"Tu vuoi parlare della comunità cinese di Roma attraverso la mia storia, i miei occhi, le mie parole? Ma non può funzionare. Io non sono quella “giusta”, la cinese tipica arrivata clandestinamente, nascosta chissà dove: vivo qui sin da quando ero piccola, studio ragioneria in una scuola romana - vicino alla Stazione Termini - e molti dei miei amici sono italiani. Non ho certo fatto quello che voi nei giornali o alla tivù chiamate sempre viaggio della speranza: lungo, pieno di rischi, in balia della mafia e costato almeno 15.000 euro. E non ho una storia particolare da raccontare: la mia famiglia proviene, come quasi tutte quelle arrivate qui, dallo Zhejiang (giegian, dice), una regione a Sud di Shanghai, lavorano tutto il giorno, mangiano cibo cinese, si curano con la medicina tradizionale e la domenica si ritrovano nella chiesa cristiana evangelica di via Principe Eugenio, quella con le insegne blu. Inoltre non voglio che pubblichi il mio nome, che mi riconoscano insomma. E adesso perché sorridi?”, mi chiede con una punta di preoccupazione Su W., 21 anni compiuti pochi giorni fa, proprio a cavallo con nuovo anno del Bue.
Risposta: perché mi stai dicendo cose già ascoltate in decine di altre interviste. Forse sei più rappresentativa di quanto pensi. Almeno di una fetta della comunità, la seconda generazione, quella più integrata nel tessuto italiano.
“Che vuoi dire con più integrata? Guarda Lin, la mia sorellina: si veste all’ultima moda occidentale, si trucca come te, va da un parrucchiere italiano e ha un cellulare spaziale al quale sta incollata tutto il giorno per il suo business import-export. E di integrazione con i ragazzi italiani non gliene importa proprio niente, sai”.
D’accordo, ma in famiglia ne avrete parlato. Il figlio di tuo fratello quest’anno va all’asilo di zona, fa parte di quegli 8659 bimbi cinesi iscritti nelle scuole italiane. Anche i tuoi hanno questo negozio all’ingrosso di vestiti, e mi risulta che ci siano problemi continui di coabitazione con i vecchi abitanti dell’Esquilino. La chiamano la Chinatown romana questa zona.
“Intanto quella cinese, anche se è la più numerosa, è l’ultima comunità arrivata qui. E non la chiamarei Chinatown, altrimenti sembra una colonizzazione programmata del quartiere, invece è stata una scelta casuale: negli anni Ottanta-Novanta questa zona era poco appetibile per i romani, mentre a causa della centralità e dei prezzi abbastanza bassi è stata scelta dai primi commercianti cinesi. Piazza Vittorio Emanuele II oggi è diventata, anche grazie a noi, più frequentata, c’è molta gente che compra, c’è più passaggio. Mi spieghi perché voi italiani date sempre la colpa ai cinesi? Noi siamo qui per lavorare legalmente. Non vi chiediamo nulla e siamo ben organizzati”.
I problemi sono diversi. Anni fa c’è stato lo scandalo delle licenze comprate…
“Ma mi dici come fa un immigrato cinese a superare l’esame se questo si svolge in italiano? Noi siamo venuti in Italia esclusivamente per lavorare. Molti non hanno tempo per imparare la lingua, altri sono ignoranti, cioè non istruiti perché vegono dalle campagne. Cosa ti aspetti? Comprare l’esame è una strada quasi obbligata”.
Ecco, alcuni si chiedono proprio come faccia un immigrato a disporre di 200-300 mila euro in contanti per aprire un’attività, come nel caso dei grossisti asiatici della piazza.
