"Povero Veltroni: cosa ricorderà di questi ultimi dieci mesi crudeli? Gli insulti, certo, il dileggio, le mortificazioni. Ce n'è per tutti i gusti e di parecchi generi. Irridente e conciso Beppe Grillo: "Topo Gigio". Risoluto Berlusconi: "Inesistente". Soggettivamente altezzoso De Mita: "Io lo disprezzo". Popolarescamente creativo, almeno per un giornalista di Bergamo, Vittorio Feltri: "Mortacci sua". A tutti costoro non risulta che Veltroni abbia risposto, forse nemmeno in privato - e forse anche questo va a suo merito. In una vita pubblica ormai fatta di corpi, sentimenti, emotività e semplificazioni etiche, per giunta retrattili e intermittenti, a "Uolter" va dato atto di essere rimasto fedele al suo personaggio e alla parte che i tempi, le ambizioni, le astuzie e le necessità gli hanno dato modo di recitare: un buonista nel regno della politica cattiva. Così, fra le tante cose quasi tutte cattive che gli è toccato di leggere al termine della sua avventura, in fondo si salva questo pensiero di Miriam "Lella" Bartolini, in arte e nella vita Veronica Lario, a cui peraltro Veltroni si era rivolto con qualche ingenuità a proposito del nuovo partito. Ebbene, disse subito dopo la sconfitta del Pd la signora Berlusconi, già attrice, che il segretario gli ricordava Amleto, quando (atto secondo, scena 2): "Oh, Dio, potrei essere rinchiuso in un guscio di noce e sentirmi re di uno spazio infinito, se non fosse che faccio brutti sogni...". Ecco, da allora, non si è mai vista una leadership così impietosamente abbandonata a se stessa, negletta e tradita giorno dopo giorno, illusa, schernita e intanto lasciata al suo posto per basse ragioni di sussistenza, per vana furbizia attendista o per mancanza di meglio. Pure troppo, in fondo, aveva resistito al vertice. Pure troppo, quando leggeva evidente scetticismo negli occhi di tanti: "Voglio più bene al Pd di quando ne voglia a me stesso" aveva preso a dire negli ultimi tempi. Era quest'ultima una confessione impegnativa, ma alla fine trovava una specie di paradossale conferma nel fatto che non se n'era ancora andato. Il loft chiuso. Il governo ombra del tutto irrilevante. Le liti sui soldi. I dipendenti dei ds e Margherita a rischio disoccupazione. L'assemblea nazionale convocata e semi-vuota. E D'Alema di qua, Rutelli di là, Parisi di sopra, i cattolici teo-dem di sotto, i giornali di traverso: "Ci fanno la laparatomia", gli era scappato un giorno, che sarebbe un doloroso esame di tipo chirurgico, un'incisione dalle parti delle viscere, o se si preferisce delle budella. Ora, nessuno pensa che guidare un partito, per giunta sbudellato, sia quello che si dice una passeggiata di salute. E anche se la definizione può infastidirlo, Veltroni è ormai un professionista del potere. Come tale, per legge inesorabile del comando, ha più di ogni altro delle responsabilità, la prima delle quali è di aver sopravvalutato se stesso e la seconda di aver disconosciuto la disfatta. Ma il suo dramma, tanto più personale quanto più inconfessabile per un leader, è che questa disfatta era doppia, e la catastrofe di Roma gli pesava sul cuore anche più di quella nazionale. Comunque c'erano i nuovi arrivati a ricordargliela. Lo "sbullonamento" del modello Roma, la caduta di tante idee brillanti che l'avevano inorgoglito perfino all'estero, procedeva di pari passo alle convulsioni del Pd. Via l'ascensore al Vittoriale, via i menu etnici dalle scuole, via la notte bianca, le domeniche ecologiche, il festival della letteratura, il tendone della solidarietà, il parking del Pincio, via perfino il caffè equo e solidale dalle macchinette del Campidoglio. Il "buco", le buche, per