sabato 31 gennaio 2009
Lettera aperta al Presidente Napolitano: "Lei ci ha delusi".
"Egregio Presidente, lei dice di sentirsi offeso dalla manifestazione di piazza Farnese di mercoledi 28 gennaio. Uno dei leader di detta manifestazione, Antonio Di Pietro, avrebbe osato far notare alla S.V. di "non essere un arbitro imparziale" e di tacere su temi cruciali come la giustizia. Lei, Presidente, ha reso noto di considerare "del tutto pretestuose le offensive parole usate dall’onorevole Di Pietro per contestare i presunti silenzi del Capo dello stato, le cui prese di posizione avvengono nella scrupolosa osservanza delle prerogative che la Costituzione gli attribuisce". E dice ciò, Presidente, pur sapendo che in quella piazza c’erano più di un migliaio di persone. Persone solidali con l’oratore e che l’hanno sonoramente fischiata. Forse bisognava "sciogliere" tutta la piazza? Persone che una fredda mattina d’inverno hanno spento la tv per riunirsi e creare una partecipazione eminentemente civile, prima ancora che politica; persone che si sono ritagliate, manifestando, lo spazio per un agire politico squisitamente partecipativo, sfuggendo, per un attimo, alla presa della propaganda mediatica del regime. Signor Presidente della Repubblica, è con profondo rammarico che devo dirle che le sue parole mi offendono profondamente. Il diritto di riunione, Presidente, è uno dei piu’ antichi pilastri del costituzionalismo ed e’ riconosciuto da tutte le costituzioni democratiche. Quando lei dice di sentirsi offeso da una manifestazione è lei, Presidente, che offende chi sta sopra di lei, ovvero il popolo. Presidente lei è stato fischiato dal popolo riunito. Mi permetto di ricordarle, Presidente, che lei rappresenta il popolo, ma non ne è al di sopra. Sovrano è il popolo, non Lei. Lei dovrebbe rappresentare gli italiani, tutti gli italiani. Dovrebbe, Presidente. Perché quando si firma l’impunità per i potenti e si criticano le critiche della piazza pacificamente riunita, e’ difficile sostenerlo. Io credo fermamente che il popolo abbia un sacrosanto diritto di criticare l’autorità. Qualsiasi autorità, anche la sua, soprattutto la sua. Forse i manifestanti non sempre articolano le loro critiche con l’eloquio ciceroniano, ma non mi sembra il caso di sottilizzare e cercare pretesti, come lascerebbero intendere i suoi comunicati. Di più signor Presidente: io sono convinto, invincibilmente convinto, che ogni popolo abbia il diritto e il dovere di ribellarsi alla tirannia, in ogni sua forma. Sto parlando di quel "diritto alla resistenza" che uomini come Dossetti volevano inserire nella Costituzione italiana e che trovarono l’opposizione di altri "uomini", come, per esempio, Andreotti. Quando lei venne eletto Presidente della Repubblica io credetti, dato il suo passato, che sarebbe stato degno della Suprema Magistratura della Repubblica e pensavo che grazie alla sua esperienza ed autorevolezza avrebbe saputo tenere il timone del Paese, nei passaggi piu’ difficili di quest’epoca di transizione globale. Mi sbagliavo. Mi sbagliavo, Presidente, perché dietro il suo eloquio forbito e la sua retorica pragmatica e onnicomprensiva si cela l’aquiescenza, quando non la condiscendenza, verso una pratica politica sempre piu’ autoritaria. Una pratica politica in cui la moderna video carne televisiva sta usando l’Italia come laboratorio per un esperimento di "democrazia autoritaria" che non trova eguali nel resto dell’Occidente e ci sta conducendo alla rovina. Una pratica politica, quella italiana, che vede l’uomo più ricco del Paese padrone del Parlamento, padrone dei media, padrone, tra poco, della Magistratura e in cui la politica e la stessa socialita’ regrediscono ogni giorno ad un livello sempre piu’ cinico e bestiale. Io, Presidente, non vedo dove sia la