“Siamo grandi lavoratori, tutto qui. Lavoreremmo anche sette giorni su sette, se fosse possibile. Guarda mio fratello al bancone là dietro: mangia il suo pranzo mentre parla al telefono con i clienti e con la calcolatrice fa i conti a quel signore. Non ha mica abbassato la saracinesca. E io ti sto parlando mentre scarico da stamattina alle 9 gli scatoloni di vestiti dal camion all’angolo e li dispongo nelle stampelle qui in negozio. Chi arriva in Italia mette in conto di sacrificare dieci, quindici anni della propria vita facendo anche lavori molto umili, senza spendere mai una lira. Mia nonna e mia mamma all’inizio lavoravano 14, 16 ore in un ristorante cinese e hanno risparmiato su tutto. L’obiettivo era di aprire un giorno una nostra attività. Quando arriva quel momento, quando si è pronti ci si rivolge agli amici, ai parenti, ai quali si chiede un prestito che si restituirà un po’ alla volta. Tra i cinesi c’è grande solidarietà, non credo che voi possiate capire. Molti sono paesani, provengono dalla stessa provincia e si aiutano a vicenda. Le famiglie poi sono legatissime: mio padre per anni ha mantenuto parenti anche lontani, lavorando e mettendo tutto da parte ha fatto prestiti ad altri e così hanno fatto questi a loro volta, quando hanno potuto”.
Una specie di banca di mutuo soccorso, quindi? La diffidenza della gente, forse, nasce anche dalle grandi quantità di denaro che circola tra voi.
“Certo, e così parlate subito di mafia cinese. Per quanto ne so a Roma, oltre a Italia-Cina, ci sono almeno dodici associazioni: riuniscono gente degli stessi paesi di provenienza, delle stesse città, associazioni di categoria, cioè dei ristoratori, dei commercianti al dettaglio e dei commercianti all’ingrosso, come quelle appunto di import-export a piazza Vittorio, esiste anche l’associazione delle donne negozianti. Ma il punto è un altro: la solidarietà, soprattutto in famiglia. E’ qualcosa di molto distante dalla vostra mentalità. Guarda come trattate i vostri genitori e nonni: non ne avete molto riguardo. Sono dei vecchi e basta per voi. L’altro giorno leggevo dei manifesti sul fianco dell’autobus in cui si pubblicizzava una nuova linea verde di aiuto agli anziani, ma ti rendi conto? Prima li abbandonate, poi gli dite di rivolgersi a un centralino se hanno bisogno di qualcosa…Noi allora vi dobbiamo sembrare dei marziani. Pensa che nella mia famiglia è la nonna materna che decide ancora cosa si mangia ogni giorno, è lei che ti cura se hai qualche malattia. Va alla farmacia cinese in via Leopardi e sceglie tutti i prodotti naturali che servono. In Cina sono oltre mille, qui ne arrivano appena 400: le erbe della fitoterapia cinese vengono stoccate in autunno e poi inviate in tutto il mondo. E’ sempre lei che la mattina presto va a fare la spesa al Pacific Trading, il nostro supermercato: involtini “primavera”, radici di ginseng, pesce congelato, prugne secche, pasta di soia, grappa cinese, tè verde: dice che ogni alimento ha un effetto particolare sugli organi vitali e sulla temperatura corporea e lei conosce bene tutte le giuste combinazioni dei cibi. Capisci? E pensa che non parla italiano, che non sa leggere neanche questi giornali in cinese”, e Su (il nome che mi ha chiesto di scrivere) mi mostra uno dei giornali della comunità cinese italiana: le foto di Berlusconi e Obama fluttuano in un mare di ideogrammi di titoli e articoli.
“Qui si parla sia di voi che dei nostri problemi: un terzo degli immigrati nella capitale proviene dall’Asia. E’ normale che abbiamo aperto i nostri negozi e che le insegne siano in caratteri cinesi. Perché vi scandalizzate tanto?”
Il portavoce della comunità cinese di Roma, ha detto anche che uno dei vostri sogni è la possibilità di avere corsi bilingue nelle scuole delle città italiane.