strada, che Romeo non aggiusta, Zetema in sciopero, Alemanno che metteva all'asta l'auto con la tv dentro e i vetri oscurati. E le bizze di Di Pietro, i fischi al congresso dei socialisti. "Capi bastone" e "pugnalatori" in casa. Pessima estate. C'era Obama che andava come un treno, d'accordo. Ma qui bastava che fotografassero Veltroni sulla spiaggia di Sabaudia (prima che gli entrassero i ladri in casa!), perché fiorissero i più immediati e malevoli commenti sul suo stato di forma fisica, la pancia, i muscoli flaccidi, le "ciabatte da sfigato". L'acquisto di una casa a New York, rivelata in coincidenza con la "summer school", non aiutava. A luglio, il giorno prima della manifestazione a piazza Navona, era finito anche al Policlinico: coliche renali. Al giorno d'oggi sono cose di fronte a cui non ci si arresta. Così è del tutto plausibile che l'abbiano impressionato nel profondo dell'animo certe uscite, certi svaghi, certi messaggi del potere trionfante: il Bagaglino, le gemelle dell'Isola dei famosi ricevute dal presidente del Consiglio E' difficile prendere sul serio i politici perché pochissimi di loro sono esenti dal cinismo. Eppure, nel silenzio di Ferragosto, Veltroni scrive un articolo così terribile e insieme così sincero da potersi considerare, al di là dei doveri di leadership, come il suo personalissimo testamento meta-politico: "E noi stessi osservando il paesaggio della nostra società abbiamo la sensazione che lo spirito del tempo dominante tenda a cancellare il passato, la storia collettiva, la tragedia e la rinascita, tutto agglutinando in una informe massa nera...". In questa Italia "malata di Alzheimer" hai voglia a organizzare manifestazioni al circo Massimo, con due milioni fasulli e palco immerso nella folla. Hai voglia a incassare lo sbarramento alle europee per salvarti la poltrona. Hai voglia a sistemare, d'accordo con il Cavalier Berlusconi, gli amici tuoi in qualche telegiornale della Rai. In questo paese, in questo partito venuto male, non resta che chiamarsi da parte. Meglio tardi che mai". (Filippo Ceccarelli)
"Il Partito democratico è senza un Capo, nel momento in cui Berlusconi si riconferma leader incontrastato della destra, anzi padrone del Paese, che tiene ormai in mano come una "cosa" di sua proprietà, tra gli applausi degli italiani. Il risultato della Sardegna era atteso come un test nazionale e ha funzionato proprio in questo senso, rivelando la presa sul Paese di questa destra, che vince anche mentre attacca il Capo dello Stato, rinnega la Costituzione, offre un patto al ribasso alla Chiesa e non riesce ad affrontare la crisi economica. L'Italia sta con Berlusconi. E come conseguenza, il Pd va in frantumi. L'uscita di scena di Walter Veltroni mentre tutti i capipartito ieri gli chiedevano di restare è un gesto inusuale in un Paese di finti abbandoni, di dimissioni annunciate, di mandati "messi a disposizione": talmente inusuale che può persino essere seme di una nuova politica, dove finiscono le tutele, gli scambi, le garanzie reciproche di una "classe eterna" che si autoperpetua. Ma quelle dimissioni erano ormai obbligatorie. Il Pd trascinava se stesso nel deserto della sinistra giocando di rimessa in un'agenda politica imposta da Berlusconi, prigioniero di un senso comune altrui che non riusciva a spezzare. Il segretario - il primo segretario di un nuovo partito, dunque in qualche modo il fondatore - ha detto in questi mesi cose anche ragionevoli e giuste. Ma non è mai riuscito a spezzare l'onda alta del pensiero dominante, anche quando le idee della destra arrancavano davanti alla realtà, diventavano inadeguate, non riuscivano a mordere la crisi economica.
