. Un ammanco di oltre 8 milioni di euro. "Appropriazione indebita personale", si giustificò il capo della Cdu dell'Assia Roland Koch, pesantemente coinvolto nella vicenda. Una vicenda che vide Batliner in un ruolo senz'altro centrale, ma di cui le reali implicazioni restano ancora nebulose dato che il Lichtenstein non collabora con le amministrazioni giudiziarie degli altri Paesi, tranne nei casi di omicidio o traffico di droga. Batliner era l'uomo giusto per queste operazioni. Chi cercava un rifugio sicuro per il proprio denaro si rivolgeva a lui, il decano dei fiduciari. Il commento che una volta l'avvocato rilasciò in merito alle pesanti accuse rivoltegli resta lapidario: "Non sono un padre confessore, che deve interrogare i suoi clienti per scoprire se questi rispettano o meno le leggi dei loro rispettivi Paesi d'origine".L'incontro a Ratisbona fu per Herbert Batliner senz'altro uno dei momenti più alti della sua vita. Le cronache dell'incontro ci restituiscono l'atmosfera. L'organo comincia a suonare. L'organista intona un brano di Bach. Herbert Batliner è raggiante e sembra abbia esclamato: "Se gli angeli suonano per Dio, scelgono Bach. Se suonano per se stessi, scelgono Mozart". Ma quell'organo non era il primo che il benefattore del Liechtenstein avrebbe regalato alla Chiesa cattolica: il 14 dicembre 2002 il Cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato e Vice Decano del Collegio Cardinalizio, presiedeva il rito di benedizione del nuovo organo della Cappella Sistina, regalato anche in questo caso dallo stesso Batliner. Il maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, monsignor Piero Marini, si rivolgeva direttamente al benefattore affermando solennemente: "Il nostro ringraziamento va al Prof. Dott. Herbert Batliner, Presidente della Fondazione Gedächnisstiftung Peter Kaiser e Gentiluomo di Sua Santità".L'avvocato di Vaduz, questo è certo, godeva della massima fiducia dei Papi: già nel 1998 Giovanni Paolo II lo aveva nominato Gentiluomo di Sua Santità, il più alto rango che un laico può raggiungere in Vaticano. La prima onorificenza papale, la croce "Komturkreuz des Päpstlichen Silberordens mit Stern", gli però era stata conferita già nel lontano 1970. Nel 1993 seguì il "segno d'oro" della diocesi di Innsbruck, per meriti speciali. Alla nomina di Gentiluomo di Sua Santità si aggiungeva, nel 2001, anche la Gran Croce dell'Ordine Papale di San Gregorio: Herbert Batliner era ed è uno dei laici più decorati in Vaticano.Dal 1994, inoltre, Batliner è Presidente del Consiglio della Fondazione della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. È curioso ciò che scriveva l'1 gennaio 1994 papa Giovanni Paolo II nel documento di nomina: "I membri dell'Accademia sono scelti dal Pontefice in base alla loro competenza e alla loro integrità morale". A questo punto s'impongono alcune domande: in base a quale competenza "morale" è stato scelto il re dei fiduciari vaticani nel Lichtenstein? Dal 1990 era noto il coinvolgimento di Batliner nello scandalo delle casse nere dei democristiani tedeschi; dal 2000 in poi il suo nome era associato al più grande scandalo di evasione fiscale in Germania. È difficile decifrare i motivi di un comportamento "ad alto rischio di vergogna" come il rapporto strettissimo e inspiegabile del Vaticano con Herbert Batliner, di vago sapore nibelunghiano.Tra l'altro, i suoi guai legali sono proseguiti anche in seguito. Nel gennaio 2009 il tribunale del Liechtenstein si è dovuto occupare del vecchio "tesoro" dei democristiani tedeschi dell'Assia nella fondazione Alma Mater, gestita da Batliner. Oltre ai sei milioni di marchi spariti dai conti, restano ancora aperte alcune domande degli inquirenti: quanti soldi neri giacevano ancora sui conti dell'Alma Mater e chi esattamente aveva versato i soldi? Ufficialmente, come intestataria della società, figurava una vedova di nome Christa Buwert. Ma nel processo davanti alla Corte del Lichtenstein si sono scoperti fatti sorprendenti: per esempio che Batliner, fiduciario della fondazione, nel 1998 avrebbe effettuato un versamento di 10 milioni di franchi