sabato 9 gennaio 2010
I nuovi schiavi lottano per noi
"La rivolta di Rosarno è la quarta rivolta degli africani in Italia contro le mafie», per questo secondo quello che dice Roberto Saviano sono più coraggiosi di noi e non vanno criminalizzati ma scelti come alleati contro l'illegalità. «La prima - ricorda ancora Saviano - ci fu a Villa Literno nel 1989, la seconda a Castelvolturno nel 2008 e le ultime due a Rosarno, sempre in seguito ad aggressioni subite da membri della comunità africana. Gli immigrati sembrano avere un coraggio contro le mafie che gli italiani hanno perso poichè per loro contrastare le organizzazioni criminali è questione di vita o di morte. E qualunque sia la nostra opinione sulle modalità della rivolta è necessario comprendere che ad essersi ribellata è la parte sana della comunità africana che non accetta compromessi con la 'ndrangheta».Per l'autore di Gomorra «gli immigrati che protestano sono nostri alleati nella battaglia all'illegalità e non dovremmo criminalizzarli. Mi piace sottolineare, a questo proposito, ancora una volta, che gli africani vengono in Italia a fare lavori che gli italiani non vogliono più fare e a difendere diritti che gli italiani non vogliono più difendere". (Roberto Saviano)
"Rosarno, uno svincolo della ormai inutile ed impercorribile Salerno-Reggio Calabria, il pezzo di autostrada che mai nessun governo è riuscito a terminare e che rende la parte bassa della Calabria il luogo più lontano dal resto dell’Italia. Non mi viene in mente un altro modo di definire quel luogo. Un nome che sfugge dallo sguardo subito dopo averlo messo a fuoco, mentre stai andando da qualunque altra parte.È un non luogo: da quello svincolo o ci si addentra nella Piana di Gioia Tauro, fino ad arrivare al porto, o si imbocca la superstrada che porta all’altra costa, venti minuti per passare dal mar Tirreno al mar Jonio, e in mezzo il nulla. In quella parte della Calabria non c’è che il nulla e, in più, d’inverno fa freddo, niente a che vedere con l’immaginario classico del sud: sole, mare e tutto il resto.Nella Piana gli agrumeti e gli uliveti fanno da padroni. La raccolta, prima dei mandarini e poi delle arance, è un lavoro duro, ma è ancora un buon modo di fare soldi. Chi ha ereditato un pezzo di terra dai genitori ha evitato quell’emigrazione di massa che ha coinvolto i più e ora ha qualcosa di cui occuparsi. I più capaci hanno sviluppato un sistema semi industriale per riuscire a sviluppare la commercializzazione del loro prodotto, gli altri debbono accontentarsi, usando manodopera a basso costo, di rivendere il raccolto sul territorio.Lavoro duro e malpagato che nessuno vuol più fare. Eppure qualcuno che ancora può fare quel lavoro c’è: sono gli stranieri, gli immigrati, quelli dalla pelle scura (ma più scura di quella dei ragazzotti del luogo), i neri, i negri.Proprio i negri, quelli che arrivano dall’Africa nera, quelli che non hanno niente, che non hanno ancora capito se sono arrivati in Italia oppure chissà dove, che si illudono di essere lì solo di passaggio, prima di approdare nei luoghi della ricchezza e delle comodità.I negri che si accontentano di vivere come bestie. Quelli che, d’altronde, ci sono abituati, quelli che si fanno la capanna con il cartone nei casolari abbandonati o, peggio, per paura di essere derubati dormono tutti insieme, per terra, in una fabbrica abbandonata e data al fuoco qualche anno fa.Gli unici rapporti sono quelli con un parroco di buona volontà. Gli unici luoghi di contatto con il resto del mondo: i supermercati, dove comprare il minimo indispensabile per sopravvivere. Lì c’è l’incontro, lì c’è lo scambio. Ma non ti venga in mente di rivolgere qualche parola di più alla cassiera, altrimenti scoppia il casino: se fino a quel punto, in quel mare di desolazione, i ragazzi del luogo ti avevano solo preso in giro e quando ti incontravano in paese ti scansavano perché i negri puzzano, a quel punto fanno il salto di qualità e ti sparano.Per carità niente colpi di lupara, basta un fucile ad aria compressa ed eccoti umiliato, non si parla e non si scherza con la donna bianca. Allora non sopporti più, ti sembra troppo, hai voglia di alzare la testa, di dirlo in faccia a quei quattro ragazzotti che tu hai gia abbastanza cazzi per riuscire a sopportare quella vita di merda, che quando ti svegli al mattino non riesci a lavarti perché l’acqua è gelida, che durante il giorno, mentre lavori, hai le mani e i piedi rattrappiti dal freddo e, quando hai finito di lavorare, non c’è niente intorno a te che ti renda la vita sopportabile tranne un improvvisato fuoco intorno a cui passare la serata.Non hai più la forza di pensare e sognare una vita migliore di questa, sei solo incazzato con te stesso per