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Il problema vero è che non c'è stato un altro pensiero in campo oltre a quello della destra, un pensiero lungo, riformista, moderno, occidentale, di una sinistra risolta che con spirito nazionale e costituzionale sappia parlare all'intero Paese, cambiandolo. Di questa insufficienza, la responsabilità è certo di Veltroni, ma la colpa è dell'intero gruppo dirigente che oggi si trova nudo ed esposto dalle dimissioni del segretario, e palesemente non sa che pesci pigliare. Dev'essere ben chiaro, infatti, che se Veltroni paga, com'è giusto, nessuno tra i molti sedicenti leader del Pd può considerarsi assolto, per due ragioni ben evidenti a tutti gli elettori. La prima, è nel gioco continuo di delegittimazione e di interdizione nei confronti di Veltroni, come se il Pd fosse riuscito nel miracolo di importare al suo interno tutti i veleni intestini e i cannibalismi con cui la destra di Dini e Mastella da un lato e la sinistra di Bertinotti e Pecoraro dall'altro avevano prima logorato e poi ucciso il governo Prodi. Con Berlusconi non solo leader ma egemone di una destra ridotta a pensiero unico, i Democratici hanno parlato sempre con mille voci che volevano via via affermare vecchie autorità declinanti e nuove identità incerte, e finivano soltanto per confondersi, imprigionando il leader e impaurendolo. La sintesi paralizzante di tutto questo è la guerra tra Veltroni e D'Alema, che nel disinteresse totale degli elettori litigano da quattro partiti (pci, pds, ds e pd), mentre nel frattempo il mondo ha fatto un giro, è nato Google, ci sono stati cinque presidenti americani e l'Inter è tornata a vincere lo scudetto. La seconda ragione è nell'incapacità del gruppo dirigente nel suo insieme di produrre una chiara cultura politica di riferimento per gli elettori, la struttura di idee di una moderna forza di progresso, la definizione di che cosa deve essere il riformismo italiano oggi. Il deficit culturale è direttamente un deficit politico. Perché come dimostra il caso Englaro le idee oggi predeterminano le scelte politiche, soprattutto in partiti che sono nati appena ieri, e dunque non hanno un portato storico, una cultura di riferimento elaborata negli anni, una struttura di pensiero a cui potersi appoggiare. Ridotto a prassi, il Pd non poteva che appiccicare le sue figurine casuali nell'album di Berlusconi, dove la prassi sostituisce la politica, l'energia prende il posto della cultura, la figura stessa del leader è il messaggio e persino il suo contesto. Ecco perché il deficit culturale diventa oggi deficit di leadership. Il progetto del Pd è rimasto un grande orizzonte annunciato: il superamento del Novecento, la fine della stagione grigia e troppo lunga del post-comunismo, l'approdo costituente e definitivo della cultura popolare irriducibile al berlusconismo, anche dopo la crisi evidente del cattolicesimo democratico, la speranza di crescita di una sinistra di governo, che coniughi finalmente davanti al Paese la rappresentanza e la responsabilità, la difesa della Costituzione e dello Stato di diritto e il cambiamento di un Paese immobile, la rottura delle sue incrostazioni e delle troppe rendite di posizione. Per fare questo serviva un partito forte ma disarmato, nuovo in quanto scalabile, aperto perché contendibile, e tuttavia presente sul territorio, nell'Italia dei comuni, in mezzo ai cittadini. Un partito forte della serenità delle sue scelte. Ci vuol tanto a spiegare che la sinistra è in ritardo nella percezione dell'insicurezza, e tuttavia è una mistificazione sostenere che questa è la prima emergenza del Paese, una mistificazione che mette in gioco la civiltà italiana dei nostri padri e delle nostre madri? È davvero così difficile sostenere che credenti e non credenti hanno a pari titolo la loro casa nel Pd, ma il partito ha tra le sue regole di fondo la separazione tra Stato e Chiesa, tra la legge del Creatore e la