"Ha trent'anni e, ora che pubblica il suo secondo album 'Paura di nessuno', il rapper Amir è stanco di dover spiegare a tutti che nonostante il nome e il colore ambrato della pelle, lui è un cittadino italiano. Nato a Roma e cresciuto nella periferia di Tor Pignattara in mezzo ad altri ragazzini romani come lui, ci ha riflettuto su un po' di tempo, e dopo aver partecipato a tante trasmissioni in cui alla fine inevitabilmente gli chiedevano cosa si mangiasse a casa sua, o gli estorcevano pareri sull'Islam e sul terrorismo internazionale, ha deciso che era venuto il tempo di mettere un punto fermo in musica sull'argomento, alla sua maniera, dunque in rap. E allora è nato il pezzo 'Non sono un immigrato' in cui Amir Issaa, 30 anni, figlio di madre italiana e papà egiziano, cita la canzone dell'orgoglio nazionale per antonomasia, L'italiano di Toto Cutugno, quella del verso "Lasciatemi cantare, perché ne sono fiero/ Sono un italiano, un italiano vero".
E cosa è successo?
"È successo che sono stato sommerso dalle mail di tanti ragazzini immigrati e figli di immigrati che mi hanno criticato, che mi hanno detto: che fai, ti vergogni? La verità è che non mi vergogno affatto, continuo a pensare che siamo più ricchi degli altri, ascoltiamo lingue diverse, conosciamo mondi diversi. Ma siamo italiani al 100 per cento: ho amici italiani, figli di cinesi, che odiano il riso. Può bastare a rendere l'idea?".
Lei ha 30 anni, ha scoperto solo ora la diffidenza culturale nel nostro paese?
"No certo, solo che mi rendo conto che l'idea di una nazione multicolore, una realtà in Europa, in Italia fa fatica a fare breccia, forse c'è ancora bisogno di ribadire il concetto ogni volta che si può, c'è ancora confusione tra immigrato e figlio di immigrato. Ma devo dire che la situazione mi era sfuggita di mano anche come artista".
Cosa intende dire?
"Per il mio primo disco la mia casa discografica Virgin aveva puntato tutto sul rap del figlio dell'immigrato, sul rap etnico, un genere che tra l'altro non esiste, così mi sono ritrovato in situazioni che non ho saputo più gestire".
Con il risultato che ha cambiato etichetta e ha iniziato a collaborare con la 'Grande Onda' di Tommaso Zanello, in arte Piotta. "La verità è che la Virgin in Italia non esiste più, mi hanno lasciato solo perché sono scomparsi. Ne parlo in 'Svegliati', un appello a tutti gli artisti, non solo ai rapper: ce la possiamo fare, se lavoriamo assieme. La forza che fino a ieri le case discografiche avevano in monopolio oggi sta nelle nuove tecnologie e in internet. Alla portata di tutti quelli che hanno buone idee". (La Repubblica)
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