esserti infilato, senza sapere come, in un inferno senza vie d’uscita. Il casino, a quel punto, sei tu a cominciarlo, perché – come diceva Fabrizio De Andrè – chi non terrorizza si ammala di terrore. Cerchi di farti sentire. Vuoi far sapere a tutti che non sei più disponibile a fare quella vita; che, anche se hai accettato un lavoro da schiavo, se non sai che cos’è un contratto di lavoro, se non sai che esiste il sindacato, se non pretendi di essere tutelato da uno Stato di diritto che in una parte del suo territorio accetta che esista la schiavitù, hai comunque una dignità e una vita da difendere. Vuoi affermare che non puoi essere scambiato per un tiro a segno, che la tua carne brucia non solo per il freddo che accumuli durante le troppe ore di lavoro, ma perché da troppo tempo il tuo cuore non riesce ad essere riscaldato dai suoni, dagli odori e dagli affetti della tua terra e quindi pompa in circolo solo sangue avvelenato. Rosarno brucia. Il resto dell’Italia è lontana, irraggiungibile". (Mimmo Calopresti)
"La Calabria è al centro dei riflettori quando a Locri viene ucciso Francesco Fortugno. La Calabria si impone all'attenzione pubblica quando il tritolo è piazzato davanti alla Procura Generale di Reggio. La Calabria smuove il Governo e i ministeri quando Rosarno si trasforma nel teatro di una rivolta di migranti a cui risponde la rabbia dei residenti, dando vita ad una guerra civile fra dimenticati dallo Stato. Fa dolore dover ammettere che questa terra merita interesse solo di fronte al dramma, per cadere nel dimenticatoio politico e mediatico appena si sgonfia "la notizia" e, gattopardescamente, tutto ritorna all'ordinario disordine di sempre. Rosarno è una "banlieue" in salsa italica dove la commistione fra 'ndrangheta e imprenditoria porta a galla una condizione di sfruttamento che ha come soggetti, soprattutto nel Meridione, gli immigrati che lavorano a chiamata secondo le esigenze stagionali della terra. Uno schiavismo moderno che ha come artefici le 'ndrine calabre che si arricchiscono sulle spalle della vita migrante, favorite dal silenzio complice delle istituzioni locali e nazionali. Dopo esser stati sfruttati dalle mafie, senza che lo Stato intervenga, gli immigrati vengono trasformati comodamente in bersagli del malessere sociale della cittadinanza. Alla politica è utile, soprattutto quando al Governo siedono ministri che sulla logica della "caccia al diverso" hanno fondato il loro consenso elettorale, ricattando anche le componenti più democratiche e cattoliche (se ci sono veramente) della maggioranza. Così la politica si serve delle mafie, è complice del loro operato: la rabbia dell'immigrato sfruttato dal crimine può essere infatti utilizzata come catalizzatore di un identico sentimento, quello del calabrese dimenticato e lasciato solo dalle Istituzioni. Due sofferenze dunque intimamente connesse: l'immigrato e il cittadino sono entrambi costretti a sopravvivere in una realtà economica di sottosviluppo dove lo Stato e la Politica non esistono e sono le cosche a sopperire a questa latitanza. Nello scontro che monta in queste ore, si assiste ad una guerra tra dimenticati che pone domande di legalità e di integrazione. In primis ci obbliga a ripensare la connessione fra occupazione lecita e soggiorno regolare, quando l'economia italiana si fonda sull'ingiustizia del lavoro nero e a fronte dello sfruttamento straniero non riconosce diritti agli sfruttati di cui si serve. Abrogare dunque la legge Bossi-Fini ma anche le norme marketing del pacchetto sicurezza perchè ingiuste e inutili, e pensare a riconoscere la cittadinanza a chi lavora e vive nel nostro Paese, con la coscienza che non solo produce ricchezza materiale ma anche culturale, perché il processo multiculturale è figlio dei tempi e l'integrazione una necessità obbligata. Indispensabile è poi una battaglia per la legalità del lavoro, perché non sia più frutto di clientele e compravendite politico-mafiose ma diritto costituzionale da attuare. Perseguire infine la criminalità organizzata e la sua infiltrazione istituzionale senza titubanze, sfruttando il movimento di legalità che esiste in queste aree del paese e che vede coinvolta la società civile, i sindacati, le associazioni e i semplici cittadini. Perché in questa "guerra tra poveri", certamente i poveri perdono e le mafie vincono, condividendo gli indegni allori insieme al volto colluso di una certa politica". (Luigi De Magistris)
"Viviamo a Rosarno una pagina oscura della storia italiana. Le ronde criminali scatenate nell´assalto agli africani, le sprangate in testa e le fucilate alle gambe degli immigrati, rappresentano una vergogna di fronte a cui possiamo solo sperare in un moto collettivo di ripulsa morale.