legge delle creature? Soprattutto, è un tabù pronunciare la parola sinistra nel Partito democratico, pur sapendo bene che socio fondatore è la Margherita, con la sua storia? Quando ciò che è al governo è "destra realizzata", anzi destra al cubo, con tre partiti tutti post-costituzionali e l'espulsione dell'anima cattolica dell'Udc, come può ciò che si oppone a tutto questo non definirsi sinistra, naturalmente del nuovo secolo, risolta, europea e riformista? Molte volte il Pd non sa cosa dire perché non sa cos'è. È stato certo una speranza, per i milioni delle primarie, per quel 33,4 per cento che l'ha votato alle politiche, segnando nelle sconfitta con Berlusconi il risultato più alto nella storia del riformismo italiano. Oggi quella speranza è in buona parte delusa e prende la via di una secessione silenziosa, cittadini che si disconnettono dal discorso pubblico, attraversano una linea che li porta in qualche modo nella clandestinità politica, convinti di poter conservare individualmente una loro identità di sinistra fuori dal "campo", pensando così di punire un intero gruppo dirigente che giudicano colpevole di aver risuscitato qualche illusione, e poi di averla tradita. Ma come dimostra il risultato di Soru, il migliore tra i possibili candidati in Sardegna, senza l'acqua della politica non si galleggia. Non è il momento della secessione individuale, della solitudine di sinistra. Berlusconi dopo il trionfo personale in Sardegna può permettersi di aggiornare la sua strategia, rinviando la scalata al Quirinale, che farà, ma più tardi. Oggi può provare a prendere ciò che gli manca dell'Italia. Napoli, la Campania. Poi portare la sfida direttamente nel cuore della sinistra del Novecento, a Bologna. Quindi pensare a Torino, magari a Firenze. Chiudere il cerchio. Per poi finalmente pensare ai giornali. Il Pd in questi mesi si è certamente opposto al governo Berlusconi, e anche a suoi singoli provvedimenti. Ma a me ha dato l'impressione di non avere l'esatta percezione della posta in gioco, che non si contende, oggi, con il normale contrasto parlamentare e televisivo di una destra normale. Qui c'è in campo qualcosa di particolare, l'esperimento di un moderno populismo europeo che coltiva in pubblico la sua anomalia sottraendosi alle leggi, sfidando le istituzioni di controllo, proponendosi come sovraordinato rispetto agli altri poteri dello Stato in nome di un rapporto mistico e sacro con gli elettori. Un'anomalia vittoriosa, che ha saputo conquistarsi il consenso di quasi tutti i media, che ha indotto un riflesso di "sazietà democratica" anche a sinistra ("il conflitto di interessi esiste ma basta, non ne posso più") che ha reso la sinistra e il Pd incapace di pronunciare il suo nome mentre non sa pronunciare il nome del suo leader: e che quindi proprio oggi, per tutte queste ragioni, può chiedere apertamente di essere "costituzionalizzata", proponendo di fatto all'intero sistema politico, istituzionale e costituzionale italiano di farsi berlusconiano. Se questa è la partita - e con ogni evidenza lo è - dovrebbero discendere comportamenti politici e scelte all'altezza della sfida. E persino del pericolo, per una sinistra di governo. Dunque il Pd, se vuole continuare ad esistere - cominciare davvero ad esistere: il partito non ha nemmeno ancora un tesseramento - deve capitalizzare le dimissioni di Veltroni, come la spia di un punto d'allarme a cui è giunto il partito, ma anche come un investimento di generosità. Deve restituire infine un nome alle cose, leggendo Berlusconi per ciò che è, un potere anomalo e vincente, che tuttavia può essere battuto, come ha fatto per due volte Prodi. La situazione è eccezionale, non fosse altro per la crisi gravissima della sinistra davanti al trionfo della destra. Si adottino misure d'eccezione. Capisco che è più comodo prendere tempo, studiarsi, far decantare le cose, misurare i pericoli di scissione, cercare una soluzione di transizione. Ma