democrazia, in tale situazione. Quando un ombrello è rotto, esso non è più un ombrello, anche se io continuo a chiamarlo in tal modo. Io vedo solo un Paese allo sbando, privo di coscienza civile, privo di spirito civico, privo di quella fratellanza che dovrebbe coesistere con ogni patto sociale. Credo sarebbe suo preciso compito, Presidente, il denunciare tale situazione, anche con gesti estremi, che facciano capire la gravita’ della situazione. Al contrario lei la avalla. Lei non muove un dito e, quando lo muove, è per difendersi dalle critiche della piazza o per approvare leggi ignobili. Per questo io mi vergogno di lei, Presidente. Io mi vergogno di lei, perché lei dovrebbe ascoltarla, quella piazza, lei dovrebbe, lei sì, rispettarla, quella piazza. Anche se la critica. Soprattutto se la critica. Lei, Presidente, in quella piazza, mi permetta, avrebbe dovuto andarci personalmente e non solo in qualità di Presidente del Csm, ma anche, e soprattutto, come Presidente di tutti gli italiani, specie di quelli "in basso" e che contestano; avrebbe dovuto guardare i manifestanti in faccia, uno per uno, occhi negli occhi, a viso aperto, come un generale che passi in rivista i suoi uomini prima del combattimento, e dirgli: parlate, vi ascolto, sono qui, perché rappresento tutti gli italiani, non solo i ricchi, non solo quelli che mi applaudono, nelle parate ufficiali. Invece nulla di tutto ciò. Uno striscione ha osato, bonariamente, contestarla e ciò ha originato il pronto intervento di rimozione della polizia e, successivamente, un comunicato del lontano colle presidenziale: il suo. Forza pubblica, indifferenza, superiorità.Questo, Presidente, è il rapporto col popolo proprio dei regimi dispotici. Lei dovrebbe rispondere e comunque comunicare con chi manifesta democraticamente. Invece lei firma leggi e decreti ignobili, palesemente illiberali e anticostituzionali, che ci ridicolizzano di fronte al mondo e ci sfibrano moralmente. Invece di proseguire nel cammino verso la democrazia l’Italia sta rapidamente regredendo, rinnegando decenni di conquiste repubblicane e il sangue dei suoi fondatori. E con le sue firme in calce, Presidente. Lei si sente offeso dalla piazza, Presidente, ma lei offende e disonora me e tutti gli uomini liberi, di tutti i tempi e di tutti i paesi, quando firma il cosiddetto "lodo Alfano". Lei approva l’impunità per le più alte cariche dello stato tra cui il capo dell’esecutivo, plurinquisito e pluriprocessato (e "pluriassolto", grazie ai suoi legulei in parlamento e alle Sue firme in calce ai provvedimenti, Presidente). Vede, Presidente, tutto si puo’ discutere e valutare, in ogni campo. Io non rivendico alcuna superiorita’ morale. Ma neppure inferiorità. Si ricordi Presidente, e glielo dico col massimo rispetto e altrettanta fermezza, che il principio di uguaglianza è, in democrazia, assoluto e universale, non negoziabile, non sospendibile, eterno, almeno finché dura la democrazia. Di più, direi che il principio dell’uguaglianza è, insieme a quello della libertà, l’essenza stessa della democrazia. Questo io credo e lei, Presidente, apponendo il suo sigillo alle leggi vergogna che postulano l’intoccabilità delle supreme magistrature, non ha fatto altro che rinforzare il mio sentire. So che non è in suo potere legiferare o rifiutarsi reiteratamente all’approvazione delle leggi italiane. Cosi’ come so che lei non è il primo "costretto" a firmare leggi cattive o che comunque non la trovano d’accordo. Già il Presidente Ciampi fu costretto, dopo un rinvio alle camere, a firmare l’immonda mostruosità chiamata "lodo Schifani" (quando si dice nomen omen, Presidente...). Già il suo predecessore, la più alta carica del Paese, aveva pugnalato alle spalle il terzo articolo della Costituzione italiana. Ma quello, il "lodo