mercoledì 4 marzo 2009

La nostra dittatura.

"Quando si parla di "dittatura", in Europa, la mente corre a quelle terribili esperienze che caratterizzarono buona parte del Novecento e che portarono distruzione e morte su scala mondiale. Mussolini, Hitler, Stalin, Franco, sono tra gli emblemi di quel concetto di dittatura, e le loro azioni politiche sono per noi il parametro di giudizio col quale valutiamo le realtà politiche del presente per individuarne gli eventuali punti in comune o, invece, le differenze.Tuttavia, ogni realtà umana è intimamente legata alle circostanze in cui essa si verifica e per essere capita deve quindi, necessariamente, essere valutata in rapporto a quelle medesime circostanze. Per cui, in linea di principio, è totalmente infondato un qualsiasi paragone fra il passato e il presente che non tenga in debita considerazione gli enormi cambiamenti che nel frattempo si sono succeduti. Simili ragionamenti anacronistici sono sempre stati la base da cui ha tratto fondamento la sottovalutazione di fenomeni che poi sono diventati incontrollabili e hanno prodotto danni irreversibili.Ecco perché appare pericoloso sostenere che la situazione in cui versa l'Italia oggi non sia poi così assimilabile al concetto di dittatura, facendo esclusivamente riferimento alla violenza brutale di certe dittature del passato, compresa quella mussoliniana, che oggi non è ravvisabile. Che, infatti, i mezzi a disposizione del potere siano cambiati, non si discute. Ma che il fine di controllo totale, diffuso e penetrante delle persone sia ravvisabile sia nel fascismo di Mussolini, sia nello stalinismo russo, sia nel modo di operare di Berlusconi, oggi, è altrettanto evidente.E' quindi esigenza assoluta di analizzare lucidamente il presente tenendo in considerazione alcuni punti chiari.Tutto sta, innanzitutto, nel cercare un significato da attribuire alle parole affinché sia possibile intendersi. Se a "dittatura" si vuole dare il significato storico-politico rappresentato da Stalin, Hitler o Mussolini (solo per citare i più rappresentativi, ma molti ve ne sono ovviamente da aggiungere), allora oggi non vi è dittatura, ma qualcosa di diverso. Se invece con "dittatura" ci decidiamo ad intendere una qualsiasi forma di potere autoritario e tendenzialmente illimitato, allora probabilmente anche nell'Italia del ventunesimo secolo si possono ravvisare molti segnali di forte pericolo, se non di catastrofe già avvenuta.E' poi da chiarire subito e senza lasciar spazio a dubbi che un limite del tutto assente, e un limite raggirabile con sufficiente facilità, comporta le medesime conseguenze. Molti detrattori della teoria della "dittatura" moderna o morbida, al contrario, si appellano al fatto che oggi vi siano libertà non più comprimibili, una Costituzione rigida e inviolabile, "freni" politici assodati e solidi, una coscienza sociale forte, che costituiscono efficaci limiti al potere e rendono impossibile una qualsiasi forma di autoritarismo. La banalità di simili teorie sta tutta nel notare alcuni punti incontrovertibili: primo, che ogni situazione in cui in seguito è nata una dittatura era ritenuta dai contemporanei garantita e stabile (basti considerare che la dittatura di Hitler è, formalmente, nata nel rispetto di regole costituzionali rigide); secondo, che i limiti citati sono meno sostanziali di quel che si crede.Cominciamo dalla Costituzione alla quale affidiamo (giustamente) il compito di assicurare la nostra libertà. La Carta pone norme fondamentali, "principi", che riconoscono e tutelano i nostri diritti. Quindi dovremmo ritenere di essere definitivamente garantiti, sotto questo aspetto. Eppure il diritto all'accesso concorrenziale agli strumenti di comunicazione, il diritto ad informare e quello ad essere informati sono oggi apertamente e sotto più fronti schiacciati. E non si tratta di illazioni o teorie di parte: la Corte Costituzionale ha più volte accertato che l'oligopolio pubblico/privato nella televisione viola apertamente i principi preminentemente sanciti dall'articolo 21. Persino l'UE è al corrente e ha denunciato questa situazione. E nonostante ciò è in vigore una legge volutamente ideata e approntata per aggirare gli ostacoli posti dalla Costituzione (e dalla Consulta), la famosa Legge Gasparri del 2005, che oggi permette di rendere "legale" una situazione che, a stretto rigore, legale non è. Questo è un esempio pratico, più evidente di mille spiegazioni teoriche, di come la Costituzione, pur eccellentemente scritta, possa perdere il suo valore di limite al potere politico. I principi che essa pone, infatti, sono per l'appunto "principi", valori assoluti, generali, che poi spetta alla Corte Costituzionale tutelare impedendo che vengano violati dalla legislazione ordinaria. Qui stanno le scappatoie: la Corte difficilmente si assume il compito di dichiarare integralmente illegittime discipline così ampie e complesse (come quella, appunto, sull'informazione), per i "buchi" legislativi che ciò causerebbe, ed il caos conseguente; la Corte stessa, né alcun altro organo costituzionale, ha un potere diretto di influenza nel comportamento del potere esecutivo e legislativo, che rimangono liberi, a patto di non violare direttamente certi principi. Il che significa che, come detto, basta violarli in maniera più "soft", morbida, per l'appunto. Non si cancella il diritto alla stampa, non si chiudono i giornali. Li si compra. Non si fa una legge che impedisca la libera espressione, ma si seleziona per vie traverse chi può accedere agli strumenti che rendono il pensiero di un privato di