svizzeri da questi fondi ai propri conti personali. Un anno dopo quel versamento Batliner riceveva dalla vedova (nel frattempo ammalatasi di demenza senile) 1,2 milioni di franchi per comperare un quadro. La Corte del Liechtenstein, su istanza dell'avvocato d'ufficio della vedova, ha però costretto Batliner a restituire quei soldi. Batliner si è lamentato di questa sentenza, perché il "quadro aveva un alto valore emozionale, fatto di ricordi". Batliner è l'uomo chiave anche in una strana, piccola banca italiana: la Banca Rasini, l'istituto di credito che finanziò gli inizi di Silvio Berlusconi e che era diretto dal padre Luigi. Batliner era infatti l'uomo che gestiva e rappresentava tre misteriose società che erano azioniste forti della Rasini: si tratta della Wootz Anstalt di Eschen, della Brittener Anstalt di Mauren e della Manlands Financiere S. A. di Schaan, tutte situate del Liechtenstein. Batliner ne era rappresentante legale insieme a un altro "gnomo" della finanza vaticana, Alex Wiederkehr. Wiederkehr è anch'egli membro dell'inner circle della finanza vaticana e fa parte di una nota famiglia di gnomi svizzeri. Insieme a Wiederkehr, Batliner era una figura chiave nella Banca Rasini, coinvolta nel blitz di San Valentino del 14 febbraio 1983 che portò all'arresto di molti mafiosi di stanza a Milano; una banca indicata dallo stesso Sindona come la banca della mafia a Milano. La riprova che Batliner fosse l'uomo della finanza vaticana nella Rasini viene anche dal fatto che altri importanti azionisti della Rasini, gli Azzaretto, erano fiduciari della finanza vaticana sin dai tempi di Papa Pacelli, come recentemente ammesso da Dario Azzaretto in una intervista a chi scrive.Un "dettaglio" altrettanto interessante e inquietante è che Batliner, gentiluomo del Papa e longa manus del Vaticano nella Banca Rasini, è anche coinvolto nella vicenda del tesoro nascosto della Fiat. Batliner è infatti il fondatore della Prokuration Anstalt, che a sua volta controlla il First Advisory Group, il quale ha materialmente costituito il Trust Alkyone, la principale cassaforte offshore destinata a raccogliere il patrimonio estero dell'avvocato Agnelli. E nel consiglio di amministrazione di Alkyone compaiono la moglie dell'avvocato Batliner, Angelica Moosleithner, Ivan Ackermann e Norbert Maxer della Prokuration Anstalt. Nel 2001 venivano inoltre nominati, accanto ai consiglieri di amministrazione, i protettori del Trust: Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e, naturalmente, Gianni Agnelli.Oggi Herbert Batliner si divide tra la sua clientela "top" e i campi da hockey di Davos. Nonostante sia stato accusato di essere l'uomo del riciclaggio dei fondi neri della politica ed abbia riconosciuto di essere uno dei maggiori esperti di evasione fiscale, Ratzinger non fa nulla per rimuoverlo. Dopo l'esplosione del caso Balducci-Anemone, il Vaticano ha dichiarato formalmente che i gentiluomini di sua santità sono "professionisti di indubbia moralità e qualora si dimostri il contrario le dimissioni dall'incarico sono doverose". Eppure, se si entra nella fornitissima libreria del Vaticano situata accanto a piazza San Pietro e si acquista il gigantesco Annuario Pontificio, si scopre, a pagina 1822, che Herbert Batliner è sempre lì, nel cuore dell'organigramma del potere vaticano, come presidente del Consiglio della Fondazione per la Promozione delle Scienze Sociali. I vecchi amici non si abbandonano mai". (La Repubblica)
Avvoltoi sulla pelle dei terremotati...: "C'è un'inchiesta della Procura nazionale antimafia sulla ricostruzione dell'Aquila. Un'indagine che riguarda il Progetto C. a. s. e.: i duecento palazzi e le decine di scuole realizzate dal governo per i terremotati. E uno dei nomi finiti sul registro degli indagati è quello di Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl, già indagato per corruzione a Firenze (grandi eventi) e a Roma (business eolico). Il titolo del fascicolo è "infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti per la ricostruzione", ed è in mano ad un pool di magistrati: Vincenzo Macri (coordinatore), Olga Capasso (delegata al collegamento con gli inquirenti aquilani) Alberto Cisterna e Gianfranco Donadio. Un procedimento aperto diversi mesi fa che, almeno all'inizio, doveva riguardare solo le infiltrazioni delle mafie nei lavori per il terremoto (con quindici aziende già sotto inchiesta) e che invece, da marzo, è stato allargato - di concerto con il procuratore de L'Aquila Alfredo Rossini - agli affari nel post sisma degli imprenditori coinvolti nelle inchieste sui Grandi eventi.Così, in questa indagine sono entrate le carte della procura fiorentina sugli affari gestiti della Protezione civile, in deroga alle procedure sugli appalti pubblici. Affidamenti pilotati, secondo gli inquirenti, a Firenze come all'Aquila. E le carte che riguardano la ricostruzione arrivate sul tavolo dei pm dell'antimafia, sono voluminose e pesanti: centinaia di pagine di intercettazioni ed interrogatori. Al centro degli affari, il Consorzio Federico II, con l'azienda toscana Btp (Baldassini-Tognozzi-Pontello, quella del costruttore Riccardo Fusi, indagato a Firenze per corruzione) insieme alle ditte aquilane Fratelli Ettore&Carlo Barattelli srl, Vittorini Emidio costruzioni srl e Marinelli ed Equizi srl. Un consorzio nato il 15 maggio 2009 (appena quaranta giorni dopo il terremoto), dopo una serie di visite a Palazzo Chigi degli imprenditori che poi hanno unito le loro forze. Era proprio nella sede della presidenza del Consiglio dei ministri - come emerge dalle carte del procedimento - che i costruttori cercavano di accreditarsi per gli appalti del post terremoto. Appalti che poi, di lì a poco, sono arrivati. Come la costruzione della scuola media Carducci (struttura provvisoria costata allo Stato 7,3 milioni di euro) al restauro di alloggi alla caserma Pasquali (con un appalto firmato dal provveditore delle opere pubbliche dell'Abruzzo Gianni Guglielmi), fino ai puntellamenti nella zona rossa, finora cinque, ottenuti dal Comune dell'Aquila.Tra le carte, anche l'interrogatorio davanti ai magistrati fiorentini - il 15 febbraio scorso - di Denis Verdini, ascoltato sui suoi rapporti con il costruttore Fusi. In quell'occasione Verdini raccontò di aver presentato gli imprenditori al sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Gianni Letta. "Ho accompagnato Fusi insieme al presidente della Banca dell'Aquila, credo la Cassa di Risparmio dell'Aquila, e un consorzio al dottor Letta, per raccomandargli la... diciamo la possibilità di lavorare: questo è avvenuto. Il colloquio si è risolto in grandi gentilezze, ma nella sostanza è che i lavori dell'Aquila erano stati, come dire, orientati, verso la soluzione (...) E siccome Letta è dell'Aquila ed era molto interessato alle cose...".La raccomandazione di Verdini verso il consorzio risulta anche dalle intercettazioni. È lo stesso esponente Pdl che chiama al telefono, il 17 giugno 2009, l'imprenditore Fusi e gli passa il presidente della Regione Gianni Chiodi. "Come si chiama il vostro consorzio, scusami... Vittorio Emanuele II?". E poi: "Come si chiama l'imprenditore di lì?". Quindi Chiodi (ora commissario straordinario per la ricostruzione) gli detta il numero del suo cellulare. E Verdini chiosa: "Và a trovarlo... ti spiega un po' tutto... lui è un amico...". Gli appalti dati al consorzio dovevano essere - secondo gli inquirenti - una ricompensa. Una ricompensa alla Btp per altri affari che non erano riusciti ad ottenere. Ed è sempre lo stesso Verdini ad ammettere davanti ai pm "di aver raccomandato" la Btp "perché era in un momento in cui lavorava poco". (La Repubblica)
Riciclaggio di denaro pubblico: "Un testimone il cui nome è top secret ha indicato ai pm di Perugia dove sarebbero custoditi i "tesoretti" accumulati e nascosti in banche estere dai funzionari pubblici Angelo Balducci, Fabio De Santis, Claudio Rinaldi e Mauro Della Giovampaola e dal commercialista di Diego Anemone, Stefano Gazzani. Una parte, circa 10 milioni di euro, è già stata individuata in un paio di istituti di credito di San Marino: sono intestati o comunque riconducibili a Gazzani, De Santis, Rinaldi e alla madre di quest'ultimo, Mimma Giordano.