io penso che serva subito una soluzione forte e vera, la scelta di un leader per oggi e per domani o attraverso un congresso anticipato o attraverso le primarie. È in gioco la stessa idea del Partito democratico. Ci si confronti su programmi alternativi, idee diverse di partito, schemi di alleanza chiari, qualcosa di riconoscibile, che si tocca con mano, in modo che il cittadino si veda restituita una capacità reale di scelta. Quei leader che oggi dovrebbero sentirsi tutti spodestati e dimissionari, per l'incapacità dimostrata di costruire una leadership collettiva, facciano un patto pubblico di responsabilità, pronti ad accettare l'autorità del segretario e l'interesse del partito - per una volta - , invece di minacciare scissioni striscianti, veti feudali. Solo così ritroveranno quel popolo disperso che conserva comunque una certa idea dell'Italia alternativa a quella berlusconiana: e chiede per l'ultima volta di essere rappresentato". (Ezio Mauro)
"O il PDmenoelle si purga da solo, o va purgato dagli italiani. Ci vuole una grande purga per liberarsi dai rifiuti tossici della sinistra. Bisogna ispirarsi a Stalin e ai processi degli anni ’30. Senza spargimenti di sangue, sono sufficienti i voti delle prossime elezioni amministrative ed europee di giugno. Lo psiconano non vince per meriti propri, ma per la manifesta incapacità di Veltroni e Fassino e per il collaborazionismo di D’Alema, Bersani, Violante, La Torre, eccetera, eccetera. Essere candidati dal PDmenoelle equivale a un suicidio politico, a un bacio della morte.Il PDmenoelle è il miglior amico del nemico. Gli ha regalato per decenni le frequenze radiotelevisive. Un bene dello Stato che consente allo psiconano di arricchirsi con la pubblicità e di operare un lavaggio del cervello quotidiano ai cittadini. Giorno e notte. Instancabile. In cambio di cosa Violante? Qual è stato il baratto?Il PDmenoelle non ha eliminato nessuna legge porcata. Non ha riformato la legge elettorale, quella che consente a Fassino di far eleggere la sua consorte, la signora Serafini, per sette volte in Parlamento e a Topo Gigio di nominare deputato Enzo Carra, un condannato in via definitiva. Non si è mai occupato del conflitto di interessi. Berlusconi è figlio di Craxi, ma, dopo la morte del padre, è stato adottato dalla coppia D’Alema-Violante.Ci vuole una grande purga per ripartire. Il Paese ha bisogno di alternative per cambiare, non di questi cialtroni. Veltrusconi non è un’alternativa, è un comitato di affari. A Piazza Farnese hanno parlato i familiari delle vittime di Mafia. Non un politico, dico uno, del PDmenoelle si è degnato di partecipare. Lo scorso luglio Piazza Navona era piena di elettori della sinistra sbertucciati dallo Scemo del Villaggio Globale, detto Topo Gigio, detto Walterloo, detto Veltroni. I referendum per cambiare le regole dell’informazione, la legge popolare per un parlamento pulito sono state ignorate, demonizzate. Populisti, demagoghi, qualunquisti. Chi ha partecipato ai V-day è stato trattato come un appestato. La legge popolare 'Parlamento Pulito' è ferma alla Commissione del Senato anche grazie ai membri del PDmenoelle. Mai sentita la loro voce in proposito. Ma alla bisogna, per evitare il processo a un parlamentare, Veltrusconi è sempre un sol uomo. Kamenev D’Alema si faccia processare, Zinoviev Violante entri nello studio di Ghedini, Bukharin Bersani si iscriva alla Confindustria della Marcegaglia a degli inceneritori e delle centrali nucleari.Un partito farsa non ha bisogno di processi farsa. Questi non si faranno processare da nessuno anche se arriveranno al 3%. Se Craxi ha distrutto il Psi, questo gruppo di politicanti a tempo pieno ha distrutto l’intera sinistra. Addavenì Baffone!". (Beppe Grillo)