Di quale tolleranza, "troppa tolleranza", parla il ministro Maroni? Ignora forse che da trent´anni l´agricoltura del Mezzogiorno d´Italia si regge economicamente sull´impiego di manodopera maschile immigrata, sospinta al nomadismo stagionale fra Puglia, Campania, Sicilia e Calabria, con paghe di sussistenza alla giornata, ricoveri di fortuna in edifici fatiscenti, criteri d´assunzione malavitosi, senza la minima tutela sanitaria e sindacale? Ora non li vogliono più, s´illudono di espellerli come un corpo estraneo dopo che li avevano convocati alla raccolta degli agrumi. Ma è dal 1980 che le colture specializzate meridionali non possono fare a meno delle migliaia di ragazzi africani trattati né più né meno come bestiame. E al tramonto, se la mandria non fa ritorno disciplinato nei recinti abusivi delle aree industriali dismesse, non trova certo istituzioni disponibili a riconoscerne l´umanità. Gli italiani con cui entrano in contatto questi lavoratori senza diritti sono solo di due tipi: i caporali spesso affiliati alla criminalità organizzata; e i volontari di Libera, della Caritas e di Medici senza frontiere. Le forze dell´ordine si sono limitate finora a un blando presidio territoriale per evitare frizioni pericolose con la popolazione locale. Ma l´importante era che il ciclo produttivo non si interrompesse: la mattina dopo il reclutamento ai bordi della strada non subiva intralci.
Chi ha tollerato che cosa, ministro Maroni?
Rosarno era teatro da anni di una conflittualità quotidiana, pestaggi isolati, sfide tra giovanissimi divisi dal colore della pelle ma accomunati da una miseria culturale che li induce a viversi come nemici. Dopo i colpi di fucile che hanno ferito due immigrati, giovedì la furia degli immigrati ha colpito indiscriminatamente la popolazione calabrese. Ieri, per rappresaglia, è scattata la "caccia al nero": disordini razziali che evocano scenari di un´America d´altri tempi. Di nuovo sparatorie a casaccio per terrorizzare i miserabili che hanno osato ribellarsi, insanguinando la Piana di Gioia Tauro dove governano ben altre autorità che non lo Stato democratico.
La riconversione legale dell´agricoltura del Sud implicherebbe, accanto agli investimenti economici, un´opera di civilizzazione che mal si concilia con l´offensiva propagandistica imperniata sulla criminalizzazione del clandestino. Non solo i mass media ma anche i portavoce della destra governativa hanno eccitato, legittimato sentimenti d´ostilità da cui oggi scaturiscono comportamenti barbari, indegni di un paese civile.
Se a Castelvolturno, nel settembre 2008, fu la camorra a sterminare sei braccianti africani, a Rosarno assistiamo a un degrado ulteriore: settori di cittadinanza coinvolti in un´azione di repulisti inconsulta. La chiamata alle armi contro i dannati della terra che certo non potevano garantire – con la sola forza disciplinata delle loro braccia - il benessere di un´area rimasta povera.
Vi sono probabilmente motivazioni sotterranee, indicibili, alla base di questo conflitto. Non tutti i 25 euro di paga giornaliera finiscono nelle tasche dei braccianti illegali. Pare che debbano versare due euro e mezzo agli autisti dei pulmini che li trasportano nelle piantagioni. Si vocifera addirittura di una odiosa "tassa di soggiorno" di 5 euro pretesa dalla ´ndrangheta. Di certo non sono associazioni legali quelle che pattuiscono le prestazioni di lavoro. Ma soprattutto è chiaro che una relazione trasparente con la manodopera immigrata viene ostacolata, resa pressoché impossibile dalla legislazione vigente.
Altro che pericolo islamico: qui la religione non c´entra un bel nulla. L´Italia dell´economia illegale, non solo al Sud, lucra sulla farraginosità normativa che sottomette il lavoratore immigrato a procedure arbitrarie sia in materia contrattuale, sia nel rilascio del permesso di soggiorno. Quando Angelo Panebianco, sul "Corriere della Sera", asserisce che affrontare il tema della cittadinanza significherebbe "partire dalla coda anziché dalla testa", ignora che restiamo l´unico paese europeo in cui le procedure di regolarizzazione e di naturalizzazione non contemplano alcuna certezza di tempi e requisiti. Assecondando, di fatto, un´informalità di relazioni per cui ai doveri non corrispondono mai i diritti.
Sulla scia di un´analoga iniziativa francese, circola fra gli stranieri residenti in Italia l´idea di dare vita a marzo a una iniziativa forse velleitaria ma dal forte significato simbolico: "24h senza di noi". Che cosa succederebbe se per un giorno tutti gli immigrati si astenessero dal lavoro? Quanto reggerebbe il nostro sistema di vita senza il loro apporto? Farebbero bene, i sindacati, a prendere in seria considerazione questa iniziativa, contribuendo con la loro forza organizzativa al moto spontaneo. Ma prima ancora è l´intero arco delle forze politiche, culturali e religiose che rifiutano la contrapposizione incivile fra italiani e stranieri a doversi mobilitare: l´inciviltà dei pogrom è contagiosa". (Gad Lerner)
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