Un "gruzzolo" che si aggiunge a quello già rintracciato nei mesi scorsi in alcune banche del Lussemburgo. Anche quei soldi, 5 milioni di euro, occultati nella agenzie dell'Unicredit, erano stati collegati a Balducci e Rinaldi.E se da un lato si cercano i conti, dall'altro si tenta di fare luce sulla lista di Anemone e sui metodi di corruzione del costruttore. Gli inquirenti perugini hanno già riscontrato 40 ristrutturazioni fatte dalle ditte di Diego Anemone. I "beneficiari" fanno parte dei 412 nomi inseriti nel "libro mastro" del costruttore. Tra i lavori registrati ci sono anche quelli nell'appartamento con vista Colosseo di Claudio Scajola, comprato con il "contributo" di 900mila euro dell'imprenditore. Tra i documenti trovati, ci sono le fatture delle ditte subappaltatrici, ma ancora non c'è traccia dei pagamenti fatti dai proprietari o dagli affittuari degli appartamenti "curati" da Anemone e Balducci.Non c'è solo quello. I pm di Perugia stanno anche cercando riscontri alle dichiarazioni rese dal leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, interrogato due giorni fa nella caserma dei carabinieri del Ros di Roma. Agli investigatori l'ex sostituto avrebbe consegnato una lettera inviata al presidente del Consiglio dell'epoca, Romano Prodi, e al comitato dei Ministri coinvolti nelle celebrazioni dell'anniversario dell'Unità d'Italia. Alla fine della lettera, c'è un post scriptum in cui Di Pietro, già nel novembre 2007, evidenziava che gran parte degli appalti per i 150 anni dell'Unità d'Italia, potevano finire, come poi è successo, nel mirino della magistratura. "P. S. Vi prego (scriveva l'ex magistrato, ndr) ci stiamo avviando verso macroscopiche violazioni di legge e questo non può essere accettato, se riscontrato". Molti i riferimenti ad Anemone e al suo gruppo. Di Pietro ha anche chiamato in causa indirettamente Romano Prodi e Francesco Rutelli. Nella lettera denunciava anche il fatto che la Struttura di Missione per gli appalti che faceva capo ad Angelo Balducci si era trasformata da "struttura di supporto" a "centrale di committenza" con procedure di assegnazione non proprio limpide. In particolare per quanto riguardava i lavori dell'Auditorium di Isernia, del Palazzo della Musica di Firenze e del Palazzo del Cinema di Venezia. In questi casi c'erano, secondo il leader dell'Idv, "elementi di criticità e anomalie".Accuse che hanno bisogno di conferme. E per questo i pm non escludono di ascoltare prossimamente i ministri del governo Prodi. "Vedremo più avanti", dice un inquirente. E in procura non si esclude nemmeno un altro interrogatorio del capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso.Ieri, intanto, c'è stata l'udienza per decidere del commissariamento delle sei aziende di Anemone. L'esito si saprà solo tra qualche giorno: il gup Massimo Ricciarelli si è riservato di decidere. I pm Alessia Tavernesi e Sergio Sottani hanno ribadito i motivi che li hanno spinti a richiedere il provvedimento: "La pratica corruttiva finalizzata alla gestione degli appalti era invalsa ormai da tempo, circostanza questa che crea serie perplessità sul fatto che il mero cambio dei vertici dirigenziali possa incidere in maniera concreta su detti metodi senza che vi sia l'attuazione di seri sistemi di controllo anche attraverso l'adozione di concreti ed efficace modelli organizzativi". Richiesta bocciata dai legali di Anemone: metterebbe a rischio le imprese e il lavoro di 750 dipendenti". (La Repubblica)
Vini e mafia: "Francesco Lena è stato arrestato all'alba dagli agenti della sezione Criminalità organizzata della squadra mobile di Palermo: è accusato di associazione mafiosa, sulla base delle dichiarazioni di alcuni pentiti, ma anche delle intercettazioni, che hanno captato discorsi d'affari fra boss del vertice di Cosa nostra.Lena è fra i 19 arrestati del blitz disposto dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo per fare luce su alcuni investimenti milionari di Cosa nostra. L'imprenditore vitivinicolo di Castelbuono non è l'unico insospettabile della lista. In manette è finito pure l'imprenditore Vincenzo Rizzacasa, negli ultimi anni diventato il ras delle più importanti ristrutturazioni immobiliari