lunedì 16 febbraio 2009

Sardegna-Italia: da Mussolini a Berlusconi. Gli italiani non sono cambiati.

"Qui l'invasore non passerà", aveva detto con troppa sicumera Walter Veltroni, in chiusura di campagna elettorale. Invece, secondo i dati parziali dello spoglio, Berlusconi ha vinto anche in Sardegna. L'invasore non solo è passato. Ma ha dimostrato di essere il "padrone dell'isola". Ha confermato di essere il "padrone d'Italia". Se lo scrutinio finale non si discosterà dalle percentuali della notte, questo dice il risultato del voto regionale sardo. Trasformato fatalmente in un test di mezzo-termine, per il rapporto tra il Cavaliere e il Paese, per gli equilibri interni al Pdl e per il futuro del Pd. Nel rapporto tra il Cavaliere e il Paese (salvo sorprese clamorose nello spoglio definitivo) il voto della Sardegna evidenzia un dato politico incontrovertibile. La luna di miele tra il premier e l'Italia non è affatto finita. Nonostante le difficoltà del governo su scala nazionale, nonostante i morsi della crisi economica. Con questa vittoria, Berlusconi rinnova il mito del Leader Invincibile. A sconfiggere Soru non è stato Ugo Cappellacci, ma il premier in persona. "Ci ho messo la faccia", ha detto. E per questo ha vinto, battendo l'isola palmo a palmo, weekend dopo weekend. E ancora una volta, forte di questa personalizzazione della campagna, e di questa presidenzializzazione del voto, ha sbaragliato l'avversario. Ha spazzato via la logica antagonista sulla quale avevano contato Soru e il Pd: la Sardegna in carne e ossa del modello Tiscali e dei modernizzatori schierati per lo sviluppo sostenibile contro la Sardegna di cartapesta di Villa Certosa e dei ricchi cementificatori della costa. La banda larga di Renato contro la bandana di Silvio. Questo schema "sociologico" non ha retto alla prova dell'urna.
Il dato politico dice che le percentuali di voto ottenuto in Sardegna dal Pdl e dal Pd (se saranno confermate dal risultato definitivo) ricalcano quelle già registrate alle ultime politiche: tra il 48 e il 50% il primo, tra il 44 e il 46% il secondo. È la conferma che il blocco sociale creato dal centrodestra è ormai strutturale, e non è scalfibile dal centrosinistra. Per gli equilibri interni al Pdl, con questa vittoria Berlusconi rafforza il ruolo del Sovrano Indiscutibile. Regola, una volta per tutte, i conti con la sua maggioranza. Quando c'è un voto da conquistare, quando c'è un consenso da rafforzare, non ce n'è per nessuno. Vince il Cavaliere, da solo. Può anche candidare un Carneade contro il parere dei suoi alleati, come ha fatto con Gianni Chiodi in Abruzzo. Può anche candidare il figlio del suo commercialista facendolo sapere agli alleati attraverso i giornali, come ha fatto con Cappellacci in Sardegna. Può anche candidare il suo cavallo, come fece Caligola. Ma se poi è lui a corrergli in groppa, il traguardo finale è assicurato. Non c'è Bossi che tenga con i suoi diktat sul federalismo e i suoi distinguo sulla Costituzione. Meno che mai c'è Fini, con le sue difese lealiste di Napolitano e le sue pretese "laiciste" sulla bioetica. Chi vince ha sempre ragione, e comanda. Da domani, in un Pdl sempre più militarizzato, sarà probabilmente impossibile registrare il benché minimo caso di ammutinamento. E forse, vista l'esperienza sarda, sarà verosimilmente possibile che nell'Udc scatti di nuovo la tentazione di un arruolamento. Per il futuro del Pd, la sconfitta in Sardegna (se sarà ribadita dall'esito ufficiale) rischia di suonare come una doppia campana a morto. Innanzi tutto per Soru, che aveva a sua volta personalizzato questa battaglia, accreditando l'idea che un suo trionfo lo avrebbe accreditato per una "nomination" nazionale: a questo punto il suo sogno tramonta, e per quanto abbia inciso il voto disgiunto il governatore uscente non è riuscito a ripetere il miracolo del 2004, quando vinse grazie al sostegno di quei ben 94 mila elettori che votarono per lui e non per la coalizione. Ma soprattutto per Veltroni e per la sua leadership. Se fossero vere (e confermate) le prime indicazioni sul voto alle liste, il distacco patito dal Pd rispetto al Pdl sarebbe drammatico: oltre i 20 punti percentuali. Si avvicina il momento di una inevitabile resa dei conti per un "apparatciki" troppo autoreferenziale nella gestione del partito e troppo ondivago nell'azione politica. La ricomposizione della Sinistra Arcobaleno, alla luce della vicenda sarda, non è sufficiente. E ora cade anche l'illusione che Berlusconi si batta con un "uomo nuovo", fuori dalle nomenklature romane. Neanche questo basta a espugnare la fortezza del Cavaliere. Per Veltroni, e per il centrosinistra riformista, è un vicolo cieco. Per uscirne urge almeno un vero congresso. Da statuto, è previsto dopo le europee. Ma di questo passo c'è da chiedersi cosa resterà del Pd, dopo l'Election Day del prossimo giugno". (Massimo Giannini)

2 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Avevi ragione tu.
Le elezioni regionali sarde non era scontato che le vincesse Soru, lo scarto percentuale di voti tuttavia è giustificato dall'ingresso nella coalizione pro-Cappellacci di MPA e UDC.
Certo, la sconfitta di Soru, candidato limpido coerente e rigoroso, con un altissimo profilo etico-morale, significa una sola cosa, che la sinistra non sa fare più politica, è ancorata a vecchi schemi ideologici (vedi D'Alema e Bersani che favoleggiano un ritorno della sinistra estrema ivi compreso il sub-comandante Fausto, mentre i loro candidati nelle varie primarie sono regolarmente sconfitti, a iniziare dalle primarie per le elezioni comunali a Firenze).
Veltroni poi non si è impegnato più di tanto, anzi l'aver voluto qualificare le elezioni ragionali sarde come un fatto politico privo di rilevanza nazionale è stata l'ennesima prova dell'egoismo del personaggio e della sua insipienza politica.
Occorrono volti nuovi, ma quali ?
Altrimenti che dire: Silvio forever !
Mannaggia !

ilgorgon ha detto...

La responsabilità è dell'Udc. Se stava con Soru vinceva Soru. Ma quello è un altro comitato d'affari stile dc. Guarda Cuffaro in senato che ancora tira le fila della politica siciliana. Poveri noi. Non se ne esce. Le figure nuove non so dove siano. Probabilmente la maggior parte degli italiani è quello che si vede in parlamento. Me ne riandrei volontieri via dall'Italia, se solo avessi un lavoro in Spagna, Francia, negli Usa, in Africa o in Oriente. Dappertutto meno che qua. Invece sono sempre qui.