“Sarebbe importante sia per i nostri bambini che per quelli italiani: aiuterebbe la comprensione reciproca. Altrimenti continuerete a vederci come misteriosi, chiusi e vi sentirete sempre più minacciati o altro…”.
E’ vero che con il vostro arrivo si sono recuperati locali vuoti, ma sono anche scomparsi i piccoli negozi del quartiere di consumo quotidiano. Alcuni dicono che bisognerebbe organizzare il commercio cinese diversificandolo e alzandone la qualità.
“La diversificazione dei negozi dipende da chi stabilisce le regole commerciali; inoltre il tipo di clientela che sceglie di venire ad acquistare da noi non richiede altre tipologie di prodotti. Il commercio di piazza Vittorio non si può paragonare a quello di altre zone della capitale. Le nostre licenze comunque sono tutte in regola mentre i controlli sono continui, diciamo pure eccessivi, tanto da farci pensare che sia un modo per ostacolare i nostri affari. E poi le offese della gente…”.
I residenti sono anche preoccupati per le grosse quantità di merci presenti all’interno dei locali, spesso stipate in appartamenti all’interno dei palazzi storici. E poi lo scarico dei pacchi blocca la circolazione a tutte le ore.
“Il traffico è un grande problema soprattutto per noi, so che la comunità ha chiesto di avere nuovi parcheggi, anche pagando. Oggi prendiamo una multa dopo l’altra, sai quante ne ho accumulate questo mese? Guarda qui…”
E’ un fatto che la vostra presenza stia cambiando il volto del quartiere: silenziosi, gentili e soprattutto imperscrutabili. Pochi sanno che non siete tutti buddisti, ma avete anche delle chiese per la messa in cinese, praticate la religione cristiana evangelica e quella cattolica. Ancora meno persone sanno che utilizzate soltanto aerei Air China, la vostra compagnia di bandiera, e per gli affari vi servite soprattutto della Bank of China, o che esiste un canale tivù cinese (Citv o Tlc sat, mi sembra). Anche le agenzie matrimoniali sono di marca cinese…
“Già, essere riservati adesso è un difetto”.
Per l’integrazione forse sì.
“Perché non ammetti tu che la vostra idea di Cina si ferma alle lanterne rosse dei ristoranti cinesi, al menù tipico, agli odori che vengono da dentro. O alle ragazzine cinesi, le ambulanti che la sera vendono di locale in locale accendini dalle forme più bizzarre. O anche al Tai chi chuan che si pratica nei giardini della piazza la mattina presto. Sai quante volte ne avete parlato alla televisione? Sembra che passiamo il tempo a fare solo ginnastica, a mangiare riso con le bacchette e ad arricchirci attraverso attività losche. Da qualche mese sui giornali vanno per la maggiore le lucciole con gli occhi a mandorla, lo sapevi?”.
Ma tu hai molti amici italiani: che cosa dicono i tuoi compagni di scuola?
“Niente di particolare, ci ritroviamo per navigare su internet, parliamo di calcio, quando non devo aiutare in negozio studiamo insieme. Mi vuoi far dire che attraverso le amicizie le due comunità potrebbero integrarsi? Sei troppo ottimista e non sai che cosa voglia dire sentirsi sempre gli occhi addosso, giudicati, gli sguardi ostili… quando va bene sei invisibile”.
Non fai un po’ troppo la vittima? Guarda che anche gli italiani hanno una lunga storia di emigrazione e di umiliazioni alle spalle…
“Avete dimenticato tutto allora!”, dice Su regalandomi una caraffa di terracotta riempita di vino made in China e un largo sorriso. “Si serve caldo, però – continua soddisfatta per l’effetto - lo sai che fa tanto esotico proporlo in una cena tra amici. Sono tanti i romani chic che vengono ad acquistare prodotti “etnici” all’Esquilino. Cosa pensi che non abbiamo capito che siamo diventati un “fenomeno di moda"?". (Marina Misiti-www.agoravox.it)
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