realizzate nel centro di Palermo: è accusato di trasferimento fraudolento di valori, perché avrebbe gestito attraverso le sue società il patrimonio del boss Salvatore Sbeglia, anche lui arrestato questa mattina assieme ai fratelli Francesco Paolo e Giuseppe, nonché ai nipoti Francesco e Marcello.Nell'estate scorsa, la società di costruzione di Rizzacasa, Aedilia Venusta, era stata espulsa da Confindustria Palermo, perché ritenuta "non in linea con il nuovo codice etico dell'associazione": fra i dipendenti, come coordinatore dei cantieri, risultava il figlio di Salvatore Sbeglia, Francesco, condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Rizzacasa si era difeso a spada tratta, sostenendo di essere solo un benefattore, vicino a gruppi ecclesiali e del volontariato, sempre pronto a dare un'altra possibilità a chi ha sbagliato.Rizzacasa si vantava soprattutto di aver fatto decine di denunce contro il racket del pizzo. In realtà, secondo il pool coordinato da Roberto Scarpinato, il manager sarebbe stato un insospettabile prestanome del gotha mafioso. Tre giorni fa, di sicuro, aveva vinto il suo ricorso contro la decisione di Confindustria: un giudice del tribunale di Palermo l'aveva reintagrato fra le fila dell'associazione degli industriali.Il blitz della sezione "Criminalità organizzata", diretta dal vicequestore aggiunto Nino De Santis, ha portato in carcere anche l'imprenditore palermitano Filippo Chiazzese, ritenuto prestanome del boss detenuto Francesco Bonura. Chiazzese è il titolare della"Agricoltura e giardinaggio sas", una delle società che sta realizzando il maxi appalto da 11 milioni di euro per il più grande parco della città, il giardino d'Orleans. Chiazzese risulta fra i soci del consorzio "Generale appalti pubblici" di Firenze, di cui è stato anche presidente del consiglio di amministrazione.I boss potevano contare davvero su una rete di insospettabili per i propri investimenti. Le indagini dei pm Roberta Buzzolani, Nino Di Matteo, Lia Sava e Marcello Viola hanno portato il gip Maria Pino a firmare anche il sequestro di 10 aziende e di numerose quote sociali.Provvedimenti in carcere sono stati notificati ai boss Nino Rotolo, Francesco Bonura, Vincenzo Marcianò, Carmelo Cancemi e Massimo Troia. L'indagine sul tesoro di Cosa nostra è nata nel 2006, grazie alle intercettazioni effettuate in un box di lamiera che Nino Rotolo aveva sistemato nel giardino della sua villa: il boss riteneva di essere al sicuro dalle microspie, invece tutti i summit erano registrati".(La Repubblica)
In mano alla n'drangheta: "Gli arresti sono cominciati durante la notte. La Dia (Direzione investigativa antimafia) da tempo seguiva le tracce di presunti esponenti della 'ndrangheta che secondo l'accusa agivano sia in Piemonte che in Calabria. I carabinieri hanno eseguito fino ad ora 11 ordinanze di custodia cautelare in carcere ma l'operazione 'Revenge 2' non è ancora conlusa. Sequestrati anche terreni, abitazioni e quote societarie. I carabinieri di Reggio Calabria e di Torino che hanno collaborato con la Dia, in tutto un centinaio impegnati in diverse zone d'Italia, hanno anche scoperto cinque bunker nella Locride. Tre di questi, che si trovano a Platì in provincia di Reggio, erano dentro un appartamento, all'interno di un'intercapedine segreta. Altri due, invece, sotto terra. In particolare il bunker nella contrada Flacchi di Platì è grande 100 metri quadrati, composto da quattro stanze di cui una veniva utilizzata per l'essiccazione di marijuana.Alla struttura, che risulta di Domenico Trimboli (32 anni), si accedeva tramite un'apertura attraverso un blocco di cemento che veniva azionato dalla rastrelliera in una cantina che conteneva bottiglie di vino. Un altro bunker è stato scoperto in contrada Riella, anche in questo caso l'accesso era stato aperto dalla cantina. L'immobile è riconducibile a Luigi Virgora (35 anni). Il bunker trovato in via San Michele del Carso, sempre a Platì, è riconducibile secondo gli inquirenti a Pasquale Marando, ritenuto vittima di lupara bianca. Nel corso della perquisizione i carabinieri hanno sequestrato un chilo d'oro alla moglie, Anna Trimboli, perché il figlio ha precedenti per ricettazione e altri reati.Infine un ultimo bunker è stato scoperto in una struttura nelle disponibilità di Antonino Barbaro (69), una stanza di 20 metri quadrati con l'accesso da un blocco di cemento che scorre suibinari. Tutti i bunker erano arredati. I carabinieri hanno inoltre sequestrato sette binocoli di precisione abilitati per la visione notturna a Natale Trimboli, fratello del latitante Saverio Trimboli arrestato lo scorso anno dai carabinieri e inserito nella lista dei 100 più pericolosi. Uno di essi in particolare era molto potente, per avvistamenti a notevole distanza.Il blitz ha colpito le famiglie Marando, Perre e Trimboli. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di riciclaggio di denaro 'sporco' e dell'omicidio di Antonio Stefanelli, Antonino Stefanelli e Franco Mancuso, avvenuto nel 1997 a Volpiano (Torino). Il triplice omicidio fu ordinato in una faida tra famiglie della 'ndrangheta. I tre corpi non furono mai ritrovati. L'operazione contro la cosca platiota che da anni opera in Piemonte, è partita dalla Dia di Torino che ha collaborato con i centri operativi di Milano, Genova, Roma, Reggio Calabria. I carabinieri stanno effettuando le ordinanze cautelari e diverse perquisizioni in Piemonte, Lombardia, Lazio e Calabria". (La Repubblica)
La nuova Grecia: "Una manovra correttiva da oltre 24 miliardi di euro che peserà sui lavoratori e sulle famiglie, varata dopo un lungo periodo in cui il Governo ha rivestito i panni dell’imbonitore e del prestigiatore facendo credere che tutto, economicamente, andasse bene, maneggiando i numeri come un mago. Solo recentemente il velo di Maya è caduto, anzi è dovuto cadere: il rischio era quello che l’esecutivo finisse schiacciato sotto il peso della stessa commedia recitata, ma prossima a trasformarsi in tragedia. Se ieri eravamo l’America, oggi siamo ad un passo dal diventare la nuova Grecia. La crisi brucia posti di lavoro, vanifica il sacrificio delle pmi, si abbatte come una clava sui precari, sui pensionati e sulle donne, oltre a spingere nell’ombra dell’occupazione in nero le finte partite Iva in maggioranza di giovani lavoratori. E l’esecutivo cosa fa? Sceglie di varare un piano “duro” che colpisce i soliti noti con i soliti noti interventi. Quali? Congelamento degli stipendi del pubblico impiego, proroga del turn over, restringimento delle finestre pensionistiche, liquidazione consegnata in tre anni: sono esempi sufficienti a dare il senso di questa manovra, di chi ferisce e di chi risparmia. Completa il quadro la politica dei tagli agli enti locali con la scusa della lotta allo spreco, che costringerà regioni, comuni e province a comprimere il sistema di welfare oppure ad accrescere la pressione fiscale per i servizi erogati ai cittadini. Il welfare, già, lo stesso che dalle colonne di illustri giornali, legati a Confindustria, viene dichiarato morto, mal celando una certa soddisfazione di casta per la fine di un sistema di conquiste e di diritti che al contrario, soprattutto adesso, andrebbe difeso. Zero misure per rilanciare il sistema produttivo, per gli investimenti nella ricerca e formazione, per rivalutare i redditi e far ripartire i consumi, nessuna riforma strutturale. Condisce il tutto, un’operazione di maquillage populistico: taglio ai costi della casta, quindi giro (presunto) di vite contro lo sperpero di ministeri, Camera e Senato che dovranno sforbiciare del 10% le spese. Operazione in linea di principio anche condivisibile, ma che comunque resta insufficiente se la si considera risolutiva della crisi. Parallelamente si rilancia la lotta all’evasione fiscale. Il Governo Berlusconi infatti è stato folgorato sulla via di Damasco scoprendo che in Italia – novità delle novità- si evade il fisco. Peccato che questo stesso Governo sia padre ignobile della mala pratica dei condoni. Così a fronte di una manovra “lacrime e sangue” (Churchill comunque era uno statista, Berlusconi no), si scopre dunque il tema dell’evasione tributaria tutta champagne e patatine. Si tratta di 120 miliardi di euro occultati all’estero e che trasformano il Bel Paese nel deserto della legge fiscale e della minima condotta etica. Addirittura il presidente del Consiglio ammette che il 22% dell’economia