Schifani", accadeva quasi un decennio or sono. Oggi è diverso. Oggi è molto peggio. Crisi economica, crisi di valori, elezioni decise dalle segreterie partitiche, parlamento schiavo dell’esecutivo,commistioni tra mafia, politica e business ai massimi livelli, insicurezza, indifferenza, precarieta’, violenza, corruzione, razzismo: questa e’ la fotografia dell’Italia del 2009. (sic) E lei dov’è, Presidente? Sul più alto colle di Roma, che dottamente pontifica sul linguaggio di noi poveri plebei? Non si sente un po’ come una certa Maria Antonietta, signor Presidente? Non usi le parole come i mainstream di regime. Venga, per favore, ai fatti. Lei dice di sentirsi offeso dalla piazza. Lei dice di rappresentare tutti gli italiani. Lei dice di essere arbitro imparziale. Poi però Lei critica chi la critica, Lei parla per laconici comunicati, Lei approva leggi palesemente antiegualitarie, anticostituzionali, vergognose. C’è molta differenza, Presidente, tra le sue parole e le sue azioni. E le sue azioni offendono me, la mia intelligenza, la mia dignità, per quel poco che valgono. Presidente Napolitano, lei ha recentemente firmato una legge che cancella l’articolo 3 della Costituzione. I cittadini italiani non sono più tutti uguali di fronte ai tribunali, perchè quattro di loro non sono più processabili. Questo impone il "lodo Alfano". Tale provvedimento, Presidente, sarebbe già stato grave se avesse difeso i quattro più poveri e miserabili cittadini della Repubblica. Invece, somma vergogna, voi avete apposto il sigillo all’impunita’ dei quattro più potenti 'magistrati' del Paese: Voltaire direbbe che la tirannia ha gettato la maschera. Lei, Presidente, ha rinnegato l’antica saggezza del diritto romano che recita: dignitas delinquentis peccatum auget. Lei, Presidente, ha rinnegato uno dei principi fondanti della democrazia moderna, quello della responsabilità degli agenti del potere. Lei Presidente, ha ripristinato uno dei cardini delle tirannie: l’intoccabilità del potere e, così facendo, non ha fatto certo nulla di nuovo; ha solo, con un tratto di penna, ripristinato ciò che per millenni è stato proprio del potere, l’impunità. Le ricordo, Presidente, che nelle vere democrazie i cittadini (e i media) fanno dimettere i capi dell’esecutivo (Nixon docet). Non il contrario. Presidente, io credo che il suo sia un grande potere, anche se non siamo una repubblica presidenziale. Ma il suo è un potere morale. Il suo è, o dovrebbe essere, il potere che deriva dalla dignità, dall’esempio, dalla specchiata onestà. Ma le sue azioni dicono il contrario. Per questo credo che Lei abbia perduto il suo potere, la sua autoritas, di fronte agli uomini liberi e di fronte alla democrazia stessa. Mi vergogno di lei, Presidente, e la compiango se si sente vittima di eventi ai quali non può resistere. Io, nel mio piccolo, posso e devo obbedire solo alla mia coscienza e così mi sarei aspettato anche da Lei. Soprattutto da lei. Lo ripeto: mi sbagliavo. E dico ciò con un grande dolore, perche’ non avrei mai pensato che l’Italia, il Paese in cui sono nato e dove vivo, fosse destinato ad una tale bancarotta morale, civile, politica, culturale. Il resto verrà da sè. Però, non disprezzi la piazza, signor Presidente. Non disprezzi coloro che stanno in basso e si ricordi, come ci ricordano le inesorabili ed eterne parole di Piero Calamandrei, la democrazia non è nata nei salotti, né nelle stanze del potere, ma sulle montagne, accanto ai corpi degli uccisi, tra i fuochi delle città in rivolta. Questo le dico, signor Presidente, con un singhiozzo strozzato in gola, che trattengo a fatica. E così sarà sempre. Perché senza lotta, non c’é e non ci sarà mai libertà. I miei saluti piu’ cordiali". (Maurizio Carena-www.agoravox.it)
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