pubblico dominio e quindi capace di partecipare alla formazione dell'opinione pubblica.Se non si ammette il fatto che i diritti possono essere raggirati, seppur formalmente garantiti, diventa ben difficile spiegare, nonostante la chiarezza dell'art. 21 e in generale dei principi che regolano la Costituzione, il caso Europa7, ormai diventato una barzelletta in termini giuridici. Un imprenditore segue alla lettera tutte le procedure e ottiene il permesso a trasmettere in chiaro a livello nazionale, nonché quindi il diritto a ricevere le frequenze all'uopo necessarie: poi, pur ricorrendo a praticamente qualsiasi organo giurisdizionale competente, in Italia e in Europa, è ciononostante costretto (ancora lo è) a tollerare per dieci anni l'impossibilità di entrare nel mondo della comunicazione televisiva, vedendo costantemente calpestato il proprio diritto ad essere dallo Stato tutelato, invece che soverchiato. Tutto ciò con danni incalcolabili per quello specifico imprenditore e per la libertà di tutti. E tutto questo perchè vi sono da tutelare gli interessi privatissimi di chi ha in mano il potere politico in quel momento. Sarebbe difficile immaginare qualcosa di più incostituzionale. Eppure è realtà ineluttabile, ed è solo una goccia, un esempio particolare, di un mare di violazioni più o meno evidenti al contenuto e allo spirito della Costituzione.Altro mito da sfatare è quello dei limiti politici che si sarebbero imposti al punto da impedire l'autoritarismo: qui veramente non c'è praticamente nulla da discutere. I limiti meramente politici e non giuridici non sono mai stati sufficienti, nei momenti di crisi, essendo rimesso alla volontà del singolo soggetto politico di farli valere. L'unica "conseguenza" della loro violazione è infatti la responsabilità politica che deve esser fatta valere, per l'appunto, in ambito politico. Per cui è sufficiente, come accade in questi anni, che la politica si asservisca (per tutelare interessi prosaici e personalistici) per cancellare qualsiasi effetto di una violazione dei principi di buona politica. E' la storia di Italia.Infine, il più demagogico (e senza senso) limite supposto al potere politico è quello dettato dall'opinione pubblica, dal senso civico dei cittadini, dal "popolo". Non vi è nulla di meno reale. Il popolo non è necessariamente un soggetto unitario, né tanto meno dotato a prescindere di doti quali l'intelligenza, la coerenza, la incorruttibilità. Al contrario, l'effetto del potere della massa può essere facilmente modificato, se non vige una serena e chiara democrazia.Su questo punto conviene prima partire da un dato di fatto che tutti condividono: la pubblicità è capace di "indirizzare" il comportamento della grande maggioranza dei soggetti. Non vi è modo di scampare a una simile realtà, che è tra l'altro ovunque ben visibile. Chiarito ciò, deve risultare altrettanto immediato che gli strumenti della pubblicità, utilizzati massicciamente, sistematicamente e unilateralmente nell'ambito politico, comportano significativi cambiamenti e, in qualche modo, corruzioni dell'opinione pubblica. Non si può dubitare di ciò senza negare il peso che da sempre, nelle dittature, ha la propaganda: se oggi tale propaganda non è più diretta, ma "mediata" da diversi contenitori e per lo più subliminale, ciò non ne altera l'efficacia.Ecco come il problema di prima inerente al diritto all'informazione si lega al concetto di democrazia, ovvero di potere al popolo: se i cittadini possono informarsi in maniera corretta, pluralistica, libera, la loro opinione e la loro forza potranno essere un limite stabile al potere dei "rappresentanti". Se invece il popolo stesso viene portato a decidere basandosi su informazioni scorrette, deviate, assenti, unilaterali, propagandistiche, non sarà in grado di svolgere il proprio fondamentale ruolo nella democrazia. Come esempio di ciò basti citare il fatto che esistono leggi, di natura penale, che puniscono la coartazione del voto, la distribuzione del cibo o del denaro per accaparrarsi voti. Eppure non abbiamo una legge vera che garantisca che il voto sia davvero libero, e che tutti i partecipanti ad una competizione elettorale abbiano le stesse opportunità di partenza, magari evitando che uno dei contendenti utilizzi strumenti personali e in forte contrasto con la democrazia per facilitare risultati altrimenti ottenibili solo con brogli veri e propri.Tutte queste argomentazioni, riassuntive di una situazione ben più complessa e drammatica, servono solamente per chiarire che se una dittatura ha come proprio elemento caratterizzante un potere che tende all'illimitatezza e quindi autoritario, allora è ingenuo credere che essa abbia comunque bisogno degli strumenti del passato, come la violenza o la manifesta imposizione, per poter funzionare. Al contrario, oggi strumenti del genere, in Occidente, non garantirebbero ma impedirebbero la nascita di una dittatura che realizzi i propri obiettivi. Molto meglio funzionano, invece, strumenti moderni come il controllo dell'informazione, l'uso di una pubblicità martellante e di una propaganda sottile, l'accordo con poteri sociali radicati come la Mafia o la Chiesa, la creazione di apparati di controllo celati e perlopiù segreti e subdoli, l'utilizzo di strumenti giuridici complessi, quasi raffinati e via discorrendo. E' così che oggi si comporta chi vuol possedere uno Stato e gestirlo per i propri fini, creando quella che in null'altro modo può esser definita, se non come una dittatura". (Giuseppe Pala-www.micromega.net)

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