italiana scompare dai radar delle tasse. Un demerito, l’evasione, che si accompagna ad un altro triste primato: la maglia nera vestita dalla nostra nazione per quanto riguarda la gestione illecita dei fondi comunitari. Si tratta di due aspetti non secondari nell’economia italiana che, in particolare in un momento difficile come quello che stiamo attraversando, dovrebbero essere terreno di intervento per far cassa, come si dice in gergo, evitando di scaricare il peso della crisi sulle spalle dei soliti noti. 24 miliardi moltiplicati per cinque danno una modica cifra di 120 miliardi. Tradotto: l’evasione fiscale è più o meno cinque volte il piano draconiano anti crisi del ministro Tremonti. Se a questo si aggiungesse un controllo sul corretto investimento dei fondi erogati dall’Ue per favorire lo sviluppo, ci sarebbero risorse sufficienti per una risposta alla crisi fondata sul principio dell’equità sociale o meglio della “proporzione sociale” (ciascuna fascia è chiamata al sacrificio consono al suo livello). Il giro d'affari per i furbetti delle truffe europee, infatti, si attesta sulla sottrazione di quasi 20 miliardi di euro, dove a farla da padrone sono le mafie in combutta con pezzi della politica, della amministrazione locale, della massoneria mai morta. Come agiscono questi soggetti? Semplice, sfruttando il gelatinoso forziere delle società miste pubblico-private e la prassi anomala delle procedure di emergenza ambientale che consentono di affidare il denaro e gli appalti in deroga alle leggi, favorendo il clientelismo. Al Sud quanto al Nord. L’Olaf, l'Ufficio europeo per la lotta antifrode, lo ha messo in luce recentemente in occasione di un ciclo di seminari svoltisi presso la Corte dei conti proprio in merito alle risorse comunitarie. I fondi europei ammontano a 180 miliardi di euro l'anno, di questi l'11% finisce nel giro delle frodi. In Italia dal 2007 al 2009 le citazioni in giudizio sono state 294, mentre i fondi recuperati sono stati pari a 82 milioni nel primo biennio e 136 milioni nel 2009 (per un totale di 218 milioni di fondi europei e nazionali). Esercitare un controllo maggiore su questo flusso di denaro, parallelamente ad una lotta senza quartiere all’evasione fiscale, consentirebbe un guadagno importante per le casse dello Stato. Ma per farlo, il fattore determinante resta la volontà politica. Le misure esistono: porre fine al sistema emergenziale e allo strapotere delle società che fondono, in un mix diabolico, il pubblico e il privato; la tracciabilità vera (per i pagamenti in contanti infatti il limite dei 5mila euro, come previsto ora, non è sufficiente perché eccessivamente elevato); l’eliminazione della soglia di non punibilità per i reati di elusione fiscale prevedendo al contrario la certezza della pena detentiva e l’incremento stesso delle pene, oltre alla rivisitazione dei tempi di prescrizione che vanificano i procedimenti creando sacche di impunità; l’anagrafe tributaria che registri la verità delle condizioni reali di guadagno. Un’altra proposta interessante che consentirebbe non solo di reperire risorse ma anche di ridare un po’ di credibilità al Paese, sarebbe quella di elevare dall’attuale 5% ad almeno il 10% la tassa prevista per il ritorno dei capitali sottratti al fisco e in giacenza all’estero. Una sorta di “lodo fiscale” che consenta di chiedere il contributo a chi non solo ha violato la legge, ma di fatto ci ha anche guadagnato nel momento in cui gli è stata offerta la possibilità di una amnistia tributaria a prezzo stracciato. Certo, sempre in attesa che l’Europa si esprima sullo scudo che, con alta probabilità, contrasta con le norme comunitarie in materia di lotta al riciclaggio e viola la legge sull’Iva. Un contrasto serio all’evasione consentirebbe di recuperare ben oltre i 6-7 miliardi previsti dal Governo. Dalla legalità dunque abbiamo tutto da guadagnare e ci consentirebbe di non far pagare lo tsunami economico ai soliti noti, cioè i 14 milioni di pensionati e i 20 milioni di lavoratori dipendenti, oltre che gli artigiani e le pmi. Ma a Palazzo Chigi e a viale dell’Astronomia non lo vogliono capire". (Luigi de Magistris)
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