"Walter Veltroni ieri ha fatto uno di quei gesti che possono essere definiti onorevoli ed efficaci. L’onorabilità delle dimissioni in un Paese in cui raramente vi si fa ricorso si dimostra da sola. Quanto all’efficacia, c’è poco da discuterne.Le dimissioni date come sono state date, improvvise e irreversibili, hanno esposto in tutta la loro crudezza le condizioni in cui versa il Partito democratico. Rimosso l’esile velo di una timida leadership, ci si è accorti che sotto non c’è altro che un’area politica allo sbando. L’improvvisazione, l’impreparazione, la confusione che hanno dominato la giornata di ieri sono state i migliori testimoni di una mancanza di strategia, individuale e collettiva, ai vertici del Pd, sia da parte degli uomini finora al comando, sia di quanti erano in posizione critica. Questo pesante giudizio si basa, intanto, sulla modalità della scelta di Veltroni. È stato raccontato che nemmeno i più stretti collaboratori del segretario fossero stati informati: è solo un dettaglio, ma fra i più inquietanti. Esiste forse migliore prova di quanto poco ci si parli o ci si consulti al vertice di questo partito? Che dire poi della sorpresa che ha colto tutta l’élite del Pd di fronte a queste dimissioni? A dispetto della tanto lodata esperienza di una classe politica che si vanta della propria finezza, non uno dei leader aveva previsto questa mossa. Il che vuol dire, banalmente, che nessuno di tutti quelli che hanno criticato Veltroni aveva davvero fatto un calcolo delle possibilità, delle mosse, e nemmeno aveva riflettuto a fondo sulle caratteristiche del segretario. Ma se la costernazione che ha colto il gruppo dirigente ha suonato l’allarme sulla sua profonda debolezza, è l’ipocrisia che ne è seguita a indicare un pessimo futuro. Che dire di quel «no» collettivo risuonato all’annuncio di abbandono del segretario? L’hanno pronunciato leader come Letta che non ha mai nascosto la sua distanza da Veltroni, come Bersani che è già sceso in campo contro il segretario e come Rutelli che non nasconde il suo disagio a stare in compagnia di molti di loro. Non c’era D’Alema, ma pensiamo che avrebbe anche lui opposto il suo rifiuto, e cercato di non far precipitare la situazione. Più che desiderio di ricucire, quel «no» è apparso come un desiderio di guadagnare tempo. La discussione infatti si è rapidamente orientata non sul merito, ma sul calendario. Quel calendario che è la gabbia mentale e fisica di questa politica oggi: elezioni a giugno, cda Rai da nominare forse già domani, tesseramento in ritardo, testamento biologico da approvare. Pareva di veder passare negli occhi di molti dei presenti lo scorrere di questa agenda. Il Pd da mesi non fa altro che navigare così, da un appuntamento istituzionale all’altro, vedendo in ognuno l’occasione di piccole sconfitte e vittorie: un processo che ormai da anni, fra scadenze parlamentari e urne, ha sostituito per questo partito il percorso appassionato e visionario della strategia politica.Non ci siamo dunque meravigliati quando, invece di svenire, urlare o fare un drammatico gesto qualunque, il coordinamento del Partito democratico ha imboccato la strada di un altro calendario: ha cominciato a discutere di segretari provvisori, transizione, reggenza collettiva, e date, sempre date, su quando e come convocare il congresso per altre primarie e un altro segretario. Naturalmente calcolando già - senza mai dirselo - quale e quanto vantaggio andasse a chi, in questa nuova situazione, nella formazione delle prossime liste per le Europee. Si spiega così la via che infine è stata imboccata per il prossimo futuro: quella burocratico-formale di un’altra mezza transizione nella transizione, di un segretario part-time, di un coordinamento che tenga insieme i cocci. In maniera da poter non ammettere che il vaso è rotto. La sinistra ha molte responsabilità nella propria continua sconfitta di questi ultimi anni. Ma nessuna è forse così rilevante quanto la rimozione con cui continua a negarsi la verità su se stessa". (Lucia Annunziata)
1 commento:
Meno male che Tonino c'è !!!
;-)))
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