lunedì 23 marzo 2009
Vittime del biscione.
"Dall’autorevole salotto di Matrix, ospite d’onore di una puntata intitolata «Nostra Signora della Tv», Maria De Filippi ha spiegato le ragioni del trionfo sanremese di Marco Carta, il giovane cantante sardo fuoriuscito dal suo programma più famoso, Amici, per dilagare nell’Italia intera. De Filippi sostiene una duplice tesi: da un lato, il suo pupillo ha vinto perché è una persona «normale», uguale a tanti altri giovani, con i suoi pregi e le sue debolezze; dall’altro lato, e simultaneamente, «poiché la gente adesso vuole sapere tutto dei personaggi televisivi», la sua vita è accessibile in ogni istante grazie al meccanismo del reality, che qui si estende dunque da spettacolo a modello di vita, e persino a paradigma etico. La superiorità di Carta sulla «casta» sanremese - De Filippi ha usato due volte il fortunato termine - deriva insomma dal suo essere l’incarnazione del protagonista del Truman Show: un uomo qualunque seguito ventiquattr’ore al giorno da migliaia di telecamere in un mondo di comparse. Dove le comparse, evidentemente, siamo noi. Come ben sanno gli amanti di Tocqueville, il suo fascino risiede nel mantenersi in perfetto, paradossale equilibrio fra ammirazione e paura della democrazia, fra la certezza della sua ineluttabilità e il bisogno di erigere e difendere un qualche argine. Royer-Collard lo definì non senza ragione «un aristocratico che aveva accettato la disfatta»: ma ciò che più colpisce nel francese è la lucidità di uno sguardo che trafigge l’intero ’800 per anticipare tanto i totalitarismi novecenteschi quanto la deriva implicitamente dispotica della società di massa contemporanea. In Tocqueville «democrazia» non significa (solo) una specifica forma di governo: indica piuttosto un’intera struttura sociale fondata su quell’«eguaglianza delle condizioni» che il giovane aristocratico aveva rinvenuta in America. Eguaglianza e democrazia sono dunque sostanzialmente sinonimi, e in Tocqueville si contrappongono alla libertà individuale in un movimento dialettico che, progressivamente, allarga le basi dell’uguaglianza mentre erode sempre più lo spazio autonomo del singolo individuo. I popoli democratici, scrive Tocqueville, «per l’uguaglianza hanno una passione ardente, insaziabile, eterna, invincibile; vogliono l’uguaglianza nella libertà, ma, se non possono ottenerla, la vogliono anche nella schiavitù». La radice del conformismo è qui: ed è una radice che non si può estirpare facilmente. Il modello di Amici è un modello integralmente democratico, e in certi aspetti persino roussoviano. I ragazzi di Amici sono tutti uguali, e di questa «uguaglianza» fanno il trampolino per dare l’assalto alla «casta» dei cantanti, i quali, diversamente da loro, hanno magari studiato al Conservatorio o vengono da una lunga gavetta senza telecamere. udiare è aristocratico, esserci è democratico. Ed è antidemocratico, nell’ideologia di Amici, pretendere che chi ha studiato valga di più di chi è semplicemente così come è. Il modello democratico è totale e tentacolare: chi guarda lo show è uguale a chi lo fa, o almeno crede di esserlo; e se non lo è si sforza di diventarlo. Il cuore ideologico della comunità di Amici, dentro e fuori lo schermo, è infatti l’autenticità intesa come normalità, cioè la convinzione che ciascuno sia «autentico» proprio perché è come tutti gli altri. Ogni volgarità o intemperanza è dunque giustificata, e anzi esaltata, perché dimostra che qui si ha a che fare con gente vera, non con i «personaggi» costruiti dall’industria dello spettacolo e costretti a camuffamenti e ipocrisie. È un modello che conosciamo bene: è il modello praticato dal berlusconismo reale nel contrapporre la gente al Palazzo, la società civile alla casta, la «trincea del lavoro» ai «professionisti della politica». Perché i ragazzi di Amici possano mostrare tutta la loro autenticità e la loro normalità, è necessario che qualcuno li osservi: senza la tv, senza il reality che con il pretesto di mostrarli in realtà li costruisce sequenza dopo sequenza, litigata dopo litigata, i ragazzi di Amici - diversamente dai cantanti di Sanremo - semplicemente non esisterebbero. Per questo Pippo Baudo l’anno scorso li escluse dalla gara. Sanremo 2009 può considerarsi dunque il punto di trapasso, il luogo in cui l’uguaglianza della massa scalza la libertà dell’individuo in un perfetto capovolgimento di valori: l’originalità e l’autenticità non sono più il contrassegno di una scelta individuale, ma il sigillo dell’appartenenza alla maggioranza. Il successo di Amici è, brevemente, il successo della tirannia normativa, psicologica, culturale e morale della maggioranza. È dunque parallelo e simmetrico al successo berlusconiano, che non per caso utilizza la stessa terminologia populista. «L’impero della maggioranza - scriveva Tocqueville - si fonda, in parte, sull’idea che vi sia più cultura e più saggezza in molti uomini riuniti che in uno solo, nel numero più che nella qualità. È la teoria dell’eguaglianza applicata all’intelligenza. Questa dottrina colpisce l’orgoglio dell’uomo nel suo ultimo rifugio». La tirannia della maggioranza è, per definizione, consensuale: nel senso che gode dell’appoggio della maggioranza. È precisamente questo il paradosso che segna l’origine del mondo moderno, e che dalla rivoluzione americana in poi arrovella il pensiero liberale. «Per libertà - spiegava Constant - io intendo il trionfo dell’individualità, sia sull’autorità che vorrebbe governare con il dispotismo, sia sulle masse che reclamano il diritto di assoggettare la minoranza alla maggioranza». Se il primo problema, almeno in Occidente, sembrerebbe risolto, il secondo è invece più che mai aperto. De Filippi non è illiberale, e il suo programma non si propone altro che buoni ascolti e ottimi fatturati. Ma è un segno dei tempi; di più, è un microcosmo perfetto, spericolatamente in bilico fra la pervasività virtuale dei media e la massificazione iperrealista dei consumi, degli stili di vita, delle opinioni. La comunità egualitaria di Amici, come l’Italia democratica di Berlusconi, è governata da un potere «assoluto, minuzioso, sistematico, previdente e mite, che assomiglierebbe all’autorità paterna - scrive Tocqueville - se, come questa, avesse lo scopo di preparare l’uomo all’età virile, mentre non cerca che di arrestarlo irrevocabilmente all’infanzia». Non per questo, s’intende, l’individuo è perduto. Scartata quattro anni fa dal cast di Amici, Arisa è arrivata ugualmente a Sanremo, dove ha vinto la sezione giovani. E su Internet la sua canzone è più scaricata di quella di Marco Carta". (La Stampa)
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1 commento:
Concordo con quanto hai scritto.inutile aggiungere di più, tranne il fatto che possiamo ritenerci soddisfatti che almeno in questi casi a decretare il vero vincitore è sempre e comunque il pubblico.La canzone italiana è deludente, e purtroppo neanche San Remo riesce a farla decollare come ai vecchi tempi quando la Nostra musica varcava i confini.
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